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giovedì 27 dicembre 2018 - San Giovanni, Apostolo - 1 Gv 1,1-4 – Gv 20,2-8 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Che dono i santi dell’Ottava di Natale! Ieri festeggiavamo Santo Stefano e oggi San Giovanni. È bello, perché il volto di ogni santo riflette, a suo modo, il volto di Colui che è appena nato. Domani celebreremo i Santi Innocenti, e il giorno dell’Epifania faremo memoria dei Magi.
Quelli che dimentichiamo sono i pastori! Faccio una breve digressione… I Santi Pastori. Il vescovo Arnolfo, pellegrino in Terra Santa nel VII secolo, racconta di aver visto tre tombe di pastori nella Basilica di Betlemme. Le loro reliquie sono poi state portate in Spagna a Ledesma, nelle vicinanze di Salamanca, Vi si legge questa scritta: «I gloriosi Giuseppe, Isacco e Giacobbe, pastori di Betlemme, che hanno meritato di esser i primi a vedere e adorare il Cristo, Dio e Uomo, nella stalla.»
I pastori fecero un’esperienza spirituale estremamente forte, nella notte della Natività. Fu un’esperienza mistica comunitaria: la visita e l’annuncio dell’angelo, il canto del coro angelico, e la visita alla grotta, dove « trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.» (Lc 2,16-17) Poi «se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.» (Lc 2,20)
Chissà come avranno poi sofferto per la strage degli Innocenti, essendo stati i primi testimoni della nascita del Bambino che i soldati di Erode volevano uccidere…
Che siano divenuti santi non sorprende, quando si prende coscienza della profondità dell’esperienza fatta. Chi più di loro, oltre alla Vergine ed a San Giuseppe, è stato testimone del mistero del Bambino? Hanno visto il «bambino avvolto in fasce»(Lc 2,12) Hanno visto il neonato nelle braccia della Vergine o di San Giuseppe. L’hanno visto, l’hanno sentito vagire. Ne hanno visto la piccolezza, la vulnerabilità… e sapevano che era il «Salvatore», che era «Cristo Signore».(Lc 2,11)
Certamente saranno stati, per sempre, segnati dall’umanità di Gesù. E qui, torno a San Giovanni…
Ma chi è Giovanni? Giovanni non è stato testimone della nascita né della giovinezza di Gesù. Lo ha conosciuto, sembra, presso il Battista. Giovanni, dice la tradizione, era il più giovane degli apostoli. Era anche il discepolo per il quale Gesù aveva un affetto del tutto particolare, al punto che egli stesso parla di sé come del «discepolo che Gesù amava» (Gv 13,23).
Presenta poi degli aspetti un po’ contraddittori, come noi tutti siamo segnati da contraddizioni. È, da una parte, il discepolo che si china sul petto di Gesù con grande tenerezza, ed è, dall’altra parte, con suo fratello Giacomo, un figlio del tuono,(Mc 3,17) perché entrambi possono avere delle reazioni molto accese, se non violente.
Quel che sembra qualificare Giovanni è la verginità: verginità sessuale, dice la tradizione, ma anche verginità dello sguardo, la capacità di porre su Gesù uno sguardo di grande purezza. Come i pastori, Giovanni ha guardato a Gesù ed è stato segnato dall’umanità di Gesù. L’ha umanamente, profondamente amato, fino al Golgota, dove è stato l’unico, tra i dodici apostoli, a restare ai piedi della croce. Ma il suo sguardo puro è andato oltre l’umanità, fino a riconoscere in Lui non solo il Salvatore ed il Cristo Signore, ma il Verbo stesso. Giovanni è un erede del Primo Testamento che, soprattutto con l’apporto della cultura greca, aveva percepito il mistero della Sapienza personificata di Dio. In Gesù riconosce il Logos di Dio, vede il Logos di Dio. «Abbiamo udito» dice «abbiamo veduto con i nostri occhi, contemplammo e le nostre mani toccarono…» chi? «Quello che era da principio, il Verbo della vita. (cf 1 Gv 1,1-2) Gesù, Verbo della vita.
Giovanni aveva ascoltato Giovanni Battista che diceva: «Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me» (Gv 1,15)
Ha poi intuito che questo «era prima di me» rimandava all’essere stesso di Dio. E questo l’ha portato ad una grande audacia, quella di cominciare il suo Vangelo con «En archè», «In principio», esattamente come la Genesi comincia con «Bereshit»! Perché è una vera e propria nuova creazione nel Verbo di Dio.
Colui che ha visto nelle acque del Giordano, colui che ha seguito, col quale ha mangiato, parlato, che l’ha istruito, guidato, talvolta rimproverato, che l’ha molto amato… è La Parola di Dio. Non è solo un profeta. Non è solo una parola divina. È LA Parola di Dio. E, un giorno, ebbe l’ardire di scrivere su una pergamena, o di dettare: «E il Verbo si fece carne».(Gv 1,14) Ecco il frutto del suo sguardo verginale.
Ma questo stesso sguardo l’ha portato ad un'altra presa di coscienza. Chi, più di lui, ha insistito per sottolineare che Gesù ha dato un unico comandamento, quello dell’amore reciproco? Si racconta che, divenuto anziano, non cessava di ripetere: «Amatevi gli uni gli altri». «Amatevi gli uni gli altri», come Gesù ha amato voi. Lo stesso sguardo che ha visto l’origine e l’identità divina di Gesù, ha pure visto come doveva sbocciare il mistero di Gesù: nell’Amore reciproco. Conosceva l’intensità dell’Amore di Gesù. Sapeva che questo Amore era in grado di redimerci, che era un morire per risorgere. Sapeva che questo Amore era in grado di unirci nell’amore, fino a diventare «una cosa sola». (Gv 17,11.21-22)
Ecco lo sguardo che possiamo oggi porre sul Bambino del Presepe. Tu sei Dio, Dio che viene, Dio che ci visita, Dio in mezzo a noi. Tu sei la Parola di Dio… Dio si dice totalmente in Te. E Tu sei Colui che ci attira nell’Amore, perché diventiamo una cosa sola. Con i pastori e con Giovanni, ti adoriamo.
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lunedì 24 dicembre 2018
- NATIVITÀ DEL SIGNORE - Messa della notte Is 9,1-6 –
Tt 2,11-14 – Lc 2,1-14 - Badia Fiorentina - f.
Antoine-Emmanuel Che bella assemblea formiamo questa sera! C’è tra noi chi partecipa alla messa ogni giorno, chi vi partecipa la domenica, chi viene in Chiesa un paio di volte all’anno, e magari chi non è cristiano… Ma non ci sono muri tra noi. Il Bambino è qui per noi tutti.
Fermiamoci un attimo a guardare il presepe… Il Bambino è nato per te. E per noi, per il nostro stare insieme nell’amore. Già l’amore reciproco comincia a estendersi…
Si parla molto di presepe in questi giorni. C’è un certo don Paolo di Genova che ha deciso di non fare un presepe, a causa delle leggi ostili ai migranti; c’è il nostro amico Christian, di Belluno, che mi diceva questa mattina che il presepe nella sua parrocchia è stato rubato ieri; c’è la scelta coraggiosa invece del nostro sindaco di allestire un presepe nel cortile di Palazzo Vecchio. C’è poi un presepe molto particolare, in una vetrina di un negozio dall’altra parte del Duomo, un presepe con tante cose belle: il ruscello, il mulino, il trenino, e così via, ma non ci sono né Maria né Giuseppe né il bambino. Invece ci sono tanti negozi nel nostro quartiere che hanno accettato di mettere un presepe in vetrina, grazie all’audacia di diversi tra voi che lo hanno proposto loro. Una cosa è certa: il presepe … non lascia indifferenti! Chissà perché?
A questo proposito, vi condivido un sogno: ho sognato che tutti gli alberi di Natale si mettessero a parlare, ed anche che tutte le decorazioni di Natale si mettessero a parlare, e tutte le luci e tutti i regali nelle case, nelle feste natalizie… E che si mettessero a raccontare il vero senso del Natale. Questo porterebbe una gioia immensa nelle case, nei negozi, nelle piazze…. Il mondo si metterebbe a ballare di gioia!
Cosa griderebbe l’albero di Natale? «Sono il simbolo dell’albero della vita, dico che Natale è l’accesso riaperto verso l’albero della vita del Paradiso, e che dai miei rami pendono tanti regali che dicono quanto Dio sia generoso, quanta vita Egli voglia dare!»
E le luci direbbero che sono un piccolo riflesso di una Grande Luce, perché il Natale è la vittoria della Luce su tutte le tenebre…
Ma, mi direte, come una scena così innocua come il presepe può aver a che vedere con una grande vittoria sulle tenebre del mondo? Le tenebre le conosciamo tutti bene, anzi troppo bene. Le tenebre del cuore quando siamo smarriti, umiliati, depressi, oppressi… Le tenebre della vita quando non c’è il lavoro, i soldi, la casa…. Le tenebre affettive quando siamo soli, traditi, disprezzati… Le tenebre dei giornali con tutto l’odio, i conflitti che ci raccontano, le guerre, gli attentati, la fame, i muri, i divieti di sbarcare, …
Il presepe cosa c’entra? Il presepe è una storiella nostalgica, una favola? No!!! Il presepe dice una vittoria immensa, storica, cosmica! Perché viene a disturbare, a capovolgere il più profondo delle cose. C’è tutto un ordine delle cose segnato dal male, dall’ingiustizia, che il presepe viene a smantellare. L’innocenza, l’infanzia di Dio, fa irruzione sulla scena della storia, entra, grazie al sì di Maria, e viene a spezzare il dominio del male. Questo potere negativo, che talvolta affiora nella nostra coscienza, il Bambino viene a scardinarlo, a distruggerlo. Questi poteri occulti che abbiamo la tentazione di addomesticare per ricavarne più soldi, più potere, più fama… questi poteri che sempre ci distruggono, ci asserviscono, fanno di noi degli schiavi, il Bambino viene per cacciarli via per sempre.
ci descrive precisamente tutto ciò. Si parla di una grande luce che si alza su un popolo che si trova nelle tenebre. Si parla di una grande vittoria, tale che si possono bruciare le divise dei combattenti, perché la vittoria è definitiva. E come avviene questa vittoria? Con la nascita di un bambino. Un bambino che nasce per noi!
Il presepe è la rappresentazione di una vittoria immensa. È chiaro nel Vangelo: perché velocemente il re Erode, il tiranno dell’epoca, vorrà uccidere il Bambino? Perché non vuole perdere il suo potere! Infatti, nel Bambino, Dio «dispiega la potenza del suo braccio, disperde i superbi nei pensieri del loro cuore; rovescia i potenti dai troni, innalza gli umili; ricolma di beni gli affamati, e rimanda i ricchi a mani vuote.» (cfr. Lc 1,51-53)
È pericoloso per un tiranno tutto questo!!
È la fine dell’impero del male!
Ma il presepe di terracotta o di legno non fa che rappresentare questa vittoria.
È bello, significativo, ma insufficiente.
La messa, invece, il pane consacrato, il vino consacrato, non è simbolo della vittoria! È il vincitore stesso che si manifesta, che si dona, che irrompe nella nostra vita, nella vita del mondo, per portarci oggi il Regno dell’Amore! Il vincitore stesso viene e si dona! Natale avviene realmente sull’altare, come intuì San Francesco, mettendo il presepe sotto l’altare. Natale avviene nei nostri cuori! Allora, al Bambino, ora, presentiamo le tenebre, le angosce, i gridi del nostro cuore. Gli presentiamo pure i desideri, le gioie, i sogni del nostro cuore! E accogliamo Lui! La culla che il Bambino questa sera tanto desidera è il tuo cuore, ed è il nostro amore reciproco. Non vi è che paglia in noi e tra noi? Appunto, questo bambino nasce più che volentieri nella paglia… E la cambia in oro. Quando Egli nasce in noi e tra noi, tutto è trasformato, trasfigurato!
Mi ricordo di un uomo che entrò in questa chiesa un po' più di un anno fa. Era alle prese con tante, ma tante dipendenze e malattie dell’anima, inclusi l’occultismo e la massoneria. E permise al Signore di visitare la sua vita. Un anno dopo, era cosi bello vederlo piangere di gioia con la moglie, perché aveva – ed avevano – ritrovato la vita! La tua paglia si cambierà in oro se del tuo cuore, dei tuoi fallimenti e dei tuoi sogni, fai una culla per il Bambino Dio. Si chiama GESÙ. Vuol dire: Dio salva. Chiedi a Maria ed a Giuseppe! Lo deporranno con tanta cura nel tuo cuore! Si chiama GESÙ.
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giovedì 20 dicembre 2018 - Feria di Avvento - Ora santa della Misericordia - Is 7,10-14 ; Lc 1,26-38 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Ieri eravamo nel contesto molto solenne dell’offerta dell’incenso, nel Tempio di Gerusalemme. Grande solennità. Grande sacralità, con la folla dei credenti dinanzi al Tempio. L’altare, il fuoco, l’incenso, il sacerdote scelto per il servizio…
Oggi siamo a Nazareth, paese sperduto nella disprezzata Galilea. Niente tempio, niente sacerdote, niente folla, niente incenso.
Siamo in una casa, con la Vergine di 14 o 15 anni di età. Grande semplicità, anzi, ordinarietà. Entra l’Angelo. "Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te" (Lc 1,28)
Parole per Maria. Parole per noi, questa sera. "Rallegrati, tu che sei colmato/a della grazia: il Signore è con te". È ancora un'eco della Domenica della gioia. Un invito a rallegrarci, perché a noi non manca la grazia. Un invito a guardare come la grazia accompagna, avvolge, la nostra vita.
L’Ora santa della Misericordia comincia con questo riconoscere la grazia. La grazia è il delicato operare di Dio che riplasma la sua creatura svilita dal peccato, per liberarla dalla morsa del peccato. Quanto, sì, quanto il Signore lavora, opera nella nostra vita! È un continuo artigianato divino, per sottrarci continuamente al male, al demonio, alla mondanità. Rallegrati di essere cosi amato/a, al punto che Dio non si stanca mai di riprenderti, di salvarti.
E la grazia è bellezza. L’amore di Dio ti fa bello/a. Anche delle nostre fragilità, delle nostre debolezze, si serve per renderci belli di una bellezza non mondana, ma eterna.
Rallegrati! E non temere, perché hai trovato grazia presso Dio. Il Signore si ricorda di te… E sempre si ricorderà.
Celebriamo questa Eucarestia come ringraziamento, come lode al Signore. Come azione di grazie per la sua opera di purificazione, di perdono, di liberazione. Il re Acaz non volle aprire gli occhi sulle meraviglie che Dio compiva nella sua vita. Rimase a occhi chiusi. Noi apriamo gli occhi e guardiamo e celebriamo.
Quante volte, Signore, mi hai ripescato… Quante volte mi hai ricercato, io pecora ribelle prigioniera della mia propria volontà. Quante volte mi hai perdonato, facendomi scoprire l’ampiezza del tuo Amore. Quanta misericordia hai effuso sui nostri cari, sulle nostre famiglie, sulla Chiesa, sul mondo
“Che cosa renderò al Signore per tutti i benefici che mi ha fatto?
Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore.
(…) A te offrirò un sacrificio di ringraziamento e invocherò il nome del Signore.”
(Sal 116, passim)
Dopo la messa : esposizione del Santissimo – Ora santa della Misericordia
Abbiamo celebrato l’Amore salvifico, la grazia, la grazia sconfinata del Signore.
Come non correre ora dal Signore per chiedere grazia! Mi hai fatto riscoprire il tuo Amore, eccomi per esserne rivestito, anzi trasformato, trasfigurato…
Come prepararci all’incontro con Gesù nel Sacramento del Perdono? Possiamo semplicemente specchiarci nel Santissimo Sacramento.
Il pane si è lasciato prendere, spezzare e benedire, per essere pane consacrato per tutti. Ed io mi lascio prendere dal Signore? Mi lascio spezzare dal Signore? Mi lascio benedire dal Signore? Accetto di essere Suo dono? Per tutti?
Gesù Eucarestia è lì presente, offerto, in un silenzio pieno di Amore. Sono, io, presente agli altri? Qual è la qualità della mia presenza?
La mia vita è offerta? Offro il mio tempo? I miei beni? I miei soldi? La mia disponibilità? Le mie capacità? Di cosa mi sono appropriato?
So stare in silenzio? Sono capace di ascoltare, di rinunziare al mio punto di vista? Offro agli altri uno spazio d’amore dentro di me?
Gesù Eucarestia è tutto mitezza, non si impone. È mite ed umile di cuore. Ed io sono mite? Dove si annida la violenza in me? Con chi sono violento? Per che cosa divengo violento? Cosa mi fa inorgoglire e perdere l’umiltà? Che gloria umana sogno, che tesori sogno? Che fama?
Gesù Eucarestia è casto. Corpo di totale castità. Ed io come vivo il mio corpo, la mia sessualità? Ne ringrazio il Signore? Amo la mia sessualità? Oppure la profano?
Gesù Eucarestia è Colui che porta su di sé tutto il peccato del mondo. Dal Presepe alla Croce, Egli è l’Agnello che si carica del male. Ed io come vivo la sofferenza? Cos’è la mia croce? Come la vivo? Ho lasciato l’Amore di Gesù entrare nel mio patire?
Gesù Eucarestia è il Signore della gloria, il Risorto, il vincitore del male. L’ho accolto? Ho lasciato la speranza fiorire e portare frutto nella mia vita?
Facciamo silenzio. Non occorre un lungo elenco delle nostre mancanze, dei nostri fallimenti. Bisogna ascoltare dentro di noi, in profondità. È il Signore, e Lui solo, che può farci capire in che modo l’abbiamo ferito.
E ricordiamoci delle letture del giorno: il re Acaz che stanca Dio e stanca gli altri; la Vergine che rallegra Dio e si offre per gli altri. Ed io?
