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laboratorio di traduzione delle Omelie di fr.Pierre-Marie in italiano
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INDICE
I Domenica di Avvento . anno B
II Domenica di Avvento - anno B
IV Domenica di Avvento - anno B
Feria d'Avvento: annuncio a Giuseppe - 18 dicembre
Feria d'Avvento: annuncio a Zaccaria - 19 dicembre
Feria d'Avvento: annuncio a Maria - 20 dicembre
Feria d'Avvento: messaggio di AinKarim - 21 dicembre
Feria d'Avvento: Omelia 22 dicembre
Feria d'Avvento: Omelia 23 dicembre
DAL NO ALL'ASSURDO AL SI' AL MISTERO
Celebrazione del mercoledì delle ceneri
Sabato della settimana Santa B
III° Domenica Tempo Pasquale B
XIII Domenica Tempo Ordinario B
Festa del Battesimo del Signore
III Domenica Tempo Ordinario C
VII Domenica Tempo Ordinario C
VIII Domenica Tempo Ordinario C
IIa Domenica di Quaresima anno C
III Domenica di Quaresima anno C
IV Domenica di Quaresima anno C
V Domenica di Quaresima anno C
Omelia fr. Pierre-Marie Delfieux II Domenica Pasqua C - At 5, 12-16; Ap 1,9-11a.12-13.17-19; Gv 20,19-31
Il corpo mostrato, la pace donata e la fede richiesta
Il corpo, la pace, la fede, tutto è corporeo in questo vangelo. Ma, allo stesso tempo, attraverso questo che lezione spirituale! La paura sembra tormentare le anime ed il timore oscura gli spiriti. Ma anche che pace è donata qui a tutti i cuori! Il dubbio e l’incredulità sembrano molto pesanti da sollevare. Ma quale gioia è vedere tutto quello che la fede promette! Il corpo prima. Il corpo, ovunque presentato in questa pagina di vangelo, è qui il primo a testimoniare. Gesù “viene” in persona. “Lui sta lì in mezzo a loro” (Gv 20,19.26). “Mostra le sue mani, poi i suoi piedi” (Lc 24,40), “poi il suo costato” (Gv 20,20). Dice a Tommaso “di mettere le sue dita sulle ferite ancora visibili, di portare la sua mano nel suo costato aperto” (Gv 20,27). Lo vedono chiaramente; parla chiaramente; mangia anche con loro (Lc 24,43; Gv 21,9,13). Siamo davvero non alla presenza di uno “spirito”, ma di un essere “in carne ed ossa”, come a Gesù piace mostrarsi (Lc 24,39). È attraverso il suo vero corpo che ci ha salvati. È nel suo corpo incarnato che anche Lui è risorto. È “questo stesso Gesù, quest’uomo che è stato liberato,” come dirà l’apostolo Pietro, è lui,” il crocifisso”, che è risorto. “Non abbiate paura, io sono il primo e l’ultimo, io sono il vivente,” ci ha detto il Cristo dell’Apocalisse. “Ero morto, ma eccomi vivo per sempre” ( Ap 1,19). Tuttavia, e questo non sorprende, lo stesso corpo che appare così, non viene riconosciuto spontaneamente. Maria Maddalena lo scambia per il “giardiniere” (Gv 20,15). I viaggiatori di Emmaus, per un semplice “compagno di viaggio” (Lc 24,15-16). I discepoli di Galilea, per un pescatore sulla riva del lago (Gv 21,15). È che questo è, si, il corpo di Cristo risorto, ma resta tuttavia diverso da quello di Gesù di Nazaret. È sempre il suo, senza essere esattamente lo stesso. Eccolo oggi trasfigurato, trasformato, da un altro mondo. Ovviamente, questo corpo di Cristo, vincitore della morte, sfugge a tutte le leggi dello spazio e del tempo. Appartiene ad un nuovo stato. È quello del vivente ritornato presso il Padre (Ef 2,6) “in cui dimora corporalmente la pienezza della divinità” (Col 2,9). Porta per noi una meravigliosa promessa di speranza. Si, anche noi, come Cristo risusciteremo nel nostro corpo. Questo stesso corpo che Dio ci ha già donato come compagno di viaggio, ci sarà dato domani come compagno per l’eternità. Sarà il mio corpo, che mi rende “me”. Ma questo sarà un corpo rinnovato, trasfigurato, trasformato ( Fil 3,20-21). Questo corpo oggi sottoposto alla fatica, all’usura, alla pesantezza, che già conosce o conoscerà senza dubbio, vecchiaia, malattia, imperfezioni e infine, sepoltura, questo stesso corpo, Dio, mio Dio, lo resusciterà! Che onore per la nostra razza umana ( At 17, 28-29)! E “quale speranza ci apre questa chiamata” (Ef 2,18)! Già “partecipi della natura divina” (2P 1,4), attraverso la creazione e l’incarnazione della Sua parola, saremo pienamente associati alla Sua “pienezza” ( Ef 3,18-19) da “una resurrezione simile alla Sua” ( Rm 6). Quanto dobbiamo quindi rispettarlo ed amarlo questo corpo umano promesso alla luce ed alla felicità di una vita nuova ed eterna! Come scrive magnificamente l’apostolo Paolo, “se lo spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo Gesù dai morti, vivificherà anche i vostri corpi mortali per mezzo del suo spirito che abita in voi” (Rm 8,11). Or dunque fratelli e sorelle, “glorifichiamo dunque Dio nei nostri corpi” (1Co 6,20). Subito dopo il corpo che testimonia la speranza, viene il dono della pace che raccoglie nella carità. Colpisce nel testo: fin dall’inizio Gesù annuncia, dona e proclama la pace. Per tre volte, dice, ridice, e ripete di nuovo : “la pace sia con voi!” (Gv 20,19,21.26). Eppure tutti l’avevano tradito, abbandonato, lasciato solo. Nessuna vendetta, nessuna amarezza, nessun rancore tuttavia, da parte del crocifisso. Oggi la grande assoluzione del cielo è data da colui che sale dagli inferi, alla terra dell’umanità tutta intera. Ma in questo dono della pace e questa effusione dello spirito, quale dignità e solennità! Lo stesso respiro di Dio è donato all’umanità! Il figlio stesso del Padre trasmette lo spirito alla Chiesa nascente. Una vera ri-creazione inizia in questo giorno. Illuminazione interiore delle anime restituite alla vita. Il coraggio dei cuori si riempì improvvisamente di sicurezza. Tutto un divenire è aperto fino a far esplodere i muri chiusi e le porte sprangate. Una nuova missione è affidata a questa giovane comunità di discepoli. È lei che ora diventa l’estensione vivente di Gesù Cristo. Letteralmente: “il corpo di Cristo” (1Co 12,27). Il modello sempre vivo di tutte le comunità cristiane, familiari, religiose, monastiche, parrocchiali, che avranno per missione di trasmettere la buona novella della salvezza attraverso un amore che le anima dall’interno. D’ora in poi, se lo desideriamo, come dice l’apostolo Paolo (Ga 3,28) , non c’è più da opporre “i credenti ai non credenti, i ricchi ai poveri, gli uomini alle donne. Diventiamo tutti i beneamati di Dio”,i figli del Padre, “per la fede in Cristo Gesù”, il figlio unigenito (Gal 3,26). E la terra vede la salvezza del nostro Dio. La resurrezione di Cristo è veramente compiuta perché i figli di Adamo vivono fraternamente. Allora il mondo potrà “credere che il Padre ha mandato Suo figlio” (Gv 17,23) perché quello che sta realmente accadendo in queste comunità ecclesiali, “assidue nella preghiera” e che vivono la condivisione fraterna (At 2,42), mostra che Cristo è veramente risorto poiché la Sua presenza reale si estende nel Suo corpo mistico. “Nell’unità dello spirito attraverso questo legame che è la pace” (Ef 4,3). La fede può finalmente costruire tutto nella verità e nella forza. È qui che l’esempio di Tommaso diventa così istruttivo per ognuna delle nostre vite. Non perché sarebbe diventato il modello dell’incredulità guarita o della rivendicazione di prove soddisfatte. Ma perché diventa, in qualche modo, per ognuno di noi, una chiamata viva ad un vero atteggiamento di fede. Prima di tutto impariamo che non è sufficiente credere nella resurrezione in sé. È ancora più importante dare tutta la propria fede alla persona del risorto. “Quello che noi abbiamo ascoltato,” dirà San Giovanni, “quello che noi abbiamo visto coi nostri occhi, quello che noi abbiamo contemplato, quello che le nostre mani hanno toccato della parola di vita” (1Gv 1,1), questo è quello in cui crediamo ed annunciamo. Perciò anche per noi, Cristo Gesù in persona diventa Qualcuno. Non si dona la propria vita per un’ idea, fosse la più vera del mondo; e nemmeno a un ideale, fosse il più santo sulla terra. Ma si può donare la propria vita a Qualcuno. Qualcuno di cui si sa che “ha le parole di vita eterna” (Gv 6,68) perché Lui stesso è “la Resurrezione e la Vita” (Gv 11,25-26). Noi apprendiamo anche, da questa pagina del vangelo che, se la fede si basa sull’adesione alla persona del Cristo, si trasmette anche attraverso la testimonianza ricevuta. Cristo è talmente identificato con la Sua Chiesa, messo in essa, che oggi e per sempre è annunciato e condiviso a tutti attraverso la Chiesa. Che fiducia il Signore mette negli uomini agendo così! Ma quale impegno per tutti noi in cambio, quando comprendiamo come è scritto, che “la fede passa attraverso la predicazione” ( At 15,7; 22,10; Rm 10,14), che essa si trasmette in verità attraverso la testimonianza; e quando vediamo come, se restiamo fedeli al vangelo, questo cammino di fede è capace di attraversare i secoli; e come Dio ci dona talvolta di sentirla passare, questa fede cristiana , quando la viviamo insieme, la cantiamo e la proclamiamo nelle nostre assemblee, nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità laiche o monastiche. Tuttavia, la fede rimane una grazia ed un dono. Una grazia offerta e un dono gratuito. Noi crediamo perché vediamo. Non ci crediamo perché ci conviene. Non crediamo perché è provato o ovvio. Crediamo in ciò che non vediamo. Crediamo in ciò che ci oltrepassa e ci spinge in avanti. Noi crediamo aldilà delle evidenze, delle dimostrazioni e delle prove. Crediamo a quello che la Scrittura ci dice, perché è luce e vita; e a quello che la Chiesa del Cristo ci insegna perché è messaggera di verità. Allora sale in noi la gioia profonda della vita nella fede “Beati quelli che crederanno senza aver visto!” ( Gv 20,29). Si, si è felici di accogliere, di ricevere, di lasciarsi afferrare, di accettare l’abbagliamento divino che diventa per noi cammino di esultanza e di pace, di serenità profonda e di filiale abbandono. Camminiamo accanto a Cristo risorto. Sentiamo la dolcezza delle Sue parole di luce salire nel Suo cuore, cantare nella Sua anima la leggerezza del Suo messaggio di pace. Ed è credere così, “senza aver visto” , si, questo ci rende “felici”, come ha detto Gesù! “Senza aver visto il Cristo, voi l’amate,” osserva l’apostolo Pietro. “Senza vederlo ancora, ma credendo , voi sussultate di una gioia ineffabile e piena di gloria;” e aggiunge: “sicuri di ottenere l’oggetto della vostra fede, la salvezza delle vostre anime” ( 1Pt 1,8-9). Fratelli e sorelle , possiamo tutti farne esperienza: quest’ultima beatitudine del Cristo nel vangelo ha qualcosa di infallibile. La fede non può mai angosciarci! La fede veramente vissuta non può che rallegrarci sempre. E, se essa è vissuta, vincolata sino al dono effettivo della nostra vita al Signore, allora Lui con la forza del Suo Spirito ci riempie di pace e di gioia. “Una gioia”, come promesso, “che nessuno può toglierci” (Gv 16,22). Ed una pace, “non come quella che da il mondo”, ma che toglie definitivamente tutti i cattivi disturbi dal nostro cuore (Gv 14,27). No, il vangelo non mente! Non siamo tutti testimoni viventi? Signore, fa che dopo essere stati felici qui in terra, di credere senza aver visto, siamo felici di vederti eternamente, per aver creduto in te!
©FMG trad. omelia manoscritta il 18 aprile 2004 a Saint Gervais - Parigi
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Omelia di fr. Pierre-Marie Delfieux Solennità della Risurrezione del Signore - Veglia Pasquale
La Risurrezione di Cristo e la nostra risurrezione in lui
Quando la vita di un uomo termina sulla terra, appare chiaramente ai nostri occhi il bilancio della sua esistenza. Dalla sua Nascita, a Betlemme, alla sepoltura, a Gerusalemme, Gesù di Nazareth ha vissuto,” i giorni della sua carne” tra di noi. E noi lo sentiamo ancora ridire, nella sua ultima preghiera: “Adesso, Padre, glorificami della gloria che avevo presso di te, prima della creazione del mondo” (Gv 17,8). Chi dunque è colui di cui celebriamo ancora una volta, in questa notte benedetta, non la memoria del passato, ma la presenza sempre viva (Ap 1,17-19)? In verità nessuno è vissuto più santamente di Gesù, nessuno ha parlato con altrettanta saggezza e verità come lui, nessuno è morto più degnamente e liberamente di lui. Nessuno ha amato in modo così intenso e puro come lui. E nessun uomo, se non lui, si è rialzato dalla tomba vincitore del peccato e della morte! Così la Resurrezione del nostro grande Dio e Signore Gesù Cristo è diventata, non solo la nostra “felice speranza” (Tt 2,13), ma anche il punto di partenza di tutto il vangelo della salvezza (Ef 1,13). E' dunque altrettanto meraviglioso credere alla Resurrezione del Salvatore e sapere che ciò ci consente di parteciparvi a nostra volta. Ma come credere alla Sua Resurrezione, il terzo giorno, e in quella di tutti noi, l'ultimo giorno? * Non c’é modo migliore , fratelli e sorelle, che ascoltare le Sante Scritture. Che ci dice dunque la pagina del Vangelo di Luca (24,1-12), sul fatto della Resurrezione di Cristo a partire dal sepolcro vuoto? E in seguito la pagina della lettera di Paolo ai Romani (6,3-11), sulla realtà della Resurrezione che ci è promessa a tutti? Il Vangelo di Luca, se lo seguiamo, passo passo, ci precisa inizialmente che tutto comincia il primo giorno della settimana (24,1) e l'indomani dello shabat (Mt 28,1). Questo ottavo giorno che, pur essendo l'ultimo, diventa il primo di tutti i giorni, segnerà così profondamente i cuori che i primi giudeo-cristiani non esitano ad abbandonare il sacrosanto shabat per ciò che è diventato il giorno del Signore, questa domenica, testimone per sempre della Resurrezione del Figlio dell'uomo. “Le donne si recano al sepolcro”, ci viene detto, “allo spuntare dell'aurora” (Lc 24,1), quando fa ancora buio (Gv 20,1). “Dio che è luce” (1Gv 1,5) per il mondo e per l'uomo, agisce sempre di notte, per scacciare le tenebre: Tenebre che coprono l'abisso, il primo giorno della creazione (Gen 1,2). Tenebre della schiavitù nella notte dell'esodo liberatore (Es 12,42).
Notte di Betlemme (Lc 2,8) annunciante la venuta del Salvatore del mondo. E notte del sepolcro da cui sorgerà il Redentore dell'uomo. “Io sono la luce del mondo, chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12). Spinte dall'amore per il Cristo e dalla venerazione per il Giusto sepolto (At 2), le donne si recano al sepolcro con degli aromi. La loro devozione e la loro ricettività per la Parola di Dio ci mostrano che “l'amore è più forte della morte” (Ct 8,6). E che, qualunque cosa accada, “l’amore non passerà mai” (1Co 13,8)! Sì l'amore è sempre vincente. Sarà da Dio sempre ricompensato (Mt 25,34-40; Gv 15,9-17). “Esse trovano la pietra rotolata davanti al sepolcro” (Lc 24,2). Eppure era ben grande (Mc 16,4) ed era stata sigillata (Mt 27,66). Da quale forza, da quale potenza è stata dunque rimossa? Ma non è né rovesciata né spezzata! La Resurrezione del Signore onnipotente si è fatta senza violenza, senza clamore e senza rumore. Persino nel suo trionfo Dio rispetta la nostra libertà e agisce umilmente. La Resurrezione del Principe della Vita è anche quella del Principe della Pace. Essendo entrate, le donne non trovano il corpo del Signore e non sanno cosa pensare è che dobbiamo tutti, adesso, cambiare prospettiva. La morte non è più la fine della nostra vita. Il sepolcro non è più una prigione, ma una porta che si apre sull'eternità. La morte è morta il giorno in cui Gesù l'ha afferrata . E anche se dobbiamo ancora subirla, essa rimane per noi pasqua verso il cielo! “Ecco che due uomini appaiono loro in abiti splendenti” (Lc 24,3). Per attestare un tale evento che nessun occhio umano può vedere, poiché segna il passaggio impercettibile dal tempo all'eternità e dalla condizione umana alla gloria divina, è ben necessario avere due testimoni (Dt 17,6.34)! Due uomini vestiti di abiti splendenti possono evocare Mosè ed Elia, già apparsi accanto a Gesù trasfigurato sulla montagna (Lc 9,28.32). Tuttora, se sappiamo leggerli, la Legge e i profeti testimoniano ancor più di lui (24,44.45). Solo un Dio onnipotente può ispirare a tal punto le Scritture, compierle e illuminarle alla luce della sua Vita. Che non si dica che la fede sull'aldilà sia fondata sulla paura della morte! Ma, tutto al contrario, essa si radica sulla certezza della resurrezione. La domanda posta alle donne vale dunque sempre per noi: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” “Non è qui. E' resuscitato!”(Lc 24,6). Cristo non appartiene allo spazio e al tempo. Egli vive in pienezza nell'eterno presente di Dio. Ma altresì, invisibilmente e così realmente, nell'anima e in mezzo ai credenti (Mt 28,20;Lc 17,21). E là, nel più profondo del nostro cuore, possiamo come loro ogni giorno, far memoria delle sue parole e meditarle (Lc 2,4.8319). Al loro ritorno dal sepolcro, le donne riferiscono tutto ciò agli Undici così come a tutti gli altri. E Luca le nomina: Maria di Magdala, Giovanna, Maria madre di Giacomo, e anche le altre che sono con loro. Ma le parole delle donne sembrano a loro puro vaneggiamento e non ci credono!(24,9-11) Lo scetticismo e il dubbio dei discepoli sono in un certo senso rassicuranti. Poiché dimostrano che se tutti hanno finito per credere alla Resurrezione di Cristo, non è per un segreto desiderio del loro cuore. Ma perché quel fatto è stato confermato da “testimonianze e apparizioni”, durante quaranta giorni, che sono, diventati per loro, dice il libro degli Atti, “numerose prove di Gesù che si è mostrato vivo dopo la sua passione” (At 1,3). Ma le sante donne, loro, sono là nel punto più cruciale del Vangelo, nell'ora in cui tutti gli apostoli sono fuggiti, si sono dispersi, restando spaventati e rinchiusi, a porte serrate, loro sono là! Si può dire che in quell'ora, il Vangelo di Cristo che sembra aver perso i suoi primi testimoni, è affidato a loro. Ed esse ne assumono la responsabilità. Un esempio da non dimenticare! Pietro intanto corre al sepolcro. L'amore non permette all'apostolo che ha più amato Gesù di restare fermo! Come non fare tutto per credere al Figlio del Dio vivente! Egli vede solo le bende. Il corpo del crocifisso se ne è liberato da solo. E il sudario è là, così posato, così simbolicamente arrotolato a parte, nota il Vangelo di Giovanni. Come un rotolo della Torah! E' dunque vero ciò che era annunciato! Fratelli e sorelle, se crediamo, non è anche per la grazia delle Scritture? * Ma cosa sarebbe per noi la Resurrezione di Cristo se non trascinasse le nostre vite al suo seguito verso la felicità eterna? E' l'apostolo Paolo che ci indica, nella sua lettera ai Romani, da dove passa quel cammino che conduce alla nuova vita (Rm 6,1-11). “Noi tutti che siamo stati battezzati nel Cristo Gesù”, scrive l'apostolo, “è nella sua morte che siamo stati battezzati” (6,2). Il vero battesimo di Gesù infatti non è nel Giordano, ma sul Calvario. La discesa nelle acque del Giordano dell'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, prefigura l'immersione nella morte di Colui che riscatta i peccati degli uomini. E come, lui che non era peccatore, Dio l'ha fatto peccato per noi, è con la sua Passione redentrice che egli si è immerso nelle acque della morte. Sconvolgente follia d'amore che confonde la saggezza umana! Ma ne è risalito. Ne ha trionfato. E' solo il nostro peccato che vi è stato inghiottito. La morte è “il salario del peccato” (Rm 6,23), e Cristo, annegando il peccato nella sua morte, ce ne ha liberati. Insondabile mistero dell'amore infinito di Dio per noi! Come il Cristo si è rialzato dai morti, così noi che siamo battezzati, (a cominciare dai cinque tra di noi che lo saranno tra poco), tramite il battesimo siamo riportati “dalla morte dell'uomo vecchio ad una vita nuova” che fa di noi uomini nuovi (Rm 6,4-6). “Poichè se siamo già in comunione con lui”, confida San Paolo, “con una morte che assomiglia alla sua, lo saremo ancora di più con una resurrezione che assomiglia alla sua” (6,5). Ma cos'è dunque questa morte che assomiglia alla sua? E' la morte all'uomo vecchio che trascina con sé ciò che non può ereditare dal Regno dei cieli (1Cor 6,9-11). Poiché vi è posto solo per la verità, la dolcezza, la purezza, la misericordia, la giustizia. In una parola: la santità, piena d'amore, di vita, di luce e di gioia. “Se dunque”, continua Paolo, “siamo passati attraverso la morte con Cristo, noi crediamo che vivremo anche con lui” (6,6). “ Cristo risuscitato dai morti infatti non muore più. Su di lui la morte non ha più potere” (6,9). Non ne mai avuto, a dire il vero. “Poiché la sua morte fu una morte al peccato una volta per tutte e la sua vita è una vita nella gloria di Dio per sempre” (6,20; Gv 17,5.24). “Ugualmente anche voi, consideratevi come morti al peccato e viventi per Dio nel Cristo” (6,11). Si potrebbe, pensare che Paolo, preso dal suo entusiasmo, esageri o idealizzi quando dice che noi siamo ormai morti al peccato. Ma no! Poichè Dio ha consegnato nelle nostre mani quell'immenso potere di attirare continuamente su di noi il suo perdono. Allora instancabilmente, all'istante, il Dio onnipotente e “onni-amante” accorre verso di noi (Lc 15), ci lava e ci rilava ancora, ci alza e ci rialza sempre (Rm 5,20). E così procediamo, da piccole morti a piccole resurrezioni verso la grande Resurrezione quando saremo tutti viventi in Dio per sempre! Che grazia e che gioia per le nostre anime, fratelli e sorelle, poterci offrire già a Dio, come viventi reduci dalla morte (6,17)!
©FMG trad. omelia manoscritta il 4 aprile 2010 a Saint Gervais - Parigi
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Omelia di fr. Pierre-Marie Delfieux Domenica delle Palme C Is 50, 4-7; Fil 2,6-11; Lc 22,14-23,56
Il ladrone e Gesù
Nessuno è morto come quest'uomo. “Si, veramente, quest'uomo era figlio di Dio”. Il centurione del Vangelo l'ha capito bene (Mc 15,39).
Ascoltando il racconto della Passione che abbiamo appena letto, capiamo che siamo richiamati ogni anno, a radunarci per contemplare colui che è stato trafitto (Gv 19,37). Poiché, di fronte alla nostra morte, che ci lascia tutti umanamente senza spiegazione e senza voce, Gesù ha, e lui solo, “le parole della vita eterna” (6,63). E più ancora le chiavi della porta stretta che conduce alla vita (Mt 7,14; Gio 10, 9-10), di quel passaggio unico che sfocia in un cielo di gloria. Certo, il Cristo, nostra pasqua, è stato immolato così dolorosamente . Ma vivendo la nostra morte carnale, il suo lievito immortale ha fatto lievitare tutta la nostra pasta umana (1 Co 5,6-7).
Fratelli e sorelle, lo sappiamo fin troppo bene: lo scandalo del male e della morte resta intollerabile e incomprensibile dall'uomo che deve subirla. Ma resta, e ciò è ancora piu' scandaloso e inaccettabile, per Dio che ha scelto di farsene carico al nostro fianco. E più ancora, quando noi vediamo quanto abbiamo fatto soffrire nella carne il Signore della gloria (1 Co 2,8). Eppure, se i nostri cuori restano muti, sconvolti, noi non siamo né sopraffatti né abbattuti. Poiché questa croce è la croce della nostra salvezza. Una croce che Gesu' Cristo ha voluto assumere su se stesso liberamente. La piu' bella prova d'amore mai data agli uomini (Gv 15,13). Nel racconto della Passione che abbiamo appena ascoltato, c'è un breve passaggio, tipico di san Luca, che è uno dei più illuminanti e consolanti del Vangelo: il breve scambio di parole tra Gesù e il buon ladrone (23,42-43). Conferisce a questa morte ignominiosa una dimensione sublime.
Solo un Dio onnipotente e d'amore universale poteva rispondere così ad un brigante (Mt 27,44): "in verità, ti dico, oggi stesso tu sarai con me in Paradiso". Cosa ci rivela dunque questo colloquio inaudito che Luca, che lo ha sentito da Maria presente ai piedi della croce, ci ha magnificamente trasmesso? Innanzitutto che Dio solo puo' aprire all'uomo il Regno di cieli e condividerlo con lui. “Voi, voi siete di quaggiù, io sono di lassu'.
Voi siete di questo mondo; io non sono di questo mondo” (Gv 8,23). Ma Gesù è disceso fin quaggiù e ha dato la sua vita per il mondo intero. Non è dunque senza senso se, fra i due ladroni si trova il Salvatore. Nell'ora stessa in cui questo povero condannato agonizza sul Calvario, il Figlio di Dio, diventato Figlio dell'uomo (Gv 8,27; 10,36) introduce quest'uomo nel Regno di Dio.
Quale speranza per le nostre vite, fratelli e sorelle, quando noi vediamo con quale misericordia e quale potenza questo Gesù, che è stato appena inchiodato sulla croce, inizia a risollevare questo ladrone caduto in basso. Ciò che aveva promesso si sta già realizzando: "E io, sollevato da terra, attirerò a me tutti gli uomini " (Gv 12,32). La morte soccombe , di fatto, nell'ora in cui il Cristo la annienta con il fuoco del suo amore divino; poiché è attraverso di essa che ci chiama tutti alla vita eterna. E anche questo Gesù l'aveva detto. "Padre, è giunta l'ora, glorifica tuo Figlio affinché tuo Figlio ti glorifichi e attraverso il potere su ogni creatura, che tu gli hai conferito, conceda la vita eterna a coloro che tu gli hai affidato (Gv 17, 1-2).Aprendo il suo cuore, il buon ladrone si è consegnato a Gesù.
E Gesu' Cristo l'ha subito ammesso nella casa del Padre. Come non ridirgli, a nostra volta: " Ricordati di me quando entrerai nel Regno." Il Signore è sempre là che ci aspetta sulla porta di ciò che, come nel primo giorno della creazione, il Cristo, nuovo Adamo, chiama il paradiso (23,45; 1 Co 15,45 - 49).
Nella sua risposta al malfattore sospeso sulla croce (23,59), che si rifiuta di insultarlo, Gesù ci insegna ancora una bella e grande verità: la forza e la grazia dell'umiltà e del pentimento. Attraverso una semplice parola di pentimento e di toccante umiltà, la salvezza scende direttamente nell'anima di questo peccatore che, attraverso di essa, si sente graziato. Ma quale contrizione nel suo animo al momento della sua morte. "Non temi neppure Dio, tu che subisci la stessa condanna" dice al suo compagno che si fa gioco di Gesu'. "Per noi giustizia è fatta, noi paghiamo per le nostre malefatte; ma lui, non ha fatto nulla di male" (Lc 23, 41). Allora, pieno d'amore e di fede, dichiara al Signore : "Gesù ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno."
Il salmista aveva già ben capito come l'umile e sincera contrizione tocca il cuore di Dio. "Conosco il mio peccato, il mio errore è senza tregua davanti a me.....Ma tu ami la verità dal profondo del cuore. Lavami, sarò candido come la neve. Un cuore spezzato, trapassato (come le gambe dei crocifissi, Gv 19,32) tu non disprezzi”. (Sal 51,5s). E Gesu' ci aveva anche insegnato che, grazie alla sua umiltà, il pubblicano che pregava in fondo al Tempio, era ripartito graziato. (Lc 18, 13-14).
Ed ecco che, attraverso una sola parola di umile pentimento, quest'uomo condannato alla maledizione del patibolo, si trova assolto e letteralmente canonizzato attraverso l'inviato del Padre di misericordia (2 Co 1,3).
Quale incoraggiamento, anche qui, per le nostre vite costellate di peccati. Chiunque si autoaccusa dei propri errori incontra lo sguardo di tenerezza e di pietà di Dio amico degli uomini. E sente ancora risuonare la voce del Salvatore del mondo: "Se veramente, in fede ed umiltà, desideri ancora entrare nel mio Regno, alla fine della tua vita, tu sarai con me in Paradiso."
Essenzialmente, questo dialogo sconvolgente tra colui che è l'immagine di Dio invisibile (Col 1,15), lo splendore della sua gloria (Eb 1,3) e questo uomo che ha toccato gli estremi del crimine e della violenza, ci rivela come il Signore ha voluto farsi prossimo delle peggiori nefandezze umane. Erano tre, in quel mezzogiorno, crocifissi sul Golgota. Nel mezzo il più santo fra i giusti e il più' puro degli innocenti. E al suo fianco coloro che gli uomini avevano giudicato come i peggiori degli i scellerati.
Che simbolo e quale realtà per la nostra umanità che non potrà più dire senza bestemmiare, che Dio l'avrebbe abbandonato al potere del male e della morte. No, il figlio di Dio, come il Padre onnipotente e misericordioso, si è abbassato, spogliato di se stesso, assumendo la condizione di servo. E Paolo aggiunge: "diventando simile agli uomini si è umiliato ancora di più, obbedendo fino alla morte e la morte in croce (Fil 2,6-8).
Fratelli e sorelle, ci sarebbe di che ribellarsi. Restare schiacciati dalla vergogna. Gridare allo scandalo. Ma no,noi non possiamo soccombere alla disperazione. Questa morte sul Calvario, anche se abominevole, ci rivela l'amore infinito di Dio per noi.E la sua vittoria sul peccato e il costo del peccato che è la morte (Rm 6,23), "poichè cio' che è follia di Dio è piu' saggio degli uomini, e cio' che è debolezza di Dio è piu' forte degli uomini (1 Co 1,25).
Cosi la croce di Cristo è finalmente gloriosa. Ed è il buon ladrone il primo ad avere la rivelazione. "Stasera stessa tu sarai con me in Paradiso".
Alla lunga notte del Golgota non poteva che succedere la luce del mattino di Pasqua.
©FMG omelia manoscritta il 28 marzo 2010 - Parigi
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V domenica di Quaresima anno C Omelia di Fr. Pierre-Marie (Is 43,16-21; Fil 3, 8-14; Gv 8, 1-119 )
Se si dovesse cercare un’idea-guida per le letture della liturgia di questa domenica, che cosa si potrebbe dire? Senza dubbio questo: che il futuro ci rimane aperto. La nostra esistenza è un cammino in salita. Qualunque sia il nostro passato, le nostre difficoltà, i nostri limiti attuali, quelli che avrebbero potuto essere i nostri torti, i nostri errori, le nostre colpe di un tempo, la santità continua a chiamarci ancora, sempre. La nostra vita va avanti e non torna indietro. La misericordia di Dio, se sappiamo aprirci ad essa, può lavare tutto e ricostruire ogni cosa. Sempre e ogni giorno, il perdono del Signore può cancellare tutto. Questa linea di forza, carica di speranza, attraversa le tre letture: la profezia di Isaia (43, 16-21), la lettera apostolica di Paolo ai cristiani di Filippi (3, 8-14), il racconto dell’adultera nel Vangelo di Giovanni (8, 1-11).
Il profeta Isaia, per primo, ci colloca in questo orientamento essenziale: Così parla il Signore, ci dice, il Signore che, già una volta, ha aperto per il suo popolo una strada attraverso il mare e nel deserto! Ora, non c’è nulla di più difficile che fare attraversare il mare a piedi asciutti e di fare attraversare le terre aride di un deserto ostile (43,20). Ed è proprio lo stesso Dio che oggi dichiara: Dimenticate ciò che è avvenuto una volta, non rimpiangete il passato, ecco, io faccio nuove tutte le cose, non vene accorgete? (43,19) Il Signore, in modo evidente, non vuole ritornare sui peccati, le ribellioni, i fatti del passato, pur gravi e riprovevoli: il peccato di Adamo, l’omicidio di Abele da parte del fratello Caino, l’orgoglio della torre di Babele, l’idolatria per il vitello d’oro, le protesta di Massa e Meriba, Giuseppe venduto dai suoi fratelli, l’adulterio omicida di Davide, e ogni altra infedeltà del popolo al Dio unico e santo.
Meno male che Dio non è un giustiziere vendicatore, ma - è lui stesso a dirlo – un Dio di tenerezza e di misericordia, lento all’ira e sempre pronto al perdono (Es 34,6), cosa che non toglie nulla alla sua esigenza di santità. Questa però progredisce solo sul cammino della misericordia. Ogni uomo, in ogni caso, è peccatore, e anche lui, dice la Scrittura, pecca sette volte al giorno (Pr 24,16). E noi, allora? Se dovessimo, per questo, tornare in continuazione al ricordo schiacciante delle nostre colpe passate, ci sarebbe di che perdere la speranza.
Al contrario di noi, è estranea a Dio l’idea di far male: Io non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva! Se noi siamo capaci di fare delle nostre colpe un cammino di conversione, cioè, di ritorno a Dio che ci aspetta – sempre – come padre, le nostre stesse colpe possono trasformarsi in un cammino di grazia e di luce. E attraverso i soprassalti delle nostre imperfezioni che noi possiamo inerpicarci sul cammino di perfezione. Il rimorso ci fa girare su noi stessi, ci rattrista e ci fa sprofondare nel passato. Al contrario, il pentimento ci fa ravvedere, cioè, ci innalza verso Dio, ci orienta verso il futuro, ci libera e ci rallegra.
Fratelli e sorelle, che Dio, con la voce del suo profeta, ci faccia capire la grazia che troviamo nel riconoscerci peccatori per essere ininterrottamente risollevati, liberati, illuminati, e addirittura rallegrati dalla forza e dalla dolcezza del suo instancabile perdono! Il suo volto è infatti proprio quello della misericordia e della tenerezza (Lc 6,3). * A sua volta, l’apostolo Paolo, nella lettera ai Filippesi, ci offre la sconvolgente e consolante testimonianza del suo personale stravolgimento (3, 8-11). Il suo passato, a lui stesso, non sembrava certo brillante:
nei riguardi dei discepoli del Signore (At 9,1). Ed egli stesso confessa: Conducevo contro la Chiesa di Dio Una sfrenata persecuzione e le procuravo danni… come accanito sostenitore delle tradizioni dei padri (Gal 1, 13-14).
Ecco com’era stata tutta una parte della sua vita precedente. Il suo passato, tuttavia, comprendeva numerosi vantaggi, grazie all’impareggiabile formazione alla prestigiosa scuola di Gamaliele, che lo aveva guidato a divenire un uomo irreprensibile quanto alla giustizia che può essere data da una perfetta obbedienza alla legge (3,6). Ma, spinto e illuminato dalla grazia di Cristo, Paolo non si è limitato a glorificarsi quanto a dispiacersi per il suo passato.
Per lui ho accettato di perdere tutto e considero tutto come immondizia per raggiungere Cristo (3,8). Allora, senza più sterili rimpianti né rimorsi opprimenti, determinato ed entusiasta esclama: Dimenticando il cammino percorso, avanzo risolutamente, preso con tutto il mio essere e corro verso la meta, in vista del premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù (3,13-14).
Ecco la tempera dell’oro passato attraverso il crogiolo da cui il fuoco dello Spirito Santo è capace di plasmare i santi! Che l’apostolo Paolo, a sua volta, ci aiuti a credere come lui che, per quanto grande sia stata la nostra debolezza, a ognuno di noi Gesù dice ancora: Ti basti la mia grazia perché la mia forza si manifesta nella tua debolezza (2Cor 12,9).
* La stessa luce che orienta il nostro sguardo verso l’avvenire, là dove la santità ci rimane sempre promessa, ci viene rivelata da Gesù nel Vangelo. E questo, nel suo incontro con la donna adultera: La misericordia di fronte alla sventura (S. Agostino, Commento a Gv 8, ).
Come una tenaglia, il cerchio degli accusatori si è richiuso su Gesù e la peccatrice. Un flagrante reato di adulterio. E non mancano certo i testimoni! Mosè ha comandato… e tu che cosa dici? (Gv 8,5). L’insidia è al tempo stesso politica, giuridica e religiosa. Sul piano politico, i Romani hanno appena vietato la lapidazione per l’adulterio, pena considerata eccessiva e disumana; sul piano giuridico, il Deuteronomio (22, 24s) e il Levitico (20,10) prescrivono di lapidare quelle donne là. Sul piano religioso, c’è un conflitto insolubile fra ciò che la giustizia comanda e ciò che la misericordia richiede.
Ora, Gesù predica dovunque perdono e misericordia (Lc 6, 36; 7, 44-50). E dice, d’altra parte, di non volere abolire la legge, ma darle compimento (Mt 5,17). E inoltre, come potrebbe pronunciarsi sia contro la legge di Cesare che contro quella di Mosè? O infrange queste leggi religiose, giuridiche e politiche Oppure cambia idea e contraddice la sua legge dell’amore, di cui dichiara che comprende e supera tutto ( Mt 22,40; Lc 10,27; Gv 5,14).
E tu, che cosa ne dici? Gesù non dice nulla, perché non ha nulla a cui rispondere. Non si lascerà trascinare nei vicoli tortuosi della casistica. Semplicemente, si china e traccia dei segni con un dito in terra ( 8,6). Questo silenzio frena la collera. Questo gesto incuriosisce e fa calmare gli arrabbiati. Questo abbassarsi del Maestro ( 8,4) è come una chiamata all’umiltà.. Il suo scrivere sulla sabbia è un invito a riflettere. Che valore può avere una legge che spinge ad uccidere? E dov’è l’uomo con il quale questa donna ha peccato?
Lentamente, con calma ma con gravità, Gesù si rialza. Guardando allora dritto negli occhi ognuno dei suoi accusatori, getta verso di loro questa espressione inimmaginabile e, in una sola parola, divina, perché pur citando la legge la trascende, Una legge, rispetto alla quale soltanto l’Autore della legge può permettersi di andare oltre. La legge, infatti prescriveva che i primi testimoni lancino le prime pietre (Dt 17,17). E Gesù dice: Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra (8,7).
Segue un momento di silenzio, grave e pesante, durante il quale, all’improvviso, tutto si ferma. Le grida di accusa ora si rivolgono verso la propria coscienza: non guardano più all’indietro il passato della legge antica, ma verso il futuro della nuova legge che diviene quella dell’amore misericordioso e della santa libertà dei figli di Dio.
Soltanto Gesù e la donna sono ora una di fronte all’altro: l’umanità peccatrice davanti al divino Redentore.
Mettendosi ora in uno stato di umiltà sconvolgente, dietro a quella che uno alla volta, hanno tutti finito col perdonare (8,9), il Signore pronuncia allora questa parola sublime: Neanch’io ti condanno; va e d’ora in poi, non peccare più. Detto questo, se il passato è cancellato, perdonato, dimenticato, ne deriva un futuro intessuto di una esigenza nuova: Va, e d’ora in poi non peccare più. (8,11).
Così nostro Signore Gesù Cristo, facendo volutamente volgere i nostri sguardi Verso quel futuro assoluto della nostra via, che può esistere solo in Dio, ci insegna che c’è qualcosa di ancor più grande di un’anima fedele: è un’anima pentita decisa a recuperare; e una cosa ancora più bella di un cuore puro, è un cuore purificato, stracolmo di luce divina!
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Omelia fr. Pierre-Marie Delfieux per IV Dom. Quaresima C - Gs 5,9.10-12; Sal 33; 2 Cor 5,17-21; Lc 15, 1-3.11-32
L’ amore del Padre in quattro dimensioni
Perché questa Rivelazione, direttamente portata a noi da Colui che è disceso dal cielo (Gv 3,13), è il cuore più intimo che Dio ci ha mostrato. Ci trasmette la luce piena sull’amore del Padre. Ci manifesta la tenerezza di Dio in azione. Qual’è l’Amore di cui Gesù ci mostra il Volto? Il Volto di un Dio di cui è detto che nessuno ha mai udito la voce e visto la faccia (Gv 5,37). Si tratta di un amore che si declina in quattro dimensioni, a ben ascoltare la parabola. Cosa ci viene rivelato in effetti? Innanzitutto che Dio dona senza calcolo. Poi che Dio ci attende pazientemente. In seguito che Dio ci accoglie con tenerezza e infine che ci perdona senza limiti. * La prima cosa che colpisce effettivamente nella parabola , è il modo con cui il Padre dona. Dona senza esitazione, senza calcolo, senza misura. Dona senza gravare con raccomandazioni o divieti. Dona in silenzio: come senza stati d’animo. Ma si percepisce bene che questo dono viene fatto con profonda attenzione, non senza emozione e con infinito rispetto. Dio dona, insomma, per puro amore. Fratelli e sorelle, ci siamo mai fermati, una sola volta nella nostra vita, per meditare, un pò in profondità, al dono che Dio ci ha fatto? Cosa abbiamo di nostro che non provenga da lui? Ci ha donato la vita che proviene solo da lui. Ci ha donato la terra che ci porta con le sue bellezze e le sue ricchezze. Il nostro corpo con le sue meraviglie; la nostra intelligenza con le sue capacità; la nostra anima promessa all’immortalità; il nostro cuore, capace di amare senza misura; e il nostro spirito, che è in noi come una scintilla della sua divinità. Ci ha offerto, con una fiducia totale, il dono supremo di una libertà assoluta (Ga 5,1). La condivisione della sua pace, della sua luce e della sua gioia. Le grazie della fede, della speranza e dell’amore. Il Padre ci ha fatto anche il dono di suo Figlio, consegnato per la salvezza del mondo (Gv 3,16). E il dono del suo Spirito effuso a profusione nei nostri cuori (Rm 5,5). Se sapessimo vedere, riconoscere e contemplare questi doni che Dio di fa: il dono di sé stesso che ci fa; quanto ne saremmo rallegrati! “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta. E il Padre divise tra loro le sue sostanze”. (Lc 15,12). “Che cosa hai che tu non abbia ricevuto”, domanda l’apostolo (1 Co 4,7). E tu, Signore, cosa hai creato che tu non abbia donato? * La seconda realtà che colpisce nella parabola è l’attesa paziente del Padre. Se Dio tace non è perchè ci dimentica: lo fa perché ci rispetta. Non ci sorveglia: Egli veglia su di noi. Non spia le nostre fughe, scruta il nostro ritorno. Il salmo canta: Il mio giudice è il Signore. Ma il Signore è la misericordia, precisa il libro dell’Esodo. Dio ci attende dunque con una pazienza infinita. Non rimproveriamogli di tacere o di non intervenire abbastanza. Questa attesa sigilla il suo rispetto della nostra libertà. Ci dona il tempo, tutto il tempo, per crescere personalmente durante tutta la durata della nostra esistenza. Di lasciare crescere in noi il desiderio della conversione, del pentimento, della salita verso la santità, del ritorno. Sapere che il Padre ci aspetta durante tutta la strada che sale verso di lui ci dà un forza, una speranza e una gioia incredibili! * In questa parabola, Gesù ci rivela una terza certezza, cioè il fatto che Dio ci accoglie sempre con tenerezza. Questo figlio perduto che si trascina sul cammino del ritorno, chiaramente non è un santo! Ora, cosa vediamo all’orizzonte, in cima alla strada? Mentre il figlio era ancora lontano, suo Padre lo vide e fu preso da compassione. E Gesù ci confida: corse a gettarsi al suo collo e a coprirlo di baci. Che scandalo sublime! Non il figlio accelera il passo, ma il Padre gli corre incontro nello slancio della sua tenerezza! Il peccatore pentito non si prosterna, è il Padre che lo prende tra le braccia spinto dalla gioia! Nessuna domanda, nessun sospiro, nessun rimprovero. Neanche quelle lacrime d’emozione che spesso non sono altro che un’espressione di sensibilità esteriore o di paura repressa. Invece quale esuberanza nella tenerezza e eloquente sobrietà in questa discrezione! Ecco l’immagine del nostro Dio, il Padre dei cieli, di cui Gesù, il Figlio unico, ha potuto dirci, lui che era venuto da Dio e a Dio ritornava (Gv 13,3), quanto Egli stesso ci ama (16,27). Non un Dio di minaccia, di vendetta, di giudizio, di castigo, ma di misericordia, di pietà e di perdono (Es 34,6). Un Dio di cui noi conosciamo la pienezza del Nome e a cui osiamo dire: “Abba, Padre”, come dei veri figli (Rm 8,15). * L’ultimo tratto del suo amore paterno consiste in un perdono senza limite. Il perdono oltremisura, realizzato nell’incarnazione redentrice, e più ancora la follia del messaggio della morte sulla croce! L’apostolo Paolo ce ne ricorda l’insondabile mistero in una formula sconvolgente. Colui che non aveva commesso peccato, Gesù, il Padre l’ha identificato al peccato degli uomini perchè, attraverso di lui, noi siamo identificati alla santità di Dio (2 Co 5,21). Da questo momento che grazia l’incontro tra gli uomini e Dio che l’apostolo chiama riconciliazione (5,17-20). Un semplice movimento del nostro cuore e tutto è lavato, dimenticato, ricostruito. Tutto ci viene ridonato ancora più meravigliosamente. “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi” (Lc 15,21). Ed ecco che l’indegno prodigo ritrova la gioia tripla della nuzialità, del diritto di proprietà e della santa libertà dei figli di Dio. Ed ecco noi tutti peccatori, con lui, che siamo letteralmente diventati eredi di Dio e coeredi di Cristo (Rm 8,17.21). Attraverso questo perdono che supera tutti i doni perché li ridona tutti con un’aggiunta di grazia, il Padre ci rigenera realmente come figli. “Perchè mio figlio era morto ed è ritornato alla vita; era perduto ed è stato ritrovato” Si tratta veramente di una rinascita. L’abbiamo appena ascoltato: “Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2 Co 5,17). * Fratelli e sorelle, non c’è più bisogno che cada la manna (Gios 5, 10-12). Sulla Terra Nuova, che non è solamente promessa, ma già conquistata da Cristo, nuovo Giosué, la Terra dove scorre ormai la grazia della salvezza, Colui che discende dal cielo (Gv 6, 33-58) ci ha donato il pane della vita eterna. Il Figlio prodigo è proprio lui, Gesù Cristo! E’ venuto a perdere la sua vita sulla terra per ricondurci tutti alla Casa del Padre (Gv 14,1-3). Divenuto anche “il primogenito di una moltitudine di fratelli” (Rm 8,29), è lui che, ormai, risponde a nome nostro al Padre del cielo: “ Coloro che mi hai dato sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie, e io sono glorificato in loro”(Gv 17,9-10). Adesso cominciamo a comprendere la lunghezza, la larghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo, anch’esso in quattro dimensioni. Di questo Amore che fa di Dio un cuore in espansione. “Padre, trattami come uno dei tuoi salariati! (Lc 15,19).
©FMG omelia manoscritta il 18 marzo 2007 a Saint Gervais a Parigi
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Omelia di fr. Pierre-Marie Delfieux III Dom . Quaresima C _ Es 3, 1. 8a.13.15; Sal 102; 1Cor 10, 1-6.10.12; Lc 13,1-9
L'appello a convertirci Il Cristo
Il Cristo - di cui il Vangelo di Luca è il solo a riferirci a questo proposito - affronta oggi uno dei problemi tra i più difficili da vivere e persino da comprendere: il problema del male e della disgrazia con i loro corollari che si potrebbero chiamare la catastrofe e il crimine. Ora, il dramma dell'oppressione che sfocia in omicidi; ora, il dramma delle catastrofi, che si quantificano in vittime. La Bibbia stessa, come nei libri di Giobbe o dei Salmi, vi ritorna continuamente, senza giungere tuttavia a dare una risposta adeguata e soddisfacente. Poichè il male è in ultima analisi, inintellegibile. Paolo arriva persino a parlare di mistero dell'iniquità (2 Ts 2,7). Di fronte a questo, Cristo non cerca di evitare la realtà scandalosa dei fatti. A coloro che evocano davanti a lui il massacro dei Galilei compiuto da Pilato (Lc 13,1), egli ricorda anche il crollo della torre di Siloe. Gesù non si copre gli occhi di fronte alle prove della nostra esistenza: egli se ne rende persino profondamente solidale, accettando, per primo, di diventare, un giorno, lui, il Galileo, la vittima di Pilato (Mc 15,15) ed il Crocifisso di Gerusalemme (Lc 13,33). Egli non si contenta neanche di proporre una spiegazione teologica, una consolazione spirituale al dramma del male del quale, ogni giorno, noi percepiamo l'eco e di cui subiamo in qualche modo le conseguenze. Egli giunge fino a dirci dove è la causa di ogni male e il mezzo più vero per superarlo e poterlo sopportare. Ed è in questo senso che il Vangelo di oggi diventa per noi, in mezzo a tutte le nostre nebbie, una fonte di speranza e di luce. * La prima luce che Cristo proietta su questo dramma che mette in discussione così fortemente le nostre esistenze quotidiane, è per ricordarci che Dio non provoca mai il male. Orbene questa idea che Dio è più o meno compromesso nella causa di tutte le nostre “disgrazie” è fortemente radicata nello spirito dell'uomo. Più fortemente ancora di quanto sembri! Ma è una idea falsa . E' un'idea “pagana”. E' persino l'idea di base di tutto un ateismo che fonda su questa visione delle cose il proprio rifiuto di Dio, o piuttosto la sua dolorosa incomprensione di un tale mistero. La peggiore tentazione del diavolo consiste in questo: che dopo aver provocato il male, riesce a farci credere che è Dio che l'ha provocato! E' proprio in questo senso che Cristo lo qualifica padre della menzogna (Gv 8,44). “Se Dio esistesse, non provocherebbe tutto ciò”, si dice allora........... “Se Dio è buono perchè ci sottopone a tante sofferenze?” si rincara. A fronte di tali domande, rudi, pregnanti, apparentemente spesso scusabili e comprensibili, la risposta non è facile. Cosa si può, nonostante tutto, cercare di dire? Dio è Dio! In lui è la Vita, l'Amore, la Bellezza, la Pace. Se Dio è Dio, egli è, per definizione, la Fonte di tutto ciò che vi è nell'universo di bello, di buono, di vero, di vivente, di gioioso. Tutto ciò che è dunque all'opposto di ciò che egli è - la tristezza, la bruttezza, la discordia, la sofferenza, la morte - non solo non può venire da lui, ma arriva ad essere rifiutato da lui. Il Cristo ha combattuto il male fino a prenderlo su di lui e ad inchiodarlo con lui sulla croce, al punto di essere diventato lui stesso maledizione per noi, come osa scrivere l'apostolo Paolo (Gal 3,13). Non è dunque Dio che provoca l'infelicità e il castigo. Un tale essere, vendicativo e giustiziere, non sarebbe Dio. Si può dire che quel “Dio” là è “morto” poiché non è mai esistito se non nelle nostre maniere umane di parlare di lui o di disprezzarlo dagli uomini! Ma il vero Dio esiste, lui che ci dice, ci spiega, ci avverte e, se necessario, fino al rimprovero forte, pregnante, persino viscerale, tanto ci ama (Eb 12,8-13), che è perchè abbiamo fatto questo, che subiamo quello; o che se facciamo questo, ci accadrà quello. Ma non è mai lui che colpisce, persino quando lo si colpisce. “Saulo, perchè mi perseguiti?” Dio stesso, per primo, soffre di questo male, soffre per tutto questo male! Come un padre, come una madre, come un fratello, come uno sposo, come un amico, egli soffre, nel suo amore, di vedere affondare noi verso le conseguenze del nostro stesso rifiuto. Questo Dio, che avverte, supplica, minaccia, piange, tuona, sospira, grida, è un Dio d'amore che parla agli uomini come un uomo per essere finalmente ascoltato, compreso, amato (Es 34,6;Gv 3,16;15,9;1Gv4,8). E questo perché i suoi figli così avvertiti, illuminati, istruiti (Gv 6,45), siano veramente e finalmente liberati e salvati! E che non restino piantati là, come un fico sterile, ma come un albero buono che dà buoni frutti (Lc 13,6-9). Credete voi che quei Galilei fossero più peccatori di tutti gli altri Galilei per aver subito una tale sorte? Ebbene no, io ve lo dico... Ed è Gesù, Figlio del Dio vivente, che ce lo dice! * La seconda luce che ci dà oggi Gesù sul dramma che ottenebra le nostre vite è per rivelarci che l'origine di ogni male ha un nome e che questa origine, è il peccato. E dunque la tentazione che lo ha provocato (Gen 3,2). Malgrado Dio e contro Dio, il peccato è entrato nel mondo, ci dice Paolo, e, attraverso il peccato, la morte, poiché tutti hanno peccato (Rm 5,12). Tale è il prezzo del dono meraviglioso, ma terribile, della nostra libertà (Dt 30,15-20). Sì, tutti gli uomini hanno peccato e noi restiamo vittime di questo male che prolifera. Pecchiamo ancora e siamo colpevoli di questo male che si perpetua. Se vogliamo dunque sottrarci al male, bisogna prima estraniarci e guardarci dal peccato. In questo non c’è nessun moralismo! Quando la Scrittura ci chiama ad evitarlo(Gb28,28), a lasciarlo (Si 17,14), a rinunciarvi, a morire a lui (Rm 6,2;Eb 12,4); quando Gesù stesso ci chiede di spingerci fino ad odiarlo (Gv 12,25), è Dio che ci grida così il suo più grande amore! Egli vuole allora, con tutte le sue forze, restituirci alla libertà della nostra anima. Il giorno in cui avremo veramente capito che chiamandoci a tale frattura, a tale rinuncia, Dio e la sua Chiesa non vogliono annoiarci, ma salvarci, faremo dei passi immensi su una via di leggerezza, di gioia e di pacifica luce. Scopriamo infine la vita e la libertà: se osserverete i miei comandamenti, conoscerete allora la verità e la verità vi renderà liberi (Gv 8,22). La storia dei nostri padri dubitanti e mormoranti nel deserto, ci dice Paolo, resta lì per servire da esempio e avvertirci (1Co 10,11). E quelle diciotto persone uccise dal crollo della torre di Siloe, pensate voi che fossero più colpevoli di tutti gli altri abitanti di Gerusalemme? Ebbene no, ve lo dico..... Ed è ancora il Signore che parla così. * Dove ci conduce quindi, alla fine, la piena luce del Cristo, nel Vangelo di oggi? Essa ci conduce fino a quel pressante appello a convertirci a Dio, vale a dire a rifugiarci nella sua grazia. A cosa servirebbe infatti distoglierci dal peccato e dal male, se non per rivolgerci verso il Bene e verso la Vita (Rm 12,21)? Per essersi sottratto alla tentazione della pianura, con i suoi mormorii e il suo vitello d'oro, Mosè ha gustato la gioia indicibile di intravedere la Bellezza di Dio sulla montagna e di conoscere persino il segreto del suo Nome (Es 3,13-15). Colui che si crede giusto non incontra Dio. Ma colui che si riconosce peccatore cade direttamente nelle braccia del Padre. E per questo che si è potuto parlare della “fortuna di essere peccatore annunciata per tutto il Vangelo” (P. Victor Sion). Sì, colui che si rivolge umilmente e decisamente verso Dio entra nella gioia del Regno dei cieli. * Fratelli e sorelle, oggi, a sua volta, ecco che Dio si avvicina a noi. Come un fico su una Terra santa, novello Israele di Dio (Ga 6,16), ci ha piantati nel cuore di questa vita affinchè portiamo frutto (Gv 15,8). E che noi illuminiamo le nostre vite sotto il fico (Gv 1,48), vale a dire nella meditazione delle Scritture. Da venti anni, quaranta anni, sessanta anni, e forse più, che la nostra esistenza è stata piantata su questa terra, cosa diventiamo? In mezzo a tutto ciò che succederà, quale frutto di eternità, già, portiamo? Nel cuore di questo tempo di grazia della Quaresima, ecco che il Cristo si avvicina ad ognuno di noi e ci domanda: cosa c'è sull'albero della tua vita? E davanti ad ognuno di noi, il Padrone e il Vignaiolo, cioè il Padre e il Figlio, nella luce dello Spirito, si interrogano e mutualmente, nella loro tenerezza, intercedono per noi: lascialo ancora quest'anno, il tempo che io vi scavi intorno (Lc 13,8). Forse nel corso di questa Quaresima si convertirà un poco? Forse porterà frutti in avvenire (13,9). Cari fratelli e sorelle, se sapessimo la gioia di Dio, Gesù arriva persino a dire: la gloria di mio Padre (Gv 15,8), quando può contemplare dei buoni frutti prodotti dall'albero della nostra vita!
©FMG omelia manoscritta il 7 marzo 2010 a Saint Gervais a Parigi
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IIa
Domenica di Quaresima C - Omelia di fr.
Pierre-Marie Delfieux - Gen 15,5-12.15-18; Sal 26; Fil 3,17-4,1; Lc
9,28b-36 Bellezza trasfigurante e trasfigurata
Se si dovesse ricordare e qualificare in qualche modo la festa di questo giorno, si potrebbe dire che è luminosa e bella. La Trasfigurazione, che evochiamo ogni seconda domenica di Quaresima, è infatti intrisa di luce e di bellezza. Bellezza della luce di Dio che essa ci rivela. Bellezza della speranza dell'aldilà che essa ci annuncia. Bellezza della grazia presente nelle nostre anime che essa ci invita a lasciar irradiare. Fratelli e sorelle, con Pietro, Giacomo e Giovanni, possiamo contemplare questa triplice meraviglia! * La bellezza della luce divina è certamente ciò che inizialmente ci appare. Già tutto circonfuso dallo splendore della sua intima preghiera, ecco che, improvvisamente, “sulla montagna” (Lc 9,18), Gesù è letteralmente “trasfigurato” davanti ai suoi apostoli. Il Vangelo si limita a menzionare che “il suo volto splende come il sole e i suoi vestiti diventano accecanti come la luce” (Mt 17,2). Ma, tramite queste poche parole, quale rivelazione! Si può senz'altro pensare che viene allora concesso ai tre apostoli di intravedere per un istante, come Mosè sul Sinai o il profeta Daniele nella sua visione del Figlio dell'Uomo (10,13-14), qualcosa dello splendore divino. Gesù, “Verbo incarnato”, non è in effetti “l'immagine del Dio invisibile”? Ma è anche detto, noi ben lo sappiamo, che “non si può vedere Dio senza morire” (Es 33,20). Orbene, Pietro, Giacomo e Giovanni, vedendo Gesù trasfigurato, non si trovano affatto sul punto di rendere l'anima! Come dunque spiegare che siano rimasti nella vita di quaggiù? La risposta non sarebbe forse da ricercare nel fatto che la luce che essi contemplano sul volto di Cristo, non è tanto, o perlomeno non ancora totalmente, quella dello splendore infinito del Dio di ogni maestà? Ma è quella della bellezza originale dell'uomo! Poichè colui che appare così “trasfigurato”, è colui che chiama se stesso così misteriosamente, luminosamente, il “Figlio dell'uomo” (Mt 8,20;26,44;Gv 1,51). La luminosità risplendente che irradia sul suo volto e dà alle sue vesti l'aspetto della luce, è dunque anche la bellezza data all'uomo il primo giorno del mondo, nella piena luce del paradiso. “Lo hai fatto poco meno di un Dio”, canta il salmo, “coronandolo di gloria e di splendore”!(Sal 8) Allora, il primo Adamo era tutto radioso d'innocenza, veramente “immagine e rassomiglianza” di Dio. Non era ancora vestito di “tuniche di pelle”, come ci rivela il libro della Genesi. Ma, letteralmente, di “un mantello di luce. Poichè Dio è luce”! (1Gv 1,5). Ed ecco che oggi, lo stesso Figlio di Dio, risplendente della gloria dall'alto (Eb 1,3), sì, ecco che oggi, “il Cristo, nuovo Adamo” (1Cor 15,45) ci consente di intravedere per un istante, tramite lo splendore della Sua divinità, qualcosa della luce originaria della nostra stessa umanità! Come dunque era bello l'uomo quando Dio lo ha modellato! E quale luminoso splendore irradiava dal suo essere quando era tutto intero abitato dalla santità divina! Oggi, “il primo nato di ogni creatura” lo rivela agli occhi di tutta la creazione (Col 1,15-18). Ecco già, fratelli e sorelle, la prima bellezza che possiamo contemplare in quel riflesso zampillato per noi, su questa “alta montagna”. Dio si è fatto uomo per rivelarci che noi siamo “figli di Dio” (Rm 8,14.17; 1Gv 3,1). Cerchiamo quindi al nostro interno il riflesso di questa luce originaria. E là nel più profondo del nostro cuore, “alla giuntura dell'anima e dello spirito”, come dice la Scrittura, scopriremo, ritroveremo la traccia, indelebile, di questa luminosità primaria. Questa “scintilla di divino” nascosta nel cuore del nostro cuore! Ecco quello che la vita monastica si sforza di lasciar trasparire. “Signore, faccio voto di non formare altro che uno con te”, prometteranno tra poco le sorelle Marie-Fleur e Anne-Emmanuel. * Ciò che ci lascia intravedere il Cristo trasfigurato supera tuttavia ancora questa bellezza primaria. Parlando con Mosè e con Elia, Gesù si intrattiene, infatti, sul suo Esodo; vale a dire sulla sua uscita da questo mondo (Lc 9,31). Più ancora che verso il ricordo dell'inizio, è dunque egualmente verso la speranza del termine che questa visione ci orienta. E la Bellezza che ci viene dato di intravedere così, supera ancora in splendore ciò che il “Cristo nuovo Adamo” poteva ricordarci della luce originaria. Sì, un giorno, con lui, condivideremo la gloria divina e la luce eterna. Quaggiù, vediamo come in uno specchio. Allora, “sarà faccia a faccia!” Profetizza l'apostolo Paolo (1Cor 13,11). “Finchè avete la luce, credete nella luce, ci dice il Cristo, e diventerete figli di luce!” (Gv 12,36). Ecco il vero richiamo a salire verso la “montagna del Signore” (Sal 84). Questo richiamo al quale si sforza di rispondere la vita contemplativa ritornando verso le realtà di lassù (Col 3,1-3). Se noi lo vogliamo dunque, tutta la nostra vita non è più una discesa inesorabile verso la notte della tomba, ma una salita verso il chiarore di quel giorno che non avrà più fine! “Egli trasfigurerà il nostro corpo di miseria per conformarlo al suo corpo di gloria” (Fil 2,21). Che prospettiva, fratelli e sorelle! Che promessa agli occhi della nostra fede! “Che ammirabile speranza ci apre questa chiamata”! (Ef 1,18) Con un corpo glorioso, liberato da ogni vincolo di tempo e di spazio, sgombrato da tutti i pesi della fatica e della malattia, delle prove della sofferenza, delle costrizioni della vecchiaia, vivremo, felici di vedere la gloria di Dio, in una giovinezza eterna e una felicità totale. Sì, possiamo rendergli grazia di averci così rivelato a quale gioia, non solo le nostre anime, i nostri spiriti e i nostri cuori, ma anche i nostri stessi corpi sono convitati nel Regno dei cieli! Sì, possiamo “glorificare Dio nel suo stesso corpo”. Poichè, come dice l'Apostolo, “il corpo è per il Signore e il Signore è per il corpo”. Ciò ci sarà ricordato anche più tardi. * Che questo ricordo originale e questa prospettiva ultima il cui doppio mistero è rivelato nella trasfigurazione del Cristo, ci aiuti dunque a ritrovare ancora ed infine le tracce vive di questa Bellezza divina nel quotidiano delle nostre vite. Dietro il velo del nostro corpo di carne infatti, vi è la trasparenza di un'anima immortale. Aldilà delle percezioni e delle realizzazioni della nostra intelligenza umana, vi è la presenza dello “Spirito che scruta in noi fino alle profondità divine” (1Cor 2,10). Dobbiamo saper ritrovare dappertutto i segni dell'Invisibile che si possono percepire con “gli occhi della Fede” . Il cristiano è un nato cieco che il battesimo ha guarito. Trasfigurato, ecco che diventa trasfigurante. Là dove vi è indifferenza o odio, vuole mettere attenzione e amore! Là dove è tristezza e dubbio, vuole dare gioia e fede! Convertiamo dunque il nostro ascolto e il nostro sguardo: non sono solo un uomo della terra, la mia patria è nei cieli. Quei figli non sono solo “miei figli”, sono figli di Dio. Quegli esseri sposati non sono solo “mia moglie” o “mio marito” sono degli altri Cristo. Quei fratelli e sorelle non sono “mia comunità”; formiamo insieme il Corpo di Cristo. La terra non è che un trampolino verso il cielo. Gli amori di quaggiù sono solo un'anticipazione delle “nozze eterne”. La morte dei nostri corpi non è che una porta aperta sulla Vita. Care sorelle Anne-Emmanuel e Marie-Fleur, i voti di povertà si pronunciano in vista del tesoro del cielo. Il voto di castità è per un amore ancora più ampio. E il voto di obbedienza mira all'ingresso nella vera libertà. Fratelli e sorelle, è per contemplare insieme questa triplice bellezza: bellezza presente, bellezza originaria e bellezza del cielo che verrà che siamo qui riuniti, a Saint Jean de Strasbourg, in questo giorno del Signore. Che Egli riempia di luce e di gioia le nostre anime e i nostri cuori.