Al Signore, attraverso il sacerdote, potremo confessare tre cose: la nostra lode per l’Amore di Dio; i nostri peccati che Dio stesso ci fa vedere; la nostra speranza di una vita nuova con Gesù!
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Domenica 16 dicembre 2018 - III Domenica di Avvento (C) - Sof 3,14-17 – Fil 4,4-7 – Lc 3,10-18 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Sapete cosa segue al brano del Vangelo appena letto? «Il tetrarca Erode, rimproverato da lui a causa di Erodìade, moglie di suo fratello, e per tutte le malvagità che aveva commesso, aggiunse alle altre anche questa: fece rinchiudere Giovanni in prigione.» (Lc 3,19-20) E noi, avendo sentito Giovanni, cosa faremo? Lo metteremo anche noi in prigione? Per non sentire più la sua voce…
Oppure cercheremo di ascoltare Giovanni? È vero che Giovanni non è un uomo dalla parola dolce. Tra Gesù e Giovanni, l’uno accanto all’altro, che differenza! Ma di lui abbiamo bisogno per non mancare l’incontro con Gesù.
La posta in gioco è la gioia. Quella vera. Giovanni era un uomo austero, esigente, ma abitato da una gioia profonda. La gioia di essere al suo posto, di fare la volontà di Dio. Era l’Amico dello Sposo, Colui che si mette a servizio dell’Incontro tra lo Sposo e la sposa. «Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa;» dice «ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire». (Gv 3,29-30) La sua gioia è servire l’Incontro e poi ritirarsi.
La nostra gioia è diversa. È la gioia della Sposa. È la gioia profetizzata da Sofonia: «Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!» (Sof 3,14)
È un vero crescendo nella gioia: «Rallegrati», poi «grida di gioia», poi «esulta e acclama con tutto il cuore».
È la gioia della Sposa visitata dallo Sposo. La Sposa che lascia la gioia di Dio esplodere in Lei: «Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia». (Sof 3,17)
Ecco la posta in gioco: la gioia delle nozze. Non solo nell’eternità, ma già oggi… nel quotidiano, in mezzo alle vicissitudini e ai problemi del quotidiano.
Bisogna, quindi, ascoltare bene Giovanni, e non metterlo a tacere come fecero Erodiade ed Erode.
Cosa dice Giovanni? Agli esattori delle tasse romane dice: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato» (Lc 3,13) Ai soldati, dice: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».(Lc 3,14) E a tutti: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto».(Lc 3,11) E a te cosa dice? E a me? Una cosa è certa: ci chiede la prima conversione, una nuova prima conversione, cioè di ri-scegliere la giustizia. E questo tocca due realtà molto concrete: la prima è il possesso, l’appropriarsi del denaro e dei beni, la cattiva tendenza ad accumulare per noi; la seconda è la violenza, il fare violenza per raggiungere i propri scopi.
Dove si annidano in noi l’avarizia, la cupidigia, i tesori nascosti che sanno di egoismo? Che cosa siamo incapaci di condividere? Dove si annida in noi la violenza? Con chi siamo violenti? Per che cosa diventiamo violenti?
E Giovanni è molto chiaro: «Fate dunque frutti degni della conversione». Non bastano le buone intenzioni. Ci vogliono delle scelte… Ed aggiunge: «e non cominciate a dire fra voi: "Abbiamo Abramo per padre!".»(Lc 3,8) Non cominciate a dire: «io sono monaco, io sono monaca, io sono sacerdote, io sono un fervente praticante» … No … «Fate dunque frutti degni della conversione». E la posta in gioco è la gioia! La gioia vera… L’amore per il denaro, l’attaccamento ai beni uccidono la gioia. Finché l’anima nostra sarà prigioniera dei beni, degli onori e degli affetti, non potrà conoscere la vera gioia. Quanto alla violenza, essa è la grande nemica della gioia. Non la sopporta…
La gioia proviene dall’Incontro con Gesù. La gioia nuziale è incomparabile. «Forse un giorno, per la tua vita sempre più pura e abbandonata, provocherai il Signore, che ci ama tutti infinitamente, a desiderare in modo tutto particolare la tua bellezza. Comprenderai allora che cosa significhi per te essere oggetto dell’amore geloso di Dio, sperimenterai la gioia di uno sposo divino promesso alla tua anima e l’inesauribile letizia di intravedere a quali nozze di felicità Dio stesso ti invita. » (Libro di vita di Gerusalemme, n.86)
la strada della rinuncia al possesso egoistico e della mitezza. Sono necessari una decisione e degli atti. Qui si gioca la nostra libertà. Ma qui si sperimenta anche la nostra miseria. Perché presto ci rendiamo conto di quanto il possesso e la violenza siano profondamente radicati in noi. Non ci basta il battesimo con acqua di Giovanni: abbiamo bisogno del Battesimo nel fuoco di Gesù. Abbiamo bisogno del fuoco dell’Amore divino.
Per rinunziare al possesso e alla violenza, è necessario un Amore più grande del nostro cuore. Occorre che il nostro cuore sia sommerso da una piena di Amore, di fuoco. Ci vuole un nuovo tuffarsi nel Battesimo nel fuoco di Gesù. Questa è la grazia del Sacramento del Perdono.
Il sacramento della Riconciliazione non è il battesimo di Giovanni. Non è riconoscere le proprie mancanze e impegnarsi a fare meglio. Questo è già bello, ma non è la Confessione sacramentale. Essa è un gettarsi nel fuoco dell’Amore divino, con due conseguenze: la prima è che Dio stesso ci fa vedere il nostro peccato, ed è come una bruciatura nell’anima… La seconda è che la Misericordia divina agisce nel profondo del nostro cuore, ed è una liberazione, un esorcismo, una vita nuova…
Tutto questo non si può vivere da soli: io e la mia coscienza… È un dialogo con un Altro, con Dio. E quindi abbiamo bisogno della mediazione di uno che, a nome del Signore, ci ascolti e ci dia l’assoluzione. Non voglio la «mia» assoluzione, anche piena di buoni sentimenti religiosi. No! Voglio quella di Dio. E non voglio lasciarmi ingannare dalla mia piccola misericordia. Voglio la grande Misericordia, quella di Dio. Quella del Presepe e della Croce. Quella di Gesù. Quella che da Gesù fu affidata alla Chiesa. Non vogliamo una scintilla di amor proprio. Vogliamo l’incendio dell’Amore di Dio che ha la potenza di risanarci in profondità.
La posta in gioco… è la gioia! Una gioia che supera le gioie pur benedette della terra. Una gioia contagiosa. Ecco come P. Pierre-Marie ne parlò in una sua omelia per la Terza Domenica di Avvento:
«In verità, tutti noi siamo eredi diretti della Gioia trinitaria. Non dimentichiamolo mai! Perché il mondo aspetta da noi che sappiamo renderne testimonianza (Fil 4,4 ; 1 Pt 3,15). Siamo stati creati nella gioia di Dio. E rimaniamo segnati da questa Immagine inalterabile. Portiamo per sempre il riflesso di questa Somiglianza originaria. Sì, perché essendo figli di Dio, siamo figli della Gioia, l’allegrezza è iscritta in noi come un’impronta originaria. E la possiamo ravvivare nei nostri cuori ogni volta che pensiamo e che ci apriamo alla contemplazione di questa prima sorgente che è in noi stessi sorgente che zampilla per la vita eterna. (Gv 4,14 ; 7,38)»
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Domenica 9
dicembre 2018
- 2a Domenica d'Avvento - Badia Fiorentina- un monaco Voce di uno che grida nel deserto. Per i Giudei ci sono diversi significati del “deserto”. Prima di tutto il deserto ricorda l’uscita d’Egitto quando Dio ha liberato Israele. Il deserto è anche il cammino fuori della Terra Promessa verso la schiavitù in Babilonia quando Israele era stata infedele. E poi il deserto, cammino di ritorno dall’esilio. Ed è questo deserto che Dio spiana, prepara per Israele nella 1ma lettura del profeta Baruc. Sentiero di cui parla anche il salmo responsoriale. Se ne sono andati piangendo e tornano con gioia portando i covoni. Allora si dice tra le genti “il Signore ha fatto grandi cose per loro”! All’epoca di Gesù, al momento in cui Giovanni Battista si è messo a predicare, più praticamente, il deserto nel quale si doveva preparare un cammino era il deserto che quasi circondava la città di Gerusalemme. Da qualsiasi parte si arriva, dal mare all’ovest, da Gerico e dalla Samaria all’oriente e al nord, dall’Idumea al sud... le vie per raggiungere la città possono sparire facilmente sotto una tempesta di sabbia. L’arrivo di visitatori importanti, l’afflusso dei pellegrini per le grandi feste richiedeva infatti di riparare le vie, di raddrizzare i sentieri. L’ufficio stradale all’epoca aveva da fare in certi momenti dell’anno. Le parole del Battista avevano tutti questi significati per i suoi contemporanei... ai quali lui aggiungeva un significato più profondo, spirituale, messianico che vale sempre e ancora per noi. Oggi, in questo inizio di Avvento, per mezzo di Giovanni Battista, la Parola di Dio c’invita a preparare, riparare le vie, raddrizzare i sentieri. Colui che viene non è un qualsiasi visitatore . Il cammino da apprestare non è un sentiero ordinario. È Dio che viene, la città ad accoglierlo è il nostro cuore e la via da preparare è la nostra vita cosi com’è, oggi. Stamattina, in questa 2da domenica di Avvento, come sta il mio cuore? Sempre innamorato oppure già tiepido, stanco? Batte un ritmo regolare oppure in aritmia, batte in armonia con mia moglie oppure in discordia, aperto o chiuso agli altri? La nostra storia, le sue vicende, gli incontri fatti, i tempi che stiamo vivendo... possono infatti rendere il nostro cuore più o meno spalancato, dilatato... oppure otturato, sbarrato, inaccessibile come una cittadella inespugnabile, una roccaforte assediata i cui dintorni sono poco ospitale, poco accogliente. Può darsi infatti che ingiurie, ingiustizie subite... immaginarie o reali... induriscono il cuore. Ci si racchiude, ci si ritira dagli altri, ci si difende, si alza il ponte levatoio ed eccoci inaccessibile agli altri ed a Dio. Mi ricordo di una coppia in difficoltà... diceva uno di loro... vivo accanto ad una torre ermeticamente chiusa, nessuna porta o finestra aperta per comunicare. Può darsi... che per causa dei nostri peccati il sentiero verso il nostro cuore sia diventato un labirinto complicato, un groviglio. Menzogna, ipocrisia, paura, superficialità e così via possono rendere desertico, tortuoso il cammino che porta al nostro cuore. In modo tale che gli altri ci raggiungono con tanta difficoltà e noi gli altri. Si comunica con fatica. I peccati agiscono come filtri che oscurano, distorcono la realtà facendo che parole, gesti possono essere interpretati diversamente, addirittura capiti per il contrario. Parimenti, si può alzare il ponte levatoio del nostro cuore quando pensiamo non avere più bisogno degli altri. Quando si ritiene che gli altri non fanno che approfittare della nostra generosità e noi siamo stanchi di dare e dare sempre... senza ricevere nemmeno un grazie. In questi casi... Il Signore che viene avrà tanta difficoltà per raggiungerci. E Lui viene e bussa alla porta del nostro cuore... Raddrizzare i sentieri al Signore vuol dire, carissimi, rendere libera la via che conduce al nostro cuore profondo. Sbarazzarla da tutto ciò che ingombra il cammino di Colui che vuole venire da noi. Una buona, bella pulitura, una visita all’autolavaggio dell’anima e del cuore che è il confessionale. Se nella 1ma lettura è Dio stesso che spiana la via ad Israele, qui siamo anche noi da metterci al lavoro. Il seguito della predica di Giovanni Battista dice raddrizzate i sentieri al Signore... cioè fate frutti degni della conversione. Vuol dire prima di tutto, poter individuare, dare nome ai burroni, ai nodi del groviglio intorno al cuore... risentimenti, rancori, perdono non dato, non chiesto... tutto quanto che rendono la via al nostro cuore impercorribile. Individuati, possiamo prenderli in mano e presentarli al Signore affinchè possa perdonarli, guarire i feriti, consolarci, spianando così la via al cuore. Non basta rattristarsi per i propri peccati, dichiararsi colpevole, darsi alle pratiche di espiazione, di autopunizione che non redimono mai! Per uscire, superare il sentimento di colpevolezza, che è una realtà soggettiva, si deve scoprire il vero senso del peccato che è una realtà oggettiva. Non basta riconoscersi inadeguato rispetto all’immagine che si ha di se stesso. Bisogna riconoscersi peccatore nei confronti di un altro, di fronte alla vittima, di fronte a Dio. È questo il presupposto necessario per ricevere il perdono che davvero libera. E così la venuta del Signore nel cuore è alla volta frutto della sua grazia e della nostra cooperazione. Per molti il tempo di Avvento è tempo di spese... dello shopping per il regalo, la cena originale, perfetto. Non dico che non è bene, anzi, se favorisce la gioia dello stare insieme. Ma sappiamo, dobbiamo sapere che una quantità di regali - da dare o ricevere - non dà la vera gioia se non viene dal cuore, se non è un dono di se stesso. Raddrizzare i sentieri a Colui che è il REGALO, DONO di Dio per noi vuol dire spianare la via al nostro cuore profondo per aprirci alla circolazione sempre più libera e agevole dell’amore vero e della gioia vera. In questo tempo di Avvento, cresca sempre più in noi la conoscenza, il discernimento di ciò che è meglio per la venuta di Cristo Gesù come dice san Paolo nella 2da lettura. Questa Eucarestia sia inizio del lavoro stradale intorno alle nostre cittadelle. Possiamo arrivare a Natale con cuore più leggero, libero, accessibile, capace di dare a Colui che viene la chiave per aprirlo.
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sabato 8 dicembre 2018 - Solennità dell’Immacolata Concezione della BV Maria - Gn 3,9..20 – Ef 1,3..12 – Lc 1,26-38 - Badia Fiorentina -f. Antoine-Emmanuel
Innanzitutto non posso non condividere con voi la mia gioia di celebrare questa festa dell’Immacolata Concezione… Per prima cosa perché è l’Immacolata! Poi perché 42 anni fa, ricevemmo un grande dono: la nascita della comunità delle sorelle! Ed anche … per la gioia del tutto particolare della visita della mia mamma. Ho un grande debito di riconoscenza verso i miei genitori, per mille ragioni, ma in particolare per il fatto che, quando avevo 9 mesi circa, mi consacrarono alla Beata Vergine Maria con un rito molto significativo, nel quale si depone – e in qualche modo si consegna - il bambino sull’altare…
Maria Immacolata…
Si racconta che, quando era una bambina di 3 anni, la piccola Maria fece ai genitori una confidenza. Disse loro che voleva essere vergine per il Signore, per appartenere pienamente al Creatore, facendo della propria vita un’offerta d’amore, un dono, un canto, un sorriso all’Eterno Dio.
quello di essere peccatrice. Perché? Perché aveva intuito, nella sua amorosa scienza, che il peccato era via preziosa per conoscere l’Amore divino. E voleva, sì, conoscere il divino Amore. Aveva sete della divina sorgente, e non ebbe mai sete di nessun altro amore come della sorgente dei Tre.
Voleva quindi essere sia vergine, per offrirsi all’Amore sia una peccatrice, per conoscere appieno l’Amore. Anzi, desiderava essere una grande peccatrice. Voleva essere salvata. Per conoscere l’Amore che salva. Ma non voleva in nessun modo offendere Dio con l’orrore della colpa. Come fare?
A venirLe incontro fu il babbo, Gioacchino, con un gesto ispirato, profetico. Regalò alla bambina un uccellino che aveva appena fatto il primo volo e si era posato maldestramente sul lato scivoloso di una fontana. Era troppo fragile per volare di nuovo e rischiava di scivolare nell’acqua e di annegare. Perciò doveva esser salvato, per non perire.
Gioacchino lo prese delicatamente e lo affidò alla piccola Maria, dicendoLe che l’aveva salvato prima che cadesse nel pericolo. La piccola Maria lo raccolse e se ne prese cura. Il babbo Le chiese allora se avesse manifestato amore, salvandolo prima della caduta. E se avrebbe manifestato maggiore amore, se l’avesse salvato dopo la caduta.
Questa fu la catechesi del babbo. Il peccatore conosce l’Amore, perché viene salvato dal pericolo in cui è caduto. Ma vi è un altro modo – luminosissimo - di conoscere l’Amore: essere salvato prima di cadere nel pericolo. Così avvenne per Maria di Nazareth. È il mistero dell’Immacolata Concezione. Maria fu salvata prima di poter cadere nel peccato. * Avviciniamoci un po’ a questo mistero. Nel momento in cui Maria fu concepita dai suoi genitori, fu creata la sua anima, come avvenne per ciascuno di noi. L’anima è creata dal Padre; e ogni anima fuoriesce dall’Amore divino con una bellezza meravigliosa. Ma appena entra nel mondo delle creature, viene come offuscata, inquinata. I germi del peccato originale fanno perdere all’anima la bellezza originaria.
Ora questo non avvenne per Maria. La sua anima fu creata da Dio con un dono di grazia del tutto particolare. Una bellezza straordinaria… Era già salvata. Era già redenta dalla Passione del Figlio, del Figlio che avrebbe un giorno dato alla luce.
Portava l’impronta del Figlio di Dio. E perciò i germi del peccato non poterono penetrare in Lei, Maria rimase nell’assoluta purezza del cuore, il che Le dava una misericordia, una compassione, una tenerezza immense, come divine!
Lo ripeto : questa divina operazione non fu un processo anonimo, meccanico, artificiale… Fu veramente un’”impregnazione” dell’Amore del Figlio di Dio, del Verbo. E qui si giunge ad una realtà meravigliosa che da anni mi porta allo stupore: nell’anima di Maria, ci fu, fin dal suo concepimento, un splendido legame d’amore con il Figlio di Dio, una sintonia, un’immedesimazione, una reciprocità d’amore straordinarie. Questo dono, nascosto nel segreto delle anime, man mano sarebbe venuto fuori, dapprima nel tempo della gravidanza, dando all’amore di Maria per il Figlio che portava in seno un’intensità del tutto particolare.