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Ia Domenica di Quaresima anno C. - Omelia di fr. Pierre-Marie Delfieux - Dt 26,4-10; Rm10,8-13;Lc4,1-13
Le tre tentazioni di Cristo Salvatore
Questa lettura, così ricca di senso delle tre tentazioni di Gesù è una di quelle che ci rivelano più profondamente il mistero di Cristo, “figlio dell’uomo e figlio di Dio”. Il mistero di colui che è disceso fino a noi, sulla terra, per farci risalire con Lui fino al cielo (Ef 4 ,7-10). Ed ecco accettando e scegliendo, condotto dallo Spirito (Lc 4,1) di essere nella sua umanità, “tentato in tutto” (Eb 4,15) per folle solidarietà d’amore con noi. E più ancora, trionfando per la potenza della sua Divinità sulle peggiori trappole del tentatore, per renderci “alla fine liberi” (Ef 5,1) alla gioia della salvezza. Questa luce di Pasqua verso la quale ci conduce già il tempo della Quaresima. Ma ritorniamo all’ascolto di ciascuna di queste tre tentazioni. La prima si colloca nel deserto. La seconda su un’alta montagna. E la terza sul pinnacolo del tempio (Lc 4,1-12). Fratelli e sorelle è ciascuno di noi e l’umanità intera che Cristo ha portato nel suo cuore in questo combattimento supremo. Nessuno potrà dire che questo non lo riguarda! La prima tentazione avviene al termine di quaranta giorni di digiuno dove Gesù prova una fame che noi non possiamo comprendere. Nella tradizione biblica, questo evoca i 40 giorni di digiuno di Mosè sul Sinai dove ricevette le tavole della legge (Es 24,18; Dt 9,9), i 40 giorni di cammino di Elia verso la rivelazione di Dio sul monte Oreb (1Re 19,8), i 40 anni passati passati dal popolo nel deserto per l’Esodo (Num 14,34; Gios 5,6;). certi padri vanno anche a vedere nel numero 40 la cifra cosmica del mondo nel suo insieme.(1) ____________________________________________________________________ (1) I 4 punti cardinali che lo delimitano per i dieci comandamenti che lo conducono.
D’un tratto ci è anche ricordato che Cristo Gesù che oggi è tentato nel deserto si rivela come il Salvatore del mondo e del popolo biblico. Il nuovo Mosè ed il nuovo Elia realizza quello che annunciavano la legge ed i profeti (Lc 9,30; 24,27) ll demonio gli disse allora: “Se tu sei il Figlio di Dio, ordina a queste pietre che si trasformino in pane” (Lc 4,3). E’ la tentazione più sottile di tutte, di servirsi della potenza della sua parola per dimostrare in qualche modo che egli è veramente il Figlio di Dio. Or dunque egli è questo Figlio del padre onnipotente e questa parola di Dio. “La parola piena di grazia e di verità che è anche luce e vita” (Gv 1,1.16). Di fatto Gesù non esita a parlare con autorità ed a manifestare la sua divinità tramite la potenza della sua parola. Con una parola libera l’indemoniato: “Taci, esci da quest’uomo!” Guarisce i malati: “Lo voglio, sii purificato.” Perdona i peccati : “Amico mio, i tuoi peccati sono rimessi.” Placa la tempesta del mare: “Silenzio, taci!” Resuscita i morti: “Fanciullo, io ti ordino alzati!” E va infine a proclamare: “Se qualcuno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte” (Gv 8,51). Tutto questo non è chiaramente più forte e più convincente che domandare a una pietra di diventare pane? Si, ma Gesù non fa mai una cosa che sia in risposta ad una rivendicazione, riconoscendo a Dio, senza l’ombra di un atteggiamento di fede, di speranza e di amore, “un segno che viene dal cielo” (Mt 8,10). “Se tu sei il figlio di Dio” . Soldati ed avversari di Cristo getteranno questo stesso sarcasmo al calvario. Ma Gesù non scenderà dalla croce, perché è precisamente attraverso questa che vuole dimostrare al mondo non la sua potenza, ma il suo amore (Gv. 15,12). Allo stesso modo, egli non soddisfaceva in niente la rivendicazione trappola del demonio. Ma egli risponde attraverso una citazione della scrittura: “l’uomo non vive di solo pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.” Questo pane, dunque , che Gesù all’inizio, portando nel deserto la nostra fame con Lui, non è dunque per lui stesso che lo donerà. Ma è per tutti questi che l’hanno seguito e, più precisamente ancora, per mettersi all’ascolto della sua parola, che egli lo moltiplicherà (Lc 9,10-17). E con “gli occhi levati al cielo” (Mt 14,19) e “dopo aver reso grazie” (Gv 6,11) che egli chiederà al padre di donarlo a loro e, ai suoi discepoli, “di distribuirlo”. Meglio ancora, all’ultima cena e davanti ai suoi discepoli, sempre desiderosi di vivere all’ascolto della sua parola, si donerà lui stesso “in vero nutrimento” (Gv 6,56). “Come il chicco di grano gettato in terra” ( Gv 12,24), egli si è fatto “pane vivo per la vita del mondo” (Gv 6,51). E questo “pane di vita” resta offerto di una maniera inesauribile. Chiunque vuole “ascoltare la sua parola e credere in lui” ( Gv.5,24; 6,34) è allora già condotto a gustare la “vita eterna” aspettando di essere “resuscitato da lui nell’ultimo giorno.” (Gv 6,54) E più saremo portati ed illuminati dalla parola di Dio, più noi sapremo trovare i modi giusti per rispondere alle grida della fame nel mondo. La seconda tentazione del diavolo, molto esplicita in San Luca, si situa su una grande altitudine dominante l’universo. “Ti donerò tutta questa potenza e la gloria di questi regni perché essa mi è stata data ed io la dono a chi voglio. Tu, se ti prostrerai davanti a me, avrai tutto questo” (Lc 4,5-7). Questo ci può apparire oltraggiosamente pretenzioso e blasfemo da parte del tentatore. E lo è effettivamente. Ma resta vero, Gesù stesso lo dice che il diavolo è “principe di questo mondo”. San Giovanni arriva fino a scrivere che “il mondo intero geme sotto il potere del male” (1Gv 5,19)! È sufficiente percorrere la storia vedendo quale straordinaria potenze può prendere il male quando si scatena, per convincersene. Ma la missione di Cristo buon pastore è anche di radunare intorno a lui, in un solo ovile, tutti i popoli della terra (Gv 10,16; 11,52). Egli possiede anche per questo in condivisione l’onnipotenza di Dio. “Ogni potere mi è stato dato nei cieli e sulla terra” (Mt 28,18). C’è dunque da scegliere tra due messianismi. Tra due “bandiere”, come dice Sant’Ignazio di Loyola. Il modo in cui Gesù resiste alla tentazione ci mostra la via da seguire. Certo il potere del maligno è forte. Ma il Signore è più forte ancora. “Il principe di questo mondo viene, ma contro di me non può niente” (Gv 14,50). Non è dominando il mondo che Gesù vuole salvarlo. Ma è servendolo e dall’ altezza del monte Calvario lo riscatterà! Ecco l’ora che il diavolo voleva evitare a tutti i costi di veder venire! “È adesso il giudizio di questo mondo. Adesso il principe di questo mondo viene gettato giù ed io, elevato da terra, attirerò a me tutti gli uomini” (Gv 12,31). Sta a noi dunque vegliare su “la gloria che viene dagli uomini”. Perché essa è sia sgargiante che fragile, sia attraente che illusoria. “Il mio regno non è di questo mondo. Se il mio regno era di questo mondo, la mia gente avrebbe combattuto. Ma il mio regno non è di quaggiù”. (Gv 18,36). Più precisamente ancora, ci dice, “la venuta del regno di Dio non si lascia notare”. Ma egli è venuto. Egli è “anche vicino” (Mc 1,15). Ha germinato nel cuore dei credenti la mattina della resurrezione ed ha abbracciato il cuore della sua chiesa il giorno di pentecoste. Ora, “sappiatelo, il regno di Dio è dentro di voi” (Lc 17,4). Là dove sono “i veri adoratori tali come li vuole il Padre” (Gv 4,23). Ecco perché c’è ancora scritto : “tu ti prostrerai davanti al Signore tuo Dio ed è solo a Lui che tu renderai culto” (Lc 4,8). La terza tentazione si situa a “Gerusalemme, sulla sommità del tempio”. Il tempio dove Zaccaria ha ricevuto l’annuncio della nascita di Giovanni. Il tempio dove Gesù è stato presentato e dove Simeone ha riconosciuto in Lui “la luce delle nazioni”. Il tempio dove, a dodici anni, Gesù abbagliò i dottori “per la saggezza e la scienza delle sue risposte”. Il tempio verso il quale tutta la sua vita pubblica diventa una salita. Il tempio, al cuore di Gerusalemme , dove egli offrirà la sua vita per “resuscitare il terzo giorno”. Eccoci dunque alla sommità del tempio dove Gesù poteva in effetti sentirsi dire che un bel miracolo, ben in vista, potrebbe attirare l’adesione di tutto un popolo e dispensarlo dai tormenti della passione. “Se tu sei il figlio di Dio, gettati giù; perché è scritto: egli darà l’ordine per te ai suoi angeli di proteggerti. Ed ancora: essi ti porteranno nelle loro mani evitando che il tuo piede urti una pietra” (Lc 4,9-11). Citando la scrittura a sua volta allora Gesù replica: “Tu non tenterai il Signore tuo Dio!” (Dt. 6,16; Lc 4,12). Ci si trova in una sorta di disputa teologica tra il diavolo e Gesù. Il demonio parla in effetti ”come un teologo sapiente”, ciò che fa dire a Vladimir Soloviev che l’interpretazione fallace della Bibbia, può diventare uno strumento dell’avversario. Papa Benedetto XVI non esita a dichiarare da parte sua: “i peggiori libri che distruggono la figura di Gesù, che demoliscono la fede, sono stati scritti con dei sedicenti risultati dell’esegesi”.(2) Non lo si contraddirà! Aldilà della sua replica perentoria nel deserto, Gesù dunque risponderà,”l’ora venuta” (Mt 17), per la testimonianza, finalmente trionfale, del dono della sua vita sulla croce sorgente della salvezza degli uomini. No, egli non si getta dal pinnacolo, nell’abisso del vuoto. Ma si pianterà nell’abisso della nostra morte e nel vuoto del sentimento di abbandono, assunto in nostro nome. Questo per raggiungere il più basso, il più perduto, il più disperato dei suoi fratelli. È così che egli è caduto, o piuttosto risalito tra le braccia del Padre (Ef 4,10). Cosa ci resta da fare fratelli e sorelle? Forse semplicemente di ridire a qualcuno, con l’apostolo Paolo, in riconoscenza per questo Cristo Signore, venuto sulla terra ad affrontare le nostre tentazioni per vincerle in nome nostro:
(2) Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, p.55. “Se le mie labbra confessano che Gesù è il Salvatore e se il mio cuore crede che Dio l’ha resuscitato dai morti, io sarò salvato! Perché la fede del cuore ottiene la giustizia e la confessione delle labbra, la salvezza.” (Rm 10,9-10). Padre Nostro che sei nei cieli, perdona i nostri peccati, e non ci abbandonare alla tentazione, ma liberaci dal male. Amen!
©FMG omelia manoscritta del 21 febbraio 2010
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Omelia fr. Pierre-Marie Delfieux del 3 marzo 1992 - VIII Dom T. O. C - Sir 27,5-8 (NV); Sal 91;- 1Cor 15,54-58; - Lc 6, 39-45
Tre brevi parabole
Tre piccole parabole. Tre corte storie. Tre immagini concrete degli insegnamenti del Maestro. I “due ciechi” (Lc 6, 39). “La pagliuzza e la trave” ( 6, 41). “L'albero buono” e “l'albero cattivo” (6, 43). Ogni volta,come possiamo ben vedere, un bilanciamento fra i due termini ci indica l'alternativa. In questo risiede l'opzione fra il bene e il male dove noi possiamo collocarci in completa libertà. A noi dunque di scegliere fra : la luce e le tenebre; la verità o l'errore; la vita feconda o l'esistenza sterile. Cosi noi siamo “tutti istruiti da Dio” (Gv 6,45) e questo a diversi livelli dove il Cristo , passo dopo passo, ci invita: innanzitutto ad un livello piu' umano, in seguito ad un livello cristiano, e, per concludere, ad un livello interiore e mistico. A livello umano. Gesu' facendo leva sul buon senso, parla in qualità di uomo di esperienza e saggezza. Con dei riferimenti semplici, concreti, immaginati e attinti dall'osservazione delle leggi della natura, delle attitudini del cuore e dei comportamenti della vita, istruisce prima di tutto l'uomo nel suo insieme. Ascoltiamo bene questo primo insegnamento. Un cieco non puo' guidare un altro cieco. E, per meglio interpellarci, Gesu' ci interroga: “Non cadrebbero, tutti e due, in un buco?” (Lc 6,39). La lezione è già molto grande a livello umano. Dobbiamo restare umili, accettare i nostri limiti. Accettarci complementari. Nessuno di noi ha tutti i carismi ; e nessun gruppo, contando solo su se stesso, puo' sapere tutto e insegnare tutto. Siamo chiamati ad essere realisti: la vita presenta delle insidie e se non siamo sempre all'erta , protetti e ben guidati, prima o poi si vacilla. Il male sommato al male non produce il bene, ma aumenta il male. Per contro l'umile accettazione delle complementarietà puo' allargare tutto e salvare tutto. Bisogna sempre cercare la luce là dove risiede, senza subito designarsi guida o proclamarci consigliere. Ma attraverso il reciproco aiuto e l'umile carità tutto puo' essere illuminato e incanalato verso la vita. "Perchè guardi la pagliuzza che è nell'occhio di tuo fratello?" Siamo fatti tutti cosi, noi vediamo piu facilmente i difetti degli altri che i nostri propri torti. Perché mai allora giudicare, accusare, condannare? Ognuno di noi potrebbe essere peggiore del proprio vicino. Prima di propendere a commiserare gli altri, è bene iniziare purificando il nostro cuore. Non si puo' aiutare nessuno a guarire e a progredire se non quando siamo noi stessi un po' convertiti. Solo l'ascesi intrapresa, innanzitutto verso noi stessi, dà credibilità e peso al nostro essere esigenti nei confronti degli altri. La carità si fa strada attraverso l'umiltà. "Togli prima di tutto la trave dal tuo occhio, " e allora tu potrai vedere chiaramente per togliere la pagliuzza che è nell'occhio di tuo fratello" (Lc 6,42).
"Non c'è un albero buono che dà frutti cattivi né, al contrario, un albero cattivo che dia frutti buoni” (6,43). Non si giudica l'uomo per ciò che appare, ma per ciò che è; e vale di piu' per cio' che fa che per ciò che dice. Il Saggio Ben Sirac notava già che "è il frutto che caratterizza la qualità dell'albero" (27,6). Andiamo sempre oltre le apparenze; e giudichiamo il valore delle nostre vite in base alle opere che ne scaturiscono; al peso della verità delle parole che professano (27,7). Al di là delle nostre promesse, delle nostre velleità, dei nostri progetti, le nostre esistenze devono effettivamente "produrre dei buoni frutti". Ed è piu ' importante la linfa nascosta che la corteccia esteriore. “Rendete buono un albero, dice ancora Gesu', e il suo frutto sarà buono; " rendetelo cattivo, e il suo frutto sarà cattivo" (Mt 12,33). Il valore profondo dell'uomo risiede all'interno e si situa prima di tutto nel "tesoro del suo cuore" profondo (Lc 6, 45). A questo primo livello di lettura, colpisce come il vangelo di Cristo raggiunge tutta una parte della saggezza umana e di esperienza di vita.
Bisogna andare oltre. Anche attraverso le parabole, il Vangelo è piu' di una morale umana, o una saggezza sociale impregnata di spiritualità. L'insegnamento di Gesu' si situa piu' propriamente a un livello cristiano. Se noi rileggiamo con attenzione queste tre piccole parabole, noi vedremo apparire in ognuna di loro, tre diciture particolari che le configurano con una luce nuova: "il discepolo", il "fratello" e il "cuore". O, per meglio dire, il discepolo "del Maestro", il fratello che è “come un altro sé stesso”e il cuore che è “profondo”.
Se "il cieco che guida i ciechi" (Mt 15,149 puo' essere il fariseo ipocrita, lo scriba presuntuoso o il consigliere cavilloso (Mt 23, 13-30; Lc 11, 39-52), non deve essere così per il "vero discepolo" (Mt 10,24), E' liberato dalla "legge che rinforza il peccato" (1 Co 15,56) per procedere nella chiarezza liberatrice dell'unica legge d'amore ( Ga 5,14). "Colui che ama suo fratello dimora nella luce " dice san Giovanni; "e non c'è in lui nessuna occasione di inciampo. Ma colui che odia suo fratello è nelle tenebre cammina nelle tenebre, non sa dove va perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi” ( 1 Gv 2,10-11).
Il vero discepolo non procede d'ora in poi seguendo il filo delle proprie idee o dei suoi sentimenti, ma camminando nel solco del Maestro. Del Maestro che è là e del Cristo che ribadisce: " Camminate finché siete nella luce per evitare che le tenebre vi raggiungano" "Colui che procede nelle tenebre non sa dove va”. "Fintanto che siete nella luce, credete alla luce, e voi diventerete figli della luce" (Gv 12, 35-36).
In altre parole, solo la fede e l'umiltà possono salvarci. E colui che imita Cristo riferendosi a lui "come al suo Maestro", diventa il suo riflesso. E la presenza del Signore che rifulge in lui, diventa luce condivisa per tutti coloro che camminano al suo fianco.
E cosi' succede , quando l'uomo guarda "l'altro" non come altro da se, ma come fratello. "Poiché voi siete tutti fratelli (Mt 23,8), ci dice Cristo. Ecco lo sguardo reciproco che caratterizza il cristiano. Non giudica, non sospetta, non cerca di mettere a fuoco le lacune o gli errori come tante "pagliuzze" nell'occhio altrui; ma a perdonare, ad essere misericordioso, a chiudere gli occhi. Si rammenta come gli apostoli Pietro e Paolo, che non è che un peccatore (Lc 5,5,8) e anche "il primo dei peccatori" (1, Tm 1,15).
Allora piuttosto che volgere la propria attenzione agli altri, accetta umilmente di far parte con loro. "Il ricordo dei miei errori mi umilia ", confessa Teresa di Lisieux, "mi porta a non fare affidamento sulla mia forza, che non è altro che debolezza; "ma ancora di più, questo ricordo mi parla di misericordia e d'amore". Questa umile solidarietà fraterna libera a sua volta lo sguardo e rende leggera la mano. " “E allora" confida Cristo "vedrai con chiarezza per potere togliere la pagliuzza che è nell'occhio di tuo fratello" (Lc 6,42). Poiché, al di sopra dell’invito ad abbandonare tutto, c'è l'esigenza di elevarsi alla santità. Il cristiano autentico è chiamato a trasformarsi in un buon albero, per poter produrre buoni frutti nel corso della vita. Ma sa altresì che al di là delle azioni e delle opere, c'è in lui la realtà di un cuore profondo. E' a questo livello piu' profondo che affonda le radici cio' che si manifesta attraverso le azioni della vita intera. Perché Dio ha messo in ciascuno di noi il tesoro inesauribile della sua presenza divina.
E' una grazia zampillante e santificante e che produce dei frutti di vita eterna (Gv 4,14). Non c'è timore che questa sorgente si possa prosciugare. La linfa che scorre in noi è qualcosa che viene dal di fuori di noi e se noi semplicemente la lasciamo correre, sarà tutta la nostra persona ad essere divinizzata. “L'uomo buono, dal buon tesoro del suo cuore, attinge ciò che è buono, e colui che è cattivo, dalla sua cattiva fonte, attinge ciò che è cattivo" (Lc 6,45). Liberiamo dunque il cuore da tutto ciò che lo opprime e lasciamo sgorgare dalle viscere la vita divina (1Co 2,10). Poiché è piu' intima in noi di noi medesimi. "Ogni pianta che non sarà piantata da mio Padre celeste" ci avverte Gesu' "sarà sradicata" (Mt. 15,13). Lasciamoci dunque piantare "secondo la volontà del Padre", potare secondo il suo sapere (Gv 15, 2-3) e vivificare attraverso la linfa della sua stessa vita (Gv 3,35-36; 17 2-3). E glorificheremo il Padre portando molti frutti (Gv 15,8). Una lettura cristiana di queste tre parabole ci illumina fino a qui e ci chiede di sforzarci di viverle. Ed ora non ci resta che comprenderle nella loro dimensione piu' cristiana, più mistica. Contemplando , attraverso le parabole, il volto stesso del suo autore e del loro modello: Gesu' Cristo. Questa volta il nostro sguardo si sposta dall'uomo in generale, o il cristiano in particolare, al Figlio di Dio in persona. Lui solo è "la guida" capace di guidarci senza tentennamenti; è “il Maestro" che ci istruisce per non commettere errori. E' il solo capace di riportarci alla "Casa del Padre" perché è il suo inviato e "ne conosce il cammino" (Gv 14, 1-6). A confronto con l'uomo cieco, che procede “a tentoni” nella vita (Ac 17,27), alla ricerca di via e verità, ha fatto sgorgare "la Luce" (Gv 8,12) "sul mondo" (12,46). Siamo stati abbastanza folli per chiudergli gli occhi. Questi occhi limpidi di innocenza e scintillanti di santità che "avevano il bagliore di una fiamma ardente" (Ap 1,14). Ma li ha riaperti per noi dopo le tenebre del sepolcro dove la nostra cecità l'aveva relegato (Gv 9 39-41). Diventando così per puro amore "il primogenito fra i morti" (Col 1,8), ci ha tratti dalle tenebre e dal pantano, innalzando i nostri piedi sulla roccia e ha reso stabili i nostri passi (Salmo 40,3). Da quel momento il nostro cammino non è più fatale e ci "conduce su una via eterna". Lo crediamo perchè cio' che in noi è perituro diverrà imperituro e cio' che è mortale diverrà immortale. (1 Co 15,54). Di fronte ad ogni nostro giudizio e a ogni nostra infermità, puo' davvero farci il dono di “vedere”. Nessuna pagliuzza offusca il suo sguardo. Lui che “conosce tutto cio' che c'è in ogni essere umano” (Gio 2,25), non è “venuto per condannare, ma per salvare”. Nella sua misericordia infinita puo' salvarci tutti. Attraverso la sua presenza sia divina che fraterna, puo' illuminare gli occhi del nostro cuore e farci intravedere a quale speranza ci apre il suo richiamo, e quali tesori di gloria racchiude la sua eredità tra i santi (Ef 1,18). E' “il pane vivo” maturato in cima alla spiga di grano e “il frutto della vita” sospeso alla trave della croce. Ha raddrizzato tutto cio' che noi avevamo rovesciato. Come, allora, non riconoscere in lui la sorgente di tutta la vita. Lui “la vera vigna” (Gv 15,11), noi l'abbiamo appeso come un “tralcio secco” sul “cattivo albero” del Golgota. Ma Lui ha fatto rinverdire “il legno secco” della croce. “Dal tesoro del suo cuore” (Lc 6,45), questo “uomo buono”, che è “Dio amico degli uomini”, ha “ effuso per noi” dei torrenti di grazia e d'amore. Riaprendoci il cammino del “paradiso” (23,43), ci promette di “poter disporre” a un certo momento e per sempre “dell'albero della Vita”. Cosi, “fratelli miei amatissimi”, puo' concludere l'apostolo, questo cieco che Cristo ha guarito per farne un discepolo e in cui la grazia non è stata vana “ siate stabili, siate radicati, prendete parte sempre piu' attiva all'opera del Signore, poiché voi sapete che nel Signore, la pena che voi vi date non sarà sterile” (1 Co 15,58) Si, fratelli e sorelle, Il Cristo-Luce vuole sempre vedere brillare e fruttificare le nostre vite. Amen
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Omelia fr. Pierre-Marie Delfieux VII Dom. T. O. C 1Sam 26,2.7-9.12-13.22-23; Sal 102; 1 Cor 15,45-49; Lc 6,27-38
Siate misericordiosi come misericordioso è il Padre vostro
e dunque dei veri figli di Dio.
Il vero nome di Dio non è stato dato in Esodo 3 quando Dio risponde a Mosè: “Io sono Colui che è”. Questo nome, d'altronde, rimane impronunciabile!
Il vero nome di Dio è stato dato in Esodo 4 quando si è lui stesso definito: “Dio di tenerezza e di pietà, lento all'ira e sempre pronto al perdono”.
La cosa più bella, più grande e più vera del nostro Dio non è dunque nella sua Potenza, nel suo Splendore o nella sua Maestà. E' nella sua Misericordia. “Dio è Amore!” Egli è Dio perché egli è Amore; ed egli è Amore perché egli è Dio!
Ecco perché una delle frasi centrali di tutto il Vangelo è in queste parole di Gesù: “Voi, dunque, siate misericordiosi come il vostro Padre del cielo è Misericordioso.”
Ciò detto, le parole di Gesù che abbiamo appena inteso e quelle di Paolo che vi fanno eco nella lettera ai Colossesi (3,14) ci danno un po' di vertigine se vogliamo ammettere che è proprio a noi, oggi, che esse sono indirizzate. “Lo dico a voi che mi ascoltate, amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi maledicono, pregate per quelli che vi calunniano”....... (Lc 6,27-28)
Si tratta qui molto più che di non-violenza: si tratta di “rispondere al male con il bene.” Non solo di farlo, ma di ricambiare, attivamente, contro il male, atti, pensieri e parole di bene. E il Cristo continua. “A colui che ti colpisce sulla guancia porgi l'altra. A colui che ti prende il tuo mantello, lascia prendere anche la tua tunica. Dai a chiunque ti chiede e non reclamare a colui che ti ruba” (Lc 6,29-30) Abbiamo come paura di capire. Adesso, non si tratta più solamente di rimanere aperti e benevoli, ma di donarsi interamente. E' il richiamo a lasciarsi come “mangiare”: “Andate! Ecco che io vi invio come agnelli in mezzo ai lupi” (Lc 10,3) * Fratelli e sorelle, non possiamo realmente lanciarci su questa via di amore folle, se prima non siamo forgiati dalla contemplazione di colui che ha potuto lanciare al mondo tali propositi perché era lui stesso in verità quell'Amore incarnato. Quell'agnello immolato.
Coloro che volevano essere guariti, li ha anche perdonati; coloro che lo avevano in sospetto, li ha nutriti; a coloro che gli percuotevano la guancia, ha semplicemente risposto: “perchè mi colpisci” (Gv 18,23)? Di quelli che lo crocifiggevano, ha avuto misericordia: “Padre perdona loro..”.(Lc 23,34) Gli sono stati strappati la tunica e lembi di pelle e lui ci riveste della sua Luce! Gli è stata tolta la vita, ma egli l'ha donata ancor di più (Gv 10,18). Egli si è offerto fino ad essere letteralmente “mangiato”. “Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo offerto per voi” (Lc 22,19). “Prendete e bevete, questo è il mio Sangue versato per voi” (Lc 22,20). Questa volta, non abbiamo più paura di capire!
Così è Dio. Il nostro Dio. Buono e generoso “senza misura” (Lc 6,35). Compassionevole e giusto, tenero, misericordioso, come una madre, come un padre, come un amico, come uno sposo, come un fratello. Siamo totalmente disarmati davanti la bontà di Dio quando sappiamo fermarci per contemplarlo! Finché saremo stati scioccati in un modo o nell'altro nel fondo del nostro cuore, di fronte a questo “amore pazzo” di cui Dio ci circonda, finchè non avremo pianto sulla miseria della nostra indifferenza e sulla piccolezza dei nostri rifiuti, in presenza della sua tenerezza, noi non sapremo essere misericordiosi “come il Padre è misericordioso” (Lc 6,36).
Là è pertanto il test, l'unico test, della nostra verità cristiana: di qua si è pagani: si reclama la giustizia! Di là si è cristiani: si fa misericordia. * Amare coloro che ci amano, fare del bene a coloro che lo fanno a noi, prestare quando si è sicuri di essere rimborsati chi non lo fa? “I pagani non fanno altrettanto?” (Lc 6,33)
No! Saremo in verità “figli di Dio”, se, come Dio, sappiamo a nostra volta amarci gli uni e gli altri di un amore senza calcolo, senza limite, disinteressato, e dunque per questo, un poco folle (1Co 21-27).
“Fratelli poiché siete stati scelti da Dio, e siete suoi fedeli e beneamati, rivestite il vostro cuore di tenerezza e di bontà, di umiltà, di pazienza, di dolcezza......... agite come il Signore: egli ha perdonato, fate lo stesso, al di sopra di tutto che ci sia l'amore: è lui che fa l'unità nella sua perfezione” (Col 3,12-14).
Sì, viviamo questo e sapremo “cosa è la pace di Cristo che regna nei nostri cuori” (Col 3,15). E, così chiamati a formare in lui un solo Corpo, vivremo tutti insieme e nel cuore di questa città di Firenze in un' umile, gioiosa e profonda azione di grazia. “E la pace di Dio che supera ogni intelligenza, prenderà sotto la sua custodia i vostri cuori e i vostri pensieri, nel Cristo Gesù” (Fil 4,7).
Amen!
Fr. Pierre-Marie Delfieux ©FMG |
Omelia di fr. Pierre- Marie Delfieux VI Dom. T. O. C Ger 17, 5-8; Sal 1; 1 Cor 15,12.16-20; Lc 6,17.20-26
Solamente un Dio che “viene dal cielo” (Gv 3,11) e che ha “parole di vita eterna” (6, 68) può dirci quello che abbiamo appena ascoltato nel Vangelo. Una delle domande che ci interessa maggiormente è di sapere come raggiungere la felicità alla quale aspiriamo con tutto il nostro essere. Dove possiamo trovarla? Come conquistarla? Custodirla? La felicità… Perché l’uomo, da solo, non riesce a crearla, preservarla, condividerla con tutti gli uomini? Oppure, ancor più drammaticamente, l’apparente felicità degli uni si fa a scapito degli altri? In rapporto a tutto questa realtà di ricerche e interrogativi, la Sacra Scrittura non ci lascia senza luce.
Innanzitutto ci illumina sulla natura stessa di questa felicità che desideriamo tanto ardentemente. In cosa consiste infatti essere felici secondo la Legge, i profeti e i salmi e secondo come Gesù lo promette ((Lc 6,20-21) ? Nella prospettiva biblica non significa certo andare tranquilli per la propria strada sempre di buon umore. Abbiamo sete di molto di più! Non consiste nemmeno nel godere al massimo dell’esistenza gustando il massimo di considerazione, gioie e appagamenti. Vediamo subito come queste cose siano insoddisfacenti e passeggere. Essere felici significa possedere in sé una realtà solida, durevole, viva, capace di realizzarci sempre, dappertutto e interamente. Senza che attorno nessuno ne resti frustrato. In definitiva, una realtà, piena, universale, eterna. In una parola: una realtà divina, cioè senza limiti e senza fine. La felicità, come ce la insegna la rivelazione biblica, consiste nel gustare qualcosa che appartiene a Dio e che può venire solamente da lui e condurci a lui. Ma allora come fare ad accoglierla e ad aspettarla? La risposta della Scrittura è tanto semplice quanto categorica: con la scelta della nostra libertà che si attua sempre in termini di alternative. Non è possibile restare neutrali! O saliamo verso il Tutto, oppure ci inabissiamo nel nulla (Ga 6,8). O la Vita ci chiama, oppure la morte ci aspetta (Si 15,17). O amiamo Dio oppure serviamo Mammona (Mt 6,24). Nella prospettiva di una scelta così radicale, chiaramente insorgiamo, resistiamo, tergiversiamo! Vorremmo che le cose fossero più condivise, più relative, più sfumate...E noi ci impegneremmo volentieri! Ma quando si tratta di assoluto, di eternità, di Vita, in una parola di felicità, la risposta può venire solamente da questa alternativa: o esiste o non esiste. O permane una vera promessa o non è altro che una vana illusione. “Vedi, ti propongo oggi la vita e la felicità o la morte il male, dice il Signore. Scegli dunque la vita! (Dt 30,15s) “Beati voi” se fate e siete questo....”Guai a voi” se fate e siete quest’altro (Lc 6, 20-23). Così tutti i testi della celebrazione di questo giorno reclamano da noi una decisione libera e definitiva: bastiamo a noi stessi o dobbiamo appoggiarci a Dio? Abbiamo in noi la nostra origine e la nostra salvezza o le abbiamo dal nostro Creatore-Redentore? Il grande teologo Hans Urs Von Balthasar non esita a scrivere: “Una via intermedia non esiste! Ma non consiste forse in questo la grandezza della nostra libertà?