Poi alla nascita e durante l'infanzia del bimbo, nel veder sbocciare i doni del ragazzo, l’amore materno fu segnato da questo splendido legame delle anime.
Venne ancora di più alla luce nella fedeltà della madre al Figlio durante la vita pubblica, anche grazie agli inviti che Gesù Le rivolse a distaccarsi sempre più dal naturale legame d'amore materno e famigliare, in vista della prova del Calvario.
Il legame tra le due anime si manifestò come non mai, appunto, sul Calvario quando Maria partecipò in modo incomparabile alla Redenzione, Co-Redentrice presso il Redentore, che era anche il Suo Redentore. Ai piedi della Croce questo legame rivelò pienamente la Sua finalità: la maternità universale di Maria, nuova Eva, presso il nuovo Adamo crocifisso. Lui conobbe l’abbandono. Lei conobbe la desolazione. Entrambi conobbero il silenzio di Dio. Come l’assenza di Dio. Per assumere l’Uno insieme all’Altra, Lui come Dio fattosi carne, Lei come creatura, come l’Immacolata la Redenzione del genere umano.
Fu allora, nella Resurrezione, che si manifestò la bellezza eterna dell’Amicizia Pasquale che Li fa un cuor solo ed un'anima sola. E nella Gloria sono UNO, il Re e la Regina, come l’arte li rappresenta, con sublime bellezza, in tanti mosaici, affreschi e pitture. Sono insieme il primo focolare dell’amore reciproco, il primo germe del Regno, il principio dell’Amicizia Pasquale. E noi attingiamo a quest’Amicizia Pasquale per illuminare, rafforzare, santificare e consacrare le nostre amicizie sempre fragili della terra.
Chi potrà descrivere la bellezza, la castità, la gioia dell’amore reciproco che unisce il Nuovo Adamo e la Nuova Eva? Un amore che va contemplato, ricordato, custodito nei nostri cuori, per attingervi speranza ogni qualvolta l’amore ci sembra impossibile.
Quando sei stanco, tentato, bersagliato, disperato, recati presso il Cuore Immacolato di Maria, e vi troverai Gesù.
Ogni volta che un pensiero brutto, malsano, odioso si affaccia alla tua mente, subito, davvero subito, mettilo nel Cuore Immacolato di Maria. In quel cuore si trova il Redentore…
Se vuoi amare, se vuoi obbedire al comandamento dell’amore reciproco, affidati alla maternità divina di Maria. Ella farà crescere Gesù in te. Ella ti porta a Gesù. E Lui ti affida a Lei. Vieni rapito dal loro Amore. E ne sarai trasformato.
Fin dal giorno in cui si prese cura dell’uccellino fragile, Maria sa prendersi cura di tutte le nostre debolezze, e ci conduce nell’Amicizia Pasquale, perché la gustiamo e perché la possiamo offrire a tutti coloro che sulla terra sono senza speranza e senza amicizia. |
martedì 27 novembre 2018 - XXXIV settimana T.O. - Ap 14,14-19– Lc 21,5-11 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
«"Getta la tua falce e mieti; è giunta l'ora di mietere, perché la messe della terra è matura". Allora colui che era seduto sulla nube lanciò la sua falce sulla terra e la terra fu mietuta.» (Ap 14,15-16) L’immagine dell’Apocalisse è chiara: verrà il giorno del Giudizio. La storia non è un’avventura incerta, guidata dal caso. Non è neanche una continua ripetizione, nella logica della cosiddetta reincarnazione. No! C’è uno sviluppo nella storia che è interamente nella mano di Dio. E verrà il giorno del Giudizio.
Si parla del giudizio personale che viene al momento della morte, e del giudizio finale che avverrà nel giorno della venuta in Gloria di Gesù. Giudizio finale, perché prenderà in considerazione tutte le conseguenze della nostra vita sugli altri e sul creato, anche oltre la nostra morte.
Sappiamo che il Giudizio è stato affidato dal Padre a Gesù, perché è il Figlio dell’uomo. Il trono del Giudice è la Sua croce. Gesù ci giudicherà come ha giudicato il Buon Ladrone. (Lc 23,43) Giudicherà la nostra apertura al Suo Amore, alla Sua Misericordia… Giudicherà il modo con cui avremo usato i talenti a noi affidati. (Mt 25,14-30) Avremo accolto i doni della Sua Pasqua d’amore? Giudicherà il nostro modo di prenderci cura dei poveri, dei malati, degli affamati… «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare…» «Ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare…» (Mt 25,31-46)
Sarà l’ora della mietitura. E quanto arde nel cuore di Dio che entriamo nel granaio del Suo eterno amore!
Ma questo giudizio possiamo anticiparlo! Ogni qualvolta noi accogliamo veramente la Parola di Dio, la Parola della Croce, siamo già nell’ora del Giudizio.
Non è vero che la Parola ci giudica? Non è vero che quando siamo veri, leali, la Parola opera già in noi un giudizio? Prendendo coscienza delle nostre resistenze ad amare, piangiamo di vergogna. Prendendo coscienza del nostro rifiuto di dipendere da Dio, piangiamo di tristezza. Oppure, prendendo coscienza del dono di Dio, piangiamo di gioia … La Parola ci colloca nella verità, non la verità fredda di concetti astratti, ma la verità dello sguardo di Gesù. La Parola di Dio ci fa incontrare lo sguardo del Verbo umanato. E, talvolta sarà come lo sguardo di Gesù sul giovane ricco; (Mc 10,21) talvolta come lo sguardo che Pietro incontrò nel cortile del Sommo Sacerdote. (Lc 22,61) Oppure come lo sguardo di Gesù sui poveri ed i malati del Vangelo: uno sguardo di verità. Niente Gli può sfuggire. In niente Lo si può ingannare. Ti guarda fino nell’intimo del tuo cuore che conosce più di quanto non lo conosca tu stesso.
È l’esperienza che possiamo fare meditando sulle Beatitudini questa settimana. Ogni Beatitudine ci pone nella Verità. Perché ogni Beatitudine è una Promessa. Gesù promette ai poveri che Dio dà loro già quaggiù il Regno di Dio. Gesù promette a chi piange che Dio lo consolerà. Ogni Beatitudine rivela l’agire del Padre. Ci dice come si manifesta e si manifesterà la tenerezza del Padre. Sono promesse… Promesse di vita e di felicità. E per questo sono parole che già ci introducono nel Giudizio di Dio. Tu dici di sì a questa felicità? Credi che Dio può e vuole farti felice di una felicità che non passa? Le Beatitudini sono come il dispiegarsi del mistero della Resurrezione. Ci dicono come Dio si fa vicino a chi piange, a chi soffre, a chi è assetato di giustizia, e gli dona una consolazione, una benedizione… un dono regale. E tu, il tuo cuore è aperto alla potenza della Resurrezione?
Le Beatitudini ci rivelano la verità del nostro cuore perché accogliamo più che mai la forza della Resurrezione!
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Domenica 25 novembre 2018 - Solennità di Cristo Re - Dn 7, 13-14 - Ap 1,5-8 – Gv 18,33b-37 - Badia Fiorentina - fr. Antoine-Emmanuel
Gesù «Re» dell'universo. E' difficile per noi pensare un «re». Oggi la parola “re”, in Europa, è spesso un titolo onorifico o qualcosa di folcloristico. Oppure si pensa a forme dispotiche, dittatoriali di potere.
Ma già nel Vangelo si capisce che Gesù non è re nel modo in cui lo intendiamo noi. Nel vangelo di oggi, Pilato parla di “re” (Gv 18,33), ma Gesù parla di “regno”; come se volesse dire a Pilato che non è re come l'intende lui, non è re come Cesare. «Il mio regno non è di questo mondo».(Gv 18,36)
Allora... ci interessa questo regno, se non è di questo mondo? Sì, perché appunto non è un prodotto di questo nostro mondo ferito e perché è – già - in mezzo a noi.
Non siamo noi che facciamo Gesù Re. Gesù scappò quando seppe che venivano per farlo re.(Gv 6,15) Non sono le nostre tradizioni, le nostre leggi, le nostre scelte umane che lo fanno Re... E' Dio che lo fa Re. E Re dell'universo. Non solo re d'Israele, re delle nazioni, ma Re dell'universo … dell'intero cosmos. «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra.» (Mt 28,18)
E com'è avvenuto questo? Quando c'è stata la cerimonia di intronizzazione? C'era la RAI e la CBS e la BBC? No! E' avvenuta sul Calvario. Era scritto in latino, in greco ed in aramaico: REX «Quel che ho scritto, ho scritto.» (Gv 19,22), disse Pilato, rifiutando di togliere la scritta. Com'è scritto sul portone di Palazzo Vecchio: “Rex Regum et Dominus Dominantium” E' il Sovrano... Tutto gli è sottomesso.
E dove ha la sua reggia? Il suo palazzo, la sua corte, il suo esercito, il suo oro? Non ha oro! Non ha il corteo delle guardie, come i re della terra. Non vive di traffico di esseri umani, come tanti potenti della terra. Non si arricchisce con la vendita d'armi, come tanti sovrani di oggi. Non si compiace delle “fake news” e non costruisce muri per tenere fuori i migranti.
No! La Sua corte sono i poveri. I puri di cuore, i vulnerabili, i miti... Lo ha detto esplicitamente: Il re siederà sul suo trono di gloria e dirà: “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me”.»( cfr Mt 25,31.40)
Il Suo palazzo è l'Amore, ma l'Amore vero. Non l'amore che è possesso dell'altro sotto la cintura e basta; l'Amore che è insieme tenerezza e castità, mitezza e verità, giustizia e pace. Sei nel Suo palazzo quando dai la vita per gli altri. La Sua reggia è il morire d'amore per gli altri.
Se la tua vita è un correre con due cellulari in mano per fare i tuoi affari ... ti allontani sempre di più dal Suo Regno. E cadi nel regno dell'individualismo, che è un regno di isolamento, di depressione... un carcere spirituale. Se la tua vita è un correre da un negozio all'altro perché è il “black friday” o il “cyber monday” ti allontani sempre di più dal vero Re... e regnerà su di te il consumismo. E il consumismo è simile alle bestie del Libro di Daniele (Dn 7,1-8): ti divora, ti fa a pezzi … perdi la tua identità... non sei più altro che il gioco dei mercanti della terra (Ap 13, 11-17)
Com'è difficile oggi non perdere di vista il Regno di Dio! Perché regnano l'individualismo e il consumismo, due “bestie” terribili. Ma Dio non lascerà quelle bestie divorare i suoi figli. Se non ci convertiamo, verrà, viene l'ira di Dio, cioè il ritirarsi di Dio. Come una tenebra che avvolgerà il nostro mondo, perché ritroviamo il Regno che non è di quaggiù.
Dio non ci lascerà seppellire i nostri nascituri, i nostri bambini e i nostri anziani nel sepolcro dei nostri egoismi. Agirà. Si manifesterà. Bisogna vegliare, cogliere i segni dei tempi. E soprattutto bisogna accogliere il Regno, ed esserne noi i servi, i testimoni.
Il Regno, ci fa capire Gesù oggi, è testimonianza della verità, è “martirio” per far risplendere la verità: la Verità dell'amore disarmato di Dio, la Verità dell'uomo che non è fatto solo per amare, ma per morire d'amore. La Verità che risplende nell'Eucarestia. Il Pane eucaristico che ora riceviamo è Dio che si fa nostro cibo per regnare in noi e tra noi.
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Domenica 18 novembre 2018 - XXXIII Settimana T.O. - Dn 12, 1-3 - Eb 10,11..18 – Mc 13,24-32 - Badia Fiorentina - fr. Jean-Christophe
Siamo vicini alla fine dell’anno liturgico. La liturgia di questa domenica ci fa volgere lo sguardo alla fine dei tempi. Ci interroga sulla speranza che è nei nostri cuori. I discepoli di Cristo sono uomini e donne pieni di speranza. Sanno che questo mondo passerà. Mettono radici non nella terra, bensì nel cielo Molte sofferenze, molte miserie deturpano il nostro mondo. Forze del male agiscono e fanno cadere l’uomo nel peccato. Ma noi crediamo che la vittoria è già avvenuta. Cristo ha vinto le tenebre del mondo. Ed è venuto a portare un fuoco sulla terra, il fuoco dello Spirito che ricrea ogni cosa nella gioia. Non ci saranno più né pianti né lacrime, annuncia il veggente dell’Apocalisse. (cfr. Ap 21,4) Un mondo nuovo appare, una creazione nuova ci è promessa. E oggi Gesù aggiunge: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.» (Mc 13,31) Meditando la parola di Gesù, facciamo morire il mondo vecchio e nascere il mondo nuovo. La parola di Gesù è passaggio, ci prende per mano per portarci a Gesù. Ella innalza la nostra anima verso le realtà di lassù, là dove è Cristo, assiso alla destra di Dio, come ci dice oggi la lettera agli Ebrei.(cfr. Eb 10,12) «Lo Spirito e la Sposa dicono: Vieni! Venga la tua grazia, Passi questo mondo e tu sarai tutto in tutti» canteremo fra poco. Un futuro di pace e di luce esiste. Ci è stato promesso. «Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno» (Dn 12,2) «Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria.», precisa Gesù. «Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo». (Mc 13,26-27) Il traguardo della nostra vita in questo mondo è la contemplazione di Cristo nella sua gloria. È il nostro incontro con Lui. Tutta l’umanità converge verso Cristo. In Lui, tutto è compiuto. La fine della nostra esistenza terrena può anche sopraggiungere: la nostra fede in Gesù Cristo ci fa già passare dalla morte alla vita.
Ma, come vivere oggi alla luce di questa rivelazione? Gesù usa un’immagine: quella del fico che germoglia. Il mondo nel quale viviamo è come il ramo dell'albero, che è avvolto da una corteccia dura. La corteccia protegge, ma rinchiude anche la vita che passa attraverso la linfa. Ad un tratto la corteccia si spacca e viene fuori un germoglio. L’immagine del germoglio ci dice che la vita di Gesù è più forte di ciò che sembra potente e saldo. La potenza di Dio passa attraverso ciò che è fragile e vulnerabile. Questo germoglio dice tutta la tenerezza di Dio e la Sua forza contro la morte. Il nuovo può sempre manifestarsi anche dove non ce l’aspettiamo. L’immagine del germoglio indica pure un movimento. Perché il germoglio è tutto teso verso la produzione del frutto. Si sviluppa fino a lacerarsi, per dare il frutto. Anche Gesù, il germoglio, il virgulto annunciato dai profeti, ha fatto esperienza della lacerazione, per l'amore espresso in pienezza sulla croce. Il germoglio dimentica sé stesso per portare vita più abbondante. L'immagine ci dice il movimento della vita di Gesù e quello della nostra vita. La parola di Dio, che non passerà e che plasma il nostro cuore, lacera l’involucro del nostro cuore. Essa ci fa entrare nel mondo di Dio. La parola di Dio ha creato il mondo il primo giorno, lo ricrea nell’ultimo giorno. E se custodiamo la Sua Parola nel nostro cuore, essa illumina il nostro cammino quaggiù e ci fa passare attraverso la morte.
Fratelli e sorelle, il mondo deve passare. Ma dipende da noi che vada verso Dio. Il Cristo risorto ha fatto germogliare, come il fico a primavera, la speranza di un mondo nuovo. Teniamo accesa in noi la fiamma della speranza. Gesù bussa alla nostra porta. Lo lasceremo entrare?
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sabato 17 novembre 2018 - XXXII settimana T.O. - Gv 5-8– Lc 18,1-8 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Questa parabola è molto “forte”. Non è una parabola del tipo: «Il Regno di Dio è simile a…». È una parabola a rovescio. Come se Gesù dicesse: «Renditi conto che Dio non è così…» È una parabola per darci una scossa… forte.
Gesù parla di un giudice iniquo, diremmo oggi, corrotto, massone, mafioso. Un amico dei ricchi. Amico… no! Questa non è amicizia, è interesse. Gli interessano i ricchi, per arricchirsi, per ottenere sempre più potere. E chissà quante tangenti avrà intascate…
Ebbene, nella sua città, c'è una vedova che grida per ottenere da lui giustizia. Si può pensare che qualcuno avesse un debito nei confronti del marito defunto, che rifiuta di pagare alla vedova. E lei deve dar da mangiare ai figli. Quindi grida, giorno e notte. Una vera persecuzione – meritata – per il giudice. Ma lui è sordo. Non sente il grido dei poveri. Geremia parla dell’orecchio incirconciso: un orecchio che non sente né la voce di Dio né la voce dei poveri.(Ger 6,10)
Ma lei continua, insiste, grida, notte e giorno… a tal punto che lui finalmente le rende giustizia. Non per senso del dovere, non per senso della giustizia, ancor meno per amore, ma perché non venga più ad importunarlo. Lo fa per amore della propria tranquillità. * Qui comincia la parabola a rovescio: pensate che Dio sia come questo giudice? No! Quando ci rivolgiamo a Dio, Dio non è sordo. Non aspetta a lungo per ascoltarci. Non risponde perché tu Lo importuni. Non risponde per essere tranquillo nel suo cielo. No! Dio ascolta il gemito del povero. Dio ascolta il grido di chi soffre. Ascolta più profondamente di quanto possiamo immaginare. Ascolta non solo le parole, ma il cuore. Ascolta il vero desiderio del cuore. Ascolta ciò che veramente muove il nostro cuore. Ascolta la verità della nostra fede o non-fede… E, se sente nel nostro cuore il battito autentico della fede, questo Gli fa sussultare di gioia il cuore. Ne è meravigliato, come Gesù di fronte alla fede del centurione. (cfr Lc 7,6-9)
Dio ascolta ed interviene. Fa giustizia. Ma interviene e fa giustizia in un modo divino, ed in un tempo divino. Il che risulta molto spesso difficile da capire. Ma nell’ultimo giorno capiremo. E vedremo soprattutto che la grande risposta Dio l’ha data nella Croce di Gesù. Dio non ha detto belle parole. Non ha preso le armi. È entrato nella sofferenza, nel caos del male, e ne ha preso su di sé il morbo, la malignità. La risposta di Dio è nella Croce, nella Risurrezione, nella Chiesa, in Maria. E in te, in me. Siamo la risposta di Dio al gemito del povero o dei poveri che il Signore ci ha affidati. * Dio non ha niente a che vedere con il giudice corrotto. Non è il giudice che si deve guardare nella parabola, bensì la vedova. È straordinaria questa donna, perché non si scoraggia. Non ha paura di farsi ammazzare dalla mafia, amica del giudice. Non pensa: «Niente cambierà. Ci saranno sempre ingiustizie…» Non perde la speranza… e grida giorno e notte. Non lascia i figli diventare mendicanti o ladri o morire di fame. Non si abitua all'ingiustizia.