Ritorniamo allora alla Scrittura. Cosa ci dice il Signore attraverso il profeta Geremia? Che possiamo scegliere solo tra due vie: la benedizione che ci viene offerta o la maledizione che possiamo infliggerci. “Guai all’uomo che ripone la sua fiducia nell’uomo e allontana il suo cuore dal Signore (Ger 17,5). Questo vuol dire che colui che vuole separarsi da Dio si ritrova solo con sé stesso e con l’uomo nato dalla terra. Ora l’uomo è fragile, la terra transitoria e la nostra esistenza mortale. Bastano a ricordarcelo le insoddisfazioni, le fatiche, i dolori, la vecchiaia, la morte. Tutto questo ci rammenta il lato angusto e effimero di ciò che pretende avere la sua sorgente e il suo sostegno in ciò che è solamente terrestre e umano. E’ forse così lontano da noi oggi il grido del profeta?...Non liquidiamolo troppo presto considerandolo d’altri tempi! Al contrario, ci dice, chi si appoggia su Dio costruisce la sua vita sul vivente e sull’indefettibile, “Benedetto sia l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua speranza” e il profeta continua:”E’ come l’albero piantato lungo il corso delle acque” (Ger 17,7). “Ha costruito la sua casa sulla roccia” (Mt 7,24). Quest’uomo di fede e di desiderio resta legato a Dio. Le prove, le contrarietà, i fallimenti, l’affaticamento possono coglierlo, e lo coglieranno (Mt 7,25). Ma la parola di Dio è luce, la sua grazia è onnipresente e la sua Vita eterna. Sta a noi fare la scelta giusta! Da una parte vivere per Dio: allora come non ci aiuterebbe a vivere al meglio dentro di noi e accanto a tutti gli altri, su questa terra? Dall’altra vivere per sé stessi: e come non saremmo ben presto, isolati, fragilizzati, inquieti, delusi? Un albero sul bordo del fiume non teme nè il caldo, né l’aridità. Perchè allora rifiutarci di andare, come dice Isaia, “ad attingere acqua con gioia alle sorgenti della salvezza” (12,)? E’ sempre a disposizione il torrente che deborda ! (Ez 47,1.12) Poi Gesù cosa ci insegna nel Vangelo? Sempre la stessa alternativa che ci spinge a scegliere tra la felicità e l’infelicità (Lc6,20-23). Certo, il paradosso di queste parole, che contrastano con molte idee che abbiamo, non ce le rendono immediatamente evidenti . Accanto alla voce del Signore, mormora la voce dell’Avversario! Spontaneamente potremmo anche pensare che ricchezze, eccessi, risa e stima sono già dei segni di felicità... La realtà della vita ci insegna in fretta quanto sia relativo questo ritornello del mondo, come dice San Giovanni (1Gv2,15-17). Ma in questo c’è un segreto più profondo che Gesù, in questo giorno, vuole insegnare a tutti (Lc 6,17). E’ che lui per primo e per noi, ha voluto sposare la povertà, la fame, l’afflizione, il disprezzo. Allora noi possiamo ascoltare qualcuno che ci parla così! Da quel momento qualcuno che vive la stessa cosa, a causa del Figlio dell’uomo (Lc 6,22) è prediletto da Dio, il Redentore dell’uomo. Il Padre riconosce in lui il volto di Cristo ed è amato dall’amore stesso con cui il Padre ama suo Figlio. Per un tale uomo i beni materiali che ha abbandonato non contano nulla. In cielo lo attende un tesoro incorruttibile (Mt 6,20). La fame che prova dice che un giorno verrà saziato (5,6). “Io sono il pane della vita. Chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete (Gv 6, 3-5). Le lacrime della terra si trasformano in gioia fin da quaggiù, poichè sa che un giorno, lassù il Padre gliele asciugherà (Ap 21,4). L’oblio, il disprezzo, il rifiuto degli uomini, più nulla può separarlo dall’amore di Dio manifestato in Gesù Cristo (Rm 8,39)
L’alternativa ultima ci viene ricordata dall’apostolo Paolo. Visto che anche allora bisognerà scegliere: O tutto crolla nella tomba e finisce con la morte. E allora possiamo dire di essere gli uomini più infelici (1Co 15,1-9). Oppure tutto sale verso la speranza della Vita eterna e tutta la nostra strada sulla terra diventa un tempo di fidanzamento, in attesa delle nozze del cielo. Allora bisogna esitare indefinitivamente?Ma no! Afferma l’Apostolo:”Cristo è risorto!” (1Co 15,20). Sono trascorsi venti secoli di cristianesimo per dire, dalla profondità dei cuori, vivificati dalla grazia che è vero! “Noi risusciteremo con lui!” (Rm 6,4-11). Certamente, in questo si cela per noi il bel rischio della fede. Ma quanto ci fa bene sentir risalire in noi la gioia della beata speranza! Fratelli e sorelle, non stiamo a morir di sete vicino alla fontana della Vita.
Fr. Pierre-Marie Delfieux ©FMG |
Omelia di Fr. Pierre-Marie Delfieux V Dom. T. O. C Is 6,1-2a.3-8; Sal 137; 1 Cor 15,1-11; Lc 5, 1-11
I TRE TEMPI DELLA PESCA IN GALILEA
Viene poi il tempo vero e proprio della pesca, in cui tutto si realizza nell’obbedienza a quella stessa Parola divina. Infine c’è il tempo dopo la pesca, in cui il Signore stesso conferisce una missione.
E’ un incontro in tre tempi, ricco di significato, fra Pietro e Gesù. Un cammino esemplare, che passa dall’ascolto attento, all’azione obbediente, fino alla conversione di vita. E’ una narrazione reale e significativa, in cui ciascuno di noi si può riconoscere e fare luce sulla propria storia personale. Riviviamo, dunque, insieme i tre tempi dell’incontro.
Prima della pesca, Gesù è già presente. “Vide due barche ferme sulla riva del lago” – nota san Luca (5,2). Dio, per primo, c’è sempre: viene avanti, ci guarda, ci invita. “Dall’alto dei cieli il Signore si china verso i figli di Adamo” – canta il salmista. Le barche ferme sono diverse, pronte a partire, ormeggiate sulla riva del lago! Gesù “salì su una delle barche”, -ci viene detto -” che era di Simone” (5,3), che avrebbe potuto stupirsi. Ma che cosa vediamo? Pietro non l’ha fermato! E’ essenziale lasciarsi interpellare, avvicinare, istruire da Cristo. “Poiché noi tutti siamo istruiti da Dio” – dice Isaia (54,13). Qualunque sia lo stato dei nostri lavori, lo stato della nostra barca, qualunque sia il nostro stato d’animo o della nostra vita, Gesù è lì, “alla porta e bussa” (Ap 3, 20). Se sappiamo aprirgli, eccolo subito seduto sulla barca del nostro oggi, sulla riva della nostra esistenza e, con la sua voce, che il nostro cuore è subito contento di amare, ci illumina e ci consola con la sua presenza radiosa e rincuorante.
Tempo primo e vitale, in cui prima di qualunque azione, al mattino di ogni giorno, all’inizio di ogni notte, dobbiamo anche noi, come Pietro, sederci “accanto a lui e lui accanto a noi” (Ap 3, 21), stare ai piedi del Maestro, guardarlo e ascoltarlo, nella pace della barca agli ormeggi, sulla riva del lago, lasciare che ci ammaestri su chi siamo noi, sul mondo, su Dio.
“Il Maestro è là e ti chiama”– dice Marta a Maria (Gv 11, 28). “Parla, Signore, il tuo servo ti ascolta” – risponde il profeta alla voce udita nella notte (1Sam 3,10). Allora, colui “che abbiamo ragione di amare” – come ci dice il Cantico dei Cantici (1,4) , e che “facciamo bene a chiamare maestro e Signore, perché lo è” - (Gv 13,13), si rivolge a noi, come un giorno a Pietro in tutta chiarezza, e ripete: “Prendi il largo e gettate le reti per la pesca! “(Lc 5,4).
Dopo il primo passo di avvicinamento, ecco che Gesù fa anche il primo passo con la parola. Ed è una doppia chiamata che risuona, un doppio imperativo. Ma facciamo attenzione: il primo è al singolare –”prendi il largo” – il secondo è al plurale: “gettate le reti!” Poco prima, Pietro ascoltava, dal posto dove si trovava, la parola di Cristo rivolta a tutti. Ora, parla in particolare a lui, ma attraverso di lui, il suo richiamo si rivolge a tutti gli altri suoi compagni di lavoro. La lezione è evidente: la parola che Dio rivolge a tutti noi riguarda ognuno di noi, ma la parola ricevuta da ciascuno di noi deve essere condivisa con tutti. Cristo ordina a Pietro, perché sia lui a trasmettere ai fedeli la chiamata ricevuta dal Padre: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi” (Gv 17,18).
Ma perché allora “prendere il largo”? Perché si tratta, ci dice Cristo, di decidersi ad abbandonare la riva, la riva di questa vita tranquilla, falsamente sicura, che non sarebbe mai capace di riempire la nostra barca. La chiamata di Dio è sempre per “prendere il largo”, cioè di andare oltre , fino all’oltre di quaggiù. E’ la voce del Cristo che ci invita (Gv 21, 4-6), che vuole farci passare, al di là delle acque profonde della morte, fino a quel luogo in cui ci attendono la pesca e il raccolto delle promesse eterne (Mt 13,47).
La vita cristiana è un cammino, ancor più che una convinzione. Perciò guardate il vero volto di Dio: è sempre in movimento (Lc 9,23). Cristo è una “strada” in salita (Gv 14,6; Lc 19,28); lo Spirito è un “vento” che soffia e spinge in avanti (Gv 3,8); il Padre è una forza che ci “attira” verso di lui (6,65). Non si può, quindi, rimanere sempre ormeggiati a riva, se davvero vogliamo comportarci da figli di Dio, promossi alla gioia dinamica della gloria Trinitaria.
Il secondo tempo del racconto evangelico è il tempo stesso della pesca propriamente detta. C’è infatti un tempo per l’ascolto e un tempo per l’azione. Dio ci vuole obbedienti soltanto per vederci agire liberamente.
Ma non è sempre agevole obbedire alla parola di Dio! Pietro, nel suo parlare schietto, non si preoccupa di farlo notare a Cristo: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte.” E aggiunge questo desolante chiarimento: … “senza prendere nulla! Ma, sul tuo ordine, conclude con un esplicito atto di fede, getterò le reti.”
Simone, pescatore esperto, avrebbe avuto molte ragioni a non tenere conto del consiglio, che gli veniva rivolto da un ex falegname! In realtà, che cosa si può sperare di prendere, nel momento più sfavorevole del giorno, in pieno sole, quando le ore più favorevoli della notte non hanno dato nessun risultato? Non è sempre facile sottomettersi alla volontà del Padre! Ma non è nel nome della logica che Pietro si mette. Risponde ponendosi nella luce della fede , e della fede nella parola e nella persona del Cristo, per l’unica ragione che è “lui”, è lui che la dice.
Che splendida lezione per tutti noi che siamo chiamati, come Pietro, a credere al di là di qualunque sicurezza, nonostante tante difficoltà e tanto buio, nonostante tante ragioni che potremmo avere di aspettare un po’, di essere scoraggiati, forse di lasciar perdere! Ma non è così: la fede è autentica solo se tiene duro nelle difficoltà. La lettera agli Ebrei dice: “La fede è la garanzia dei beni, non di quelli che possediamo, ma che speriamo, e la prova delle realtà, non quelle che abbiamo, ma che non vediamo” (Eb 11,1). E questa fede conciliata con Cristo attira su di noi ancor più grazie dal Padre.
Allora, come Pietro e i suoi compagni, scopriamo con sorpresa la verità delle promesse di Cristo, la sovrabbondanza dei suoi doni. Constatiamo quanto “le sue parole sono certe e vere”, come dice l’Apocalisse (21,5), e che “il centuplo esiste già in questa vita”, proprio come Gesù stesso ha detto (Mc 10,30).
Seguire Cristo diventa allora un’avventura divina, ancor più piena di quanto non avremmo potuto immaginare! Capiamo che a Dio piace chiedere, proprio a noi, qualcosa, perché noi gli facciamo vedere il nostro amore. Ma scopriamo anche che ancor più gli piace di “colmarci di grazie”, per provarci tutto “il suo amore”! Infatti ritroviamo solo ciò che chiediamo. Solo le mani aperte possono essere riempite. E Dio si compiace, in altri mille modi, di farci sentire, giorno per giorno, quanto lui rimane, per sempre, capace di riempire tutte le nostre reti!
L’ultimo tempo che finalmente arriva, è quello del dopo la pesca. Qui il merito di Pietro è di non fermarsi allo stupore davanti alla pesca miracolosa, miracolo compiuto per mezzo delle sue mani. Gettandosi ai piedi di Gesù, grida: “Allontanati da me, Signore,perché sono un peccatore!”(Lc 5,8). Davanti alla santità di Gesù, Pietro offre la testimonianza liberatoria della sua umiltà e viene contemporaneamente e totalmente purificato dal suo peccato.
L’obbedienza nella fede gli aveva procurato la gioia di una pesca miracolosa; il nascondersi nell’umiltà lo mette sulla via della vera santità. E’ solo nell’umile ammissione della nostra debolezza che la forza di Dio può trionfare in noi (2Cor 12, 5; 9,10). “Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana” (1Cor 15,10). Gli disse allora Gesù: “Non temere: d’ora in poi sarai pescatori di uomini.” “Allora” – conclude san Luca -, “tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono” (Lc 5, 10-11).
Il centuplo, già assaporato, si apre sull’infinito allora promesso. Riempire la barca poteva essere bello. Costruire la Chiesa diventa ancora più bello! Quello che Cristo vuole, d’ora in poi, non sono più occhi per vederlo, orecchie per ascoltarlo, mani per servirlo, né cuori per amarlo: vuole uomini per intero, capaci di lasciare tutto per seguirlo. Uomini che così diventino luce del suo Fuoco e sale della sua Sapienza (Mt 5,14). Uomini capaci di chiamarne altri, a loro volta, a seguirlo e a servirlo, per formare così, passo dopo passo, quella vera pesca miracolosa, che raccolga non più pesci, ma uomini, per formare un “solo corpo” e fare la sua Chiesa (1Cor12).
Pietro e i suoi compagni, lasciato tutto, tutto hanno trovato , abbandonando tutto, tutto hanno trovato. “Hanno trovato l’amore,” ci dice santa Caterina da Siena. “E’ per amore, un amore infuocato, solamente per amore che Tu ci hai riscattati. Tu mi hai vista. Tu mi hai riconosciuto in Te. Tu mi hai guardato nella tua luce, amore incomprensibile!”.
Quel giorno, la barca di Simone è rimasta vuota sulla riva del lago. Alcuni, scesa la sera, forse hanno iniziato a rammaricarsene. Però migliaia e migliaia di navate, come questa di Saint-Gervais, si sono riempite oggi, dappertutto, sulla faccia della terra! E questo gesto, esagerato, di alcuni pescatori di Galilea, a rischio della loro vita, su una sola parola del loro Maestro, permette a noi di riascoltare, questa domenica, le parole di Verità e di Vita.
Fratelli e Sorelle, anche se abbiamo passato tante notti senza prendere nulla, siamo pronti, sulla parola del Signore, a gettare le nostre reti?
Signore, insegnaci ad ascoltarti, tu sei la nostra Luce.
Insegnaci ad obbedire, tu sei il nostro Maestro.
Insegnaci a seguirti, tu sei il nostro Dio.
Fr. Pierre-Marie Delfieux ©FMG |
Omelia fr. Pierre-Marie Delfieux IV Dom T. O. C Ger 1,4-5.17-19; Sal 70; 1 Cor 12,31-13,13; Lc 4, 21-30
Presentazione a Nazaret
Quando gli abitanti di Nazaret. dove erano cresciuti insieme, udirono il figlio di Giuseppe e Maria, preceduto dalla fama dei suoi primi miracoli a Cafarnao, dire loro che l’amore del Dio d’Israele era già condiviso, come ai tempi di Elia e di Eliseo, oltre le frontiere ( Lc 4, 25-27) e deve estendersi ancor di più in “quest’oggi di grazia” (4,21) fino al vicino Libano e alla Siria pagana, allora, ci dice san Luca, tutti divennero furiosi e lo spinsero fuori dalla città (4, 28). Come avrebbero potuto contenere nella piccolezza delle loro sinagoghe il fuoco debordante dell’amore di Dio, venuto per accendere tutta la Terra (Lc 12, 49)? Così, anche noi restiamo stupiti, come increduli e talvolta ostili, pur essendo familiari della presenza divina e delle chiese dove abitualmente ci riuniamo, quando Dio ci ridice che il suo amore per noi è veramente infinito e che il suo grande desiderio è che non sappiamo accoglierlo e rispondervi, condividendolo con tutti.
Così il Vangelo di oggi ci riconduce al centro del cristianesimo: Dio è amore e anche per noi, l’amore vale Tutto, perché è Tutto.
Un giorno nel suo Carmelo di Lisieux la giovane Teresa sognava una santità insaziabile, come tutte le vere mistiche lei voleva essere “Tutto” nello stesso tempo: “Mi sento la vocazione di guerriero, di prete, di apostolo, di dottore, di martire” Ma come essere tutto questo quando si è solamente una monaca di clausura? “Durante l’orazione i miei desideri mi facevano soffrire un vero martirio. Ho aperto le lettere di San Paolo, per cercare qualche risposta” e si fermò sul famoso capitolo tredicesimo della prima Lettera ai Corinzi divenuto l’inno alla carità per tutta la cristianità: “finalmente avevo trovato la risposta.. capii che l’amore racchiudeva tutte le vocazioni, che l’amore era tutto. Che abbracciava tutte le epoche e tutti i luoghi, in una parola, che è eterno. Allora nell’eccesso della mia gioia delirante, ho gridato: “O Gesù, amore mio. La mia vocazione, alla fine l’ho trovata. La mia vocazione è l’amore!” Avendo compreso questo, Teresa in verità, aveva capito tutto.
Perché l’amore è tutto? Perché, innanzitutto, è la sola realtà capace di realizzarci. Tutti siamo fatti per essere amati e per amare, senza eccezioni, anche quando non oseremmo confessarcelo. Perché in seguito, l’amore riassume in sé tutta la Legge, ed é l’unico cammino verso l’autentica santità (Ga 5, 14). Perché alla fine l’amore è il nome stesso di Dio, é l’espressione più profonda del suo essere che, Totalmente, è Amore.
Ecco: l’amore ci realizza, l’amore ci santifica perché l’amore è Dio stesso. Questo amore che è in noi, dobbiamo accoglierlo con tutto il nostro cuore, rispondergli con tutta la nostra vita, e condividerlo con tutti i nostri fratelli.
Accogliere con tutto il nostro essere l’amore che Dio ci dona per primo. Che gioia proveremo quando decideremo di vivere veramente tutto questo! Quanti disagi psicologici, carenze affettive, pesantezze spirituali sarebbero guariti, superati, alleggeriti se noi fossimo semplicemente convinti che siamo veramente amati! “Il Padre stesso vi ama” (Gv 16,27). Sul palmo delle sue mani che hanno plasmato il mondo, Isaia ci dice, facendoci stupire, che Dio “ha inciso” -non solo scritto, ma inciso- in modo indelebile, il nostro nome! (Is 49, 16). “Fino alla vostra vecchiaia io sono, fino alla vostra canizie io vi porterò; io vi ho fatti, e io vi sosterrò; sì, vi porterò e vi salverò”(Is 46,4). “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai”(Is 49,15).
Ecco la verità prima ed ultima, il Vangelo come va proclamato: “Io in loro e tu in me” (Gv 17, 23). Poiché l’amore del Padre è stato veramente versato nei nostri cuori dallo Spirito Santo che ci è stato dato (Rm 5, 5).
No! Niente fermerà l’amore per noi di un Dio che chiama sé stesso Padre di misericordia e di tenerezza. Niente ci separerà dall’amore di Cristo (Rm 8, 35). Nessuno mai potrà spegnere nell’uomo il fuoco d’amore dello Spirito Santo. Che forza e che gioia per colui che si sa così amato personalmente, infinitamente e per sempre, dal Dio di ogni Bellezza, di ogni Verità, di ogni Bontà!. * In risposta, come non amare il Signore a nostra volta “con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutto lo spirito” (Dt 6,5). L’amore è vero solo se è condiviso nella reciprocità. Ciò che chiamiamo “la religione” ci sembra spesso insapore e rivoltante perché non sappiamo farne una vera avventura d’amore. Ma se un giorno cerchiamo di rispondere veramente all'amore di Dio con il nostro amore, allora entriamo in una vita che può realmente realizzarci e darci pienezza; e tutto un corteo di psicosi, di complessi, di nevrosi, di paure verranno spazzate via…
Essere amati da un DIo è una gioia immensa. Poter amare un Dio è una vera meraviglia. Questo ci rallegra e ci entusiasma!
Perché si è fatto per noi, allo stesso tempo padre, sposo, bambino, amico e servo, noi possiamo amarlo a nostra volta con tutte le sfumature di un amore di volta in volta filiale, coniugale, paterno, amichevole e docile. Sì! A colui che ci ha amato con il dono del suo unico Figlio (Gv 3,16) possiamo rispondere con l’offerta gioiosa della nostra unica vita. Essere amato in tutto quello che sono e poter amarlo con tutto quello che sono. Meraviglioso scambio d’amore dove Dio si dona all’uomo che sono io e io stesso al Dio dell’eternità. “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui”Gv 6,56). Con Santa Teresa, forse possiamo dire che la nostra vocazione, finalmente trovata, è sempre una “vocazione d’amore”. A questa luce allora vediamo come il secondo comandamento sia simile al primo ( Mt 22, 39). E quanto tutto ci inviti a condividere. Poiché Dio si è talmente messo nell’uomo, ciascun uomo porta in sé l’attesa e la proposta del suo amore. Questo sguardo illumina tutto di una luce nuova. “Una volta per tutte, dice Sant’Agostino, ti viene dato questo breve precetto. Ama e fa ciò che vuoi. Se taci, taci per amore. Se parli, parla per amore. Se correggi, correggi per amore. Se perdoni, perdona per amore. Sia in te la radice dell’amore. Da questa radice non può uscire che del bene.” Basta amare, perché non c’è altro da fare. L’amore è tutto, purifica tutto, illumina tutto. “L'amore è paziente, è benevolo; l'amore non invidia; l'amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non addebita il male, non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa.(1Co 13, 4-7)
Si può capire che Teresa, avendo letto questo, non si sia più sentita una vocazione di prete, di apostolo, di dottore e di martire: poiché, scegliendo di amare, sceglieva di vivere tutto.
“Allora nell’eccesso della mia gioia delirante, ho gridato: Nel cuore della Chiesa, mia Madre, io sarò l’amore”.
©FMG Trad. p. 23-27, Evangeliques 1, Fayard 1988 |
3 Dom. T. O. COmelia fr. Pierre-Marie Delfieux
Cosa c'è in questo libro che ci porta a riprenderlo continuamente in mano? Nel corso della vita ciascuno di noi avrà letto, ascoltato, condiviso, meditato alcuni dei suoi versetti. Lo abbiamo fatto, senz’altro centinaia, migliaia di volte.
come gli abitanti di Nazareth nella sinagoga. Questa parola incarnata che, messa per iscritto, è diventata”un racconto documentato” e un “insegnamento fedele” come oggi Luca ci confida (Lc 1,1).
Ma qual’é allora questa “Buona novella di Gesù Cristo, Figlio di Dio” (Mc 1,1) annunciata da Marco? Qual’é dunque questo Vangelo del Verbo di Luce e di Vita di cui Giovanni ci documenta l’itinerario e i propositi? Qual’è il racconto degli atti e delle parole di Cristo, di cui Matteo ci trasmette il volto e il messaggio?
Sì, fratelli e sorelle, che cos’ha dunque di unico e così forte, di così vivo e così liberatorio, di così personale e di così universale, cos’ha di così originale e di così profondo, di così semplice, di così grande. questo libro che non ha pari, incessantemente letto, commentato, insegnato, trasmesso, e che noi chiamiamo IL VANGELO?
Mi sembra di poter riassumere l’essenziale di ciò che rappresenta dicendo innanzitutto che questo libro è UN CENTRO; poi che è UNA VITA, e infine che è UNA SORGENTE.
Il Vangelo é un centro. E’ al centro di una storia che tende a diventare il centro della Storia. Al centro di una STORIA SANTA, che si rivela e si rivelerà sempre di più come il centro della Storia universale.
Il Vangelo è un incrocio. Da ogni parte le Scritture convergono verso di lui. La Legge consegnata nel Pentateuco e i Libri storici, i Sapienziali, i Profeti, le Apocalissi, i Salmi, tutto sale verso il Vangelo (Lc 24,44).
E’ il punto focale su cui si concentrano tutti i raggi che attraversano e rischiarano 2000 anni di Storia santa. Quando Gesù cammina sulla strada che conduce da Gerusalemme a Emmaus, ci viene ben precisato che, per rivelarsi ai due discepoli, mostra loro tutto quello che è scritto di lui nella Legge, nei Profeti e nei Salmi (Lc 24,44). E ridice san Luca: Spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui ( Lc 24,27).
Nessun altro libro al mondo è il punto di compimento di venti secoli di scritti, di istruzioni, di racconti, di preghiera, di riflessione, di profezie Da questo punto di vista, il Vangelo è come l’arrivo alla meta di una cima. E a partire da esso tutto si rifrange e si irradia nuovamente:
fino ai confini del mondo (Mc 16,15). Nel Vangelo il passato si concentra e l’avvenire si costruisce. In esso tutto ciò che è stato annunciato si realizza e viene già proclamato ciò che deve avvenire. All’incrocio di ieri e di domani si colloca l’Oggi di Dio, nell’eterno presente in cui tutto è detto, vissuto, rivelato e compiuto (Lc 4,21).
Il Vangelo ha un tale potere unificatore che ci ricolloca costantemente nel LUOGO nel quale esso si trova: al centro della Storia della nostra salvezza, nell’eterno presente di Dio che si è fatto per noi Parola viva e vera.
Non un libro, ma una Vita. Non prima un racconto, un documento o una biografia, ma una Vita. E che Vita! La Vita di Dio sulla terra! La Vita di Colui di cui è detto che tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste (Gv 1,3). In Colui dove era la Vita (Gv 1,4), e ce la ha elargita in abbondanza (10,10), dicendo: IO sono la VITA! (14,6)
Il Vangelo è una Parola che è letteralmente “Qualcuno” (Ap 4,2). E Qualcuno di eternamente vivente. E’ la Parola Immortale di Cristo, il Figlio del Dio vivente (Mt 16,16). “Per me” diceva san Girolamo, che ha passato tutta la vita chinato sulle Sacre Scritture. “il Vangelo è il Corpo di Cristo” (Lettera 53) Quello che Gesù dice, lo compie. E quello che appare, lo è; non ci sono distanze, divari o decalage. In lui vi è perfetta identità il dire, il fare, l’essere e l’apparire. Nessuno al mondo può dire di aver perfettamente vissuto quello che ha insegnato; di essere stato tutto quello che ha detto di lui stesso in modo perfetto. Gesù lo ha fatto: ha detto tutto, ha illuminato tutto, ha riscattato tutto e compiuto tutto. Nei propositi e negli atteggiamenti di Cristo troviamo una tale precisione di tono, un tale equilibrio di pensiero, un tale preso di verità e un tale segno di santità che ne risulta l’espressione di una vita perfetta. Chi tra di noi potrebbe convincerlo di peccato? Chi, tra gli uomini, non ne riconoscerebbe la santità?
E si tratta del volto di un vivente che vivifica e non insegna solamente. Al suo contatto, eccoci, istruiti, illuminati dal di dentro. Ancora meglio abitati da una presenza, da una parola, nutriti da un alimento spirituale, dissetati da un’acqua (1 Co 10,3-4) che, poco a poco, ci vivifica, ci trasforma e ci trasfigura. Se è vero che non si può sradicarsi da questo centro, ancor di più non ci si può separare da questa Vita! Il Vangelo che è la Sua vita é la nostra Vita ed è LA VITA!
Da questo punto di partenza è sgorgato un fiume. Il punto di convergenza che è come il punto di arrivo di tutta una Storia Santa, quella della prima Alleanza, diventa il punto di irraggiamento, che è il punto di partenza di tutta la Storia della Chiesa santa, quella della nuova Alleanza.
Da 2000 anni a partire da questa sorgente evangelica miriadi e miriadi di vite si sono alzate. Uomini e donne , di tutte le razze, le lingue, i popoli e le nazioni (Ap 7,9), si sono alzati per camminare alla sequela di Colui di cui il Vangelo ci riporta la Parola e la Vita. Hanno visto- e noi ne facciamo parte- che nel Vangelo si trova la sorgente della Verità, della Luce e dell’Amore! Hanno creduto - e anche noi lo crediamo - che in questo libro è contenuto l’ itinerario di ogni cammino di santità e di perfezione!
Il Vangelo, veicolato in questo modo, é diventato come un corteo di viventi in cammino quotidiano e ininterrotto, dietro a Colui che ci ha detto: Io sono la Strada (Gv 14,6). Cristo Gesù, il nostro Signore e il nostro Dio. Andando così, lungo i giorni, dalla fede proclamata alla fede accolta; dalla fede vissuta. celebrata e cantata, alla fede incessantemente trasmessa, il fiume dei credenti irriga la terra, passo dopo passo, a partire dalla Sorgente inesauribile del Vangelo.
La Parola di Cristo costruisce il Corpo di Cristo! Il soffio dello Spirito rinnova la faccia della terra! E il Padre stesso che ci ama (Gv 16, 27), aspetta l’intera umanità alla soglia delle dimore eterne!
Non si può incatenare la parola di Dio. (2 ™ 2,9). Il cielo e la terra passeranno, ma il Vangelo non passerà! (Mt 24,35). Per questo, quando leggiamo, ascoltiamo, preghiamo o condividiamo, come ora, questa Parola di Dio, possiamo ridirci, come Gesù l’ha detto il primo giorno in cui l’ha proclamato nella sinagoga di Nazareth:Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi (Lc 4,21).
Ritornando al Vangelo come CENTRO, gustandolo come VITA, attingiamo alla SORGENTE dell’eternità. In verità, in verità vi dico: chi crede in me ha vita eterna. (Gv 6,47). E Gesù aggiunge: Se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte (8,51).
Fratelli e sorelle, crediamo nel Vangelo, gustiamo il Vangelo, viviamo il Vangelo, se vogliamo trovare il vero CENTRO della nostra esistenza se vogliamo vivere la VITA vera, malgrado la morte, e se vogliamo attingere con gioia alle Sorgenti della salvezza (Is 12,3). La Parola di DIo è la Persona stessa di Dio. E poichè il Vangelo è una testimonianza, permettetemi di finire con questa semplice testimonianza.
Signore, da chi andremo, tu solo hai parole di vita eterna!
©FMG manoscritto originale in francese |
2° Domenica T. O. COmelia di fr. Pierre-Marie Delfieux IL TUO CREATORE TI SPOSERA’
E’ veramente bello celebrare quello che la liturgia chiama: le nozze di Cana! Nel profeta Isaia, nella lettera di Paolo, nel Vangelo di Giovanni si parla solo di alleanza d’amore, di doni gratuiti, di sposalizio divino. Se crediamo alle parole del Signore che la Scrittura ci indirizza nel suo Nome, oggi, queste possono veramente entusiasmare i nostri cuori da ora e per sempre. (Sal 52,10 ; Is 59, 21; 1Ts 4,17). Allora ascoltiamoli uno alla volta.
Il profeta Isaia si fa eco della volontà costante che il Signore manifesta di poterci amare fedelmente. Il tema della comunione d’amore di Dio con gli uomini attraversa tutta la Bibbia come una linea di fuoco. Fin dal principio, l’uomo viene creato a sua immagine, cioè per una reciprocità d’amore che traduca l’unità nella diversità. Lungo tutta la storia della salvezza, vengono stabilite delle alleanze e fatte delle promesse che chiamano alla fedeltà e alla reciprocità. Questo legame è indistruttibile per il Signore (Is 54,10). Nonostante le tensioni, le rotture, i ritorni, i perdoni, le riconciliazioni, le infedeltà reiterate da parte degli uomini, non si consumerà il divorzio tra lui e noi! Perchè il Dio fedele non ne vuole sapere, qualsiasi cosa succeda.
Allora i salmi cantano il re ammaliato dalla nostra bellezza (Sal 45,12). I profeti lo mostrano pronto a sedurci (Ger 20,7), fin nel deserto delle nostre fughe, per parlare al nostro cuore (Os 2,16). Geremia, Ezechiele, Osea, Michea, Sofonia, tutti con mille audacie talvolta (Ger 31; Ez 16; Os 11; Mi 5; So 3) cantano instancabilmente questo amore che non smette mai di rianimarsi. E il Cantico dei Cantici, con un realismo debordante di tenerezza, diventa il più bel poema cantato sulla terra su questo tema: infatti è già una eco di quello che ci attende in cielo.
Oggi, allora, il profeta Isaia prende la parola per istruirci (62,1-5). Per amore di Sion non tacerò... Allora i popoli vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria. L’alleanza è per il suo popolo, ma anche per tutti i popoli. Questo amore universale sa essere personale; è l’amore infatti del Dio unico è ciascuno di noi lo è allo stesso modo. Solo l’Onnipotente che è anche l’Onniamante, può amarci contemporaneamente tutti e ciascuno nella sua unicità.
L’iniziativa è di Dio che non si stanca mai di rifare il primo passo. (Os 2,21).
No, da parte sua non ci sarà mai allontanamento o abbandono (Ger 31,31-40). Questo è il motivo per cui ci dona ancora e sempre un nome nuovo. E anche, se necessario, un cuore nuovo (Ez 18, 31; 36,26). L’amore, quando è vero, continua sempre a crescere e a farsi più bello. Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma tu sarai chiamata Mio compiacimento e la tua terra, Sposata, perché il Signore si compiacerà di te e la tua terra avrà uno sposo (62,4). Come non sentir risuonare in noi, che siamo argilla animata dal soffio di Dio, questa parola di Colui che ci ha creati e ci vuole salvare a tutti i costi?
E il profeta Isaia, spinto dallo Spirito Santo (61,1.10), conclude con uno dei più bei passaggi della Scrittura: Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo architetto; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te (62,5).
Una confessione come questa da parte del Signore, certo non può lasciarci sordi e insensibili, se sappiamo comprenderla (Is 50,4; Mt 13,14-17).
Ma si potrebbe anche dire che tutto questo è troppo bello per essere vero?
Ascoltiamo dunque il Figlio di Dio , nel Vangelo di oggi (dal momento che abbiamo la grazia di sapere che egli è disceso fino a noi).
Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea (Gv 2,1). Da subito risuona la stessa proclamazione d’amore. Ma qui c’è di più che parole e opere. C’è la presenza percepibile tra di noi del Testimone vivo della sua tenerezza (1Gv 1,1-3). E noi assistiamo ad una vera manifestazione. Questa è rivolta a tutti i popoli della terra poichè esplicitamente si situa nella Galilea delle nazioni. C’è la madre di Gesù, da lui chiamata chiaramente: Donna. Poiché ella è testimone dell’attesa secolare di tutto il popolo; e rappresentante dell’umanità tutta in cerca di un salvatore.
Proprio dicendo: Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora? (Gv 2,4), Gesù ci orienta direttamente verso il termine ultimo della sua vita quando ci darà la più bella prova del suo amore (Gv 15,13). Scrive Sant’Agostino:”E’ come se Gesù dicesse a sua madre che il potere di fare questo miracolo non gli deriva da lei che non ha generato la sua divinità...Ma quando l’umanità debole che ella gli ha dato sarà inchiodata alla croce, allora la assocerà alla sua opera redentrice”:
Per l’ora noi udiamo e custodiamo la sua parola: Fate quello che vi dirà (Gv 2,5). Fare quello che dice! E’ la risposta di Maria all’Annunciazione; Che avvenga secondo la tua parola! (Lc 1,38).