E, a questo punto, bisogna ascoltare la domanda di Gesù. Uno scossone questa domanda! «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8) Che ne dite? Che ne pensate?
Cosa troverà Gesù? Troverà la fede? Oppure troverà un’umanità tecnicamente iper-connessa, ma in cui ciascuno vive per sé stesso? Troverà un’umanità in cui la miseria di tanti è divenuta una cosa normale: … basta sfiorare lo schermo per non pensarci più? Troverà un’umanità in cui si uccidono tutti i bambini salvo quelli che abbiamo “ordinati”, secondo i nostri egoismi? Troverà un’umanità in cui si uccidono gli anziani che ci danno fastidio? Troverà una società massone, un regno del potere, un’apostasia subdola e generalizzata?
Cosa troverà? Troverà nei cuori la fede della povera vedova che non rinunziò mai ad ottenere giustizia, per poter poi esercitare la carità? Troverà la fede sulla terra?
La risposta spetta a te, a me, a noi. Qui sta la nostra responsabilità. Qui sta l’urgenza di affidarci a Maria per non perdere mai la fede, la fede vera.
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giovedì 15 novembre 2018 - XXXII settimana T.O. - Filemone 7-20– Lc 17,20-25 - Badia Fiorentina f. Antoine-Emmanuel
Alla domanda: «Quando verrà il regno di Dio?» (Lc 17,20), Gesù non risponde con una data. Non dice quando verrà il Regno di Dio, ma dice dov'è, già ora, il Regno di Dio. Non è in realtà appariscenti, che fanno rumore, che sono sulla prima pagina dei giornali. E non è neanche da cercare in un posto particolare. No! «Ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi!» (Lc 17,21)
Come interpretare questa frase? Ci sono due modi di intendere l'affermazione di Gesù: il primo è che «il regno di Dio è in mezzo a voi», nel modo in cui vi rapportate gli uni agli altri. Il Regno sta in una qualità di rapporti, di relazioni, di amore che è ormai divenuta possibile. Non è solo una buona intesa, una solidarietà, un mutuo rispetto. È una nuova qualità di amore che ci viene data dal Signore, e per la quale Gesù ha pregato: «Che siano una cosa sola…» (Gv 17,21) Per essa Gesù ha pregato e si è offerto sull’altare della Croce. Per essa si dona nella Santa Eucarestia. Questa nuova qualità di amore non fa rumore, e non è da ricercare in un luogo speciale! È in mezzo a noi… E va accolta.
consiste nel dire che «il regno di Dio è in mezzo a voi» perché Gesù è in mezzo a noi! Il Regno di Dio non è fatto di effetti speciali, di cose strane, … È Gesù presente in mezzo a noi. La sua presenza cambia la storia, cambia il mondo. Quando viene accolto, c'è la vittoria sui nostri egoismi, la vittoria sulle nostre paure, la vittoria sulla morte.
A questo punto ci possiamo chiedere: «Qual è l'interpretazione giusta? L’una o l’altra?»
In realtà l’una e l’altra. Il Regno di Dio è la nuova qualità della relazione che nasce dalla presenza di Gesù. È la presenza nuova di Gesù che si rende visibile nell’amore reciproco.
Possiamo comprenderlo meglio con un paragone: se ora ci possiamo vedere, è perché c’è luce; senza la luce, al buio saremmo incapaci di riconoscerci come facciamo ora.
La presenza di Gesù è come la luce. Ci permette di incontrarci ad un livello molto più profondo di quanto “umanamente” siamo soliti fare. La presenza di Gesù è la luce che permette alle anime di entrare in una profonda relazione di mutua accoglienza, di amore reciproco di «inabitazione» reciproca.
Senza la luce di Gesù, l’ombra del peccato ci impedisce di riconoscerci come fratelli. Senza la luce di Gesù, tutte le tenebre del rancore, le lentezze nel perdonare impediscono che ci sia un incontro in profondità.
Quando accogliamo Gesù in mezzo a noi, la luce è accesa. I volti si vedono senza maschera. I cuori si incontrano senza paura. Le anime dialogano senza difesa. Ecco il grande dono della presenza di Gesù!
Quando due o tre sono radunati nel nome di Gesù, cioè in questa presenza di Gesù Risorto, allora Gesù è presente in mezzo a loro.(cfr Mt 18,20) Gesù è presente nella qualità del rapporto che si tesse. Gesù si rende visibile, nel mondo, nella qualità dell’amore che si vive.
«Se siamo uniti, Gesù è fra noi. E questo vale. Vale più d’ogni altro tesoro che può possedere il nostro cuore: più della madre, del padre, dei fratelli, dei figli. Vale più della casa, del lavoro, della proprietà; più delle opere d’arte d’una grande città come Roma, più degli affari nostri, più della natura che ci circonda con i fiori e i prati, il mare e le stelle; più della nostra anima!
È lui che, ispirando i suoi santi con le sue eterne verità, fece epoca in ogni epoca. Anche questa è l’era sua: non d’un santo, ma di lui; di lui fra noi, di lui vivente in noi, edificanti – in unità d’amore – il Corpo Mistico suo e la comunità cristiana. Ma occorre dilatare il Cristo; accrescerlo in altre membra; farsi come lui portatori di Fuoco, che è la carità in atto. Far uno di tutti e in tutti l’Uno! Ed allora viviamo la vita che egli ci dà attimo per attimo.»1
E' questa realtà che Pierre-Marie intravedeva quando scrisse: «Accogli l’invito all’amore fraterno come l’aprirsi a un grande mistero, perché con esso entrerai nell’essere stesso di Dio. Dove c’è l’amore, c’è Dio. In questo modo, con i tuoi fratelli, dai corpo a Dio, esprimi la sua presenza, sei segno del suo agire. La tua comunità tutta intera diventi in questo modo teofania del suo Amore.»2
1 http://www.centrochiaralubich.org/it/documenti/scritti/4-scritto-it/217-se-siamo-uniti-gesu-e-fra-noi.html 2 Libro di vita di Gerusalemme, n.6
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sabato 10 novembre 2018 - XXXI settimana T.O. - Fil 4,10-19– Lc 16,9-15 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Le letture che la Chiesa ci propone oggi ci danno una serie di insegnamenti su una realtà che passa quotidianamente nelle nostre mani, e che non può non occupare un posto nella nostra coscienza, nelle nostre scelte: il denaro.
Per parlare del denaro, Gesù usa il termine Mamôn, che, probabilmente, significava una specie di deposito, come per dire che il denaro può essere solo una realtà che ci viene affidata, non è mai un possesso assoluto, al quale avremmo un diritto “ontologico”. Dinanzi a Dio, ogni bene terreno che consideriamo legittimamente come nostro, è in realtà qualcosa che ci è stato affidato. E dovremo rendere conto sul modo in cui abbiamo usato ciò che ci è stato affidato.
Gesù, per due volte, associa il termine Mamôn con la parola adikia che significa ingiustizia e va intesa come inganno. Il denaro è ingannatore in quanto si crede spesso che sia una realtà affidabile, ma non può mai esser la sicurezza di fondo della nostra vita. È pericolosissimo. Ricordiamo il riccone che pensava che i suoi beni gli avrebbero assicurato il benessere per sempre, e aveva totalmente dimenticato il traguardo della morte. Il denaro ci inganna!
L’evangelista Luca ci racconta poi tre insegnamenti di Gesù che ci danno tre messaggi sul denaro.
Il primo è sull’uso migliore del denaro: il migliore fondo di investimento è condividerlo con i poveri. «Chi nutre Cristo nel povero, colloca il proprio denaro in cielo», dice San Leone Magno. «Gli amici che ci otterranno la salvezza sono i poveri» scrive Gaudenzio da Brescia.
Chi ci accoglierà nelle dimore eterne? (cfr. Lc 16,9) Coloro con i quali avremo condiviso quel che oggi abbiamo. Il denaro è un mezzo prezioso per ottenere un tesoro eterno. Perciò Paolo, rivolgendosi ai Filippesi, e chiedendo il loro sopporto economico, scrive loro: «Non è però il vostro dono che io cerco, ma il frutto che va in abbondanza sul vostro conto.» (Fil 4,17)
Facciamoci degli amici con quello che abbiamo, con quello che siamo, e già sperimenteremo cosa significa essere accolti nelle dimore eterne. Un povero che diviene mio amico, per il quale mi disfo di quello che mi è caro, è qualcuno che mi fa già pregustare le dimore eterne.
Il denaro, ci insegna poi Gesù, ha pure una funzione di test: se gestiamo il denaro in modo evangelico, il Signore potrà affidarci dei beni molto più significativi. Il denaro rimane sempre una realtà che non è nostra, e usarlo bene ci prepara a ricevere un dono che è veramente nostro, ossia la salvezza. Paolo lo dice a suo modo ai Filippesi: «Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù.» (Fil 4,19) La banconota che hai nella tasca è un test. Se riconosci che va condiviso, allora accogli già quaggiù un barlume della gioia della salvezza. «Le cose di questo mondo non vi trattengano», dice San Leone Magno, «perché vi attendono i beni del cielo».
Infine, il denaro è uno strumento per imparare a scegliere, nel profondo di noi stessi. Gesù ci dice che «Nessun servitore può servire due padroni».(Lc 16,13) Il Vangelo usa il termine oiketè che significa il domestico, colui che lavora dentro una casa, a servizio di un padrone. Il padrone gli dice cosa deve fare, e gli dà uno stipendio. Noi tutti siamo domestici. Serviamo un padrone, che lo vogliamo o no. Ora, ci sono due possibilità: o serviamo Dio o serviamo il denaro. Il rapporto col denaro ci rivela quindi il nostro rapporto vero con Dio. Paolo può quindi scrivere ai Filippesi che i loro doni, ricevuti da Epafrodìto, sono «un piacevole profumo, un sacrificio gradito, che piace a Dio». (Fil 4,18)
Ecco i tre insegnamenti che Gesù ci dà… «I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui.» (Lc 16,14) E tu, e io?
Comprendiamo da questo brano evangelico anche che Gesù non disprezza il denaro, non lo demonizza, non lo maledice. Ce lo presenta come una realtà che non è male in sé, ma che richiede continuamente un discernimento.
Il Signore ci dia la Sua sapienza perché sappiamo usare il denaro, il poco o il molto che abbiamo, come quel deposito che serve a condividere con i poveri, che è un test per prepararci ad accogliere il vero bene che è l’Amore di Dio, e che non va servito come un padrone, perché di Dio solo vogliamo esser servi. Con l’aiuto dello Spirito Santo, non ci lasceremo ingannare dal denaro!
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venerdì 9 novembre 2018 - Dedicazione della Basilica Lateranense - Ez 47,1-2.8-9.12– Gv 2,13-22 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Perché Gesù purifica il tempio? Perché era il luogo sacro per eccellenza per Israele, il luogo del culto, dell’adorazione, dove si esprimeva l’amore per Dio, attraverso la preghiera ed i sacrifici. Gesù ha pregato nel tempio, come vi hanno pregato Simeone, Anna, Zaccaria, Giuseppe, Maria,… Gesù spesso vi ha anche insegnato. Finché la Prima Alleanza non giunse al suo compimento nella Pasqua di Gesù, era il luogo dell'adorazione di Dio.
Da che cosa Gesù purifica il tempio? Da tutto ciò che ne fa un mercato, da tutto il chiasso che ne tradisce la vocazione. Era luogo di preghiera, non di commercio. Luogo di adorazione e non un covo di ladri. (cfr. Mc 11, 17)
E la Chiesa oggi? Perché il Signore purifica la Chiesa in questo nostro tempo, in modo così palese?
Che la Chiesa abbia bisogna di purificazione non è cosa nuova: la Chiesa, nei suoi membri, è chiamata ad una continua conversione.
Ci sono stati poi dei periodi della Storia in cui questa purificazione è stata particolarmente necessaria. Basti pensare alla Riforma gregoriana, con Papa Gregorio VII, nell’XI secolo, a Francesco d’Assisi, a Caterina da Siena,… O alla predicazione del Savonarola, qui a Firenze, nel Quattrocento.
Oggi, la purificazione ha un aspetto di purificazione attiva, in particolare attraverso il ministero di Papa Francesco; ma anche di purificazione passiva, attraverso il venire alla luce di molti scandali legati al clero o ai religiosi. Certamente c’è chi va in cerca di queste rivelazioni, c’è ostilità o odio nei confronti della Chiesa. Ma c’è pure una purificazione voluta dal Signore.
Perché? Perché la Chiesa sia quello che è: santa! La santità è la sua natura, la sua bellezza, la sua vocazione. «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato sé stesso per lei, per renderla santa», scrive Paolo agli Efesini. Gesù l’ha «purificata con il lavacro dell'acqua mediante la parola, per presentarla a sé stesso tutta gloriosa». Ecco la vocazione della Chiesa: essere «senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata.» (cfr. Ef 5,25-27)
Ma la bellezza della Chiesa non è una bellezza esteriore, non è una bellezza da chirurgia estetica, da crema di bellezza o da giornale di moda. La bellezza della Chiesa è quella che vede, che contempla Ezechiele. In pieno esilio, in un tempo di purificazione per il Popolo di Israele, vede il Tempio di Gerusalemme, divenire la sorgente di un fiume meraviglioso, un fiume che risana le acque del Mar Morto. E «dovunque arriva il torrente, il pesce vi sarà abbondantissimo,... Lungo il torrente, su una riva e sull'altra, crescerà ogni sorta di alberi da frutto, le cui foglie non appassiranno: i loro frutti non cesseranno e ogni mese matureranno, E questi frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina». (cfr Ez 47, 6-12) Ecco la bellezza della Chiesa: inondare il mondo con un fiume di vita. Offrire nutrimento, guarigione, medicina. La Chiesa ha un cuore che è il cuore di Cristo, e un corpo che dà vita al mondo. La Chiesa è, nel mondo, lo sgorgare dal cuore di Cristo di una vita sovrabbondante che risana il “mar morto” delle anime, ed il “mar morto” delle relazioni. La bellezza della Chiesa sta nel dare vita, nell’elargire al mondo la misericordia e la tenerezza di Dio.
La purificazione attuale della Chiesa è in vista di un più grande dono di vita al mondo. Si può pensare all’episodio famoso di Gedeone, nel Libro dei Giudici, in cui il Signore riduce ad un numero straordinariamente piccolo i combattenti di Israele.(Gdc 7,1-8) Perché? Perché arriva l’ora di una battaglia che si vincerà solo se ci si fida di Dio, se si conta non sulle forze umane, ma su Dio. Il Signore non abbandona la partita, non abbandona il mondo. E ci prepara alla lotta. La lotta ha bisogno non di una Chiesa numerosa, prepotente e appariscente, ma di una Chiesa “vagliata”, di cristiani che scelgono Gesù e la Sua Croce col cuore.
La meta è la salvezza delle anime. La meta non è un successo mediatico della Chiesa. Questo non avverrà né oggi, né domani. La meta è una Chiesa pienamente identificata a Gesù nel Suo mistero Pasquale, una Chiesa che ha la bellezza anti-mediatica del Crocifisso, una Chiesa in cui risplende l’Amore, fino al Sangue, per le anime. Una Chiesa unita al Redentore in modo non esteriore, ma intimissimo, con un medesimo battito del cuore. Una Chiesa che comprende sé stessa guardando a Maria, alla Co-Redentrice, che co-redime unita a Gesù, unico Redentore e Suo Redentore. Una Chiesa associata intimamente all’Amore folle di Gesù, e che, quindi, si mette alla scuola d’Amore della Madre di Dio, per non mancare quest’appuntamento; per non sottrarsi alla sua missione, che non è altro che un eccesso d’Amore.
Signore Gesù, per quello che fai per purificare le anime, per purificare le relazioni, per purificare la Chiesa, Ti benediciamo.
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giovedì 1° novembre 2018 - Solennità di Tutti i Santi - Ap 7,2..14 – 1 Gv 3,1-3 – Mt 5,1-12a - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Apostoli della speranza cristiana
Che gioia contemplare la folla dei volti Santi! Tanti riflessi di Dio, la bellezza dell’amore divino che si riflette nella diversità dei volti ! Ci saremo anche noi? Anche tu?
A dire il vero, io non desidero esserci! Desidero che ci siamo tutti insieme… No! Desidero che tutti gli uomini ci siano.
L’abbiamo pregato nel Rosario quotidiano del mese di ottobre: «Gesù, perdona le nostre colpe, preservaci dal fuoco dell’inferno, e porta in cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della tua misericordia.» Porta in cielo tutte le anime…
L’Apocalisse suscita in noi oggi il desiderio di un popolo di Santi, di un popolo santo: «Vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. .. «Chi sono e da dove vengono?» ... «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell'Agnello.» (Ap 7,9..14)
Avere nel cuore questo traguardo di luce si chiama «speranza». La speranza è attendere da Dio la gioia di essere in Dio per l’eternità, di essere insieme in Dio per l’eternità, di essere immersi eternamente nell’Amore.
La speranza cristiana non è «sperare» la buona riuscita di un affare economico, o il buon esito di un processo in tribunale. «Spero di farcela» non è la virtù teologale della speranza. La speranza è attendere da Dio di poter vivere in Dio, niente di meno. Ed è un lavoro interiore, una conversione del cuore, perché richiede che apriamo il cuore ad una realtà molto, molto più grande di noi: desidero il cielo, e lo desidero come dono gratuito di Dio. È una duplice conversione: una conversione rispetto alla sorgente della mia vita, ed una conversione rispetto alla prospettiva della mia vita. Cambia il motore, e cambia la meta!
La concupiscenza si spegne, le passioni si placano in noi! Perché? Perché se il nostro cuore ha come orizzonte, come anelito, la felicità eterna dell’Amore, le realtà di quaggiù perdono il loro potere su di noi. Le guardiamo con gioia, con gratitudine al Creatore, con stupore talvolta, ma esse non possono più rendere schiavo il nostro cuore. È quello che abbiamo sentito nella Lettera di Giovanni. L’apostolo vergine e così vicino al cuore di Gesù scrive: «Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica sé stesso, come egli è puro.» (1Gv 3,2-3) La speranza purifica il nostro cuore! La speranza sgombra il nostro cuore dal groviglio delle passioni, perché vi introduce una nuova Passione: il desiderio della gioia eterna per tutti gli uomini.
Di fronte alle infedeltà di Israele, il profeta Geremia lancia questo appello: «Lava il tuo cuore dalla malvagità, Gerusalemme, perché possa uscirne salva. Fino a quando abiteranno in te i tuoi pensieri d'iniquità?» (Ger 4,14) Ma chi ci può «lavare» il cuore? Gesù! Il Suo sangue! Dal momento in cui Gesù è morto d’amore sulla Croce, la gioia eterna per tutti non è più un'utopia, è una realtà offerta gratuitamente a tutti fin d'ora… E questa speranza ci «lava» il cuore ora!
Un cuore puro non è un cuore spento, un cuore insensibile, un cuore freddo come il ghiaccio! Avevano il cuore freddo tutti questi Santi? No! Avevano il cuore ardente d’amore! Perché la speranza aveva liberato il loro cuore.
E cosa avviene quando il cuore è purificato? Ce l’ha detto Gesù, nel Suo primo grande Discorso, sul Monte delle Beatitudini: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.» (Mt 5,8) Beati i puri di cuore, perché, avendo il cuore libero dalla concupiscenza, vedranno Dio. Beati i puri di cuore… perché vedono quanto Dio ci è vicino. Vedono la tenerezza di Dio. Chi è puro di cuore vede che Dio si fa vicino con passione! E ne è «beato», felice, come ci dice Gesù!
a Fioretta Mazzei a cui era legato da una splendida amicizia pasquale: «Ed ecco, ancora, quali pensieri mi venivano: - pensavo allo splendore ed alla bellezza di Maria dopo la resurrezione di Gesù. La luce del corpo risorto di Cristo aveva certamente una ripercussione marcata su quello immacolato di Maria: tutta la persona della Vergine, dalla prima apparizione di Gesù, dovette essere «immersa» nella luce della resurrezione, irradiare una soavissima luce di Cielo. Che bello, non è vero, questa realtà divina che rende così concreta la parola di Gesù: - beati i puri di cuore perché vedranno Iddio. Lo vedranno: dove? quaggiù, nello specchio delle creature; e, soprattutto, nella intima «visione» di Maria e di Gesù! Cara Fioretta, è questo e sarà sempre questo – il Signore lo vorrà! – il nostro programma: vivere guardando il Signore risorto e Maria Immacolata avvolta nella luce e nel gaudio della resurrezione.»
Ecco un cuore puro… A poco a poco liberato dalle passioni, vede Dio negli altri, come contempla Dio nell’umanità gloriosa di Gesù e nel volto luminoso della Vergine.
Al contrario, quando il cuore è privo di speranza, l'uomo non comprende più nulla della vita e dell’amore. L’orizzonte è basso, bassissimo. E si ripone una pseudo-speranza in ciò che non può colmare l’anima. In modo particolare si cerca l’estasi divina nel sesso. L’altro diviene strumento del proprio piacere, e questo è l’anti-comunione, l’anti-paradiso, è l’inferno. La pornografia è addirittura diabolica.
È la speranza che mette ordine nella vita affettiva, sentimentale, sessuale, perché non si prende per meta ciò che è passeggero.
Si può credere che, con le urgenze morali e sociali di oggi, pensare al cielo sia una perdita di tempo. Nient’affatto! Chiedete a Giorgio La Pira cosa gli desse la forza di impegnarsi per la società, per la città, per la giustizia, per i poveri. La speranza! Guardava al «porto finale della navigazione storica degli uomini, che mostra, sulla riva dell’eternità, le strutture quadrate e le mura preziose di una città beata: la città di Dio!»1 Secondo Soren Kierkegaard la speranza è la locomotiva del treno: se essa si ferma, tutto il treno si ferma, la nostra capacità di amare si arresta. Se la fede è il fondamento della speranza, la speranza è il dinamismo interiore dell’amore.
Un grande dramma del nostro tempo è la perdita del pudore, della castità, del senso profondo della sessualità. E questo fa tante, tante vittime, anche tra i bambini, immersi in una cultura pornografica che “ruba” loro lo stupore, la tenerezza, la pazienza dell’amore, il mistero della persona, la santità del corpo, l’unità tra corpo ed anima… La nostra società è “ladra”. E tanti si arricchiscono con questo mercato diabolico. Ma, di tutto ciò, la causa principale è la mancanza della speranza.
Si capisce quindi l’urgenza che diventiamo apostoli della speranza cristiana. E se questo è un compito di tutti i cristiani, lo è in modo particolare di chiunque si senta chiamato ad abbracciare una spiritualità monastica.
non è «disincarnata, né disimpegnata, ma sinceramente rivolta verso il cielo dove dimora Dio. » Ma… «ogni vita cristiana è mossa da questo slancio ascensionale: siamo tutti in qualche modo già lassù e sarebbe illusione credere che il nostro avvenire sia quaggiù. Con Gesù, il Padre ci ha risuscitati e fatti sedere nei cieli in Cristo. La tua vocazione monastica ti invita dunque a cercare incessantemente le cose di lassù, dove si trova Cristo, a pensare alle cose del cielo, non a quelle della terra – tu infatti sei già morto e la tua vita è ormai nascosta con Cristo in Dio. Anche là si trovano le vere gioie. Non potrai comprendere, tutto d’un tratto, come le cose celesti e invisibili siano le più reali e le più attuali; le cose visibili, infatti, sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne. Ciò è l’opposto della gloria che cerca il mondo.» Entrando nella vita monastica, o aderendo ad una spiritualità monastica, «ti sei accostato alla montagna di Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste, a miriadi di angeli, all’assemblea festosa dei primogeniti.» (Libro di vita di Gerusalemme, n.62)
1 PER LA SALVEZZA DELLE CITTÀ DI TUTTO IL MONDO, discorso tenuto da Giorgio La Pira al Convengo dei Sindaci di tutto il mondo in Firenze il 2 ottobre del 1955
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martedì 30 ottobre 2018 - Ef 5,21-33– Lc 13,18-21 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
«A che cosa è simile il regno di Dio?» Quando Dio regna cosa avviene? «E a che cosa lo si può paragonare?» (Lc 13, 18) Il Regno di Dio è simile ad un temporale, che distrugge tutto dovunque si abbatta? No! Il Regno di Dio è simile ad un fuoco, che annienta con grande potenza tutto ciò che non è di Dio? No! Il Regno di Dio è simile ad un fiume in piena, che travolge i cadaveri dei nemici di Dio? No! Il Regno di Dio si manifesterà con la vittoria politico-religiosa di Israele su tutti i popoli? No!
Il Regno di Dio «è simile a un piccolissimo granello di senape, che un uomo prese e gettò silenziosamente nel suo giardino; silenziosamente crebbe, silenziosamente divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami.» (Lc 13, 19) Uccelli a migliaia che danno vita ai nidi del Regno e cantano di gioia! Immenso popolo radunato nell’unità e nella gioia!
«A che cosa posso ancora paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e mescolò silenziosamente in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata.» (Lc 13,20-21) L’umilissimo lievito trasforma la pasta; essa può diventare pane, può diventare cibo per tutti. L’amore l’ha trasformata dal profondo, dal di dentro, dal cuore.
Ecco il Regno di Dio: un piccolo seme divino, un po’ di lievito dall’Alto. E l’umanità è trasformata nell’amore e nella gioia.
Da che cosa si vede che il Regno è stato accolto? Ci risponde oggi Paolo con una frase estremamente chiara e precisa: «Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri.» (Ef 5,21) «ὑποτασσόμενοι ἀλλήλοις ἐν φόβῳ Χριστοῦ.» Si vede dalla reciprocità dell’amore, una reciprocità vissuta «nel timore di Cristo», cioè radicata in Cristo. Da Gesù Risorto si riceve la possibilità dell’amore reciproco, dell’essere sottomessi gli uni agli altri. E Paolo, nei capitoli 5 e 6 della Lettera agli Efesini, parla della reciprocità dell’amore tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra schiavi e padroni. Ecco il Regno di Dio!
Allora, vorrei farvi ascoltare la musica del Regno di Dio:
«Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri» (Ef 5,21) «Mediante l’amore siate a servizio gli uni degli altri» (Gal 5, 13) «Portate i pesi gli uni degli altri: così adempite la legge di Cristo» (Gal 6,2) «Accoglietevi gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi» (Rm 15,7) «Sopportatevi a vicenda nell’amore» (Ef 4,1-3) «Perdonatevi a vicenda come Dio ha perdonato voi in Cristo» (Ef 4,32) «Pregate gli uni per gli altri per essere guariti» (Gc 5,16) «Fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti» (2 Cor 13,11-12) «Confortatevi dunque a vicenda» (1 Tess 4,18) «Siate di aiuto gli uni agli altri, come già fate» (1 Tess 5,11) «Esortatevi a vicenda ogni giorno» (Eb 3,13) «Prestiamo attenzione gli uni agli altri» (Eb 10,24) «Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno; gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12,10) «Amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri» (1 Pt 1,22-23) «Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri» (Rm 12,16)
Ecco quello che avviene quando si accoglie insieme il seme, il lievito che è Gesù: Gesù Eucarestia!
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sabato 27 ottobre 2018 - XXIX settimana T.O. - Ef 4,7-16– Lc 13,1-9 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Il fatto che alcuni riferiscono oggi a Gesù è orrendo. Orrendo per la violenza: l'uccisione dei seguaci del falso messia Giuda
orrendo, in modo particolare per la coscienza ebraica, in quanto «Pilato aveva fatto scorrere il loro sangue insieme a quello dei loro sacrifici.»(cfr. Lc 13,1) C'era stata quindi mescolanza del sangue degli animali offerti in sacrificio col sangue dei seguaci di Giuda il Galileo. Era stata una specie di bestemmia nel sangue, di sacrificio umano del tutto estraneo alla fede di Israele.
Sarebbe stato facile trarne, come verdetto, che i Romani erano colpevoli, peccatori e quindi responsabili di tutti i mali del tempo …
Ma non erano i soli colpevoli. Perché nella mentalità religiosa dell’epoca, e, purtroppo, spesso nella nostra, si pensava che, se Dio aveva permesso o voluto che quei Galilei fossero messi a morte, ciò significava che essi erano più peccatori degli altri. Ogni disgrazia infatti veniva interpretata come un castigo di Dio.
Cosa dice Gesù? Non potrebbe essere più chiaro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico.» (Lc 13, 2-3) È quello che Gesù dirà anche dinanzi al cieco nato: il suo essere cieco dalla nascita non viene né dall'essere lui peccatore né dall'essere i suoi genitori peccatori. (cfr. Gv 9,3)
Come prosegue Gesù? «No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». (Lc 13,3)
Come se dicesse: «Non pensate che i Romani siano i soli colpevoli! Non pensate che quei Galilei fossero più peccatori degli altri! Non pensate che solo gli altri debbano convertirsi! No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. Anche voi, voi tutti, avete bisogno di conversione!»
Oggi, è facile pensare ed affermare che i terroristi debbono convertirsi; che gli schiavi del consumismo debbono convertirsi; che gli spacciatori debbono convertirsi; che i sostenitori del gender debbono convertirsi… e così via! Ma Gesù ci dice che la prima persona che deve convertirsi sei tu, sono io, siamo noi!
Poi Gesù racconta una breve parabola, quella del fico che, dopo tre anni, non dà ancora nessun frutto, e quindi andrebbe tagliato, secondo il padrone della vigna. Ma il vignaiolo dice di no: «..lascialo ancora quest'anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime.» (Lc 13,8) È chiaro: di per sé, l’umanità dovrebbe esser “tagliata fuori”, perché non dà i frutti di amore che Dio aspetta da lei. Ma, in Gesù, la misericordia divina si prende cura di noi perché ci convertiamo. E' urgente la conversione: siamo già nel tempo della pazienza, della pazientissima misericordia di Dio.
Non rimandare a domani la conversione! Sarebbe un abusare della misericordia di Dio…
E cos’è la conversione? È dire di no a quella tendenza che conosco in me e che mi allontana dall’amore e dalla verità, un no deciso ed umile.
Deciso, perché quel che è male è male, quel che è peccato è peccato. Non si può mai tollerare il peccato.
Ed umile, perché non posso liberarmi da solo da quella cattiva tendenza. Conto sul Signore. Chiedo al Signore la liberazione, e ne parlo con chi mi accompagna spiritualmente, e/o con un amico, un fratello, una sorella. E avendo chiesto la grazia del Signore, combatto! Combatto con la certezza che la liberazione mi è data dal Signore, mentre combatto. La mia fiducia di fondo non è nella mia lotta, ma nel Signore, nel sangue di Gesù, nel suo morire e risorgere per noi.
Nella prima lettura, possiamo infine cogliere un invito più preciso alla conversione. Convertirsi è dire di no all’egoismo per accogliere la grazia e diventare il dono che io sono per gli altri. (cfr. Ef 4,7)
Nel disegno di Dio, ciascuno di noi è un dono per gli altri, ciascuno contribuisce in un modo unico all’edificazione del corpo di Cristo. (cfr. Ef 4, 11-12) La conversione non è “lucidare” la mia virtù per il mio bene… È diventare quella gemma di Dio che Dio desidera perché noi tutti, gemme di Dio, giungiamo insieme alla «misura della pienezza di Cristo». (Ef 7,13)
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Domenica 21 ottobre 2018 - XXIX T.O. - Is 53,10-11 – Eb 4,14-16 – Mc 10,35-45 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Oggi è domenica 21 ottobre… Ci sono degli impegni già presi per oggi. Ci saranno degli imprevisti. Ma come vivere bene questo giorno? Come vivere oggi quello che Papa Francesco spesso ci dice: «Tu sei una missione». Io sono una missione? Come posso essere io oggi una missione? Come lo potrei con le mie lentezze, i miei problemi, il carico di lavoro, la salute fragile, i miei problemi sessuali, i miei debiti, le attese degli altri… Essere io una missione? Boh!
Cosa mi può riscaldare il cuore e far sì che io divenga la missione che sono? La Parola di Dio! È vero… senza un contatto vivo con la Parola di Dio, la mia anima rimane spenta. Ma, quando avviene il contatto vitale con la Parola, allora l’anima si infiamma.
Vi è una misteriosa “chimica spirituale” in noi. Quando si riserva del tempo per meditare, per pregare, la Parola, le parole, i versetti divengono come fiamme. E, nello stesso momento, l’anima si infiamma. Allora, sì, capisco con il cuore che io sono una missione. Sono nel mondo una missione d’amore. Anche se sono stanco, malato, provato, sono un sorriso di Dio, una carezza di Dio, per gli altri.
Allora ascoltiamo la Parola di Dio che ci viene donata oggi! Partiamo dal Vangelo.
Giacomo e Giovanni… cari apostoli di Gesù… Ma non hanno capito! Davvero! Gesù ha parlato del centuplo promesso a chi lo segue, e loro hanno interpretato questo centuplo in modo del tutto terreno, ma molto terreno! «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra» (Mc 10,37) Il che vuol dire non soltanto avere posti di onore, ma condividere un ipotetico potere politico-religioso di Gesù. Immaginano Gesù re potente sulla terra, e vogliono condividere il suo potere religioso sugli altri… È una totale incomprensione di quello che Gesù sta insegnando! Gesù ha appena annunciato che «lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà.» (Mc 10,33-34) Ma non risorgerà nel trionfo di un potere umano!
Tuttavia questo Vangelo nasconde pure una grande speranza, perché a loro due, Giovanni e Giacomo, Gesù annuncia che al calice che berrà, anche loro berranno, cioè anch'essi, un giorno, daranno la vita per amore. Anch'essi entreranno nell’amore che consegna la propria vita per gli altri.
Giacomo e Giovanni non sono condannati all'incomprensione, non saranno per sempre prigionieri del loro sogno di potere… Ci sarà per loro una conversione, un'effusione dello Spirito Santo, che farà risplendere appunto la missione che sono.
Che bella speranza per tutti noi…! L’amore può diventare il fulcro, la dinamica profonda, il senso vero della nostra vita.
Finché sono sulla difensiva per non perdermi, non sono la missione che sono, sono una povera guardia giurata… di me stesso!
«Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti.» (Mc 10,43-44) Quindi… come vivere bene la giornata di oggi? Vivendola come servo! Servo di chi? Nel suo messaggio per la giornata missionaria, Papa Francesco ci scrive oggi: «Mi piace ripetere l’esortazione che ho rivolto ai giovani cileni: «Non pensare mai che non hai niente da dare o che non hai bisogno di nessuno. Molta gente ha bisogno di te, pensaci. Ognuno di voi pensi nel suo cuore: molta gente ha bisogno di me» Ed io scelgo di vivere come servo loro!