Troviamo qui sempre il segno dell’amore nuziale. Infatti non è forse facendo coincidere l’azione con la parola che si condivide ciò che vi è di più autentico nell’amore?
Proprio questo è il significato dell’acqua cambiata in vino (Gv 2,8).
I matrimoni a quell’epoca potevano prolungarsi per sette giorni. E’ dunque verosimile che le riserve potessero estinguersi! Ma l’insistenza su questa mancanza di vino, menzionata ben tre volte, si riferisce evidentemente a qualcosa di più. Simbolo dell’amicizia, come il Siracide lo esprime (Si 9,10); simbolo di pacifica prosperità come i profeti lo sottolineano (Os 14,8); simbolo della gioia come viene cantato nei salmi (Sal 104,15); e molto di più dell’amore come lo indica il Cantico dei Cantici (Ct 1,4; 4,10). La mancanza di vino simboleggia un vuoto sconvolgente! Noi tutti abbiamo una tale sete di amicizia, pace, gioia e amore! E non saranno certo le abluzione rituali a dissetarci!
Ma oggi il Cristo è presente.
E’ entrato nella sala delle nozze. Se può moltiplicare i pani nel deserto vuol dire che è molto di più del grande profeta che deve venire nel mondo (Gv 6,1-13).
Se oggi può cambiare l’acqua in vino con una tale abbondanza significa che egli supera il liberatore venuto per la gloria del suo popolo Israele (Lc 2,32).
E’ lo Sposo che vuole donarsi interamente a noi. Consegnare il suo corpo per noi...versare il suo sangue per noi (Lc 22,19).
L’ora delle nozze intravista a Cana, il sesto giorno della settimana inaugurale, suona in verità come il sesto giorno della settimana finale , sul Golgota. Presso la croce di Gesù c’è una nuova coppia vergine, rappresentata dalla Vergine Immacolata e dal discepolo amato. Quel giorno il Cristo, nuovo Adamo, sposa veramente la sua Chiesa.
All’ora sesta di questa vigilia del Gran Sabbat, l’acqua e il sangue sgorgano dal suo fianco (Gv 19,34), per associarci a questa comunione d’amore. L’acqua del nostro battesimo e il sangue delle nostre eucaristie. Vivendo la sua morte umana per noi, Cristo ci rende partecipi della sua natura divina (2Pt 1,4).
Questo è il “mirabile scambio” cantato nei secoli dalla mistica cristiana. Sposando fino in fondo la nostra povera condizione mortale (povera e triste come una festa di nozze senza vino), il Signore ci ha elevati fino alla condivisione della sua gloria.
Che trasformazione! Che nozze divine!
Non si può che concludere lodando Dio con l’apostolo Paolo, per la varietà infinita dei doni che ci ha fatto. A ciascuno di noi, lo stesso Spirito ha elargito un dono particolare. Lo stesso Signore ha affidato una funzione precisa. Lo stesso Dio ha dato una attività propria. Così ciascuno riceve il dono dello Spirito in vista del bene di tutti (1Co 12,4-11).
Per il Signore si tratta di un modo per manifestare il grande amore che ha per noi. In ciascuna e ciascuno di noi vi sono, letteralmente, una perla e un tesoro. Gesù stesso ce lo rivela nel Vangelo. Noi siamo il campo di Dio e l’edificio di Dio (1Co 3,9). E il Regno di Dio è presente dentro di noi (Lc 17,21).
Allora possiamo capire che egli voglia ripeterci, personalmente: Tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo (Is 43,4). E come non capire anche che ci chieda in cambio: Tu mi amerai con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze, con tutto il tuo spirito!
Dio vuole amarci con tutta la pienezza della sua vita e vuole amarci con tutta la pienezza del nostro essere. Nella nostra anima che è immortale. Nel nostro spirito che egli vuole illuminare con la sua luce.
Nel nostro cuore che vuole riempire della sua tenerezza. Nel nostro corpo che vuole rendere glorioso. Perchè il Signore è per il corpo e il corpo è per il Signore (1Co 6,13). Dio ha una grande sete di noi! Lo ha detto alla donna di Samaria, all’ora sesta (Gv 4,6). L’ha gridato sulla croce, accanto a Maria, sempre all’ora sesta (19,28). Ha sete di noi anche se egli è la fontana della vita e noi , solamente una piccola sorgente.
Fratelli e sorelle, non finiremo mai di stupirci dello splendore dell’amore nuziale che Dio ha per noi! Lui che oggi ci ripete: Se tu conoscessi il dono di Dio e colui che ti dice: Dammi da bere (Gv 4,14), piccola sorgente!
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Omelia di fr. Pierre-Marie DelfieuxFesta del Battesimo del Signore C
Battesimo di Cristo, simboli e realtà La geografia e la storia ci dicono dove ha avuto luogo l’evento; i segni ed i simboli ci insegnano a capire perché il mistero ci è rivelato affinché noi lo viviamo a nostra volta.
Che dire dell’evento stesso? Nel profondo del deserto di Giuda, scorre il Giordano. Alla sua sorgente, sgorgano le acque vive che scendono dalle pendici del monte Ermon. Alla fine, le acque salmastre del mar morto, dormono per millenni. I secoli attendono il Messia (Is 42, 1-7). “L’anno quindicesimo del regno di Tiberio Cesare, la parola di Dio è indirizzata a Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto” (Lc 3, 1-2). Allora, la voce del profeta sale e “grida nel deserto” (Mt 3, 3). Subito , accorrono da ogni parte. La parola che converte, chiama al battesimo di conversione (Mt 3, 11). Il figlio di Zaccaria diventa il Battista. Ascoltano. Si convertono. Si interrogano. Gli chiedono: “Chi sei?” “Io non sono il Cristo”. “Sei tu Elia?- Non lo sono. “Sei tu il profeta? No”. Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi, c’è uno che non conoscete (Gv 1, 20.22.26).
“Allora appare Gesù”. Dalla Galilea arriva al Giordano da Giovanni “per essere battezzato da lui” (Mt 3, 13). Ed oggi il figlio di Elisabetta vede il figlio di Maria farsi avanti. Il frutto della vecchiaia sterile trova il frutto della tenerezza verginale (Lc 1, 44). Faccia a faccia, il Galileo ed il Giudeo. L’uomo di Nazareth ed il solitario del deserto. Un momento di notevole grazia. L’Antico Testamento vive i suoi ultimi momenti. Sentiamo che qualcosa cambierà tra cielo e terra. “Frema il mare e quanto contiene, il mondo e i suoi abitanti. I fiumi battano le mani, esultino insieme la montagne davanti al Signore che viene, che viene per salvare la terra” (Sal 98, 7-9). Ai piedi di colui che dice “di non essere degno di sciogliere i suoi sandali” (Lc 3, 16), Gesù si è svestito. Le acque si scostano, il cielo si squarcia, la terra trattiene il respiro. “Ascolta cielo, voglio parlare, e la terra ascolterà ciò che dice la mia bocca. Questo è il mio figlio diletto, in lui ho riposto tutto il mio amore (Dt 32, 1; Mt 3, 17). Oggi, nel Giordano, è il battesimo di Cristo.
Sopra la valle di Enon, vicino a Salim (Gv 3, 1), brilla la luce della Teofania trinitaria: il Padre parla. Lo Spirito discende. Lui è davvero l’unico Eletto! “Si, ho visto e confermo che è lui il figlio di Dio” (Gv 1, 34). Quindi, “fissando gli occhi” su colui che risale dalle acque e “se ne va verso il deserto, spinto dallo Spirito, per affrontare il diavolo” (Mt 4, 1), Giovanni il Battista proclama il nuovo l’Annuncio. La Buona Novella che milioni di voci ripercuoteranno per sempre nel mondo, alla fine di ogni Eucarestia: “Ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo” (Gv 1, 29.36). Oggi, nella Chiesa, si festeggia il battesimo di Cristo.
Aldilà dell’evento, nel momento presente, cosa ci insegnano e quale mistero ci rivelano i segni ed i simboli, attraverso i quali questo mistero si è manifestato a noi?
La prima realtà simbolica è quella del Giordano. Un fiume di vita, che finisce nel Mar Morto! Come tutta un’umanità, creata per la vita, e che il peccato rinchiude nella morte (Rm 5, 12). Nel cuore della terra promessa, in pieno deserto, la vita e la morte, Tiberiade e Sodoma, aspettano il Messia. Tra la vita e la morte, anche noi, speriamo nell’alba della salvezza!
Ed ecco che oggi la sorgente d’acqua viva, intravista da Ezechiele come zampillante dal lato destro del Tempio, verso l’Araba (47, 1.8), scende verso il Giordano, per santificarlo con la rigenerazione battesimale. “Le acque ti videro, o Dio, ti videro e si ritrassero”, aveva profetizzato il salmista. “Cos’hai tu mare per fuggire e tu Giordano per tornare indietro? Voi montagne che saltellate come arieti e voi colline come agnelli di un gregge? Trema, o terra, davanti al Signore che muta la rupe in un lago la roccia in sorgenti di acqua” (Sal 114, 3.5-8). Come Giosuè, che per primo attraversò il Giordano, alla testa del suo popolo, a Gilgal (Gs4, 19), e innalzò in memoriale dodici pietre in mezzo al fiume (4, 3), così il nuovo Giosuè, Gesù di Nazareth, ritorna oggi verso il Giordano per introdurre nella terra promessa un nuovo popolo, presto seguito da dodici apostoli che saranno pietre vive della Chiesa nascente. E noi lo siamo. Come Elia, che colpì il Giordano col suo mantello per attraversarlo senza complicazioni, in compagnia del suo discepolo Eliseo (2Re 2, 8), prima di essere portato in cielo su un carro di fuoco (Sir 48, 12), così “colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo che è in cielo” (Gv 3, 13), oggi si immerge nelle acque, seguito da Giovanni il Battista. E le nuvole si aprono al nuovo per dire a tutti che in verità Elia “è tornato in questo giorno” (Mc 9, 13). Il fiume che segnava il limite da non attraversare (Gs 22, 25), lui, Gesù, lo attraverserà. A tutti i paesi oltre il Giordano, la buona notizia dovrà essere annunciata (Gv 10, 40). “Terra di Zabulon e terra di Neftali, paesi oltre il Giordano, Galilea delle Nazioni… Su di te è sorta una luce” (Mt 4, 15-16). “Andate dunque, fate discepoli di tutte le nazioni, battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28, 19).
Le acque possano a loro volta far esplodere il loro doppio simbolo: Cristo vi sprofonda, e con lui, seppellisce tutti i nostri peccati, poiché “erano i nostri peccati che portava, i nostri dolori con cui era appesantito” (Is 53, 4). Poi risale (Mt 3, 18) e l’acqua viva manifesta allora in Lui la sua presenza come “una sorgente che zampilla per la vita eterna” (Gv 4, 14). “Ciò che fu fatto anticamente, ai tempi di Noè, dal diluvio delle acque, dando la morte”, dice un padre della Chiesa,” si sta realizzando oggi, agli albori dei tempi nuovi, attraverso un diluvio di grazia che da la vita” [1]. Le acque che un tempo inghiottirono “il Faraone”, l’oppressore, “e tutto il suo esercito”, portano via oggi nelle loro onde tutta la miseria opprimente del mondo. “Poiché eterno è il Suo amore!” (Sal 136, 15) L’acqua uccide il male e ci immergiamo per essere purificati; ci dona la vita e noi risaliamo per essere vivificati. Allora i cieli potranno aprirsi e la colomba apparirà sulla terra addormentata. “Dormo ma il mio cuore veglia. Sento il mio amato venire”, canta il Cantico dei Cantici. “Aprimi, mia sorella, mia amica, mia colomba, mia perfetta. Poiché la mia testa è coperta di rugiada ed i miei riccioli di gocce notturne. ‘Mi sono tolta la veste; come indossarla ancora? Mi sono lavata i piedi; come sporcarli di nuovo?’ ” (Ct 6, 9; 5, 2-3). La tunica che tu stesso hai tolto oggi, o Figlio di Dio, per il tuo battesimo nell’acqua, altri un giorno se la contenderanno, o Figlio dell’uomo, per il tuo battesimo nelle acque della morte. “C'è un battesimo che devo ricevere e come sono angosciato, finché non sia compiuto!” (Lc 12, 50) Ma, a questo doppio prezzo, la terra sarà riscattata. La colomba del diluvio ha riportato un ramo d’ulivo per annunciare la pace (Gen 8, 11)? Nell’orto degli ulivi, l’unto dello Spirito Santo (At 10, 38) offrirà la sua vita per salvare la pace. E questo Spirito sarà donato al Padre quando tutto sarà “compiuto” (Gv 19, 30). Lo Spirito che aleggiava sulle acque nei giorni prima della creazione (Gen 1, 2), aleggia nuovamente sulle acque del Giordano per questa nuova creazione. E l’uomo, così rigenerato, trova dal Figlio del Padre la dignità dei veri figli di Dio e noi lo siamo (1Gv 3, 1). Il Padre allora a sua volta, fece sentire la sua voce. “Voce del Signore sulle acque, voce del Signore sulle acque innumerevoli”, recita un salmo. “Voce del Signore che scuote il deserto, che scuote il deserto” di Giuda (Sal 29, 3.8). Dio, nessuno l’ha mai contemplato (1Gv 4, 12), “nessuno ha mai visto il suo volto” (Gv 1, 18). Ma, al tempo di Cristo, per tre volte, ha fatto echeggiare la sua voce: in cima ad un’ alta montagna dove Gesù fu trasfigurato (Mt 17, 1-5); in fondo alla bassa depressione del Giordano dove Gesù fu battezzato (Lc 3, 22); e nel cuore di Gerusalemme, la città del gran Re, dove Gesù fu glorificato (Gv 12, 28). Triplice simbolo: Colui che è elevato nel più alto dei cieli, è anche disceso fino al punto più basso della nostra terra. Era il Primo, e per noi, si è fatto ultimo. Così un giorno con Lui noi canteremo il Padre, nel cuore della Gerusalemme dall’alto, “la città del gran Re”, che diventa così “libera” ed anche “nostra madre”. * Fratelli e sorelle, si Cristo ci rivela oggi nel Giordano, tutta l’ampiezza del suo mistero. Umiltà senza fine di Colui che viene a ricevere il battesimo che porta nel mondo. Nudità senza vergogna di questo Nuovo Adamo, che rende all’uomo la gioia del primo giardino. Splendore senza limite di Cristo, Luce sulla quale risplende la Gloria Trinitaria. “Gesù di Nazareth, Dio l’ha consacrato di Spirito e l’ha riempito di potenza”, proclama l’apostolo Pietro (At 10, 37) . Tutto ciò che l’Antico Testamento annunciava si realizza oggi. Tutto quello che la Nuova Alleanza promette è prefigurato in questo giorno. Ed è per questo che, a nostra volta, eredi di queste promesse noi siamo così direttamente interessati. Perché è anche in noi che si prolunga questo mistero. “Fratelli, non sapete che battezzati in Cristo Gesù, è mediante la Sua morte che tutti noi siamo stati battezzati? Così siamo stati sepolti con Lui, dal battesimo alla morte, così che, come Cristo è risuscitato dai morti per la gloria del Padre, anche noi viviamo in una vita nuova” (Rm 6, 3-4). “Ha aperto i cieli”, scrive Severo d’Antiochia, “per insegnarci che la nascita del nostro battesimo è celeste e che fa splendere i battezzati come delle stelle nel cielo” [2]. “E perché il cielo si apre quando Cristo è battezzato”, chiede San Giovanni Crisostomo, “se non per insegnarci che succede la stessa cosa invisibilmente, quando noi siamo battezzati?” [3] “Non vergognarti Adamo, della tua nudità che ti fa scappare davanti al volto di Dio. E’ per te che sei nudo, che oggi io mi rendo nudo facendomi battezzare” fa dire a Cristo, Romano il Melode [4].
Si, questa è la buona notizia per tutti, in questo giorno di festa: i cieli sono aperti a noi (Gv 1, 51), e noi possiamo già “rinascere dall’alto” (Gv 3, 3). Anche a noi è stato dato lo Spirito e possiamo camminare nella Sua luce. Anche per noi la voce del Padre è risuonata ed ognuno di noi ora sa che in questo Figlio prediletto “Egli ha posto tutto il Suo amore” (Gv 4, 2).
Con il battesimo, la nostra anima è stata veramente rivestita di una veste di Gloria, quella stessa di Cristo. “Amico mio, cos’hai fatto col tuo abito nuziale?” (Mt 22, 12). L’abbiamo sbiadito? Che la Sua luce lo restauri in questo giorno! L’abbiamo sporcato? Che la Sua grazia, lo lavi oggi! L’abbiamo perso? Possa nel suo amore restituircelo oggi! “Portate l’abito più bello e rivestitelo!” (Lc 15, 22).
“Tutti voi che siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo, Alleluia” (Ga 3, 27).
1. Romano il Melode, Inno XVI, SC 110, p. 237. 2. Severo di Antiochia, Omelie Cattedrali. 3. San Giovanni Crisostomo, Omelia 12 su Mt 2,3. 4. Inno XVI, SC 110, p. 237.
© FMG traduzione da Sources Vives n° 119 pp. 93-101
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Omelia di fr.Pierre-Marie Delfieux
I Domenica di Avvento - anno B <<Vegliate e pregate in continuazione>>
Mc. 13,26-27/31-32
Un avvertimento e un’esortazione. Due imperativi: State all’erta. Vegliate! È questo l’essenziale del messaggio di Cristo in questa I Domenica di Avvento (Mc. 13,33-37). Dietro questi due semplici richiami, ci viene però indicato dal Signore tutto un atteggiamento di autentica vita cristiana. Gesù parte da un chiaro avvertimento: State attenti! E, subito dopo, sottolinea: Poiché non sapete quando sarà il momento (Mc. 13,33). Eccoci quindi chiaramente avvertiti. Se tutti noi sappiamo della Sua venuta, nessuno però può sapere il giorno del Suo Ritorno. Allora due tentazioni ci attendono al varco: la prima vorrebbe portarci a stabilire, prevedere o addirittura annunciare ad ogni costo il giorno di questo Ritorno. La seconda vorrebbe portarci a non attendere più nulla di nuovo, visto che non è ancora successo nulla, non succede nemmeno oggi e forse non succederà mai. In tutti e due i casi il Maligno trionfa! E allora, o si rimane immobili nell’attendismo impaziente e inquieto o si rimane nell’indifferenza.
Dopo averci così informati con tanta risolutezza di cosa non dobbiamo fare, il Signore può ora dirci che cosa dobbiamo vivere. Vigilate quindi!, propone a tutti e per tre volte (Mc. 13,31/35-37). Come se, con questo comando ripetuto tre volte, il Maestro, prima di lasciarci, avesse voluto mettere tutto il peso della Sua autorità e del Suo amore per noi. Perché allora questo appello a vegliare ripetuto con tanta insistenza? E come tradurre nella nostra vita questa Sua esigenza, richiesta con tanta forza?
Il perché di ciò che Gesù traduce con l’imperativo Vegliate!, dipende da diverse ragioni: la prima dipende dal fatto che è Cristo stesso che ce lo chiede, e questo senza il minimo autoritarismo ma solo nella maniera più incalzante. Raramente il Signore ripete così, tre volte, la stessa cosa! Se lo fa qui, oggi, con tanta insistenza, è perché conosce tutto il bene che possiamo ricavarne. Orecchio non ha sentito, dice il profeta Isaia, occhio non ha visto, che un Dio al di fuori di Te abbia fatto tanto per l’uomo che spera in Lui (Is. 64,3). Allora se Dio che ci ama ci chiede questo, possiamo credergli, se ci esorta così è tutto per il bene della nostra vita e per la pace nella nostra anima. Siamo sempre vincitori facendo ciò che l’amore di Cristo ci spinge a fare (2Co. 5,14). Tutti possiamo farne esperienza nella nostra vita.
Un secondo motivo sta nel fatto che vegliare è una delle azioni più belle che sia dato vivere all’uomo. Vegliare e pregare in ogni momento, come dice Gesù (Lc. 21,36), ci rianima nel più profondo del cuore. La nostra anima ne è dilatata, il nostro spirito è illuminato e giubila, il nostro stesso corpo vi trova dinamismo e conforto. In quel momento ci è dato di condividere la gioia di Cristo (Gv. 15,11-17,13). Noi riconosciamo, con stupore, la presenza di Dio in mezzo a noi e in noi (Mt. 28,20; Gv. 14,23).
È altrettanto interessante notare che nei quattro momenti presi in considerazione per il Ritorno del Maestro tutti i punti citati da Gesù sono ambientati nella notte: la sera o a mezzanotte, al canto del gallo o al mattino. (Mc. 13,35) E la notte evoca, allo stesso tempo, le Potenze del Male e le Azioni del Maligno (Mt. 13,25-42) e le più belle opere di Dio: la Creazione (Gn. 1,1-3), l’Incarnazione (Lc. 2,8) e la Risurrezione (23,55-24,1). Dobbiamo quindi vegliare per discernere l’azione del Signore nella nostra vita fino all’ultima notte, quella del Suo Ritorno (Mt. 24,43-25,6). Voi fratelli, allora non siate tenebre, grida l’Apostolo, così che il giorno del Signore vi sorprenda come un ladro. Voi tutti siete figli della Luce, figli del giorno (1Tim. 5,1-2; 4-5).
Un altro motivo per vegliare, ci dice Gesù, è che questa venuta può arrivare all’improvviso. C’è quindi una ragione in più per evitare di lasciarsi sorprendere, cioè per non affondare nel torpore, nell’indifferenza semi addormentata o nelle preoccupazioni del mondo (Mc. 4,19). Come potrebbe un autentico figlio di Dio passare la vita senza pensare mai a suo Padre? Il buon servitore anela alla Sua venuta. Quello cattivo si rallegra della Sua assenza (Mt. 25,14-29). Rallegriamoci allora se manteniamo l’anima all’erta. Ogni attimo che passa riflette l’eternità.
Del resto siamo predisposti per questo. Abbiamo ricevuto, insieme a tanti altri doni di Dio, tutte le ricchezza della Sua grazia, tutte quelle della parola e quelle della conoscenza, ci dice l’Apostolo Paolo (1Co. 1,5). Possiamo perciò resistere, far fruttificare, per poco che riusciamo a rimanere attenti a Lui. Allora fatichiamo, costruiamo, camminiamo, diamo testimonianza del Signore! E la nostra vita, tutta, è stimolata, rallegrata perché può vegliare con Cristo e per Lui in questo mondo dove ci ha messi come guardie nella notte.
Così illuminati, sulle ragioni di questa insistente chiamata di Cristo, a vegliare in ogni momento, possiamo ora capire meglio come possiamo farlo. Cos è allora questo vegliare che Gesù ci invita a fare?
La veglia non consiste soltanto né per prima cosa in momenti precisi, nel corso della notte, da passare in ginocchio davanti al Signore, con la Bibbia aperta e una candela accesa: quando ci chiede di vegliare in continuazione Cristo ci invita, in un modo ancor più totale e coinvolgente, a uno stato di attenzione interiore. Questa attrazione del cuore, questo risveglio dello spirito, questo sentimento dell’anima, che formano quella che si chiama vigilanza, come un mormorio interiore, tranquillo e solido che, a poco a poco, impregna tutto il nostro essere e lo riempie. Lo riempie di fede nella Sua presenza, di speranza nella Sua venuta, di amore verso di Lui.
Allora vegliamo, per prima cosa, nella fede, semplicemente perché Dio c’è: nostro Padre e Redentore da sempre, come dice il profeta Isaia (Is. 63,16). Padre nostro e Padre di nostro Signore Gesù Cristo, come precisa l’Apostolo Paolo (1Co. 1,3). È questo Salvatore che difende i nostri interessi, riscatta le nostre colpe, guida il nostro cammino. Si comporta con noi come una persona di famiglia, un protettore, un appoggio. Possiamo quindi chiamarlo, parlargli, invocarlo. Generazioni e generazioni di credenti hanno potuto verificarlo. Un’infinità di testimonianze, se sappiamo capirle, sono qui per ricordarci questa bella verità.
Inoltre Colui che è ancora atteso è già venuto (Gv. 3,11) e si custodisce per sempre la memoria di questa prima venuta. Fra quattro settimane festeggeremo Natale! Il Vangelo è il richiamo vivete, sempre nuovo, di un inizio già avvenuto e che non finisce di rinnovarsi di anno in anno. Un Avvenimento di ieri che si verifica ogni giorno. Non una lettera morta da ascoltare, ma una chiamata gettata una volta per tutte a andare avanti risolutamente. Un invito incessante a trovare nell’oggi della nostra vita le tracce della Sua venuta precedente e della Sua presenza ancora attuale (Gv. 14,18). Tutto è già stato salvato in Cristo, ma ci rimane da viverlo. Nulla ancora è stato deciso. È allora necessario vegliare nella fede. Ogni Avvento ricorda a tutti noi di questo “si” da dire a Dio, in questo momento. Per un cuore vigile, ogni attimo che passa è un incontro che viene offerto con l’Eterno.
Vegliare in continuazione può quindi farsi solo nella speranza. Si crede perché il Signore c’è, si opera perché il Signore viene. La speranza cristiana, tuttavia, non si basa su un sapere relativo al giorno e all’ora, la speranza che guida il cristiano a vigilare è una forza che lo spinge a impegnarsi. Nonostante tanti sogni di questo mondo che si trasformano in illusioni e tante speranze nutrite che non hanno mai resistito, il credente vigila perché spera. Spera di poter rendere questo mondo un po’ più attento, con lui, alla salvezza che Dio vuole offrirgli continuamente, un po’ più d’amore, di pace, di luce. Vigilare nella speranza, sulle mura della città, ci porta a far vedere al mondo le certezze che nascono dai cieli nuovi e dalla terra nuova dove al di là delle nostre ingiustizie, la Giustizia di Dio abiterà (2Pt. 3,13). È nella notte che è bello sperare nel sole del mattino!
È quindi chiaro, per concludere, che vegliare nella speranza e nella fede, a cui Gesù ci invita con tanta forza questa domenica, può essere vissuto solo grazie a un amore autentico. Si veglia solo se si ama e nell’attesa di ciò che si ama. Altrimenti si tratta di inquietudine o insonnia. Allora, di cosa si tratta? Si tratta di Dio che è Padre di tenerezza (Gv. 16,27). Si tratta del Figlio che è lo Sposo diletto (Mt. 25,1). Lo Spirito e la Sposa, uniti nello stesso amore, ogni giorno, al Dio di tutti i tempi, dicono allora: Marana Tha! Vieni Signore Gesù! (Ap. 22,20). Questa attesa appassionata non ha nulla della fuga in avanti. È l’avventura quotidiana della nostra vita verso l’infinito di Dio. Una risposta di puro amore alla chiamata di Cristo che osa, Lui per primo, dirci umilmente, ascoltiamo bene: Vegliate con Me (Mt. 26,38).Non è forse Lui, Gesù Cristo, in definitiva, la grande Sentinella? Vieni, Signore Gesù! (Ap. 22,20). Rinascendo così in mezzo a noi, Tu ci spingi a rinascere dall’alto e di nuovo (Gv. 3,7). Per vivere finalmente, un giorno, accanto a Te per sempre.
©FMG tradotto da Evangeliques - Avent pp. 47-54
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Omelia di fr. Pierre-Marie Delfieux II Domenica di Avvento anno B Is 40, 1-5.9-11; Sal 84; 2Pt 3, 8-14; Mc 1, 1-8
L’Avvento della salvezza già venuta e sempre attesa
La visione entusiasta del profeta Isaia che annuncia un mondo a venire perfettamente riconciliato in sè dove tutto si vivrebbe nella gioia della convivialità e della pace, non sarebbe forse troppo idilliaca per non dire utopistica?
Otto secoli dopo, in ogni modo, ecco che un germoglio spuntato dalla radice di Jesse viene annunciato nella persona di Gesù. Come un virgulto germogliato dalle sue radici, attendiamo un bambino chiamato Emmanuele nel quale possiamo riconoscere il Salvatore del mondo (Gv 4, 42). Su di lui scenderà lo Spirito del Signore, con la pienezza dei suoi doni (Is 11, 1-3)...
Ma è nelle aride solitudini del deserto di Giuda che la liturgia di questo giorno ci riporta per ascoltare il seguito! Qui c’è una voce che grida nel deserto (Mc 1, 3b) perché scendere nuovamente in queste profondità? (Sal 129,1)
Il deserto di Giuda! E’ là che scorre, in fondo alla depressione del Giordano, il fiume più basso del mondo. Ed è lì che è sceso ed è cresciuto il figlio di Elisabetta e Zaccaria, per vivere nelle solitudini, da Gerusalemme, la città situata in cima ai monti. Il suo nome è Giovanni. (Lc 1,60; Gv 1,6)
Questo figlio della discendente di Aronne e del sacerdote preposto al servizio dell’altare, nel Tempio, rimasto a lungo muto dopo la comparsa dell’angelo, avrebbe forse definitivamente scelto di isolarsi e tacere?
Ma nulla attira gli uomini più di un autentico folle di Dio! Questa lampada che brilla nella notte (Gv 5,35) che se ne può vedere la luce dai bastioni della città. Allora, ci vien detto, Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la regione del Giordano vengono a lui. (Mc 3,5) E la voce del Precursore riprendendo testualmente quella del profeta, sorge di nuovo dal deserto e grida: Preparate le vie del Signore, spianate il suo cammino (Is 40,3; Mc 1,3b). E aggiunge ancora: Convertitevi, perchè il Regno dei cieli è molto vicino. Ecco che viene dopo di me, Colui che è più forte di me (Mt 3, 2.6).
Ai piedi del Precursore, venuto come testimone, per rendere testimonianza alla luce senza essere, per questo, egli stesso la luce (Gv 1,8), eccoli infine tutti radunati: i sacerdoti che celebrano nel Tempio, i leviti che prestano servizio all’altare, gli scribi che interpretano le Scritture, i dottori della Legge che cercano, i farisei che vogliono vivere nella giustizia, i sadducei che contestano, chini sulla tradizione, i pubblicani, i soldati e una folla di gente, tutti in attesa della salvezza annunciata.
Possiamo, a nostra volta, prendere posto tra di loro! Giovanni Battista non è sempre là ad indicarci Cristo? Ed ecco che la voce di colui che ha visto lo Spirito come una colomba discendere dal cielo e dimorare su di lui (Gv 1,32), risale fino a noi. Allora anche noi, aprendo gli occhi del nostro cuore, liberando la via della nostra anima da tutto ciò che la ingombra, al di là delle nostre paure, dei nostri dubbi, delle nostre mediocrità, guarderemo verso questo cielo aperto. E, illuminati dalla luce della nostra fede, possiamo ripetere come Giovanni che noi crediamo che lui è il Figlio di Dio, Il Redentore dell’uomo (Gv 1,34; Is 63,16).
Ma, guardando il mondo com’è e come vanno le nostre vite, possiamo dire che la salvezza è arrivata?
Sì, noi siamo salvati, come ci ricorda così bene, Papa Benedetto XVI, citando San Paolo, nella sua enciclica; ma lo siamo nella speranza1 Isaia non si è ingannato nell’annunciare la venuta dell’ Emmanuele, Consigliere Mirabile, Dio Forte, Padre Eterno, Principe della pace (7, 14; 9,5). Certamente il lupo e l’agnello, il vitello e il leoncello, la vacca e l’orsa, il bambino e il cobra non hanno ancora ritrovato la convivialità della prima creazione! Pure l’uomo, come non possiamo far altro che constatarlo, rimane ancora spesso “un lupo per l’uomo”.2 E da ogni parte infuria sempre “la lotta per la vita” o contro la vita.
Ma la salvezza è in cammino (Eb 5,9)! E la sua marcia non si fermerà. Cristo ne ha posto le fondamenta (1Cor 3,11). Noi sopra possiamo costruire! Il Messia annunciato è venuto. Abbiamo le sue parole di vita eterna (Gv 6,68). In verità, attendiamo cieli nuovi e una terra nuova, secondo la sua promessa, dove regni la giustizia (2 Pt 3,13). Nella sua luce, possiamo camminare nella luce (Gv 12,35-36). Ci ha resi tutti alla fraternità universale, rivelandoci che Dio, suo Padre, è veramente nostro Padre; e che in lui, con lui e per mezzo di lui, siamo realmente tutti fratelli (Mt 23,8). L’ascolto della sua Parola ci conduce alla verità. E l’accoglienza di questa verità ci apre alla vera libertà (Gv 8,22).
In Gesù Cristo il peccato è già perdonato e la morte, in lui, è stata vinta, una volta per tutte (Rm 6,10; Eb 7,27) Eccoci rinnovati dalla sua grazia redentrice, e tutti promessi alla condivisione della sua gloria eterna. Eccoci battezzati, non solo con l’acqua, ma anche con lo Spirito Santo e il Fuoco (Mt 3,8; Lc 3,16) Ad ogni Eucaristia, che è il memoriale della nostra salvezza, la Chiesa ci indica Cristo Gesù, proclamando: Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. E il Signore in persona viene a stabilire la sua dimora nei nostri cuori.
Ma il male è ancora lì! Paolo lo riconosce, rimaniamo tormentati, lacerati dal male che non vogliamo, ma che comunque commettiamo, e il bene che desideriamo, ma non riusciamo a compiere. (Rm 7, 14s) Pur salvato, il mondo resta ferito e l’uomo mortificato. Mille tentazioni ci assalgono e attanagliano le nostre vite. La fede è una lotta. La carità richiede uno sforzo ad ogni momento. Speriamo in ciò che non vediamo e tutti dobbiamo progredire assumendo la prova di un Dio che non sentiamo, né vediamo ancora…
Tutto questo è pure vero. Ma l’ultima parola - e questo è il cuore del messaggio dell’Avvento- appartiene sempre alla speranza. L’apostolo Pietro ci aiuta a comprendere questo, scrivendoci oggi: Il Signore non tarderà l’adempimento di ciò che ha promesso, come alcuni lo accusano di ritardo. Ma egli usa pazienza verso di noi, affinchè nessuno perisca, ma tutti giungano al pentimento (2Pt 3,9).
Allora non siamo ridotti a credere solo nella notte della fede. No, essa illumina le nostre anime! O sperare contro ogni speranza! E’ la forza dei nostri cuori. Con la grazia del cielo, possiamo amare Dio con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra anima, con tutta la nostra forza e con tutto il nostro spirito e il nostro prossimo come noi stessi (Lc 10,27). Noi possiamo compiere nel migliore dei modi il nostro dovere di stato lavorando onestamente e camminando con giustizia (Mi 6,8). Ma San Giovanni Battista, oggi, ci invita ad andare oltre e a fare di più. Convertitevi, ci grida, perché il Regno dei cieli è vicinissimo! E questo non dalle profondità del Giordano, ma dal cielo dove è entrato nella gloria. Preparate le vie del Signore, appianate i suoi sentieri (Mt 3,1-3).
Questo è l’Avvento. Il Signore si aspetta che noi collaboriamo attivamente alla sua opera di salvezza. Il Salvatore è venuto. Ma noi dobbiamo ancora accoglierlo nel profondo dei nostri cuori. E rivelare la sua Presenza a coloro che ne sono all’oscuro, ripetendo: In mezzo a voi, sta Qualcuno che voi non conoscete! (Gv 1,26)
Sì, questo è l’Avvento! Convertirci ancora a sempre a vivere secondo il Vangelo diventando così messaggeri di questo stesso Vangelo. Che passo avanti farebbe il mondo se tutti i cristiani del mondo, ad ogni Avvento si svegliassero, come ci è stato chiesto dal Dio Salvatore in persona, per crescere nella preghiera, nella giustizia e nell’amore, la rettitudine di vita, la gioia condivisa e la pace vissuta nel profondo del cuore!
Come sarebbe bello che questo tempo di grazie, possa avvicinare, nella comune attesa della stessa salvezza, tutti gli uomini di buona volontà (Lc 2,14).
Il pensatore ebreo Edmond Fleg, pensando al primo Israele, sempre in attesa del Messia e alla Chiesa di Dio, che spera sempre nel ritorno del Messia, ebbe a dire in un modo meraviglioso: “ E ora, entrambi siete in attesa, tu, l’ebreo, che venga e tu, il cristiano, che ritorni. Ma gli chiedete la stessa pace. E sia che venga, sia che ritorni, tendete la lui le vostre mani nello stesso amore. Che importa, allora? Sia da una riva che dall’altra fate in modo che venga! Fate in modo che venga!”
Maranatha, oh sì, vieni, Signore Gesù.
1 Rm 8,24; Benedetto XVI, Spe salvi facti sumus 2 Secondo le espressioni comuni: Homo homini lupus (Hobbes) e struggle for life. |
Omelia di fr. Pierre-Marie Delfieux IV Dom. Avvento anno B
Per nascere in noi come in Maria
Come è possibile? Non conosco uomo? (Lc 1, 34)
A volte facciamo fatica ad ammettere la profondità di questo mistero. E questo non tanto per un rifiuto a credere alla concezione verginale di Gesù. Anche l’Islam lo crede.
Tutte le domeniche, infatti, proclamiamo nel nostro credo, senza troppe esitazioni: si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo. Ma vorremmo, come lei, “comprendere” bene, non tanto il come (poichè tutto è possibile al Creatore di tutto ciò che vive) ma il perché ciò è dovuto avvenire?
Nel fatto stesso dell’Incarnazione del Verbo c’è qualcosa di così semplice e di così grande, tanto eccezionale, quanto familiare che noi ci sentiamo, nello stesso tempo, coinvolti e superati. Tentati a credere senza comprendere; o a non cercare di credere, nel timore di comprendere e quindi di dovere convertire la nostra vita. La venuta dell’Eterno tra gli uomini è contemporaneamente così lontana e così vicina a noi!
A pochi giorni dalla notte di Natale in cui tutta la cristianità resterà sveglia per celebrare la Natività del Salvatore in mezzo agli uomini, noi siamo invitati ad interrogarci: E se si celasse una vera meraviglia nel vivere e non solo nel contemplare il mistero che oggi viene manifestato (Rm 16,26)? Un mistero di cui ancora oggi il Vangelo ci rivela il segreto. Per meglio coglierlo nei nostri cuori, contempliamolo prima nel seno della Vergine Immacolata.
L’angelo Gabriele fu mandato da Dio ad una vergine. La vergine si chiamava Maria (Lc 1,26). Tutto comincia chiaramente da un’iniziativa divina. Ancora una volta dobbiamo cercare le luce delle cose della terra a partire da Colui che ci dice le cose del cielo (Gv 3, 12).
Era necessario, quindi, che ritornassimo verso di Lui! A causa dei nostri peccati, restavamo lontani dalla Casa del Padre: poveri, prigionieri, ciechi e oppressi, come dice il profeta Isaia (61, 1). Il Signore avrebbe potuto salvarci dal cielo e solamente con la grazia della sua Onnipotenza. Ma questo non era abbastanza per Dio amico degli uomini.
Allora, nella sua follia d’amore per noi (perché bisogna essere pazzi d’amore, essendo Dio, per abbassarsi per essere in tutto simile agli uomini), ha scelto, deliberatamente, di raggiungerci fino al nostro fondo (Fil 2, 6-8).
perchè in essa germogli il Dio venuto dal cielo? Un’anima abbastanza pura per accogliere in lei il Signore tre volte santo? Una donna sufficientemente immacolata per dare al mondo il Salvatore Innocente?
A ben riflettere, non poteva nascere da un padre carnale, colui che da sempre era già il Figlio del Dio Eterno. Ma non poteva divenire in tutto simile a noi (Eb 2, 17) senza nascere come noi, dalla carne della nostra umanità (Rm 8, 3).
Per questo dunque, prima fu concepita Maria purissima e piena di grazia (Lc 1, 28). La prima riscattata, ancor prima di nascere dal Salvatore che avrebbe dovuto dare alla luce. Eletta in lui, prima della creazione del mondo, per essere santa e immacolata alla sua presenza nell’amore (Ef 1, 4).
Al: Che sia la luce! Del primo giorno del mondo, lei ha risposto il: che si compia in me secondo la tua parola, alla pienezza dei tempi (Lc 1, 36; Ga 4,4). Al mondo non si era mai visto qualcosa di simile: un bambino che sceglie sua madre e una madre che plasma un corpo al suo Dio per ordine celeste! Per pura grazia e onnipotenza di Dio.
Un Figlio che rende sua madre conforme al suo desiderio (Ct 8,4) e una creatura che dà un corpo al Creatore di tutto ciò che vive! Ma nulla è impossibile a Dio (Lc 1, 37) (tranne costringere l’uomo ad amarlo). Soprattutto la risposta all’Onnipotenza del suo Amore è ricambiata da puro amore.
Allora, nella sua libertà sovrana, il Dio eterno ha voluto farsi per noi bambino. Per cui, il Consigliere Ammirabile, Dio Forte, Padre Eterno, questo bambino che ci è stato dato, si è fatto per noi, come annunciato dal profeta, misteriosamente, ma quanto realmente il Principe della Pace (Is 9, 5).
Eccola dunque sotto i nostri occhi, la donna che deve partorire colui le cui origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti (Mi 5, 1-2). La Vergine Madre, riconosciuta oggi perchè menzionata già negli scritti dei profeti e portatrice per noi, come dice l’Apostolo Paolo, di un mistero ora rivelato, da sempre rimasto nel silenzio ma oggi manifestato… e portato a conoscenza delle nazioni di cui noi facciamo parte. (Rm 16, 25-26)
Ecco colei alla quale l’angelo le rivolge, per la prima volta, quello che noi le ripeteremo tutti all’infinito: Rallegrati, Maria! (Lc 1, 27). Eccomi, sono la serva del Signore. La Vergine di Nazaret la cui casa è scavata nella roccia1, a cui l’Amato del Cantico ridice: Alzati, amica mia, mia bella e vieni! O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo volto, fammi sentire la tua voce, poichè la tua voce è soave e il tuo volto leggiadro. (Ct 2, 14)
Vuota di sè e piena di Colui che è tutto (Ef 1, 23), ella è tutto quello che si può essere davanti a Dio: una figlia, davanti al Padre, totalmente di suo Padre; una sposa, alla presenza dello Spirito, totalmente dello Spirito Santo; una madre, accanto al Figlio, totalmente di suo Figlio. Un essere ricolmo d’amore a disposizione di Dio che è amore. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità. * A dire il vero, anche noi abbiamo ricevuto dalla sua pienezza grazia su grazia (Gv 1,16). Questo è il secondo aspetto di questo mistero.
Cristo vuole anche dimorare in mezzo a noi (1, 14) fino ad abitare in ciascuno di noi (6, 56). Come dice Sant’Ireneo di Lione in una bella formula: “Il Verbo di Dio si è fatto Figlio dell’uomo perchè l’uomo si abitui ad essere abitato da Dio e per abituare Dio ad abitare nell’uomo”2 Quello che la Vergine Maria un giorno ha vissuto dicendo con tutta la sua fede un sì senza ripensamenti, possiamo viverlo anche noi ridicendo lo stesso fiat alla parola vivente e vivificante di Dio.
Possiamo diventare, come lei, madre di Cristo! Gesù stesso che lo ha detto: Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica (Lc 8, 21). Custodendo la sua Parola, noi la portiamo in noi; ora, questa Parola è Cristo in persona. Facendola portare frutto in noi, diamo corpo a Cristo (1Gv 5, 12-13). Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli costui è per me fratello, sorella e madre (Mt 12, 50). Sposare la volontà del Padre per puro amore, non porta forse a diventare per Lui, come una madre per suo figlio? Non è stato Davide a fare una casa a Dio, ma Dio ha fatto una casa a Davide ( 1Sam 7, 1....16).
Che Annunciazione per noi oggi! Sta venendo verso di noi Colui che vuole vivere in noi. Sta scendendo per noi Colui che vuole crescere in noi. Se tu conoscessi il dono di Dio (Gv 4, 10). Ora sappiamo che è Dio stesso! Come potremmo ormai dimenticarlo?
E’ il tempo di preparare il nostro cuore a diventare il presepio del Signore. Il Natale del primo giorno ha senso solamente se si prolunga in noi lungo i giorni. Ora, Dio è veramente più intimo a noi che noi stessi. Che annuncio fatto ai nostri cuori in questo annuncio fatto a Maria!
Basterebbe volere che si compia in noi secondo la sua Parola! Allora conosceremmo la gioia di contenere nel nostro cuore “Colui che l’universo non può contenere”.
1 Come testimoniano le ultime scoperte archeologiche di Nazaret. 2 Sant’Ireneo di Lione, Adversus Haereses I.
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Omelia di fr. Pierre-Marie Delfieux 18 dicembre - Ultime ferie di Avvento
L'annuncio a Giuseppe
L'annunciazione a Giuseppe che la liturgia ci presenta oggi ci fa avanzare nella luce del mistero di Cristo. Ci aiuta così a contemplare, a pochi passi dalla sua nascita a Betlemme, la figura di colui che fu suo padre legale, tramite il quale Gesù divenne veramente il discendente della stirpe di Davide.
Ma non è questo titolo di appartenenza alla tribù di Giuda che fa di Giuseppe di Betlemme il giusto, il saggio, il santo che la Chiesa si compiace di onorare. La santità di Giuseppe è grande. E' basata su un doppio dramma che ha, al contempo, duramente straziato il suo cuore e messo profondamente alla prova la sua fede.
Dramma nel suo cuore innanzitutto. Il giovane Giuseppe ha 18-20 anni. La giovane Myriam ne ha 15-17. Giuseppe e Maria! Si amano. Da qualche tempo, ella gli è promessa. Lei gli è, come si dice, accordata in matrimonio. Sono fidanzati. Giuseppe non può dimenticare la gioia provata nel suo cuore il giorno in cui questa figlia della luce giovane, chiara, verginale - in fondo al suo cuore, lui che la vede in tutta la luminosità del suo amore nascente si compiace di dire: immacolata!-, non può dimenticare il giorno in cui Maria gli ha detto sì.
Ma ecco che l'impossibile è accaduto! Non sa ancora come ella ha potuto dirglielo; ma in ogni caso è proprio quello che ha finito per confidargli: ella è incinta. Maria è incinta! Solo coloro che sono passati per la sofferenza che può causare lo strazio di un amore spezzato - e tanto più crudelmente in quanto tutto lo diceva indistruttibile-, possono comprendere il dramma che ha potuto vivere allora quel figlio di Giuda, nella solitudine dei suoi 20 anni. Per quanto ci rifletta e ci ragioni, per quanto ammetta o cerchi di rifiutare il fatto, taccia, pianga, gridi, il fatto è lì: Maria è incinta. E dunque ella lo ha ingannato!
Ma il dramma di questo cuore straziato non si ferma lì. La legge del Levitico che lui deve seguire lo obbliga a denunciarla. Come infatti non ripudiarla? Bisogna ripudiarla! Giorni di angoscia, notti di insonnia, marce solitarie, folli, interminabili, attraverso le colline aride della Giudea, le valli boscose della Galilea. Il Deuteronomio è chiaro su ciò che bisognerebbe fare: se ella viene denunciata, sarà lapidata (22,24). Giuseppe ha consultato gli scribi. I testi sono inequivocabili: se una promessa sposa ha ingannato il suo fidanzato, la si farà uscire sulla porta della casa di suo padre e i suoi concittadini la lapideranno finchè sopraggiunga la morte.... e la Torah conclude: Così farai sparire il male da dentro di te (Dt 22,20-21).
Sì, dramma nel suo cuore che adesso lo strazia tra ciò che gli detta la legge e ciò che un amore più forte della morte non riesce a soffocare in lui! E sono di nuovo ore, giorni e notti.... E' la notte! La notte in cui Giuseppe cerca disperatamente nei salmi di consolazione e nelle esortazioni dei profeti di Israele come uscire da quella “impasse”, come sopravvivere ad una simile lacerazione..... E a poco a poco, questo giovane uomo, questo giusto, Giuseppe che è un uomo giusto,ci dice San Matteo, non volendo denunciarla pubblicamente, decise di ripudiarla in segreto (1,19).
E' allora che le insonnie di Giuseppe, come nella vita del suo lontano avo, il figlio di Giacobbe di cui porta il nome, cedono il posto al sogno. L'uomo dal cuore straziato si apre alla luce di Dio se lascia il suo cuore orientato alla giustizia e alla misericordia. E nella notte, ecco che appare una luce nuova. E' come se un angelo gli avesse parlato! E in verità un angelo di Dio gli ha parlato: Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua promessa sposa; il bambino concepito in lei viene dallo Spirito Santo (1,20). Dalla Ruah Adonai!
E al dramma del suo cuore, travagliato dalla prova, fa seguito allora il dramma della sua anima, straziata nella sua fede. Se l'angelo dicesse il vero? Se anche Maria che glielo aveva detto in quei termini, dicesse il vero? Quando lei gli parlò, come sembrava sincera! Sì, nello sguardo di Myriam mentre gli raccontava tutto ciò, che luce stupefacente, nella sua voce, che accento di verità! Come non riconoscerlo?
Allora Giuseppe si mette a pregare. Va alla sinagoga, riparte sui sentieri, prolunga le sue serate in lunghe meditazioni, riflette, si prostra, scruta le Scritture, grida al cielo. Ascolta, Signore, il mio grido di richiamo, pietà, rispondimi! Insegnami, Signore, la tua via, guidami sul diritto cammino (Ps 27,7.11). Un salmo gli ritorna alla memoria: Il Signore l'ha giurato a Davide, verità che non ritratterà, è il frutto uscito dalle sue visceri che metterò sul trono fatto per te (Ps 132,11)
Ma non è, lui, il discendente di quel Davide? Ritorna al salmo che continua così: I suoi giusti, li colmerò di benedizioni, i suoi poveri, li sazierò di pane (Ps 132,15). Il Dio della manna non è capace di far nascere un pane vivente? Cosa sa dopo tutto lui, il falegname? La vecchia Sarah ha avuto torto a ridere, poiché niente è impossibile a Dio (Gn 18,13-14) E questo, oggi, è Maria che lo ridice!
E il salmo continua: Affermerò la stirpe di Davide, appronterò una lampada per il mio Cristo. Una lampada? Una lampada per il Messia? E quel figlio della vecchiaia, quel figlio della sterile d'Ain Karim, incapace di generare, quel figlio della cugina di Maria, quel figlio impossibile di Elisabetta: non è forse al suo sesto mese? Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, Dio di Anna e di Manoah, abbi pietà di me! Un testo di Isaia sale al cuore di Giuseppe: Ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio al quale darà il nome di Emmanuel (Is 7,14). Un passaggio di Geremia gli torna alla memoria: Ecco venire i giorni quando susciterò a Davide un germe di giustizia! E se la promessa attesa da secoli si compisse in questo giorno? Se il Salvatore fosse il figlio di Maria? Sarebbe venuto il giorno, annunciato dal profeta Michea, nel quale deve partorire quella che deve partorire (Mi 5,2)?
Ma come credere che il Messia, sia il bambino di quella che ha visto giocare, crescere, pregare, nelle viuzze di Nazareth in Galilea? Come credere che l'Altissimo, Adonai, abbia scelto quella che per lui era Maria? Che il Dio dell'eternità abbia scelto questi tempi per inviare al mondo il Salvatore promesso? E che il Messia, Figlio di Davide, venga oggi per tramite suo?
Quando Giuseppe ebbe superato il dramma del suo cuore straziato e della sua fede provata, allora si aprì alla luce della pace. E anche lui,come Maria, fece ciò che Dio si aspettava da lui. Quando Giuseppe si svegliò, ci dice San Matteo, fece ciò che l'angelo del Signore gli aveva detto e prese con sé la sua sposa (1,24) E Gesù potè avere un padre secondo la legge, un padre legale che gli da un'ascendenza, un giusto tramite il quale lui divenne, il figlio della Vergine Maria, concepito dallo Spirito Santo, il vero discendente di Davide, come stava scritto.
San Giuseppe, concedi anche a noi di credere e di amare. Di credere in Gesù e di amare il Cristo. Di credere e di amare Gesù-Cristo. Sì, vieni,Gesù, figlio di Giuseppe, figlio di Davide, Figlio di Dio nato dalla Vergine Maria!
©FMG traduzione da Sources Vives n°136 pp. 80-85
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Omelia di fr. Pierre-Marie Delfieux 19 dicembre - Ultime ferie di Avvento
L'annuncio a Zaccaria
“Tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, che chiamerai Giovanni... Camminerà innanzi al Signore, per ricondurre i cuori padri verso i figli” (Lc 1, 13. 17). Ricondurre i cuori dei padri verso i loro figli... Che espressione sconcertante, se ci riflettiamo! Ma quanto è ricca di insegnamenti se la meditiamo alla luce della Storia sacra!
Da un certo punto di vista, si può dire che la Storia sacra è una storia di figli. E' una storia di nascite miracolose, che a forza di accadere, di succedersi, di sommarsi le une alle altre, assumono il colore della prefigurazione e della profezia. Miracolosa nascita di Isacco, di cui Abramo fu il padre. Inattesa nascita di Giuseppe, di cui Giacobbe fu l'origine. E tutta una serie di donne sterili, ma oggetto della misericordia divina, come Sara e Rachele, Anna e la moglie di Manoah, si apprestano a dare alla luce, la prima un patriarca, un'altra un giudice, un'altra un profeta.
Un secondo motivo di stupore: Viene messo al primo posto il figlio cadetto, a scapito, il più delle volte, del primogenito. Così Isacco prende il posto di Ismaele, Giacobbe passa avanti ad Esaù, Efraim viene benedetto prima di Manasse. E Salomone, nato per secondo, diventa il primo... Come non guardare alla nascita di tutti questi figli per cercare di decifrare il disegno di Dio celato nel cuore di questo lungo cammino della storia della salvezza?
sulla nascita di colui la cui apparizione sulla terra è come il punto culminante di tutta quell'attesa durata secoli. Ecco, ora siamo nel cuore stesso della Città santa, nel punto più centrale, vitale e sacro del Tempio alla destra dell'altare dei profumi, nel Santo dei Santi.
Elisabetta e Zaccaria sono portatori, a causa della loro ascendenza sacerdotale e per la santità stessa della loro vita, di ogni grazia dei giusti e dei sacerdoti. Ma nella loro condizione di vecchiaia e per la loro preghiera, essi rappresentano come l'ultimo anello di tutta una lunga catena di speranza secolare. E l'angelo del Signore ha appena annunciato ad essi, ancora una volta, la nascita di un figlio. Ma di un figlio che sarà totalmente rivolto alla Natività di un altro piccolo bambino, del quale apprendiamo che sarà il Signore in persona e rispetto al quale Giovanni sarà il precursore.
Dunque, che cosa ci insegna questo racconto? Innanzitutto, che Dio mantiene le sue promesse. Di grazia in grazia – poiché tutto è grazia - il Signore conduce il suo popolo sui sentieri della pace. E colui del quale oggi ci viene annunciata la nascita porta giustamente il nome del tutto nuovo di Giovanni, che significa eloquentemente che Dio ce l'ha voluto donare per grazia. Ogni filiazione è una benedizione perché essenzialmente è un dono. La vita non viene data dall'uomo, ma soltanto trasmessa. E, per ricordare questa verità agli uomini, Dio si compiace di gratificarli così, permettendo, anche alla sterilità, di conoscere, per grazia del tutto speciale, una vera e autentica fecondità.
Così fin da ora impariamo ciò che ben presto ci sarà pienamente rivelato: che dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto, e grazia su grazia (Gv 1,16). Colui che, ieri, ha donato Isacco ad Abramo e Sara, Giuseppe a Rachele e Giacobbe, Samuele ad Anna, Sansone alla moglie di Manoah, lo stesso Signore oggi dona un figlio ad Elisabetta e a Zaccaria e, al mondo intero, un precursore per il suo Messia.
L'altra grande lezione del racconto della nascita di Giovanni Battista consiste nel ricordarci che egli nasce effettivamente per ricondurre il cuore dei padri verso i figli. Non dei figli verso i padri, come ci si potrebbe aspettare, in segno di venerazione o di riconoscenza: ma dei padri verso i loro figli, come invito alla contemplazione. Sì, è questa la vera direzione della nostra speranza nuova! Quello che già , in due occasioni , la sacra Scrittura ci aveva detto, nel Siracide (48, 10-11) e in Malachia (3, 24) - e che , nella nostra Bibbia cristiana, ci viene detto nell'ultimo versetto del Primo Testamento -, l'evangelista Luca ce lo ripete oggi. Quindi, al di là di tutte queste figure di figli delle promesse divine, è verso il Figlio unico della promessa infine compiuta, che dobbiamo ormai orientare il nostro sguardo e il nostro cuore. La manifestazione di Dio che instaura la sua salvezza tra gli uomini dev'essere cercata da ora in poi sul viso di un piccolo bambino, di cui quest'altro piccolo bambino,in quanto profeta dell'Altissimo, Giovanni Battista, viene ad annunciare la venuta. Di Colui che è il sole che sorge … che dirige i nostri passi sulla via della pace (Lc 1, 78-79). Dopo le sei nascite prodigiose che il Primo Testamento ci ha raccontato, generate da tutte quelle donne sterili che Dio ha accolto nella sua misericordia, ecco che ne viene annunciata la settima nella persona del Figlio della Vergine Immacolata.
ecco, Zaccaria è muto ed Elisabetta conserva in sé ogni cosa in gran segreto. In questo momento, tutto tace. La terra trattiene il respiro. I profeti non hanno più parole da annunciare. I sacerdoti non hanno nulla da insegnare. Né le donne sterili hanno canti da fare. Bisogna alzare gli occhi ancora più in alto dell'altare del tempio dal quale sale l'incenso. Oh Sapienza uscita dalla bocca dell'Altissimo... (liturgia) Mentre un silenzio profondo avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo corso, la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale …si lanciò (Sap, 18, 14-15). Insieme ad Elisabetta, come Maria ci ha insegnato, meditiamo innanzitutto ogni cosa nel nostro cuore. Insieme a Zaccaria, come Giuseppe ci ha dato l'esempio, conserviamo nel silenzio della nostra intimità il mistero da contemplare.
Dio mantiene sempre le proprie promesse. Un Figlio totalmente nuovo sta per esserci donato. Tutti i cuori dei padri si volgono già verso di lui. Non lasciamo sfuggire, nemmeno noi, la Natività di Colui che viene, il cui nome già rivelato a Giuseppe è, né più né meno, che l'Emmanuele.
©FMG traduzione da Sources Vives n°136 pp. 91-95
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Omelia di fr. Pierre-Marie Delfieux 20 dicembre - Ultime ferie di Avvento L'Annuncio a Maria Chi è colei che un angelo del cielo è venuto a salutare sulla terra degli uomini? Chi è colei che l'inviato di Dio definisce piena di grazia portandole la promessa di diventare madre di un bambino grande e santo? Chi è questa figlia di Israele su cui oggi discende la potenza dell'Altissimo e la forza dello Spirito Santo, come mai era stato concesso ai grandi sacerdoti, ai profeti e ai re? * Questa Vergine che il cielo saluta con gli angeli e i santi, che la Chiesa della terra canta e prega in questo giorno, è Maria. Una fanciulla, davanti al Padre, tutta del Padre. Una sposa, davanti allo Spirito, tutta dello Spirito. Una madre, davanti al Figlio, tutta del Figlio. Una creatura con il cuore pieno di amore, davanti a Dio che è solamente amore: Padre, Figlio e Spirito Santo. Un essere umano che non ha niente d'altro di particolare se non questa perfetta disponibilità, questo abbandono totale alla volontà del Signore; questa volta senza riserve, al solo desiderio divino. Tutta la sua santità consiste nel fatto che lei ha pienamente accolto nel suo cuore quella di Dio. Del Dio santo, santo, santo, tre volte santo. Lei che non è nient'altro che Amen alla gloria di Dio (2 Cor 1,20) a tal punto da essere del tutto inondata, come é d’uopo, da questa gloria divina (Gv 17, 22-24), promessa a chiunque sia aperto a questa grazia dall' Alto. Santa Maria: Figlia di Dio, Sposa di Dio, Madre di Dio! Da allora in poi Maria non è più per noi l'eccezione che si distingue, il privilegio che si differenzia, il caso che si fa esclusivo. Sì, lei resta la prima! Ma la prima dell’umanità intera chiamata, come lei, a condividere la stessa grazia, di cui Dio vuole che tutti siamo riempiti: la grazia della filiazione, della nuzialità, della maternità. Ecco il mistero, in tutta la sua luce. E ci riguarda tutti, qui, in questo giorno. * E' Maria la figlia perfetta di Dio? Lo è per insegnare a tutti noi come avere, sul suo esempio, l’anima di un bambino; un cuore pieno di fiducia e di abbandono; perché veramente Dio è nostro Padre. Un Padre di tenerezza che vuole riempirci tutti del suo amore. Un Donatore di pace che vuole cacciare lontano da noi ogni tipo di paura. In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei cieli (Mt 18,3) Perciò chiunque si farà piccolo come la serva del Signore, costui è il più grande nel regno dei cieli (18,4) La santità di Maria quindi deriva dal fatto che lei si è comportata come la figlia perfetta di Dio nostro Padre; e noi possiamo tutti, come lei, dire a Dio: Padre Nostro (Mt 6,9; 23,9; Gv 20,17). La sua completa disponibilità al Signore ne ha fatto in seguito la sposa perfetta. Così lei è stata in grado di dire il sì perfetto secondo il desiderio dello Spirito. Ma il fuoco dell'amore di Dio arde anche per noi, perché Egli ci ma tutti, non soltanto come un Padre, ma anche come uno Sposo. E' perché ci vuole sedurre, condurci nel deserto e parlare al nostro cuore, per fidanzarci a lui per sempre, nella tenerezza e nel diritto, nella giustizia e nell'amore (Os 2, 16.22). Dicendo sì totalmente a questa Alleanza nuova ed eterna, Maria ci insegna a ridire tutti insieme a lei lo stesso sì all'amore infinito di Dio. Di questo Dio, come dice la Scrittura, che vuole essere il nostro Sposo pur essendo il nostro Creatore (Is 54,5)! Lo Spirito stesso, si unisce al nostro spirito, ci dice l'Apostolo (Rm 8,16). Lo Spirito e la sposa, che noi dobbiamo essere, dicono: Vieni! canta l'Apocalisse (22,17). Sì, vieni Signore Gesù (Ap 22,20), possiamo rispondergli noi, con Maria, in questo giorno.
E il Figlio è venuto, si è incarnato nel seno della Vergine. La figlia degli uomini è divenuta Madre di Dio. La prima riscattata è divenuta donna immacolata. Per pura grazia divina. Perché in lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità (Ef 1,4). Per accogliere in noi questa stessa presenza viva e santa che è quella del suo Figlio Verbo di Vita. Perché il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14). Si è fatto pane vivente ed è venuto ad abitare in noi (Gv 6, 51-56). Eccoci tutti invitati a diventare, come Maria, madre di Cristo. Sì, come Maria, possiamo portare il Corpo di Cristo e generare anche noi delle membra per Cristo. In verità, vi dico, chi ascolta la mia parola e la mette in pratica, egli è mio fratello e mia sorella e mia madre (Mt 12,50; Lc 8,21). * Maria, tu che sei della nostra stirpe, nostra madre e nostra sorella maggiore, guidaci a questo mistero della filiazione, della nuzialità e della maternità. In questo mistero d'amore della Santa Trinità. Maria che la tradizione ama vederti nascere, crescere e addormentarti, nella sera ultima della tua vita, vicino al Tempio di Gerusalemme, in terra di Giuda, tu, la figlia di Sion; Maria che sei venuta un giorno a presentare Gesù al Tempio di Gerusalemme, quando era bambino, che sei venuta a cercarlo qui quando aveva dodici anni; Maria che sei salita con lui a Gerusalemme, per vivere lì, accanto a lui, la sua morte in croce e condividere la gioia della resurrezione; Maria, che hai ricevuto con gli apostoli l'effusione dello Spirito, nel Cenacolo di Gerusalemme, il giorno di Pentecoste; Nostra Signora di Gerusalemme, prega per noi, poveri peccatori, perché la grazia di Dio che ti ha riempito, faccia anche di noi dei santi! Amen
©FMG traduzione da Sources Vives n°136 pp. 101-105
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Omelia di fr. Pierre-Marie Delfieux
21 dicembre - Ultime ferie di
Avvento Il messaggio di Ain Karim
Due donne. Al culmine della gioia umana e spirituale. Due bambini. Frutti inattesi e meravigliosi della benevolenza divina. La vecchiaia ricompensata e la gioventù colmata di grazia. Alle porte di Gerusalemme, la città degli uomini aspettando la venuta di Dio. La brezza del giorno soffia dolcemente sulle colline di Ain Karim. La primavera della Giudea bagna con i suoi sentori l'allegrezza di questo incontro. Se ne ha già il cuore tutto colmo di cantico e di cantici: sulla terra i fiori si mostrano, la stagione viene dei dolci canti. Il verso della tortorella si fa sentire. Il fico forma i suoi primi frutti e le vigne in fiore esalano i loro profumi.(Ct 2,12-13)
Queste due donne e i loro due bambini non sono là tuttavia per intenerirsi in dolci sentimenti. La vera rivelazione sta per cominciare nel modo più chiaro e più forte, e valida per noi nel modo più attuale e più concreto. Ascoltiamo dunque, successivamente, ciò che hanno ad insegnarci, in quest'oggi benedetto, Elisabetta, Maria, Giovanni Battista e Gesù.
Nella casa del sacerdote Zaccaria ridotto al silenzio (Lc 1,20), dove si tiene nascosta già da sei mesi, ecco Elisabetta, ben avanti in età (1,7). Ma, una volta di più, l'impensabile miracolo si è appena compiuto. Per la sesta volta, una donna sterile partorirà. Dopo le tre spose di tre patriarchi, Sarah, Rebecca e Rachele, ugualmente colpite da sterilità; dopo la madre del giudice Sansone e Anna, madre del profeta Samuele, che, entrambe, non potevano neanche loro avere figli; ecco che la discendente di Aronne, la sposa del sacerdote Zaccaria, lei che si diceva sterile (Lc 1,5.36), porta nel suo seno invecchiato, un meraviglioso frutto di vita!
L'insegnamento è eloquente: da soli, né i patriarchi, né i giudici, né i profeti, né i sacerdoti possono dare la vita e, meno ancora, assicurare la salvezza. Ma Dio, nella sua onnipotenza e bontà, veglia sul suo popolo con sollecitudine.
Possiamo tutti far fiducia nel Signore. Egli rimane colui che mantiene fedelmente tutte le sue promesse. Anche se le nostre vite ci sembrano apparentemente improduttive, e se, passando gli anni, potremmo essere tentati di dirci che restano ben sterili, la grazia di Dio ci rimane donata. Con Elisabetta, possiamo sempre accogliere in noi, la sua forza che trionfa nella nostra debolezza (2Co 12,9) e la sua vita che, come l'aquila, rinnova la nostra giovinezza (Ps103,5;Is40,31) Come Elisabetta, dobbiamo saperci stupire e, come lei, meravigliarci! Uscire dalla routine di una vita dove, apparentemente, non succederebbe niente, per rallegrarci ancora e sempre di questa salvezza che viene verso di noi.