Ma come, oggi, potrò servire chi incontrerò? Dove troverò la forza? Ci risponde ancora il Papa: «Dalla croce di Gesù impariamo la logica divina dell’offerta di noi stessi.» Abbiamo bisogno di ripartire costantemente dalla Croce di Gesù. È quello che ci ha proposto la prima lettura della liturgia. Cosa ci dice Isaia? È stato il desiderio di Dio che il Suo servo - Gesù - soffrisse. Questo ci scandalizza… Eppure è la realtà. La sofferenza di Gesù era necessaria perché, attraverso di Lui, si adempisse il grande desiderio di Dio, ossia che fossimo liberati dal carcere del peccato ed entrassimo nell’eterno Suo amore.
Ma Isaia dice anche una cosa ben precisa: Quando tu offrirai a Dio il sacrificio di Gesù, come sacrificio di espiazione, allora Lui – Gesù - «vedrà una discendenza, vivrà a lungo»; allora «giustificherà molti», cioè, «si addosserà le nostre iniquità». (cfr Is 53,10-11) Non si può guardare il mistero pasquale dall’esterno per gioirne. Bisogna entrarci. A te, Padre, io offro il sacrificio di Gesù. Riconosco che era necessario che Gesù soffrisse per me, per noi. Allora, possiamo «accostarci con piena fiducia al trono della grazia», come abbiamo sentito nella Lettera agli Ebrei, «per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.» (cfr. Eb 4,16)
Ma non basta offrire il sacrificio di Gesù al Padre, bisogna entrare noi stessi in questo sacrificio d’amore. «Essere infiammati dall’amore di Cristo consuma chi arde» ci dice Papa Francesco oggi. E prosegue: «E fa crescere, illumina e riscalda chi si ama.»
La missione ha la forma della Croce. E della Risurrezione. Sono la missione che sono quando smetto di fuggire dalla mia croce… e giungo alla vera fecondità della mia vita: far crescere, illuminare e riscaldare le persone che amo.
Infatti come avviene la trasmissione della fede? Risponde Papa Francesco: «Avviene per il “contagio” dell’amore (…) . La propagazione della fede per attrazione esige cuori aperti, dilatati dall’amore. All’amore non è possibile porre limiti: forte come la morte è l’amore (cfr Ct 8,6). E tale espansione genera l’incontro, la testimonianza, l’annuncio.»
Se amo, se servo, se faccio della mia vita un dono per gli altri, questo sarà contagioso! Sarò contagioso! Se fossimo tutti contagiosi!!! Ma veramente contagiosi di quell’amore che si dona senza porre limiti!
Papa Francesco spesso ci parla delle periferie verso le quali dobbiamo andare. E oggi ci dice qual è la periferia più desolata : «È l’indifferenza verso la fede o addirittura l’odio contro la pienezza divina della vita. Ogni povertà materiale e spirituale, ogni discriminazione di fratelli e sorelle è sempre conseguenza del rifiuto di Dio e del suo amore.» Queste periferie non sono lontane da noi. Le incontriamo ogni giorno! Allora, carissimi, bisogna che diventiamo tutti contagiosi dell’amore. Tutti siamo missionari! Ricordiamocelo: anche se sei stanco, malato, provato, tu sei un sorriso di Dio, tu sei una carezza di Dio, per gli altri. Tu sei una missione!
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venerdì 19 ottobre 2018 - XXVIII sett. T.O. Santi martiri canadesi - Ef 1,11-14 – Lc 12,1-7 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Che splendida vocazione la nostra! Anzi, che splendida predestinazione! Paolo, scrivendo agli Efesini, dice che siamo «predestinati - secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – a essere lode della gloria» di Dio.» (cfr. Ef 1, 11-12) Essere lode! Il testo greco parla più precisamente di essere per (eis) la lode; di esistere in vista della lode di Dio. Vuol dire che tutto il nostro essere si rivolge a Dio, canta Dio, canta la Sua gloria. È tutto il contrario del peccato che è un inno stonato alla nostra vanagloria. La nostra vocazione è un’estasi: un uscire verso Dio nell’amore, e quindi un uscire verso gli altri nell’amore.
Per non mancare questa meta, Gesù oggi nel Vangelo ci insegna una cosa essenziale: diffidare del lievito dei farisei. Il lievito serve per diventare grandi, per gonfiarsi… Per i farisei di cui Gesù ci parla, il modo per esser grandi era di curare l’apparenza religiosa, anche senza più nessuna coerenza con il cuore.
Questo poteva essere pure l’atteggiamento dei discepoli: voler seguire Gesù, voler essere Suoi discepoli, ma facendo di tutto per conservare una buona apparenza religiosa dinanzi ai farisei, agli scribi, ai dottori della legge, per non aver problemi, per paura, perché la paura dei capi religiosi era molto forte. Per questo l’appello di Gesù: solo di Dio dovete aver timore, il santo ed amoroso timore…
Anche noi dobbiamo essere attenti. Non lasciamoci prendere dalla paura dei capi religiosi del nostro tempo, sia dei capi religiosi intolleranti e chiusi che ci possono essere in tutte le religioni, sia dei capi religiosi della grande religione pagana che sta invadendo l’Occidente come un tumore. Solo di Dio dobbiamo aver timore, il santo ed amoroso timore… Niente lievito di paura, niente lievito per gonfiarci. Siamo azzimi puri… Siamo veri discepoli di Gesù.
Di tale fedeltà, di tale amore, la liturgia ci dà oggi grandi testimoni i martiri canadesi :
Sono grandi testimoni per la profondità della loro vita spirituale, grazie, in modo speciale, all’insegnamento che ricevettero da Louis Lallemant, un gesuita e grande maestro spirituale, oggi tanto caro a Papa Francesco!
Sono grandi per il profondo rispetto che ebbero per la cultura, la lingua, le tradizioni del popolo huroniano.
Grandi per il loro desiderio di non assoggettare a sé delle persone, ma di offrire loro il dono della fede.
Grandi per il loro amore.
Penso in modo particolare a Jean de Brébeuf, nato il 25 marzo 1593 in Normandia. Divenuto gesuita e inviato nella Nouvelle France, il suo superiore, il Padre Ragueneau disse di lui che «l’amore di Cristo, in lui, era come un fuoco che, avendo infiammato il suo cuore, cresceva di giorno in giorno per farvi regnare Gesù Cristo.»
Con libertà e chiarezza, si fece huron con gli Hurons. Non cercò mai di farli diventare francesi!
Aveva uno slancio apostolico formidabile. Nel suo quaderno di appunti spirituali si legge: «Dio mio, quanto non sei conosciuto! Com'è lontano da Te questo paese! Quanto non sei amato! Si, mio Dio, se tutti i tormenti che i prigionieri possono sopportare nella crudeltà dei supplizi dovessero ricadere su di me, io mi offro a questi di tutto cuore, e li patirò volentieri.» Ad un giovane gesuita che era ancora in Francia, scrive: « Vieni, vieni, mio caro fratello. Noi aspettiamo operai come te, non temere alcuna difficoltà perché il senso della tua vita è vederti crocifisso con Gesù Cristo». A 42 anni circa (1637-1639), fa voto di martirio: « Faccio voto, in presenza del Tuo Padre eterno e dello Spirito Santo, in presenza della tua Santissima Madre e del suo casto sposo Giuseppe; davanti agli angeli, agli apostoli e martiri, e ai miei beati Padri Ignazio e Francois-Xavier; io faccio voto a te, Mio Signore Gesù, se tu mi concedi nella tua misericordia la grazia del martirio, a me indegno tuo servo, di non deviare mai da questa grazia. (...) A te dunque, Mio Signore Gesù, offro con gioia, da oggi, il mio sangue e il mio corpo e il mio spirito, affinché io muoia per Te, se tu me lo concedi, Tu che ti sei degnato di morire per me.»
Poi, all’età di 52 anni (1645), quattro anni prima del martirio, fa il voto di perfezione, si impegna, sotto pena di peccato ad «adempiere tutto ciò che gli sembrerà dover contribuire alla maggior gloria di Dio». Muore martire il 16 marzo del 1649.
Saint Jean de Bréboeuf, prega per noi, affinché anche noi, liberati dalla paura di morire, ci impegniamo a adempiere tutto ciò che ci sembrerà dover contribuire alla maggior gloria di Dio. E diventiamo così lode di Dio.
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giovedì 18 ottobre 2018 - San Luca - 2 Tim 4,10-17 – Lc 10,1-9 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Dema mi ha abbandonato. Ma Luca è con me. Crescente è andato in Galazia. Ma Luca è con me. Tito in Dalmazia. Ma Luca è con me. Alessandro, il fabbro, mi ha procurato molti danni. Ma Luca è con me.(cfr. 2Tm 4, 10...14)
Nella breve lettera a Filemone, Paolo parla di Luca come di un collaboratore. Nella lettera ai Colossesi, ne parla come di un medico «agapètos» cioè amato, carissimo.(Col 4,14)
Sant'Ireneo dice che erano «inseparabili»…
Ma come Luca ha trovato la forza per tenere il passo di Paolo?
Guardiamo cosa ci dice di lui il suo Vangelo.
Luca non parla di sé nel suo Vangelo, se non all’inizio per dire a Teofilo che «ha deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per lui, in modo che possa rendersi conto della solidità degli insegnamenti che ha ricevuto.» (cfr. Lc 1,3)
Poi non parla di sé. Parla di Gesù. Colpisce il ritratto che fa di Gesù nel quarto capitolo del Vangelo, presentando Gesù, con le sue stesse parole, come l’adempimento della profezia di Isaia:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me; L’intero Vangelo di Luca è un inno alla potenza dello Spirito Santo. Ne avrà fatto l’esperienza lo stesso Luca? Non è la forza dello Spirito Santo che l’ha messo in comunione di fraternità e di missione con Paolo, perché fossero un cuor solo, un’anima sola? - Si sa pure l’insistenza di Luca sulla misericordia. Lui solo racconta le tre parabole della pecora perduta sui monti, della dracma perduta nella casa, e dei figli perduti, uno nella casa, l’altro in un paese lontano. Dipinge quindi una misericordia che si estende dentro e fuori: dentro la casa d’Israele e fuori sui monti delle nazioni. Ne avrà fatto l’esperienza lo stesso Luca? Avrà capito il cuore di Paolo, trafitto per sempre dalla misericordia di Dio, lui l’ultimo, l’ultimissimo, persecutore della Chiesa. - Ben nota è pure l’attenzione di Luca ai poveri, la benevolenza con la quale guarda alle folle di Gerusalemme. Anche il ricco Zaccheo appare come un povero, mendicante di uno sguardo. Fu l’esperienza di Luca? Era medico. Aveva studiato Possedeva una ricca cultura greca. Aveva viaggiato tanto. E si riconosce povero. Perciò il suo stupore dinanzi allo stupore di Gesù: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.» (Lc 10,21) E il senso profondo del Vangelo come Buona Notizia che non si può non condividere. Scrive affinché Teofilo si renda conto della solidità del Vangelo! - Infine c’è il segreto di Luca. «La forza della verità sta nel silenzio» scriveva Elie Wiesel. Come trasmettere a Teofilo, e a tutti i teofili che siamo noi, quanto Maria sia nel cuore del Vangelo? Come? Descrivendo nei primi tre capitoli un Vangelo dell’Infanzia che è come uno specchio del Vangelo intero, e particolarmente del mistero pasquale: specchio dell’infanzia, specchio accessibile ai piccoli, specchio che ci rivela Maria e ci fa capire che in tutto il Vangelo c’è Lei.
Non a caso si
dice che Luca è l’iconografo della Madonna! Luca e Paolo! Due volti, due cuori, due menti che si arricchiscono a vicenda. Ciascuno porta un tassello del Vangelo. Come ciascuno di noi porta un tassellino del Vangelo. Anzi! Ciascuno di noi è un tassellino del Vangelo. Perché lo Spirito del Signore è su di te. Ti ha inviato a portare il lieto annuncio ai poveri. Ti ha creato perché tu sia lieto annuncio ai poveri.
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martedì 16 ottobre 2018 - XXVIII sett. T.O. - Gal 5,1-6 – Lc 11,37-41 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Nella lettera ai Galati appare una cosa a cui forse non si pensa: noi, cristiani praticanti, possiamo rendere sterile il dono di Gesù per noi! Come? Con degli atti religiosi! «Se vi fate circoncidere, scrive Paolo, Cristo non vi gioverà a nulla»…(Gal 5,2) Tremendo questo! C’è una religiosità che uccide la Grazia. Ho la capacità di escludermi dalla Grazia… Quando? Quando compio degli atti religiosi aspettando da essi la salvezza: «Se faccio quell’atto religioso, sarò a posto con Dio…» No! Solo Gesù ci mette «a posto» con il Padre.
«Quanto a noi, per lo Spirito, in forza della fede, attendiamo fermamente la giustizia sperata.» (Gal 5,5) C'è un attendere, un aspettare. Il passaporto per il cielo non me lo faccio da solo, non l’ho sottomano. Credo che mi sarà dato. Aspetto nella fede. La fede, e non la paura, diviene la dinamica profonda della mia vita. Ma, dice Paolo, non una fede gnostica, non una fede solo intellettuale, né una fede per cui mi ripiego su me stesso, «ma la fede che si rende operosa per mezzo della carità.» (Gal 5,6) Stiamo dunque saldi, ci dice Paolo! Non cerchiamo di far bella figura, cerchiamo di amare.
In una recente intervista, una coppia, lui palestinese e lei ebrea, diceva: «Non ci sono tre modi di vivere questa vita: O si vive la vita nella paura, o la si vive nell’amore.»
Cosa scegli?
Il Vangelo odierno ci porta alla stessa conclusione. Gesù è chiaro: «Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno?» (Lc 11,40) Il che vuol dire che Dio ci chiederà conto sia dell’interno, cioè delle intenzioni, della volontà, degli atteggiamenti del cuore, sia dell’esterno, cioè delle azioni, delle scelte, dei fatti. Ci fa capire inoltre che la santità, ossia la possibilità di avvicinarci alla santità bruciante di Dio, non la si ottiene con degli atti formali o rituali. No! La si ottiene scegliendo e vivendo l’elemosina, cioè l’amore in atto. Puri lo diventiamo quando l’amore abita sia il cuore che la vita tutta. La purezza sta nell’amore. Se rinunzio ad amare per conservare la mia purezza, sbaglio… È vero il contrario. È l’amore che ci purificherà!
Davvero o si vive la vita nella paura, o la si vive nell’amore. Poterla vivere nell’Amore, questo è il dono di Gesù, dono rinnovato nell'Eucarestia!
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sabato 13 ottobre 2018 - XXVII sett. T.O. - Gal 3,22-29 – Lc 11,27-28 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Bellissima pagina evangelica! Questa donna si esprime in tutta la sua spontaneità… «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!».(Lc 11,27) E' il grido del suo cuore! Come se dicesse: «Quanto dev’essere felice la tua mamma! Deve esser molto fiera di te! Tu sei la realizzazione della sua vita!»
Bello! Ma… bello, questo! Non sbaglia… Maria è beata! Lo dice lei stessa: «Tutte le generazioni mi chiameranno beata!» (Luca 1,48)
Non sbaglia… e sbaglia! Perché la beatitudine di Maria non è nella sua realizzazione personale, non consiste in una fierezza… Lo dice suo Figlio: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!». (Lc 11,28)
La vera beatitudine, cioè la felicità vera di una persona, la tua, la mia, non sta nella realizzazione di sé. Il centro della nostra felicità non può essere in noi stessi, a partire da una soddisfazione personale. La vera beatitudine viene dall’apertura alla Parola di Dio, da un modo di ascoltare la Parola di Dio di cui Maria è l’esempio perfetto.
Quando viene da Lei l’Angelo Gabriele e Le porta la Parola di Dio, Maria non giudica la Parola a partire dalla propria intelligenza, dalle proprie capacità e dalla sua volontà di evitare ciò che fa soffrire. Maria ci insegna l’obbedienza vera alla Parola: La misura non è in me, bensì nella Parola. Non sono io a dire ciò che della Parola è accettabile o meno. È la Parola che mi dice ciò che Dio può e vuole compiere in me. qui sta la Beatitudine…
Non è beata perché è la Madre del Verbo umanato. È beata perché ha detto e vissuto: «Avvenga per me secondo la tua parola».(Lc 1,38)
«Conta di più per Maria essere stata discepola di Cristo, che essere stata madre di Cristo. Lo ripetiamo: fu per lei maggiore dignità e maggiore felicità essere stata discepola di Cristo che essere stata madre di Cristo.» (Disc. 25, 7-8; PL 46, 937-938)
Così pure San Francesco non è beato perché ha avuto le stimmate. Padre Pio non è beato perché ha avuto il dono della bilocazione. E così via…
Entri nella beatitudine, entri nella felicità quando dici e vivi: «Avvenga per me secondo la tua parola.»
In Maria questa obbedienza c'è stata non solo nel giorno dell'Annunciazione. Ci fu in tutta la Sua vita. Tutta. Tutta la sua vita, sulla terra ed in cielo, è ubbidienza. E quindi beatitudine. Ubbidienza spesso dolorosa… ma beata.
Ancora oggi Maria vive questa ubbidienza. Adempie la volontà di Dio che è per Lei una maternità premurosa che fa di tutto perché neanche un’anima si perda.
In un testo dedicato appunto a Maria, Madeleine Delbrel scrive ad un ateo immaginario che, in qualche modo, rappresenta l’umanità del nostro tempo. Vi propongo di leggerlo come una confessione della Madonna che dice all’umanità di oggi cosa sta facendo per noi in questo tempo: (Caro figlio divenuto ateo,) «Nel momento in cui tu hai fatto di tutto per separarti da Dio, dei cristiani ti hanno lasciato solo. A motivo dell’unità che ci lega, io mi considero responsabile. È di Dio che sei stato privato, è Dio che dovrei restituirti. Ma tu sai che la Fede non posso, non possiamo donarla. Devo cercare di darti Dio in un altro modo. Tu crederai o non crederai, come vuoi. Io terrò Dio accanto a te. Cristo ha detto, ed è il nocciolo di tutta la vita cristiana, di amare Dio con tutto il nostro cuore e più di tutto, e di amare tutti gli uomini come noi stessi. È questo il modo in cui ha voluto che noi fossimo cristiani. È questo amore che prendo con me per tornare accanto a te.»
Ecco come si esprime l’ubbidienza di Maria nel mondo odierno. Ecco ciò che Madeleine Delbrel voleva vivere nelle periferie marxiste del suo tempo. Ecco, credo, quello che il Signore ci chiede di vivere oggi, con Maria. Schierarci con Lei per farci vicini a chi si è privato di Dio.
Signore, insegnaci la vera beatitudine che è ubbidienza alla tua Parola e vicinanza a chi si è allontanato da te.
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giovedì 11 ottobre 2018 - XXVII sett. T.O. - Gal 3,1-5 – Lc 11,5-13- Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Oggi dobbiamo rispondere ad una domanda ben precisa: «E' per le opere della Legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver ascoltato la parola della fede?» (Gal 3,2) Quando tu hai ricevuto lo Spirito Santo, è stato perché eri «a posto», fedele alla Legge, senza colpe, integro? Hai meritato il dono dello Spirito Santo? Tu eri talmente santo da meritare che Dio venisse ad abitare personalmente in te? Tu eri così perfetto, che Dio ha avuto il dovere di fare in te la Sua dimora?
Meno male che Paolo viene in nostro aiuto e ci dice la verità: Lo Spirito Santo è venuto a dimorare in noi come ospite dolce dell’anima « per aver ascoltato la parola della fede.» È l’ascolto profondo, umile, della Parola di Dio, dell’annuncio del Vangelo, che ha permesso allo Spirito Santo di venire a dimorare in noi. La fede ha aperto in noi lo spazio alla presenza personale dello Spirito Santo.
E questo è iniziato nel Battesimo, grazie, per tanti tra noi, alla fede dei nostri genitori e padrini. Poi la presenza dello Spirito, quel misterioso intreccio d’amore tra il nostro spirito umano e lo Spirito di Dio, è stata confermata, rinvigorita, rinnovata nella Cresima, e in seguito tutte le volte in cui la nostra fede ha aperto le porte allo Spirito Santo, tutte le volte che, come i Galati, siamo stati dinanzi a Gesù crocifisso e abbiamo riconosciuto l’amore, la misericordia infinita di Dio.
Ma sempre, sempre gratuitamente. Come si potrebbe meritare la presenza dello Spirito divino? Impossibile… Allora, ci dice Paolo, «Chi vi ha incantati? ...Siete così privi d'intelligenza che, dopo aver cominciato nel segno dello Spirito, ora volete finire nel segno della carne?» (Gal 3,1...3) Perché pensi che siano le tue opere a farti meritare il dono dello Spirito? Questo pensiero rende inquieti spiritualmente, fa ripiegare su sé stessi, non più inquieti per la salvezza delle anime, ma preoccupati di noi stessi…
C’è quindi oggi un invito a chiedere lo Spirito Santo contando non sui nostri meriti, ma sul dono di Gesù. Ed è quello che Gesù ci insegna anche nel Vangelo, con due piccole parabole.
La prima è la piccola parabola dell’amico importuno: è mezzanotte, sono già a letto, e pure i bambini. Bussa qualcuno. «Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli».(Lc 11, 5-6) La mia prima risposta è secca: «Non m'importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani».(Lc11,7) Non è molto amichevole… anzi! Però, dopo un po’, l’amico si alza e va a dare i tre pani. Perché si alza? Per amicizia, magari. Ma soprattutto perché è stato colpito dalla richiesta dell’amico. La richiesta ha due caratteristiche: è audace ed è decisa. Ci sono un'audacia ed una risolutezza che mi colpiscono… e mi alzo.
Se questo è vero tra noi uomini, quanto più lo sarà per il Padre che è Amore! L'essenziale è che le nostre richieste siano audaci e decise. Se chiediamo lo Spirito Santo pensando che comunque non lo meritiamo e che non possiamo vivere di Lui, non c’è né audacia né risolutezza nella nostra richiesta! «Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto.»(Lc 11,9)
Anche la secondo parabola è molto semplice. Se tuo figlio ti chiede un pesce, non gli darai una serpe. A maggior ragione, quello che Dio ti dona non è una serpe, quando tu hai chiesto un pesce. È essenziale questo! Spesso non capiamo come Dio risponde alle nostre richieste. Ai nostri occhi umani, sembra che ci abbia dato una serpe… Ma Gesù ci spiega che questo è impossibile. Ci chiede la fede… Ci chiede e, con questo Vangelo, ci dona la certezza che quel che riceviamo da Lui è la cosa migliore, anche se noi non lo comprendiamo.
Se chiedi lo Spirito Santo e ti capita una purificazione passiva, cioè una prova inaspettata che ti umilia, non credere che Dio ti abbia dato una serpe… No… sta lavorando in te, perché tu possa davvero vivere dello Spirito Santo. Perché il Signore non vuole darti lo Spirito come un ospite anonimo, ma come l’amico essenziale della tua vita, la tua guida, la tua gioia, la tua salvezza. E quindi... ti prepara il cuore. Carissimi, noi assomigliamo all’amico che va a bussare di notte... Di notte, nel buio della fede, andiamo a bussare alla porta del cuore di Dio per ricevere quel che ci serve non per il nostro conforto o per la nostra gloria, ma per poter amare anche chi ci chiede tanto, anche chi ci chiede ciò che noi non abbiamo.
Chiediamo, sì, lo Spirito Santo, per AMARE!
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Domenica 7 ottobre 2018 - XXVII settimana TO B - Gn 2,18-24 – Eb 2,9-11 – Mc 10,2-16 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
da fuori le vetrate sono come delle superfici oscure, insignificanti. Ma quando si entra nella cattedrale, le stesse vetrate appaiono in tutto il loro splendore: sono piene di colori, di luce, di senso, di bellezza.
Lo stesso vale per un brano evangelico, come quello che abbiamo ascoltato oggi. Per chi guarda dall’esterno e a partire dall’uomo solo, e in particolare dall’uomo di genere maschile, appaiono solo costrizione, restrizione, legge… Gesù proclama, si dirà, l’indissolubilità del matrimonio senza nessuna eccezione. Perfino Mosè aveva introdotto la possibilità del divorzio con una norma che preveniva gli eccessi: l’uomo doveva scrivere un atto di ripudio. Gesù, Lui, non permette nessun ripudio. Punto!
Ecco quello che si vede dall’esterno: una legge e basta.
Ma cosa si vede quando si entra nella cattedrale della Parola di Dio? Qualcosa, ovviamente, di molto diverso.
La porta attraverso la quale si entra in questa cattedrale è come quella della Basilica di Betlemme: è molto bassa. Bisogna chinarsi. Bisogna riconoscere che noi stessi non siamo l’origine, la misura e la fine dell’esistenza umana. Entriamo, riconoscendo che siamo di Dio. Siamo creature. Solo Dio ci può rivelare il senso profondo della natura umana. Se ci chiudiamo all’orizzonte divino, ci chiudiamo al vero senso della nostra vita e della vita degli altri.
Poi vi è un grande androne, come nella basilica di Vézelay. Vi scopriamo una cosa essenziale, vitale: siamo amati. La Parola di Dio ci rivela che siamo stati creati per amore. E quest’Amore diviene la luce che illumina tutto. Esser nell’Amore significa essere nella luce. Ci rendiamo conto che fuori dall’Amore di Dio, non si vede nulla. La verità sta nell’accogliere l’Amore. E lì scopriamo il dramma del peccato. Qualcosa in me, in noi, ci rende ciechi, immette oscurità dentro di noi. C’è in noi un tumore della conoscenza, della memoria, della volontà, della sensibilità.
Finalmente entriamo nella Cattedrale stessa, e scopriamo che in essa tutto ci parla di un volto: il volto di Cristo. In Lui troviamo la Redenzione, la remissione dei peccati. In Lui troviamo l’adempimento della nostra vocazione. Più si entra in comunione con Lui, più si entra in Dio Trinità, più si entra in comunione gli uni con gli altri.
Allora, in questa cattedrale di luce di misericordia, risuona una parola finora odiata: Obbedienza! L’obbedienza a Cristo appare come La via della pace, La via della gioia, della vita.
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E le stesse vetrate oscure di prima appaiono in tutta la loro luce. Quello che Gesù dice del matrimonio non è una legge fredda: è una promessa, una rivelazione, un dono. Papa Francesco nell'«Amoris Laetitia» dice così:
«L’indissolubilità del matrimonio (“Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”: Mt 19,6), non è innanzitutto da intendere come “giogo” imposto agli uomini, bensì come un “dono” fatto alle persone unite in matrimonio. […]» Non è un giogo imposto, bensì un dono. Poi spiega: «La condiscendenza divina accompagna sempre il cammino umano, guarisce e trasforma il cuore indurito con la sua grazia, orientandolo verso il suo principio, attraverso la via della croce. Dai Vangeli emerge chiaramente l’esempio di Gesù, che […] annunciò il messaggio concernente il significato del matrimonio come pienezza della rivelazione che recupera il progetto originario di Dio (cfr Mt 19,3)». (Amoris laetitia, n.62)
Il matrimonio non è solo un'istituzione umana… È nel cuore del disegno d’amore di Dio sull’umanità. Esser uomo e donna è già in sé riflesso di Dio Amore. La diversità così profonda iscritta nell’umanità riflette la diversità infinita che si trova nel Mistero divino stesso. È una costante chiamata ad uscire da noi stessi, a morire all’essere noi un piccolo – o grande - dio, per accogliere ed amare colui o colei che è diverso da me.
Dio ha voluto che appunto dentro questa diversità e quest’amore si trovasse la via della procreazione e del primo nucleo della famiglia umana. Dio ha preso un rischio enorme. Ha affidato la procreazione e la famiglia a ciò che in noi è così fragile… È nel luogo stesso della fragilità, della vulnerabilità, che è l’essere uomo e donna, che è la sessualità che Dio ha posto lo sbocciare della famiglia umana! Perché? Affinché questo sbocciare della famiglia umana avvenga nell’amore.
Il peccato ha messo oscurità, falsità, duplicità, egoismo appunto in questo santuario che è la sessualità, al punto che non si capisce più gran ché della bellezza della sessualità. La si reduce al piacere, La si reduce all’emozione, La si vive spessissimo come espressione inconscia della volontà di dominio sull'altro, dell’ira, della collera…
E che fa Gesù? Non ci dice: «Fate sforzi sovrumani per tornare al disegno di Dio». Ci dice, in qualche maniera: «Io mi consegno per voi, muoio d’amore per voi sulla croce, perché possiate non solo tornare al disegno di Dio ma giungere al suo pieno adempimento.»
È infinitamente bello ciò che Gesù ci dona: rende possibile l’amore. Rende possibile l’amore coniugale. Non toglie le prove, le difficoltà, le malattie, ma immette nei cuori e nella comunione dei cuori il proprio Amore che sa donarsi, che si consegna e che porta alla gioia della Resurrezione.
Essendo a pochi giorni dalla canonizzazione di Paolo VI, vi rileggo qualche riga della sua lettera enciclica «Humanae vitae». Parla delle esigenze caratteristiche dell’amore coniugale, e, prima di parlare di fedeltà e di fecondità, indica i due primi tratti dell’amore coniugale. È un amore umano ed è un amore totale: «È prima di tutto amore pienamente umano, vale a dire sensibile e spirituale. Non è quindi semplice trasporto di istinto e di sentimento, ma anche e principalmente è atto della volontà libera, destinato non solo a mantenersi, ma anche ad accrescersi mediante le gioie e i dolori della vita quotidiana; così che gli sposi diventino un cuor solo e un’anima sola, e raggiungano insieme la loro perfezione umana.
È poi amore totale, vale a dire una forma tutta speciale di amicizia personale, in cui gli sposi generosamente condividono ogni cosa, senza indebite riserve o calcoli egoistici. Chi ama davvero il proprio consorte, non lo ama soltanto per quanto riceve da lui, ma per se stesso, lieto di poterlo arricchire del dono di sé». (Humanae vitae, n.9)
Ecco la bellezza del dono di Gesù! La Sua Passione e la Sua Resurrezione entrano nei cuori e rendono possibile questa qualità d’amore! Perché si è scelta l’obbedienza. Perché si è scelta l’obbedienza alla Sua Parola, al Suo dono, alla Sua promessa.
È «per la durezza del nostro cuore», dice Gesù oggi, che Mosè scrisse la famosa norma sul divorzio. «Ma dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». (Mc 10, 6-9)
Della «durezza del cuore» si fa carico Gesù! Oggi ci chiede di affidargli la nostra durezza di cuore Perché ciascuno di noi possa andare fino in fondo nella propria vocazione.
Cosa avviene se affidiamo a Gesù la durezza del nostro cuore? Lui fa come avvenne nell’Esodo: ne fa sgorgare l’acqua, l’acqua dell’amore vero, l’acqua viva del Suo Amore.
Per gli sposi, rende possibile il miracolo dell’amore coniugale che non solo si mantiene, ma cresce. È stupendo vedere coppie di anziani pieni d’amore reciproco, di tenerezza, di misericordia!
Per coloro che per le circostanze della vita si trovano a vivere soli senza averlo scelto, Gesù trasforma l’amarezza del vivere solo in un sacerdozio di tenerezza, di ascolto, di compassione verso gli altri, specialmente gli ultimi.
E per coloro che sono stati chiamati alla vita consacrata, Gesù si impossessa dei cuori per farvi trionfare la Sua Misericordia, per offrire al mondo un segno del Suo Regno.
Ecco il bel frutto dell’obbedienza al dono di Gesù!
Vergine Maria, Madonna del Santo Rosario, ci affidiamo al tuo Amore per saper vivere appieno del dono di Gesù!
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mercoledì 3 ottobre 2018 - XXVI settimana TO - Gb. 9,1..16 – Lc 9,57-62 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo.» (Lc 9,57-58) All’uomo che voleva seguirlo, Gesù non dice che non avrà una villa o una casa… ma che seguirà uno che non ha neanche dove posare il capo… cioè che seguire Lui sarà sempre scomodo.
Se il nostro essere discepoli ci dà una tana o un nido, siamo già fuori dalla vera sequela di Gesù. Seguire Gesù è scomodo.
È scomodo perché seguirlo significa essere innestati su un amore che è ben più grande delle nostre capacità.
Essere discepoli di Gesù fa sì che oggi vorremmo essere in Indonesia per soccorrere le vittime del terremoto, vorremo esser ad Haiti per prenderci cura dei bambini abbandonati ed in Siria per farci vicini ai profughi, e sui marciapiedi di Firenze per offrire conforto alle donne rese schiave della prostituzione, e nelle scuole per parlare di Gesù ai bambini, e nelle fabbriche per stare con gli operai sfruttati, e nelle case di riposo per consolare gli anziani soli, e negli ospedali per confortare i malati, ed in preghiera per tutti i sofferenti, ed in adorazione per consolare Gesù… Questo fu il tormento di Teresa del Bambino Gesù, che aveva il desiderio di abbracciare tutte le vocazioni della Chiesa.
Come essere fedeli ad un amore così immenso con tutti i limiti della nostra umanità?
È un tormento esser cristiani! L’amore ci brucia, ci consuma…
L’urgenza per il secondo uomo del Vangelo odierno era di seppellire il proprio padre. Ma urgente per Gesù è che vada ad annunciare il Regno di Dio!
Si vive quel che canta il salmista:
«Un abisso chiama l'abisso al fragore
delle tue cascate;
Quando l’amore di Gesù comincia ad invaderci, perdiamo la bussola … E Gesù ci chiede di non volgerci indietro, di perderci…
È difficile vivere dell’amore di Gesù nell’orizzonte ristretto della nostra vita! No! Non è difficile … è impossibile! Ed è questo il senso delle Beatitudini: Beati coloro che vivono la “scomodità” del Vangelo, perché vivono già del Regno di Dio.
Beati loro perché… entrano nel mistero di Dio.
«Mi ha sempre colpito, dice papa Francesco, una massima con la quale viene descritta la visione di Sant’Ignazio:
Non coerceri a maximo, sed contineri a minimo divinum est ...: non essere ristretti dallo spazio più grande, ma essere in grado di stare nello spazio più ristretto. Questa virtù del grande e del piccolo, è la magnanimità, che dalla posizione in cui siamo ci fa guardare sempre l’orizzonte. È fare le cose piccole di ogni giorno con un cuore grande e aperto a Dio e agli altri. È valorizzare le cose piccole all’interno di grandi orizzonti, quelli del Regno di Dio»1
I discepoli sono beati perché sono incapaci di amare come il loro cuore anela, ma nel piccolo mettono tanto amore. Tanto!
Bene… ma, se seguirlo è così difficile, come può dire Gesù: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.» (Mt 11,25) Appunto! Non potremo mai trovare riposo nell’essere soddisfatti di noi stessi! Mai! L’amore ce lo vieta! Ma perché non cerchiamo più la nostra soddisfazione e pace nelle nostre opere, le possiamo trovare nell’amore di Gesù per noi! I discepoli non sono beati perché hanno fatto bene questo o quello… Sono beati perché da Gesù si lasciano amare! E lasciarsi amare fa crescere in loro il desiderio di amare gli altri… Ed ecco che torna la “scomodità”! Niente tana. Niente nido.