Poiché oggi stesso, nella mia casa, il Figlio di Dio in persona si propone di dimorare!(Lc19,5) Il Signore eterno in persona si presenta a me sotto le sembianze di un piccolo bambino. Sì, beati quelli che hanno creduto nel compimento di ciò che era stato loro detto da parte del Signore!(Lc1,45;Gv20,29)
Allora appare Maria. Ain Karim è situata ad ovest di Gerusalemme, dal lato del tramonto. Ma ecco che a oriente, venuta da Nazareth attraverso la valle del Giordano, avanza adesso, sulle colline dell'altopiano, colei il cui nome significa: Stella del Mattino chi è dunque colei che sale dal deserto portando il suo Ben-amato?(Ct 8,5)
E' la Vergine di Nazareth, non più la donna sterile, ma la giovane piena di grazia (Lc 1,27-28). Tutta colmata com'è dalla potenza dell'Altissimo che l'ha presa sotto la sua ombra (1,35) Lei non ha potuto che partire in fretta (1,39) verso le alture della Terra Santa. Cosa la tratterrebbe? Nè i rischi della strada, né il peso del suo bambino nel suo ventre, né la lunghezza del cammino possono frenarla. E, senza dirci nulla di ciò che la rende così determinata, lei insegna a tutti noi, ancora oggi, (proprio) tramite ciò che motiva intrinsecamente il suo viaggio.
Guardiamo bene. Lei viene in primis per vedere. Per vedere l'opera di Dio all'opera nel mondo. Per vedere quella grazia insigne, di cui le ha parlato l'angelo e di cui ha beneficiato Elisabetta, sua cugina (1,36). Dobbiamo saper guardare, anche noi, ricercare le manifestazioni della bontà di Dio (1,78) di cui le nostre vite e questo mondo sono ugualmente colmate. E' sempre una gioia contemplare la grazia divina all'opera nelle anime.
Lei viene per servire. Poiché non basta credere e rendere grazia. Solo conta la fede operante nella carità (Ga5,6). Accorrendo in aiuto della sua anziana parente incinta, Maria ci ricorda questo primato del servizio spontaneo e dell'amore umile che è alla base e al vertice di ogni vita di santità.
Lei viene anche per testimoniare. Per testimoniare il grande mistero dell'Incarnazione iniziato in lei e che lei si affretta a condividere. Non si può vivere il Vangelo senza annunciarlo. Siate sempre pronti,ci dice l'apostolo Pietro, a rendere conto,a chiunque ve lo chieda, della speranza che è in voi (1P 3,15).
Lei viene per obbedire a Dio. Non per curiosità o per il semplice desiderio di viaggiare. Ma attirata in avanti dallo Spirito che è sceso su di lei (Lc 1,35), e spinta da dentro dalla segreta ispirazione dello stesso Gesù. E' sempre all'ascolto di Cristo che dimora in noi (Gv 6,56) e dello Spirito che ci guida con la sua luce di verità, che dobbiamo avanzare sulle vie della vita.
Allora Maria finalmente si ferma. Arresta la sua corsa. Si siede per meditare. Si inginocchia per pregare. Rimane nella casa, circa tre mesi, come l'arca dell'alleanza nell'attesa del suo ingresso nella Città Santa (2S6,11; Lc1,56).
Pur essendo noi sulla terra viaggiatori e stranieri, dobbiamo saperci sedere, anche noi, in presenza di Dio. E gustare, ogni giorno, ogni domenica, come qui e in questo istante, la pace e la gioia di rimanere un poco presso di Lui. Dobbiamo, come Maria, restare gioiosamente, attenti a questo Ospite interiore. Volgerci, serenamente, sulla nostra propria vita, per interrogarla e costruirla nella linea di quella presenza che ci abita nel più intimo. Non sono più io che vivo, è il Cristo che vive in me (Ga 2,20). Ed ecco adesso il Precursore. Per condurci a Lui, Giovanni Battista è sempre là, testimone quotidiano e messaggero incessante del Signore. Impercettibile sussulto nel seno di sua madre oggi, sarà, domani, la voce che grida nel deserto (Gv 1,23). Ma questo sussulto d'allegria che precede la sua nascita annuncia la gioia perfetta che testimonierà prima della sua morte (Lc 1,44). Infatti, da quel giorno, eccolo santificato dalla vicinanza del Cristo e tutto riempito, tramite il Verbo, della potenza dello Spirito.
Come Giovanni, anche noi, siamo tutti un frutto gratuito della bontà di Dio. Possiamo, anche noi, sussultare d'allegria. Ci ha scelto tutti per dare, tramite le nostre voci, l'eco percepibile del suo Verbo di Vita (Gv 15,16; Rm 10,14-17). Non vi è alcuna tristezza ad annullarsi davanti a un tale Redentore, poiché, quando noi diminuiamo davanti a Lui, è Lui stesso che cresce in noi.
E, con l'umile accoglienza della Sua vita, il nostro intero essere è sempre più divinizzato. Non vi è altro segreto per introdurci, anche noi, nella condivisione della gioia perfetta (Gv 15,11;16,21;17,13;1Gv1,4).
E, per finire, ecco Gesù. Ancora invisibile, ma quanto presente! Dei quattro qui riuniti, è il più importante. Niente di quello che è stato fatto è stato fatto senza di Lui ed è per mezzo di Lui che tutto è stato creato (Gv 1,3;Col 1,15-20; Ef 1,10) Per quanto grandi siano queste due donne, esse sono, ognuna, superate dal loro proprio figlio. Elisabetta dal Precursore e Maria dal Salvatore. E se Giovanni Battista è il più grande dei figli di donna, il più piccolo nel Regno di Dio - cioè il Dio eterno divenuto piccolo bambino - è ancora più grande di lui (Mt 11,11). Una volta ancora, l'ultimo nato è il primo! Il Primo-nato di tutte le creature.
è già manifesto. Lui è là, in mezzo a voi, qualcuno che voi non conoscete (Gv 1,26); ma, fin dal primo passo della Sua venuta, il Precursore ha sussultato. Infine, eccoci qua! I tempi sono compiuti (Mc 1,15). Il giorno è arrivato in cui partorirà colei che deve partorire. Ormai, la sua potenza si stenderà fino alle estremità della terra e lui stesso sarà la pace (Mi 5,2-4). Tutto ciò che annunciavano la Legge, i profeti, i saggi e i salmi potrà compiersi. Tu non volevi né sacrifici né offerte, ma mi hai formato un corpo. Allora ho detto:eccomi, o Dio, vengo per fare la tua volontà. (Eb 10,5-10) E questa volta, eccomi, è Dio stesso che ce lo dice!
Con e tramite Colui che viene per fare di noi dei veri figli di Dio, potremo infine rinascere (Gv 3,3-7;Rm 8,14-17). Come Elisabetta, Giovanni Battista e Maria, possiamo essere, anche noi, riempiti di Spirito Santo, per divenire, insieme, ciò che siamo: il Corpo di Cristo, per la Gloria del Padre.
©FMG traduzione da Sources Vives n°136 pp. 111-117
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Omelia di fr. Pierre-Marie Delfieux 22 dicembre - Ultime ferie di Avvento
Cantare la Sua gloria, come Maria!
che, all’istante, sanno rendere grazie e cantare al Signore un cantico nuovo; e questo dal primo momento in cui hanno udito la sua chiamata o intravisto le meraviglie del suo amore, come sono giusti e veri! * Dal momento della nascita di Giovanni Battista, Zaccaria intona il Benedictus. Dal momento in cui Maria giunge a casa sua, Elisabetta proclama le lodi di Dio. E, in risposta, oggi, Maria in nome d’Israele suo servo, canta all’Onnipotente la sua Misericordia che si estende di generazione in generazione su coloro che lo temono (Lc 1, 46.50).
Ancora prima di contemplare tra le braccia il Figlio nato dalla sua carne vergine, l’Emmanuele delle promesse divine, ella canta! Canta, Maria! Canta rendendo grazie a Dio che ha dispiegato la potenza del suo braccio e rovesciato i potenti dai troni, per innalzare gli umili. E ancor prima del canto degli angeli nella notte della Natività colma di allegria, il suo spirito esulta in Dio suo Salvatore.
Forse, in questo modo, Maria ci dà l’esempio dello slancio spontaneo che sà dirigersi verso Dio, per dirgli che è lodato, benedetto e glorificato, al di là di tutte le lamentele e recriminazioni, o ritornelli ripetuti incessantemente costituiti da frasi fatte o da canzoncine ripetute a non finire nei mass-media. A dire il vero, infatti, Dio per noi poveri peccatori e umili servi compie incessantemente delle meraviglie.
In questo modo, forse, la Vergine Maria ci ricorda che è giusto e vero solamente il cristiano che sa vivere nell’azione di grazie; dato che tutto è grazia in verità, e tutto dipende dal Dio di tutte le benedizioni. Paolo, infatti, non esita a scrivere, che il Padre ci ha predestinati per vivere a lode della sua gloria (Ef 1, 3.12-14).
C’è sempre in noi la parte di Eva che vorrebbe invidiare, gemere, lamentarsi, accusare. Ma c’è anche la parte di Maria che vuole insegnarci a donare, lodare, perseverare nella fede e nella pace, ringraziare. “Eva, dice Elredo di Rielvaux, un mistico del XII secolo, nonostante sia stata creata in paradiso, senza corruzione nè macchia alcuna, senza infermità, nè dolore, si è rivelata tanto debole e fragile! Chi, dunque, troverà la Donna forte che ci è promessa dalla Scrittura? Potremo trovarla nella nostra terra di miseria, se non è stato possibile trovarla nella beatitudine del paradiso? E Elredo proclama: “Oggi, Dio Padre ha trovato questa donna; l’ha trovata per santificarla. Il Figlio l’ha trovata per dimorarvi. Lo Spirito Santo l’ha trovata per illuminarla. E l’angelo l’ha trovata per salutarla dicendo: Rallegrati piena di grazia, il Signore è con te.”
Anche noi abbiamo trovato colei che Dio ci ha donato; colei che si è donata a Dio e a cui Dio si è donato; colei attraverso la quale Dio ci è stato dato!
Ci fa bene volgere i nostri sguardi verso colei che rappresenta e annuncia l’aurora dei tempi nuovi! Sì, in questo 22 dicembre all’approssimarsi della notte più lunga, del solstizio d’inverno, Maria vi viene indicata come l’ultima sentinella che veglia nell’ora ultima di questo lungo cammino di tutto un popolo nelle tenebre e nell’ombra della morte (Is 9,1; Mt 4, 16). E con lei, volgiamo i nostri sguardi verso il Salvatore che viene ad illuminare la nostra notte, poiché è il Verbo, luce vera che illumina ogni uomo che viene nel mondo (Gv 1,9).
Oggi, con tutto il popolo biblico, che dispiega il suo lungo e laborioso corteo della sua attesa, a partire da Adamo, fino ad Elisabetta e Zaccaria, Maria canta nell’azione di grazie, per tutte le donne sante, per tutti i saggi, per tutti i profeti, tutti i compositori dei salmi, tutti i re e tutto il popolo degli anawim che la precedono.
Ma lei canta anche per noi e con noi che insieme formiamo il Corpo di Cristo, con tutti quelli che, di generazione in generazione, ridicono: Maranatha, a Colui che è già venuto e ritorna, coloro che ogni sera, ridicono instancabilmente a Dio, come Maria, con Maria: Magnificat!
©FMG traduzione da Sources Vives n°136 pp. 123-125
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Omelia di fr. Pierre-Marie Delfieux 23 dicembre - Ultime ferie di Avvento
La natività e il nome di Giovanni
Elisabetta ha parlato. Contrariamente a tutte le abitudini, a tutte le tradizioni, nonostante i vicini e i parenti riuniti in quel giorno per festeggiare il nome e la circoncisione di questo figlio inaspettato dalla vecchiaia sterile, lei dice: no! (Lc 1, 60) Volevano chiamarlo Zaccaria come suo padre (Lc 1, 59). Ma lei, la discendente di Aronne, ricordandosi del modo in cui Dio le ha fatto grazia (1, 78), nella sua tenerezza misericordiosa, vuole che il nome di questo bambino, profeta dell’Altissimo, che andrà innanzi al Signore per preparargli le strade (1, 76), manifesti il dono di una tale grazia. Ricordandosi di come egli aveva sussultato di gioia nel suo grembo il giorno in cui ebbe l’onore che la madre del suo Signore venisse da lei (1, 43), Elisabetta decretò: Il suo nome sarà Giovanni! Cioé: Dio fa grazia.
Questo le dice imperativamente lo Spirito di Dio. E Zaccaria, nonostante la sua sordità che lo obbliga a parlarle a gesti (1, 62) e la sua incapacità di parlare che lo obbliga chiedere una tavoletta, Zaccaria conferma, in quel momento, alla luce dello stesso Spirito, questo nome che infrange tutta una tradizione, così come l’angelo glielo aveva annunciato, in piedi, a destra dell’altare dell’incenso. Il suo nome è Giovanni, scrive Zaccaria, il sacerdote del Tempio di Dio. Una grande meraviglia riempie la casa, non soltanto a causa di questo nome che infrange le abitudini, ma soprattutto per il fatto che con ogni evidenza, Dio ha parlato.
Il giorno che il profeta Malachia aveva annunciato sta per sorgere. Ecco vi manderò Elia, il profeta prima che venga il giorno del Signore… e ricondurrà il cuore dei padri verso i figli e dei figli verso i padri (Mal 3, 23-24), oggi dichiara l’ultimo testimone dell’antica alleanza. E oggi, infatti, si è accesa una lampada nella notte. Sì, proprio nella notte più lunga si prepara già la visita del sole che sorge (Lc 1, 18). Ma, immediatamente prima che spunti l’aurora del giorno senza tramonto che ci rivelerà la salvezza, brilla già la piccola luce del Precursore. Giovanni era la lampada che arde e risplende, ci dice Cristo stesso, e noi possiamo rallegrarci un istante alla sua luce (Gv 5, 35). Appare, l’uomo il cui nome è Giovanni che viene per rendere testimonianza alla luce. Non è lui la luce, ma il testimone della luce (Gv 1, 8). E’ la lampada accesa prima dell’alba, subito prima che il sole di giustizia non scacci le tenebre della notte. Colui che si prepara a nascere domani attira, fin d’ora, dei veri testimoni.
Questo è l’ultimo messaggio che Giovanni ci invia ancora oggi, a poche ore dalla nascita dell’Emmanuele. Come Giovanni, dobbiamo tenere in mano la lampada accesa, la nostra anima chiara perchè Colui che viene non faccia fatica a trovarci! E noi non potremo riconoscerlo che non arde in noi già il desiderio della sua venuta, e non risplende già in noi la speranza viva del suo ritorno. Solo questo desiderio di Dio e questa speranza di salvezza possono permetterci di incontrarlo. La notte della Natività, solo alcuni pastori che vegliavano il loro gregge (Lc 2, 8) hanno potuto vederlo e riconoscerlo per quello che è. Tutti gli altri non hanno visto niente e non hanno saputo nulla!
Noi non possiamo fare a meno della grazia di questa festa. Teniamo la lampada della nostra fede ben accesa, la lampada della nostra speranza, la fiamma viva d’amore che mette in noi il desiderio bruciante della sua venuta, e il cuore sgombro. se vogliamo accogliere in verità Colui che viene a salvarci.
Dio eterno, piccolo bambino, per accoglierti domani nella pace donaci questa sera, come a Giovanni Battista, un cuore di bambino rischiarato dalla tua luce.
©FMG traduzione da Sources Vives n°136 pp. 132-135
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Triplice Natale di Nostro Signore Gesù Cristo
Possiamo considerare il Natale sotto diversi aspetti: da prima dei secoli, in Dio, alla luce della teologia; dal momento della pienezza dei tempi, dalla parte degli uomini, alla luce della storia; e nell'oggi della nostra vita, nel profondo del nostro cuore, alla luce della mistica.
Ogni volta, Natale rivela in noi il suo mistero lasciandoci vedere che in questa festa noi celebriamo davvero una triplice nascita.
La prima nascita che celebriamo stanotte è la più straordinaria. Ci viene fatta conoscere perché la nostra fede cristiana ha il coraggio di parlarcene, o piuttosto di rivelarcela (1Cor 2, 9-10). Si tratta della nascita eterna del Figlio nel seno materno del Padre (Gv 1, -18).
Colui che nasce in questa notte di Betlemme, in realtà, non è prima di tutto un bambino di questo mondo o della terra, anche se è chiamato a diventarne il centro della sua storia (Col 1, 15). Né è, prima di tutto, un neonato , sia pur miracolosamente concepito nel seno di una vergine e salutato dagli angeli del cielo nella notte di Betlemme (Lc 2, 8). Non è soltanto il più bello tra i figli dell' uomo, annunciato dalle Scritture (Sal 45, 1; Is 7,14; Mi 5, 1-3), la cui vita sarà più santa di qualunque altra vita.
Ciò che noi rievochiamo prima di tutto, mentre contempliamo questa Natività, è la generazione eterna dell'unico Figlio, in questa vivente festa d'amore che è Dio stesso. Un Dio che non è isolato e solitario, ma condivisione di tenerezza e dono reciproco di vita. Dio non sarebbe Dio se non fosse un Dio d'amore, né sarebbe l'Amore, se lui stesso non lo vivesse condividendolo: Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generato, cantava già il Signore nel Salmo (2, 7). Tu sei il mio Figlio prediletto nel quale ho posto tutto il mio amore, proclamerà la voce venuta dal cielo, il giorno del suo battesimo e in quello della Trasfigurazione (Lc 3, 22; 9, 35). L' ho glorificato e di nuovo lo glorificherò, esclamò a gran voce il Padre dall'alto delle mura della Città santa (Gv 12,28).
In questa pienezza dei tempi (Gal 4, 4) durante la quale il Verbo si è fatto carne (Gv 1,14), siamo quindi invitati, prima di tutto, alla contemplazione di questo mistero d'amore, splendido e infinito a cui siamo invitati. Il Mistero immenso e meraviglioso della generazione divina del Figlio da parte del Padre, nella comunione dello Spirito che li unisce.
Ora non azzardiamoci a descrivere l'invisibile; a tradurre l'inesprimibile, a sperimentare questa gioia dell'aldilà. Dio si dà, ma non lo si può conquistare. Si rivela, ma non si spiega. Tuttavia, pregando con gli occhi della fede, siamo in grado di risalire verso la sorgente di questo raggio di luce, scaturito verso di noi , nella notte, ma dal più alto dei cieli (Lc 2, 14). Possiamo capire allora perché Colui che festeggiamo in questo giorno di Natale è, prima di tutto, come ci dice la Scrittura, il nostro grande Dio e Signore Gesù Cristo (Tt 2, 13), nato dal Padre prima di tutti i secoli.
La seconda nascita è iscritta invece nel tempo. Dopo la contemplazione del mistero trinitario, quello che ci è dato da meditare è il mistero dell'Incarnazione del Verbo. In altre parole, della venuta in mezzo a noi della stessa Parola di Dio, nella persona di Gesù. Questo è l'Emmanuele annunciato in modo così straordinario (Is 7, 4; 8, 8) e manifestatosi con tanta visibilità (Mt 1,23; Gv 17, 6; 1Gv 1,2), dicendo di essere venuto in mezzo ai suoi per abitare con loro ed essere davvero Dio-con-noi (Gv 1, 11-14).
Qui, il cielo discende sulla terra. L'eternità investe il tempo. Il passato e il futuro dell'uomo sono uniti nell'oggi di Dio, venuto una volta per tutte e per la salvezza di tutti gli uomini (Tt 2,11). Qui, Dio si fa ciò che noi siamo, affinché noi diventiamo ciò che egli è. Si fa uomo, senza perdere ciò che era, ma assumendo quello che non era. Si fa uomo , perché è onnipotente (Lc 1,37), per farci diventare Dio , perché il suo amore è totale (Gv 3, 16), talmente preso dall'amore per noi da farsi lui stesso in tutto simile a noi (Fil 2, 7); e talmente desideroso del nostro amore da farci figli nel suo Figlio e coeredi in Cristo (Rm 8, 14-17).
Non è senza un profondo significato che il momento in cui Gesù immette la sua presenza nella nostra storia è quello in cui compare l'editto di Cesare Augusto che ordina il censimento di tutta la terra (Lc 2,1). Proprio per raccogliere nell'unità l'umanità dispersa è venuto in mezzo a noi questo Buon Pastore ( Sal 23,1; Gv 10, 11). Questo Pastore, salutato dai pastori fin dalla sua nascita, è divenuto per noi il primo della moltitudine dei fratelli (Rm 8, 29) per insegnarci che Dio è veramente nostro Padre..
Con Maria, meditando e conservando con cura tutti questi ricordi nel cuore (Lc 2, 19.51), non finiremo mai di sviscerare il mistero di questa seconda nascita a Natale, il mistero della Natività di questo bambino che è nato per noi, di questo Figlio che ci è stato dato. Questo Figlio di cui il profeta Isaia proclamava già il Nome, così carico di luce: consigliere ammirabile, Dio potente, Eterno Padre, Principe della Pace (9, 5)!
La terza nascita di Natale si inserisce proprio qui, oggi, nella nostra vita. La pace che il Signore è venuto a portare alla terra viene proposta a tutti gli uomini di buona volontà (Lc 2, 14). La via che è venuto a ridare all'umanità decaduta è offerta a chiunque crede in lui (Gv 6,40). Ogni giorno e dappertutto, in qualunque momento e in ogni anima, il Signore nasce davvero, dalla grazia del suo amore. Sì, dalla sua pienezza tutti noi abbiamo ricevuto e grazia su grazia (Gv, 1,16). Johann Tauler, mistico renano del XIV secolo, arriva addirittura a dire: “Dio si fa talmente nostro, si offre a noi in proprietà tale, che nessuno ha mai posseduto nulla così intimamente”.
In altre parole, questo vuol dire che d'ora in poi, dipende da noi che questo terzo Natale sia autentico nella nostra vita. Cristo, in realtà, può nascere duemila volte a Betlemme, ma questo non serve a niente se non è nato nel mio cuore. Dio provoca la nostra libertà, ma non forza il nostro amore. Perciò non aspettiamo , non aspettiamo più! Sgomberiamo il nostro cuore e facciamo chiarezza nella nostra anima. Ci sollecita ancora un po' di spazio nella locanda della nostra vita!
Il Cristo che si manifesta a noi, una volta di più stanotte, è realmente venuto per ognuno di noi. Non abbiamo paura di lui! Pur essendo il Signore della gloria, non è un personaggio difficile da ricevere o complicato da accogliere. Basta dirgli di entrare. E di fermarsi a casa nostra. Basta che ci lasciamo perdonare, istruire, amare. Basta che gli permettiamo di vivificarci - lui è la Vita-, di darci la gioia- è la Pace -, di darci coraggio – è il Salvatore del mondo - (Gv 4,2).
Certamente tra poco, alla fine di questa eucaristia , riceveremo il suo corpo e il suo sangue, offerto e versato per noi. Potremo allora dire con l'Apostolo : Io vivo, ma non sono più io che vivo: è Cristo che vive in me (Gal 2, 20). E allora sarà un vero Natale, celebrato a livello di questa terza nascita nella fede del Figlio di Dio, nel più profondo del nostro cuore.
Se si realizzano davvero queste tre nascite per Natale: Quella del Figlio generato dal Padre dall'eternità; quella di Gesù, nato dalla Vergine nella pienezza dei tempi; e quella del Cristo che vuole abitare tra noi solo per amore, non è forse per ricordarci quello che siamo, che anche noi dobbiamo nascere in tre modi?
Siamo già nati alla vita venendo al mondo, dobbiamo rinascere alla grazia, vivendo secondo l'uomo nuovo, e dobbiamo rinasce dall'alto , entrando nell'eternità attraverso la pasqua della nostra morte finale che sarà, osiamo dirlo nella fede, il più bel Natale della nostra vita!
Solamente allora conosceremo veramente la gioia che viene a trattenere tra le nostre braccia quel Dio già venuto, sempre presente, ma ancora atteso. E a rimanere tutti insieme, figli nel Figlio, tra le sue braccia.
Fratel Pierre-Marie |
Omelia di fr. Pierre-Marie Delfieux
2° Domenica T. O. B LA CHIAMATA DI PIETRO E ANDREA
Duplice incontro. Due uomini. Due fratelli. Pietro e Andrea incontrano Gesù e trovano in lui, successivamente, “il maestro” (Gv 1,38) ed “il Messia” (1,41). Momento privilegiato quando il Cristo si fa finalmente conoscere; quando, per la prima volta, il Verbo parlerà. Momento unico in cui l'uomo interrogherà colui sul quale “lo Spirito, come una colomba , è appena disceso dal cielo per dimorarvi” (Gv 1,32) poiché “è lui l'Eletto di Dio” (1,32), e il “Salvatore del mondo” (1,29; 4,42).
Due uomini. Due discepoli. Due santi. Roma e Costantinopoli dove moriranno l'uno e l'altro, riuniti nella stessa fraternità. Due personaggi ben reali, ma la cui portata simbolica è evidente ed il cui richiamo ci riguarda dunque ancora oggi.
Il primo di questi uomini si chiama Andrea . Andrea, il cui nome in greco si traduce “uomo”. E' il figlio di Adamo, l'uomo. L'uomo terreno che Dio un giorno ha creato, e, che in questo giorno Lui viene a cercare, “poiché il Figlio dell'uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perso” (Lc 19,10).
“Adamo, dove sei?” Aveva gridato Dio, nel giardino dell'Eden dopo la caduta. Oggi, il primo a rivolgersi al Figlio di Dio per chiedergli il luogo della sua dimora terrena, è quest'uomo in cerca di una dimora eterna, questo peccatore in cerca di perdono, che, alla voce di Giovanni, si è messo “a camminare dietro di lui” (Gv 1,37), “l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29). Così Dio è sempre in cerca di ciascuno di noi (Ez 34,16). Il Cristo, nuovo Adamo, incrocia ancora silenziosamente i nostri cammini per farci passare dallo stato di uomo vecchio a quello di Uomo nuovo (Ep 4, 23-24).
Al momento di questo primo incontro, quale ce lo descrive San Giovanni, Cristo non parla subito. “Passa” (Ac 10,38). Non si sa né donde viene né dove va, come lo Spirito di cui è colmo (Gv 1,32). Così nelle nostre vie, dove, per poco che si sia attenti, percepiamo il mistero di un passaggio, ma dove non sentiamo la sua voce. Andrea, lui, non si accontenta di essere attento. Segue Gesù (Gv 1,37). Si è alzato per camminare al suo seguito, dice il testo. Per essere, letteralmente, il suo “accolito”, il suo seguace, vale a dire il suo discepolo. Solo allora, Gesù si volterà, si fermerà e lo guarderà (Gv 1,38): “chi mi segue non cammina nelle tenebre” (Gv 8,12). E Andrea è tutto illuminato.
Se decidiamo di seguire il Cristo, saremo certamente nella luce (Gv 12,36). “Se qualcuno mi ama, che mi segua, e là dove sono, là sarà anche il mio servitore” (Gv 12,26). Per seguire qualcuno, bisogna amarlo. E, amando, si riconosce. Solo gli occhi del cuore possono donarci di vedere Dio.
Andrea, è anche un cercatore. Un cercatore di verità. Come Samuele che cercava Dio, tendendo l'orecchio nel Tempio (1S 3,4). Nataniele, scrutava le Scritture sotto il fico (Gv 1,48); hanno meritato entrambi di sentire la sua voce (1S 3,19) e di riconoscere il suo volto (Gv 1,49). Andrea cerca di vedere e di comprendere; di vedere dove dimora quell'uomo, per comprendere come è “l'Agnello di Dio” (Gv 1,36).
Allora, Gesù parlerà. La terra infine, per la prima volta, udirà la voce del Figlio dell'uomo. “La terra secca, arida, alterata e senza acqua” (Sa 63,2) dove vivono gli uomini come mortali promessi alla morte, udirà il Verbo di vita: “in verità, in verità, io vi dico, l'ora è giunta e noi ci siamo, quando i morti udranno la voce del Figlio di Dio” (Gv 5,25). E questa prima parola che il Cristo dice agli uomini, è una domanda; la domanda suprema che si rivolge alla libertà più profonda: “Cosa cercate?” Così Dio ha parlato.
Sì, cosa cerchiamo? Se non cerchiamo niente, se non chiediamo niente, non troveremo niente, non avremo niente. Ma “chiunque chiede riceve, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto” (Lc 11,10). “Chi cerca Dio non manca di alcun bene” (Sal 34,11). A condizione tuttavia che questa ricerca si faccia con il cuore. Se noi lo cerchiamo come Maria Maddalena, per amarlo, lo troveremo nel giardino del nostro cuore (Gv 20,15). Ma se lo cerchiamo per ucciderlo (Gv 5,18), non lo riconosceremo nella notte del giardino dell'agonia (Gv 18,4). “Mi cercherete e non mi troverete, poiché, dove io sono, voi non potete venire!”(Gv 7,34) Gli anti-discepoli cercano di catturare Dio; ma inciampano nella notte, ci dice Gesù (11,10;18,6). I veri discepoli cercano di amarlo. Lui li rialza, nella sua luce. (Gv 12,46;Lc 22,46) E' allora che Andrea rivolge a Gesù la domanda suprema: “Maestro, dove dimori?” (Gv 1,38). Quando si è seguito e riconosciuto colui che si ama, la domanda naturale, essenziale, non può essere che quella: sapere il luogo della sua Dimora per restare con lui (Gv 1,38-39), conoscere infine il luogo della casa di Dio (Gv 14,3-6). “Oh mia gioia, quando mi è stato detto: andiamo alla casa di Dio!” (Sa 122,1).
Venite e vedete, dice loro (Gv 1,39). Sempre questo invito alla libertà più profonda. “Andare” e “vedere”. Avanzare liberamente e guardare personalmente. “Andarono e videro dove dimorava e restarono presso di lui quel giorno” (1,39). Al termine di questo cammino e in fondo a questo sguardo, tutto si realizza. E' la “decima Ora”, l'ora del compimento, nota Sant'Agostino: “dieci comandamenti, per insegnare la Legge; dieci patriarchi, per condurre da Abramo a Noè; dieci piaghe, per liberare il popolo dalla schiavitù…” “era circa la decima ora”, scrive San Giovanni. Simbolismo evidente. E' l'ora quando Andrea, un uomo della terra, ha infine riconosciuto l'Inviato di Dio! Con Gesù si è trovato tutto. Siamo al termine e alla partenza. E' l'Alfa e l'Omega. Si può rimanere con lui quel giorno, e per i giorni a seguire. E' la pienezza finalmente realizzata. L'Eternità è già iniziata! (Ef 2,6)
Dopo Andrea, ecco Simone, “suo fratello”, “E' il levar del giorno” (Gv 1,41). Del nuovo giorno. L'alba del giorno quando il popolo che camminava nella notte, apprende che finalmente l'umanità ha trovato il suo Messia. Andrea aveva seguito Gesù sulla parola di Giovanni Battista. Simone verrà verso Gesù sulla parola di Andrea. Così ci trasmettiamo la Buona Novella. Dio, per dirsi agli uomini, ha scelto di aver bisogno degli uomini. “Me infelice se non evangelizzo!” (1Co 9,16).
Di fronte al Cristo, Pietro non dice niente. Neanche Gesù parla ancora. Momento sublime e intimo in cui il Figlio di Dio decifra il volto di Simone; nel quale Simone, figlio di Giovanni, scopre il volto di Cristo, “il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Scambio intraducibile in cui le loro due anime comunicano; in cui “colui che sa ciò che vi è nell'uomo” (Gv 2,25) riconosce in quest'uomo il marchio di Dio, la scintilla nascosta che brillerà a Cesarea di Filippi “venuta non dalla carne e dal sangue, ma dal Padre che è nei cieli” (Mt 16,17). “Nessuno viene a me se non per un dono del Padre” (Gv 6,65). Così, in ognuno di noi, il Figlio riconosce qualcosa dei tratti del Padre poiché ad immagine di Dio, figli di Dio, siamo stati tutti creati.
“Gesù lo guardò e gli disse “tu sei Simone, figlio di Giovanni, ti chiamerai Cefa.”- che vuol dire Pietra” (Gv 1,42). Il Messia ha parlato. Dopo la prima domanda fondamentale, ecco la prima affermazione imperativa e ancora più fondamentale; poiché, fin dal primo istante, fonda su quest'uomo di Galilea, la costruzione della Dimora di Dio tra gli uomini. Simone è Pietro e su questa Pietra il Cristo edificherà la sua Chiesa (Mt 16,18).
Pietro non ha vacillato. Persino le forze degli inferi non potrebbero niente contro una tale promessa (Mt 16,18b). Colui che, domani, sarà tanto pronto a parlare, oggi tace. Egli avverte quanto questa parola rivesta una profondità infinita. La sua vocazione, la sua missione, la sua appartenenza a Dio sono segnate da questo “nome nuovo”. Nessuno meglio di Origene, nel terzo secolo, ha saputo tradurre il senso di questo appellativo, in cui un uomo riceve, per pura grazia, uno dei titoli stessi di Dio: “ Egli dice che si chiamerebbe Pietro, derivando questo nome dalla Pietra che è il Cristo” (1Co 10,4), “affinchè, come “saggio” deriva “saggezza” e “santo” da “santità”, così,ugualmente, da Dio-Pietra deriva Pietro.”
Così, fratelli e sorelle, avviene a ognuno di noi, che condividiamo la stessa promessa. Anche noi, siamo “delle pietre vive”, riunite per l'edificazione, intorno al Cristo, la pietra testimone, angolare, preziosa, fondamentale (Is 28,16), di un edificio spirituale (1Pt 2,5) Anche noi, come Pietro, siamo partecipi della Divinità (Pt 1,4). Siamo della Famiglia di Dio. Siamo della Casa di Dio (Ef 2,19). “Il nostro stesso corpo è per il Signore, e il Signore per il nostro corpo (1Co 6,13). Non è scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dei?” (Gv 10,34). Come Pietro e Andrea, se noi conoscessimo il dono di Dio!
©FMG tradotto da Evangelique 1, pp. 51-56
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Omelia di fr. Pierre-Marie Delfieux Terza domenica T.O. B
Seguitemi
“Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si ritirò nella Galilea e, lasciata Nazaret, venne ad abitare a Cafarnao, presso il mare, nel territorio di Zabulon e di Neftali” (Mt 4, 13). E essendosi stabilito là, “proclamava il vangelo di Dio” (Mc 1, 14-15).
Questa libera scelta di Cristo per la Galilea, non era dovuto al caso o ad una costrizione. Questo infatti ha un senso e sia san Marco che san Matteo che ci riportano questo fatto storico ne sono a conoscenza. Cosa succede in effetti?
A Betlemme di Giudea, la città di Davide (Lc 2, 4), Gesù è nato, tra i suoi (Gv 1, 11), circa “trent’anni” prima (Lc 3, 23). Ma dei pagani nella persona dei magi gli sono venuti incontro per primi (Mt 2, 1-6).
Poco dopo la sua nascita, fuggendo in Egitto, lui va verso i pagani, come aveva già fatto il figlio di Giacobbe, il primo Israele (2, 13).
Appena tornato dall’ Egitto sappiamo che Giuseppe non poté stabilirsi in Giudea, come avrebbe voluto, “si ritirò nella regione della Galilea”, il territorio dei pagani (Mt 2, 22-23).
Ed eccolo oggi, dopo il suo battesimo “nel deserto di Giudea” (Mt 3, 1), “Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù venne ad abitare a Cafarnao, presso il mare, nel territorio di Zabulon e di Neftali” nel cuore della “Galilea delle Nazioni” (Mt 4, 12-13). E così vi proclama la Buona Novella che viene da Dio: “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1, 15).
Evidentemente vi è un’intenzione manifesta in tutto questo. Bisogna ritrovare ciò che Gesù ha voluto significare con tutto questo. Lui, infatti “vuole” tutto quello che fa, e “sa” il come e il perchè lo fa.
Avendo ben presente questo e meditando la scelta libera del Maestro, Marco, il discepolo di Pietro, il Galileo, e Matteo-Levi, anch’egli di Galilea, si ricordano. Si ricordano di quello che Isaia aveva annunciato: Era passato tanto tempo. Più di settecento anni! Dopo la caduta della Samaria, tutta una porzione dell’Israele del Nord era stata deportata in Babilonia. In questo momento il profeta aveva letteralmente detto questo: “Non ci sarà più oscurità dove ora è angoscia. In passato in passato umiliò la terra di Zabulon e la terra di Neftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano e la curva di Goim”. E aveva aggiunto come se questo fosse già compiuto: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Is 8, 23-9, 1).
Oggi Gesù va proprio verso questa terra di Galilea, pagana, aperta al sincretismo di tutte le religioni, al mescolarsi di tutte le nazioni (Mc 1, 14). “Passando lungo il Mare di Galilea vede Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni” e li chiama a seguirlo (1, 16).
Cammina proprio là, perchè “egli è la via” (Gv 14, 6) e “vede” poiché è “la luce” (Gv 9, 5). “Giovanni venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perchè tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce” (Gv 1, 7-8). “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (1, 9), e colui che è “la luce del mondo” (8, 12) ha invitato ogni uomo a “venire” (3, 21) e a “camminare nella luce” (12, 35). Seguendolo!
Oggi, quindi, “sulla riva del mare”, dove si trova il popolo di Galilea, allo stesso modo in cui stavano i suoi antenati “sulla riva dei fiumi di Babilonia” (Sal 137, 1), sì, oggi una Luce Nuova é sorta, per illuminare i cuori, “e rischiarare la faccia di tutti i popoli” (Lc 2, 32) “guidando i passi” di tutti gli uomini sul “cammino della pace” (Lc 1, 79).
Senza più attendere, Gesù, lui “che era venuto in primo luogo per le pecore perdute della casa di Israele” (Mt 15, 24) si mette a “predicare” e a “parlare”: Non solamente a “predicare” ma anche a “dire”, nota l’Evangelista (4, 17). Lui infatti è il Verbo fatto carne, la Parola viva e vera (Eb 1, 2-3) e l’annunciatore della Buona Novella della salvezza. Lui conosce e insegna, parla e istruisce. Dice e proclama: “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1, 15).
Duplice appello che risuona fino a noi oggi in modo nuovo e attuale. Ci viene detto tutto: distoglierci dal male e aprirci alla vita; distoglierci dal peccato per aprirci al Regno. Insomma, morire ma per Vivere, passando dall’oscurità dell’angoscia alla luce della salvezza.
“Oggi”, dunque è Gesù in persona che proclama il Vangelo. E per mostrarne tutta la “portata universale”, San Matteo ci ricorda in un breve versetto che non bisogna dimenticare, che “la sua fama si estese su tutta la Siria” (3, 24). Cioè proprio in quella terra in cui, anticamente, Israele era stato deportato! La pace che scende dal cielo è per tutti gli uomini della terra, purchè abbiano un pò di buona volontà (Lc 2, 14) Ciascuno viene chiamato e nessuno respinto. “Oggi” la luce della Natività e dell’Epifania brilla fino ai confini delle nazioni. E’ necessario quindi che il Vangelo domani, e ogni giorno, venga annunciato ancora e sempre.
Poi Gesù chiama subito Pietro e Andrea, dei quali ci viene detto che “gettano il giacchio” (Mt 4, 18). In seguito chiamerà Giacomo e Giovanni che “riparano le reti” nella stessa barca. Gettare il giacchio è un lavoro individuale; riparare le reti è un lavoro collettivo. Personalmente e comunitariamente, siamo interpellati tutti. E Cristo dice loro:”Seguitemi, vi farò pescatori di uomini” (Mc 1, 17). Si tratta infatti di una realtà che riguarda gli uomini, tutti gli uomini. “Subito, lasciate le reti” per quanto riguarda i primi (Mt 4, 20), e “lasciata la barca e il padre” per i secondi (4, 22), cioè lasciato il loro lavoro e i loro beni da una parte e la loro famiglia e parentela dall’altra, “lo seguirono”.
“In verità vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna” (Mc 10, 29-30).
Fratelli e sorelle, dobbiamo guardare, meditare, ricevere il Vangelo con un cuore sempre nuovo, perché ogni pagina che ci è data dalla liturgia, serve per guidarci nella vita quotidiana. E, in questo giorno, ci vengono ricordate due verià essenziali, che realmente possono illuminare la nostra settimana se lo vogliamo. “La prima” ci dice che siamo tutti evangelizzati da Gesù in prima persona. “La seconda” per portarci a divenire evangelizzatori a nostra volta.
Ancora e sempre noi siamo evangelizzati da Gesù. Uomini di Giudea e genti di Galilea, giudei credenti e pagani senza istruzione, tutti sono stati rischiarati dalla sua luce e raggiunti nelle sinagoghe (Mt 4, 23), ma anche sulle piazze, sui marciapiedi e finanche nelle loro case. “Saranno tutti istruiti da Dio”, aveva detto il profeta Isaia (54, 13). Gesù stesso lo ripeterà nel cuore del suo discorso del pane di vita (Gv 6, 45). Sì, siamo veramente rischiarati dalla sua Parola, sostenuti dalla sua grazia, accompagnati dalla sua presenza, fortificati dalla sua Eucaristia!
Come il primo giorno quando “camminava sulla riva del mare di Galilea”, c’è per incrociare la nostra strada. I suoi passi precedono i nostri e i suoi occhi incontrano il nostro sguardo.
Il Natale non è solamente un ricordo. Gesù non è venuto un giorno per ripartire per sempre. Fino ai confini di Zabulon e Neftali, cioè fin nel bel mezzo delle nostre occupazioni più profane, alle nostre azioni più pagane, nella Galilea della nostra quotidianità, lui c’è. Nei giorni cattivi quando saremmo tentati di crederci soli, perduti, disperati, come il popolo deportato a Babilonia “che abitava nell’ombra della morte”, quando, semplicemente non abbiamo voglia di fare il minimo passo verso di lui, neanche troppo scontenti del nostro destino triste o fortunato, Lui c’è. Oggi Gesù parla a tutti noi, così come siamo: Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino”. E’ vicino per tutti. Vicino perché Gesù viene proclamando la Buona Notizia del Regno, e “guarendo ogni malattia e infermità nel popolo” (Mt 4, 23), e perché tutti accorrono “dalla Giudea, da Gerusalemme, dall’Idumea, dalla Transgiordania, dal paese di Tiro e di Sidone. “Tutti” dirà San Paolo, “siamo stati rivestiti di Cristo” (Gal 3, 28) nel quale continuiamo ad essere evangelizzati. Oggi il Vangelo ci viene donato da Gesù stesso proprio per il nostro cuore, per poco che sappiamo pentirci, cioè volgerci verso di lui.
Ci è venuto incontro per pura grazia: per puro amore si è offerto, aperto, rivelato, immolato “ mi ha amato e ha dato se stesso per me” ( Gal 2, 20). Se so accoglierlo, allora posso essere salvato. Come Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, in effetti noi siamo chiamati a quest’opera di salvezza. “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini” ( Mt 4, 19). Quello che ha fatto Gesù, ci viene chiesto “di farlo anche noi” (Gv 13, 14-15). Fino alla fine del mondo e dappertutto, bisogna che la Buona Novella si diffonda (Mc, 16, 15; Mt 28, 19). Quando custodiamo questo segreto nel cuore, quando abbiamo nell’anima una tale felicità non possiamo tacerla! “Siamo stati completamente uniti a lui” dice Paolo ai Romani (6, 3-11). “Cristo abita nei nostri cuori per la fede” scrive agli Efesini (3, 17). Tertulliano al III secolo amava dire: “Il cristiano è un altro Cristo”. E Sant’Agostino, facendogli eco, aggiungeva: “Non solo noi siamo diventati cristiani, ma siamo diventati il Cristo”.
Per dire quando il Signore si aspetti da noi di essere il vivo prolungamento del suo Vangelo. A nostra volta dobbiamo ripetere: “Quanto a noi, non possiamo non parlare delle cose che abbiamo viste e udite” (At 4, 20). Anche solo per la felicità che ci procura la gioia della presenza di Dio nei nostri cuori. “Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo” (2 Co 4, 13).
In un mondo così assetato di Vangelo, di Eucarestia e di Riconciliazione, più che mai le nostre esistenze sono raggiunte da questo appello di Cristo. L’ascoltiamo la Parola di Dio che oggi è rivolta a noi: “Seguitemi e io vi farò pescatori di uomini”? O ancora questa esortazione, come quella che un giorno formulò San Paolo: “Non temere, continua a parlare, non tacere!” (At 18, 9).
E rileviamo per concludere, che i chiamati in quel giorno sono dei “fratelli”: “Giacomo e Giovanni; Pietro e Andrea”. Chiama oggi due a due , quelli che domani invierà “due a due”(Lc 10, 1). E’ possibile annunciare che Cristo è amore solamente con l’unione e l’amicizia. Cristo stesso, pur essendo Dio, non ha mai voluto evangelizzare da solo, ma sempre attraverso il segno della comunità orante e fraterna dei Dodici, delle pie donne e dei discepoli.
Solo l’amore vissuto evangelizza! “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome , io sono là in mezzo a loro” (Mt 18, 20). Quindi Dio in persona parla con loro, agisce attraverso di loro, e testimonia in loro favore. Per cui non bisogna ripetere ancora: “Io sono di Paolo, io di Apollo”; non ci può essere qualcuno qui per Pietro e laggiù qualcuno di Cristo. “Cristo è stato forse diviso?” (1 Co 1, 13). Sono le nostre divisioni che hanno paganizzato la terra, i nostri scismi che l’hanno disgustata! In questa settimana per l’unità possiamo ricordarcene…
Invece, se sappiamo proclamare la Parola di Dio, “senza falsificarla”, ma come è (2 Co 4, 2), le divisioni indietreggieranno e i cuori si uniranno, crescerà la comunione e la Buona Notizia sarà veramente annunciata. Diventiamo dei veri evangelizzatori e l’unità vissuta in questo modo, si edificherà annunciandola. “A questo segno d’amore”, Cristo, il Cristo vivo e vero, sarà “riconosciuto” (Gv 13, 35).
Come i primi giorni in cui camminava lungo il mare di Galilea.
©FMG tradotto da Evangelique 3, pp. 34-40
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Omelie di Pierre Marie Delfieux 4a Domenica del Tempo Ordinario – B
Gesù libera un indemoniato
Riguardiamo attentamente la scena: Gesù, accompagnato dai suoi primi discepoli, arriva a Cafarnao (Mc 1,21). E’ un giorno di sabato. Per questo tutti sono riuniti nella Sinagoga. Il Cristo prende la parola. E si mette ad insegnare. Tutti l’ascoltano, all’inizio stupiti, poi affascinati: questo Galileo parla con grande saggezza e con autorevolezza (2, 22). All’improvviso, scoppia l’incidente: un grido sale dalla folla, un grido che sembra venire dall’oltretomba: “So bene chi tu sei: il Santo di Dio!”
Il Vangelo sottolinea che “i demoni sanno che Gesù era il Cristo” (Mc 1,34; Lc 4, 41). Ma Gesù stesso conosce prima e molto meglio di loro la presenza di questi spiriti maligni. E come di fronte al vento e al mare in tempesta, la voce del Figlio di Dio risuona nella sinagoga: “Taci! Esci da quell’uomo!” Una convulsione. Un altro urlo straziante. Ma poi l’uomo tormentato si rialza, finalmente libero. “Tutti furono presi da timore, ci dice san Marco, e si chiedevano l’un l’altro: “Che è mai questo?”.
Già, che cosa significa tutto questo? Nel suo realismo senza fronzoli, questa scena impressionante ci pone innanzi una questione che non possiamo eludere in nessun modo: il problema del diavolo, il “mistero del male” che si erge di fronte all’uomo, un problema che non possiamo eludere, sul quale, ai nostri giorni, non ci è permesso tacere.
*** Che cosa possiamo dire in proposito? Il diavolo è forse un’invenzione dell’uomo? O la proiezione immaginaria dei nostri fantasmi inconsci? O il tanfo insopportabile di un moralismo fuori moda che cerca di imporsi facendo leva sulla paura? Che cosa ci dice in proposito “la Scrittura”? Che ne dice “il Cristo”? Che cosa ne dice “la Chiesa”? Che cosa ci dice su questo argomento “la vita”?
Non lo descrive; non si compiace di raccontarci aneddoti che lo riguardano; non cerca certamente di impaurirci, di colpirci al cuore, né di offuscare il nostro spirito con la sua realtà. Ma comunque, ne parla! Ne parla, perché riconosce la sua esistenza, e ci insegna a vedere la sua presenza. La Scrittura sa bene che il Male esiste, fin da prima dell’apparizione dell’uomo e fuori dall’uomo, che è più forte e più intelligente di noi e che insidiosamente il demonio si rivolta continuamente contro ogni persona per indurla a fare il male (1Gv 3,8). Dopo il primo uomo tentato dal tentatore, come il primo uomo caduto nelle sue insidie (Gn 3,1), tutti gli uomini, re, giudici, profeti, scribi, sacerdoti e apostoli, e tutta l’umanità, tutti noi siamo alle prese con questo Essere ostile. E così dobbiamo constatare, con l’autore della Sapienza, che “la morte è entrata nel mondo per l’invidia del diavolo” (Sap 2,24). Estranea ad ogni considerazione fantasiosa o morbosa, la Scrittura non si compiace di dipingere il diavolo, ma lo giudica e lo riconosce nelle sue opere. E ne denuncia la presenza. Utilizza diversi termini per parlare di lui, perché è inafferrabile. Ma, sia che lo chiami “demonio”, o “maligno”, o “tentatore” , o “Satana”, la santa Scrittura sa che si tratta “dell’Avversario” dell’uomo, e del “Ribelle” che si erge contro Dio, contro l’unico Dio! E’ lui “l’Accusatore” di tutti e di ogni persona (Zac 3,1; Ap 12,10; Mt 10, 21); il “Seminatore” di discordia, il seminatore della zizzania, la zizzania stessa (Mt 13,24), ma anche “l’Omicida” ( Gv 8,44), il “Mentitore” e “Padre della Menzogna” (Gv 8, 44b), come lo chiamerà lo stesso Cristo.
*** La venuta di Gesù porta una luce chiarissima Su ciò che san Paolo chiama il “Mistero d’iniquità che è all’opera nel mondo” (2Tess 2,7). Infatti, Cristo viene in questo mondo per stabilirvi il Regno di Dio, e perciò si scontra frontalmente con inaudita violenza con il “Principe di questo mondo” (Gv 12,31), dal momento che , come dice san Giovanni, “tutto quel che è nel mondo” è soggiogato al potere del maligno (1Gv 2,16).
Il primo atto pubblico di Gesù, dopo il battesimo ricevuto da Giovanni (Mt 3, 13), è di andare nel deserto, “condotto dallo Spirito, per essere tentato dal diavolo” (Mt 4, 1).
Le sue prime azioni pubbliche dopo la vittoria personale su Satana (Mt 4,11), hanno lo scopo di liberare tutti coloro che, donne e uomini, erano tormentati da spiriti maligni (Mt 4, 24).
Nei tre Vangeli sinottici, il primo miracolo di Cristo consiste nella liberazione di indemoniati (Mt 4, 23; Mc 1,21; Lc 4,33).
E l’intero Vangelo secondo Giovanni è il racconto di un duro scontro tra il Cristo e l’Avversario, tra Gesù e coloro che ascoltano il diavolo fino ad essere accecati (Gv 8, 44), o a praticare il tradimento (Gv 6, 70; 13, 27). “Gesù di Nazaret passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” – come ci dice san Pietro (At 10,38).
Giunto al termine della sua vita, lo scontro diventerà letteralmente mortale. Il Principe delle tenebre sembra trionfare (Gv 14,30), ma in realtà è il demonio a essere condannato (Gv 16, 11). La luce della Pasqua trionferà sulla morte ( 1Cor 15, 26.55).
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La “Chiesa”, fin dalle sue origini e anche ai nostri giorni, non ha mai avuto dubbi sulla necessità di prendere sul serio questo aspro combattimento spirituale: “Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente, va in giro, cercando chi divorare, dice la Scrittura. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi” (1Pt 5, 8-9).
Infatti, anche i primi discepoli, fin dai loro primi passi, si devono impegnare in questa lotta (Lc 10, 17; Mc 16, 17).
E per quanto riguarda noi stessi, fin dal momento del battesimo, la Chiesa ci prepara a questa lotta, pregando per tre volte affinché il neobattezzato sia liberato dallo Spirito Maligno.
Sì, anche noi che siamo qui in questo momento, quando siamo stati battezzati, siamo stati tutti esorcizzati! E ogni volta che recitiamo il Padre Nostro, la preghiera che Gesù stesso ci ha insegnato, preghiamo il Signore che “non ci abbandoni nelle mani del Tentatore e che ci liberi dal Maligno” (Mt 6, 13).
Perché sappiamo bene che, sebbene il campo che noi stessi siamo sia stato seminato con seme buono, nella notte, di nascosto, il nostro Nemico è sempre in agguato per “seminare la zizzania” (Mt 13, 25), o “per portare via dal nostro cuore la Parola seminata” (Mc 4, 15). Per questo siamo continuamente sballottati e confusi tra il bene e il male: il male che non vogliamo ma che poi facciamo, e il bene che vogliamo ma poi non compiamo (Rm 7, 15).
Così, anche noi, a nostra volta, scopriamo con tristezza che il male continua a devastare il mondo e a insudiciare la nostra vita, sebbene non possiamo dire che gli uomini siano fondamentalmente cattivi, né che noi stessi siamo intrinsecamente pervertiti.
Eppure…! “Scopro in me questa legge: quando voglio fare il bene è il male che mi si presenta davanti” (Rm 7,21).
Ma la realtà è questa: il male esiste, intorno a noi, davanti a noi, in noi, malgrado le nostre intenzioni. Ma non viene certo da Dio, né lo produciamo tutto noi. Eppure l’uomo, creato a immagine di Dio, avido d’amore, cercatore della verità, desideroso di bellezza, continua a corrompersi con la tortura, a insudiciarsi con il peccato, a indurirsi nei divorzi e nelle guerre … “Mein Kampf!” Insensato conflitto! “Il nemico ha fatto questo” (Mt 13, 28).
L’uomo resta sempre un essere tentato (Gc 1, 14). I grandi santi ne sanno qualcosa, essi che, senza eccezioni, alla sequela di Cristo, si sono scontrati un giorno o l’altro con il nemico giurato di ogni santità; contro colui che vuole rubarci la pace e turba il nostro cuore, odia la nostra unione e provoca le divisioni tra di noi, minaccia la nostra gioia e fomenta in noi ogni tristezza, depressione e tormento (Mt 4, 23-24).
Chiudere gli occhi su questa realtà non risolverebbe nulla, ma farebbe ancora di più il gioco di colui che cerca in ogni modo di passare inosservato per poter agire più liberamente: “la peggiore astuzia del diavolo consiste nel far credere che non esiste!” ci ricorda Paul Valéry. La Scrittura ci conferma che non bisogna “cadere in balia di satana, di cui non ignoriamo le macchinazioni” (2 Cor 2, 11).
*** Quali conclusioni possiamo trarre?
Innanzitutto, che il Male esiste, che è più forte di noi, più intelligente di noi; e che nei suoi riguardi il miglior atteggiamento che possiamo adottare consiste nell’ aderire a una fede illuminata e coltivare l’umiltà, seguendo l’esempio di santa Teresa, che diceva: “Al Maligno non voglio rispondere facendo la maligna!”.
Poi, noi siamo necessariamente in lotta con il Male, perché , come san Paolo deplora, siamo tutti strattonati e tentati. Ma è anche scritto che “nessuno è tentato al di sopra delle proprie forze, e che con la tentazione Dio ci darà sempre la forza per superarla” (1Cor 10, 13; Gc 1, 13).
Per questo combattimento il Cristo ci ha armato con la spada della stessa Parola di Dio (Ef 6,17): “Vattene, Satana!… Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt. 4, 4. 10).
Ma soprattutto, noi crediamo che, se anche il male esiste e ci assale, Dio è sempre più forte del Male e ce ne libera. Colui che noi vogliamo seguire è il Cristo, il Vincitore del Maligno (Gv 12,31; 17, 15). E’ lui che “ha ridotto all’impotenza, mediante la sua morte, colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo” (Eb 2, 14). Secondo l’ammonizione degli apostoli, siamo esortati a “non dare occasione al diavolo” (Ef 4, 27), ma anzi, a resistergli (Gc 4, 7), mediante la “fermezza della fede” (1Pt 5, 9).
Insieme a san Giacomo, possiamo anche noi ripetere: “Resistete al diavolo, ed egli fuggirà da voi. Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi … Umiliatevi davanti al Signore ed egli vi esalterà” (Gc 4, 7. 8.10).
Gesù di Nazaret, tu sei venuto per salvarci!
©FMG tradotto da Evangelique 1, pp. 85-90
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DAL NO ALL'ASSURDO AL SI' AL MISTERO (Omelia della V° Domenica T.O. B)
Tra la tentazione dell'indifferenza o della disperazione, a fronte di una vita dove tutto è relativo e finisce per morire; ed il richiamo al mistero dove Dio investe tutto di luce e di vita, fratelli e sorelle, eccoci oggi invitati a scegliere. Lo abbiamo appena visto ed ascoltato: tra il grido di Giobbe, tanto doloroso quanto rassegnato, ed il proclama di Paolo, pieno di determinazione e speranza, si innalza, davanti ai nostri occhi, la persona del Cristo Liberatore.
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Giobbe è più di un personaggio della Bibbia, di cui ci è stata raccontata la drammatica storia. Egli è il simbolo vivente di tutta la nostra razza umana in preda alla domanda continuamente riproposta dal problema della sofferenza e del male. “Veramente la vita dell'uomo sulla terra è una corvèe! Mi son toccati mesi di delusione; mi sono state assegnate notti di sofferenza” (Gb 7,1.3). E, per finire, questa preghiera delusa, rassegnata, che non chiede più niente: “Ricordati, Signore, che la mia vita non è che un soffio; che i miei occhi non rivedranno più la felicità” (7,7).
Giobbe conosce la fragilità e la brevità dell'esistenza e, in più, quanto questa possa essere disseminata di prove. Egli sa, per averlo duramente appreso a sue spese, che non vi è umanamente, felicità durevole. Certamente egli intravede lucidamente che solo il Signore conosce il perchè delle cose. Ma cosa fare e cosa dire di fronte a un Dio che sembra sempre tacere e non volere intervenire?
Al termine di questo secolo che sarebbe stato, per tutta una parte, quello delle grandi illusioni deluse, e delle grandi disillusioni provate, la tentazione resta sempre attuale. E ci si interroga ancora al crocevia di questo strano miscuglio di ricerca di felicità assoluta e di angoscia di fondo. A questo crocevia dove un incessante bisogno di presenza e di affetto si mescola ad un perpetuo sentimento di solitudine e di conflitto. E si sente, un po' dappertutto, sotto mille volti, la voce di Giobbe che si interroga sempre. Chi dunque darà all'uomo che siamo noi, la risposta che abbiamo diritto di ricevere? E che consiste nel sapere se sì o no, Dio si interessa veramente di noi? * Nella grande calma che precede il levar del giorno, “ben prima dell'alba” (Mc 1,35), Colui che nessuno ancora conosceva, è apparso (Mt 3,13). Là sotto i nostri occhi egli si è alzato!
Di fronte alla domanda di Giobbe, ecco finalmente la risposta di Gesù! Non è all'inizio una risposta proclamata ed insegnata, ma una risposta assunta e messa in pratica. Vediamo sotto i nostri sguardi la giornata tipo e, quanto rivelatrice, del “Redentore dell'uomo”. Il “giorno” cala e lui è là, “accompagnato da Giacomo e Giovanni, nella casa di Simone e di Andrea” (Mc 1,29). Là egli rialza una donna, a letto con la febbre (1,30). La “sera” scende e le folle affluiscono immediatamente davanti alla “porta”. Egli guarisce e libera “ogni sorta di malati e di posseduti accorsi da tutti la città” (1,32.34). La “notte” viene ed egli prega “nel deserto e nella solitudine”. La preghiera è il luogo dove il Figlio stesso dice il suo amore al Padre. E fin dal “mattino” quando “tutti lo cercano” egli parte ancora più lontano “per i villaggi vicini e per tutta la Galilea”, proclamando la Buona Novella e pregando “nelle loro sinagoghe” (1,35-39).
Come dire meglio, fratelli e sorelle, che Gesù interviene in tutti gli ambiti della vita? “Nella casa”, si colloca la sua presenza nella nostra vita privata. “Alla porta della città”, si manifesta il suo interesse per la nostra vita pubblica. “All'interno delle sinagoghe”, si rivela la sua azione sulla nostra vita religiosa. No! Dio non tace e non resta indifferente di fronte alle nostre domande, alle nostre prove, alle nostre sofferenze! Giobbe concentrava in qualche modo in sé stesso tutto il dolore umano, ma senza potersene liberare. Gesù Cristo lo riprende, assumendolo, per ridare un senso a questa apparente assurdità. Ormai il dolore non è più un vicolo cieco, ma un passaggio. Non ha più l'ultima parola. La croce di Cristo ne fa una Pasqua che si apre a Dio al di là! No! non c'è più donna, uomo, bambino o vecchio, sulla terra, che non possa afferrare la mano di Gesù e lasciarsi toccare, guarire, resuscitare da Lui! Anche se non si è per questo liberati dal male della sofferenza, si è liberati dal dramma di soffrire inutilmente. Di penare indefinitamente. Il Figlio di Dio in persona è venuto a camminare dal più alto dei cieli sui nostri sentieri della terra. Di fronte al nostro sgomento, il Signore stesso ha voluto liberamente sottoporsi alle nostre prove. Egli si è fatto realmente, follemente, il nostro Signore-servitore, il nostro “schiavo”, per fare di noi dei coeredi della vita eterna (Rm 8,17;Fi 2,6). “Sposando la nostra morte”, come oseranno dire i Padri, egli l'ha riempita della speranza della Sua vita. Inutile cercare di meglio e oltre! I discepoli di Cristo sono i soli al mondo a conoscere, a dire e a proclamare questa straordinaria notizia: che esiste infine, tra noi uomini, un vero resuscitato! Qualcuno che si è rialzato vivo dalla tomba, per diventare per sempre “il primogenito tra i morti (Col 1,18)! E dobbiamo avere abbastanza fede nell'uomo per credere anche noi che “Dio ha tanto amato il mondo da aver donato il suo unico Figlio”. E San Giovanni non teme di aggiungere: “affinchè ogni uomo che crede in Lui non perisca, ma ottenga la vita eterna” (Gv 3,16).
Ecco perchè avanza in quest'oggi “questo Gesù di Nazareth che proclama dappertutto la Buona Novella” di cui tutto è nutrito (4,34), per la salvezza dell'uomo. Bisogna che il mondo lo sappia e lo abbiamo riascoltato oggi: “é per questo che sono venuto” (Mc 1,38)! E' per vincere la nostra disperazione che egli ha conosciuto la nostra angoscia (Mt 26,38). Per renderci la gioia ha sofferto la nostra tristezza. E' per togliere “il peso dei nostri peccati” che ne ha pagato tutto “il debito” (Col 2,14). Sì, possiamo ritrovare il senso dell'esistenza reintegrando nella nostra storia la vita del Figlio di Dio.
* Ascoltando l'apostolo Paolo, comprendiamo infine perchè oggi, nella nostra città, quello stesso Cristo è sempre là, e viene a prendere ancora la mano di ognuno di noi. Come tacere questa Buona Novella? “Annunciare il Vangelo non è infatti un titolo di gloria, ma una necessità che si impone” (Co 9,16). Fedele imitatore di Cristo, Paolo ha capito tutto. “Libero nei confronti di tutti mi sono fatto il servitore di tutti al fine di guadagnarne il più gran numero possibile” (9,19). E' anche questo un bell'insegnamento per noi. Il Vangelo non è innanzitutto una dottrina che si proclama; ma una vita che si assume. Non una teologia trasmessa che ha una risposta a tutto; ma un esempio di partecipazione e di azione sulle orme di Gesù Cristo. Per dirci “la Buona Novella della nostra salvezza” (Ef 1,13), Gesù l'ha vissuta. Per dire al mondo questo stesso “Vangelo di Dio” (Rm 1,1) dobbiamo tradurlo con una vita di fede, di speranza e di amore.
Viviamo troppo spesso come se le promesse di Cristo fossero solo nell'ordine del possibile. Come il mondo crederebbe che Dio ci ha donato tutto se noi rischiamo così poco per dirglielo? Non è quello l'esempio che ci da San Paolo che dice di sè “venduto al Cristo e schiavo di tutti” (1Co 9,19). Come, altrimenti, fare ammettere agli uomini la follia dell'amore di Dio per noi e la meraviglia delle sue promesse di gloria (2Co 4,17)? Questo mondo, più che mai, ha bisogno di “folli in Cristo”.
*** E' vero, fratelli e sorelle, Dio ha assunto un grande rischio affidandoci così il suo Vangelo! Una volta acceso questo fuoco di luce e di amore, Egli ci ha lasciato la responsabilità di alimentarlo e di propagarlo. Possiamo noi fare come se non lo sapessimo? E'infine così bello impegnarsi per l'annuncio gioioso del Vangelo della salvezza!
“Signore per te, ho spiegato le vele della nostra fede e della nostra testimonianza. Che il soffio del tuo Spirito venga a gonfiarle. Che dia slancio e dinamismo a questa testimonianza per la quale mi sono impegnato” (Saint' Hilaire de Poitiers).
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Omelia di fr. Pierre-Marie Delfieux VI Dom. T.O. B
Lasciarsi guarire
La lebbra è una malattia che colpisce inizialmente la pelle. Se non viene curata, si estende e si porta, poco a poco, in profondità a corrompere l’intero organismo. Trascina l’essere vivente alla morte, facendone un morto vivente, che si decompone prima di essere sepolto.
Semina infatti nel bel mezzo della nostra vita “dei germi di corruzione” e pare di poterlo fermare solo fuggendo (Lv 13, 46).
come la nudità dell’uomo, improvvisamente divenuta vergognosa, dopo il suo primo peccato, provoca la compassione di Dio, che lo riveste di tuniche di pelle (Gen 3, 21), poi Cristo con la sua misericordia lo rivestirà di luce. La grazia di Dio è sempre più forte del peccato.
Ma allora che cos’è il peccato? E come, colpendoci prima dal di fuori, poi al di dentro, è in grado di condurci poco a poco alla morte e alla corruzione? (Rm 5, 12)
Un pò di tempo a questa parte, diverse decine di vescovi rappresentanti le Chiese dei cinque continenti, si sono riuniti in Sinodo a Roma, per riflettere sul “mistero del male”, all’opera nei cuori, sulla riconciliazione che provoca e sul sacramento del perdono.
Il Papa Giovanni Paolo II, riprendendo delle conclusioni in una esortazione apostolica ci propone di meditare a nostra volta sul dramma che colpisce la nostra umanità. Questo non certo per farci perdere nel dedalo del moralismo, ma per ricondurci, lavati e liberati, sui sentieri della vita vera.
Giovanni Paolo II dice che due racconti biblici ci danno la chiave
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