È questo il
Vangelo! 1 Intervista, settembre 2013
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sabato 29 settembre 2018 - Santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele - Ap, 12,7-12a – Gv 1,47-51 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Perché non entrare in amicizia con gli angeli? L’amicizia, dice padre Lepori, si può capire a partire da due parole: «anima» e «custos». Amico è colui che si riceve con gioia come custode della propria anima. Allo stesso modo possiamo ricevere gli angeli, gli arcangeli come custodi della nostra anima, del nostro cuore, della nostra stessa vita. Perché no?
Gli angeli, quelli santi, non sono gelosi della nostra vocazione alla santità, non sono adirati nel vedere che Dio fa di tutto per accoglierci, noi che siamo così fragili e volubili, nella sua vita divina. Questo è l’atteggiamento di Satana e di tutti gli spiriti maligni. Gli angeli santi sono felici, felicissimi, della nostra chiamata alla vita divina, della nostra vocazione all’amore reciproco. E si mettono a servizio della bellezza del disegno di Dio.
Preghiamo? Portano le nostre preghiere nel cuore di Dio, come avvenne per Tobia e Sara. Siamo disponibili al volere di Dio? Ci annunziano il progetto d’amore di Dio su di noi, come avvenne per Maria a Nazareth. Siamo nel deserto, con l’anima smarrita? Ci guidano come già guidarono il popolo d’Israele nel deserto. Soffriamo? Ci consolano, come avvenne per lo stesso Gesù nel Getsemani. Siamo nel buio e nelle lacrime, senza Gesù? Ci portano il lieto annunzio della Risurrezione, come avvenne per le sante donne al sepolcro. Guardiamo al cielo, come se non ci fosse più gioia quaggiù? Ci ricordano la speranza cristiana, come avvenne per gli apostoli sul monte degli Ulivi.
C’è poi un campo in cui l’amicizia degli angeli è davvero vitale: quello del combattimento spirituale. Lottiamo e piangiamo per la liberazione delle anime? San Michele ci viene in aiuto… con tanta forza. Tanta…
Più abbiamo a cuore la salvezza delle anime, più scopriamo di essere accompagnati e sostenuti da San Michele. L’esempio più luminoso di ciò è la «complicità» tra la Madonna e San Michele. Non a caso l’unica volta in cui il Nuovo Testamento nomina San Michele è dove viene descritto il ruolo della Madonna nel mistero pasquale, nel capitolo dodicesimo dell’Apocalisse.
Dinanzi alla corruzione, all’anomia, del nostro tempo, la Madonna e San Michele si ritirano? No! Si adoperano perché le anime trovino o ritrovino Gesù, la Sua Passione, la Sua Croce, la Sua Risurrezione.
C’è un paradosso: oggi tanti cristiani, guidati da esegeti di poca fede, non credono negli angeli. E tanti non credenti si appassionano agli angeli, creando una specie di esoterismo angelico che ha ben poco in comune con il Vangelo. Entrambi gli atteggiamenti sono uno spregio nei confronti di Dio. Aprirsi all’amicizia degli angeli, invece, onora e rallegra il cuore di Dio. Lo dice il prefazio degli angeli che proclameremo fra poco: «Onorando questi tuoi messaggeri, esaltiamo la tua bontà infinita; negli spiriti beati tu ci riveli quanto sei grande e amabile al di sopra di ogni creatura.»
In questo stesso momento in cui celebriamo l’Eucarestia, gli angeli non sono solamente delle creaturine raffigurate dal Lippi o dal Vasari sull’organo e sulla stessa croce! Sono presenti nel mistero pasquale che si svolge su quest’altare di marmo, e sull’altare dei nostri cuori. La liturgia eucaristica ce lo ricorda. Nel Confiteor: «Supplico la beata sempre Vergine Maria, gli angeli, i santi e voi fratelli di pregare per me il Signore Dio nostro.» Nell'introduzione al canto del Sanctus: «Uniti agli angeli e alla moltitudine dei Cori celesti, cantiamo con gioia l’inno della tua lode.» Nella grande intercessione della preghiera eucaristica: «Ti supplichiamo, Dio onnipotente: fa' che questa offerta, per le mani del tuo angelo santo, sia portata sull'altare del cielo davanti alla tua maestà divina, perché su tutti noi che partecipiamo di questo altare, comunicando al santo mistero del corpo e sangue del tuo Figlio, scenda la pienezza di ogni grazia e benedizione del cielo.»
La celebrazione eucaristica è quindi un momento favorevolissimo per dire di sì alla premura, all’amicizia degli angeli… Ricordatevi di come Teresa del Bambino Gesù cantava all’angelo custode! Ricordatevi di Papa Leone XIII con San Michele, di Padre Pio con gli angeli custodi…
E Tu? San Michele Arcangelo, principe delle milizie celesti, in mezzo alle violente tempeste del nostro tempo, ci affidiamo pienamente a te. In un mondo che, catechizzato da Satana, vuole farsi come Dio, ricordaci che nessuno è Dio se non Dio. Custodiscici nel santo timore di Dio, nell'adorazione in spirito ed in verità. Sii il custode del nostro essere una cosa sola con Gesù, Redentore nostro. Accompagnaci premurosamente perché con la nostra vita e con la nostra preghiera, fatti servi di Maria santissima, serviamo la salvezza delle anime col cuore povero e libero.
sii tu nostro sostegno contro la perfidia e le insidie del diavolo. Che Dio eserciti il suo dominio su di lui, te ne preghiamo supplichevoli. E tu, o principe della milizia celeste, con la potenza divina, ricaccia nell’Inferno satana e gli altri spiriti maligni i quali errano nel mondo per perdere le anime. Amen.
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giovedì 27 settembre 2018 - XXV settimana TO - Qo 1,2-11 – Lc 9,7-9 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Erode cercava di vedere Gesù. Voleva vederlo fare qualche miracolo. Anche gli abitanti di Cafarnao cercavano Gesù, fin dal mattino presto. «Tutti ti cercano!» (Mc 1,37). Anche Zaccheo cercava di vedere Gesù. I greci convenuti per la Pasqua, anche loro, domandavano: «Vogliamo vedere Gesù…» (Gv 12,21) Le motivazioni sono diverse, ma c’è lo stesso desiderio, la stessa ricerca: cercare Gesù.
E noi? Cerchiamo Gesù? Siamo pronti, come la Maddalena, a sfidare il buio e le guardie per cercare Gesù?
Ma se cerchiamo Gesù morto, ci sentiremo dire: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (Lc 24,5) No… cerchiamo un vivo! Uno più vivo di noi! Non siamo noi che rendiamo vivo Gesù con la nostra fede: è Gesù che ci rende vivi attraverso il dono della fede!
Cerchiamo Gesù, cerchiamolo come la sposa del Cantico cerca lo Sposo ! Cerchiamolo con l’amore! Solo l’Amore lo troverà.
Erode cercava Gesù per curiosità e bramosia di potere. Voleva accrescere il suo potere. Noi invece cerchiamo Gesù per dargli quello che abbiamo, quello che siamo. Lo cerchiamo per dargli la nostra vita, le nostre bellezze e i nostri peccati, per consegnargli le nostre paure, le nostre ansie, per dargli tutte le ricchezze del nostro cuore.
Cerchiamolo nella Parola: ci parlerà. Cerchiamolo nei suoi sacramenti: ci toccherà. Cerchiamolo in particolare nell'Eucarestia: ci darà e corpo e sangue. Cerchiamolo nella preghiera: troveremo il Suo cuore. Allora potremo cercarlo e riconoscerlo là dove soprattutto ci aspetta: nei fratelli, nei poveri… Ci attende! Attende di essere cercato là. Cerchiamolo nel volto degli altri. Chissà … Lui permetterà che lo vediamo crocifisso nelle loro sofferenze, abbandonato nella loro disperazione, e risorto nella loro pace.
una cosa sola con le anime. Non sprechiamo neanche un incontro: ogni incontro con una persona può essere l’occasione per scoprire il volto di Gesù.
Cosa c’è di nuovo sotto il sole? Appunto questa presenza di Gesù in mezzo a noi! La cosa nuova sotto il sole è la danza dello Sposo Gesù che va in cerca delle anime per non perderne neanche una.
Erode voleva vedere Gesù per accrescere il proprio potere. Noi cerchiamo Gesù per consegnargli ogni nostro piccolo potere, ed entrare così, con Lui, nell’Amore.
Dove vedremo Gesù nel modo più luminoso? Dove c’è l’amore reciproco, dove le anime si lasciano rapire insieme dall’amore di Gesù. «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, dice Gesù, lì sono io in mezzo a loro». (Mt 18,20)
Vuoi vedere Gesù? Vuoi vedere la vera novità di quaggiù? Consegnati all’amore reciproco. È senz’altro una morte a te stesso, ma solo morendo si può vedere il Signore! Vedrai Gesù. E Gesù si renderà visibile in te!
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Domenica 23 settembre 2018 - XXV Domenica TO B - Sap 2,12..20 – Gc 3,16-4,3 – Mc 9,30-37 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Oggi vi racconto una parabola…
C’era un pastore molto buono. Venuto a sapere che in un certo luogo del creato c'erano molte pecore abbandonate da pastori poco buoni, le quali correvano seri pericoli su vie impervie e in pascoli nocivi e si avvicinavano sempre più a burroni privi di luce, si recò in quel luogo e, sacrificando tutto il suo avere, acquistò quelle pecore e quegli agnelli. Voleva portarli nel suo regno, perché quel pastore era anche re, come tanti re in Israele. Nel suo regno quelle pecore e quegli agnelli avrebbero trovato pascoli sani, acque fresche e pure, vie sicure e ripari inattaccabili da predoni e lupi feroci.
Perciò quel pastore radunò le sue pecore e i suoi agnelli e disse loro: “Sono venuto a salvarvi, a portarvi dove non soffrirete più, dove non conoscerete più insidie né dolore. Amatemi, seguitemi perché io vi amo tanto e, per avervi, mi sono sacrificato in tutti i modi. Ma se mi amerete, il mio sacrificio non mi peserà. Venitemi dietro e andiamo”. E il pastore davanti, le pecore dietro, presero il cammino verso il regno della gioia.
Il pastore ogni momento si voltava per vedere se lo seguivano, per esortare le stanche, per rincuorare le sfiduciate, per soccorrere le malate, per carezzare gli agnelli. Come le amava! Dava loro il suo pane e il suo sale e per primo assaggiava l’acqua delle fonti e la benediceva per sentire se era sana e per renderla santa.
Ma le pecore... le pecore dopo qualche tempo si stancarono. Prima una, poi due, poi dieci, poi cento, rimasero indietro a brucare l’erba fino a riempirsi da non poter più muoversi, e si sdraiarono stanche e sazie nella polvere e nel fango. Altre si spenzolarono sui precipizi, nonostante il pastore dicesse: “Non lo fate!” Talune, poiché egli si metteva dove c'era maggior pericolo per impedire loro di andarvi, lo urtarono col capo protervo e tentarono di precipitarlo giù più di una volta. Così molte finirono nei burroni e morirono miseramente. Altre si azzuffarono e, a colpi di testa e di corna, si uccisero fra loro.
Solo un agnellino non si allontanò mai. Esso correva belando e diceva col suo belato al pastore: “Ti amo”; correva dietro al pastore buono e, quando giunsero alle porte del suo regno, non erano che loro due: il pastore e l’agnellino fedele.
Allora il pastore non gli disse: “Entra”, ma “Vieni”, e lo prese sul petto, fra le braccia, e lo portò dentro chiamando tutti i suoi sudditi e dicendo loro: “Ecco, costui mi ama. Voglio che sia con me in eterno. E voi amatelo perché esso è il prediletto del mio cuore”.1
come non riconoscere in questa parabola quel che avviene nel Vangelo odierno? Gli apostoli seguono Gesù? Certo! Ma si sono come distaccati. E «per la strada discutevano tra loro chi fosse più grande.» (cfr. Mc 9,34) È già l’inizio di ciò che Giacomo chiama nella seconda lettura «gelosia e spirito di contesa». (Gc 3,16)
Se nei pochi chilometri che gli apostoli percorrono per giungere a Cafarnao, c’è già una lite su chi sia il più grande, cosa avverrà coll’accumularsi degli anni…
«Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra?» (Gc 4,1) ci chiede Giacomo. E così nella Chiesa quanti si sdraiano stanchi e sazi nella polvere e nel fango, finiscono nei burroni o si uccidono fra loro…
Alla fine, chi rimane? Ce lo dice Gesù: «Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.» (Mt 18,3) Chi entra in cielo? Solo il bambino, solo chi ama Gesù con la semplicità di un bambino. «Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, dice ancora Gesù, sarà il più grande nel regno dei cieli.» (Mt 18,4)
Ecco la posta in gioco. Noi tutti seguiamo Gesù. Ma si infiltrano in noi e tra noi i tumori che sono le passioni.
Bisogna leggere quel che scrive il monaco e teologo Evagrio, nato attorno all’anno 345. Fa un elenco delle passioni contro le quali bisogna lottare. Sono otto: la gola, la fornicazione, l’avarizia, la collera, la tristezza, l’accidia, la vanagloria e, la più pericolosa, l’orgoglio. Ecco ciò che ci distrugge, ecco ciò che ci allontana dalla semplicità di cuore di un bambino che segue Gesù con gioia mettendo la sua manina nella mano di Gesù.
Cosa avviene quando vengono alla luce tanti scandali nella Chiesa? Significa che è venuta l’ora della purificazione. Una grande purificazione dalle passioni che distruggono la Chiesa come un tarlo rovinoso.
È semplice: là dove il buon grano non cresce, cresce la zizzania. Là dove la vita cristiana è soltanto formale, superficiale, le passioni crescono come i rovi della parabola: i rovi crescono e soffocano il buon seme della Parola, del Vangelo. (cfr Mt 13,7)
Una grande trappola del nostro tempo è l'affermarsi dei valori cristiani slegati dalla fede. La compassione senza Dio, senza Gesù; la solidarietà senza Dio, senza Gesù, ecc. Vi si nasconde la pretesa dell’uomo di salvare l’umanità senza Dio. E la scienza invece di esser serva dell’amore, diviene complice della voglia di scartare Dio.
Capite allora che quel che conta è non perdere il rapporto con Dio, il rapporto vivo con Gesù. È custodire o ritrovare un amore di fanciullo per Gesù; far nostro il modo di seguire Gesù di un bambino. Come il giovane Carlo Acutis, la cui mamma ci ha dato ieri una così bella catechesi.
Sono vivificate, accese da Satana che odia la purezza di cuore dei bambini e dei santi. Non sopporta la verginità di cuore dei piccoli. Le passioni soffocano l’amore tenero e fiducioso per Gesù…
Allora bisogna non esser ingenui. Occorre trovare i modi per custodire o ritrovare un amore di fanciullo per Gesù. E, qui, capite quanto sia preziosa l’adorazione eucaristica, i momenti che alimentano il cuore a cuore con Gesù; che ci fanno ritrovare il rapporto vivo e sano con Gesù. Una vera e pura amicizia, in cui si scopre che Gesù non è il nemico dello sbocciare della nostra vita, bensì Colui che ci fa veramente vivi, già in questa vita e poi nell’eternità. Senza di lui, siamo veramente dei disgraziati! Senza di lui avviene quel che scrisse il giovane Carlo Acutis: «Tutti nasciamo come degli originali, ma molti muoiono come fotocopie»
I momenti che trascorriamo dinanzi al Santissimo Sacramento possono essere momenti non facili, con distrazioni e tentazioni, ma sono momenti che fanno ritrovare la dolce e vera intimità con Gesù, perché ci esponiamo a Lui. Esponiamo il nostro cuore alla radioterapia del Risorto vivo nell’ostia consacrata. Sono momenti di missione in cui ci uniamo a Gesù per lodare, per piangere ed intercedere per il mondo, per sperare, per amare. Non sono dei momenti di ripiegamento sulla «nostra» spiritualità: è il mondo che portiamo con Gesù al Padre. Sono momenti che riaccendono in noi il fuoco della carità, il desiderio di farci vicini agli altri, di servire gli altri…
Come diceva ieri P. Bernardo, bisogna fermarsi. Citava Benedetto XVI in una sua visita ai certosini nel 2011. Diceva: «Ritirandosi nel silenzio e nella solitudine, l’uomo, per così dire, si “espone” al reale nella sua nudità, si espone a (un) apparente “vuoto” (…), per sperimentare invece la Pienezza, la presenza di Dio, della Realtà più reale che ci sia, e che sta oltre la dimensione sensibile.»
Davvero, se non ci fermiamo nella preghiera, perdiamo il senso della Presenza di Dio.
Ma se ci fermiamo regolarmente, troviamo e ritroviamo la gioia dei bambini che si fidano di Gesù. Una nonna mi diceva di recente di essere meravigliata dinanzi al nipotino perché parla di Dio, di Gesù, con la più grande semplicità… Il nipotino insegna alla nonna… Come la mamma di Carlo Acutis è stata catechizzata da suo figlio, morto poi a 15 anni. Carissimi, «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». (Mc 9,37) Ecco il Vangelo nella sua bellezza!
1 Il poema dell’uomo Dio – Vol. V, p.301
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giovedì 20 settembre 2018 - XXIV settimana TO - 1 Co15,1-11 – Lc 7,36-50 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
spesso si ha voglia di immaginarne il seguito. E ci si chiede: il figlio maggiore entrerà o no nella festa? Ci si potrebbe anche chiedere: il figlio minore, detto «figliol prodigo», come si comporterà nella festa e dopo?
Avrà l’atteggiamento del servo senza pietà (Mt 18,23-35) che è incapace di accogliere l’amore del padrone che gli ha condonato un debito enorme?
Oppure avrà l’atteggiamento di chi accoglie veramente il perdono?
Da che cosa si riconosce che uno ha veramente accolto il perdono? Da una cosa: l’amore!
Se il perdono raggiunge la profondità dell’anima, nasce un amore grande, anzi immenso.
È quello di cui siamo testimoni oggi nella casa di Simone. È entrata una donna, una peccatrice, una che ha « molto peccato », dice Gesù. Non dubito che sia Maria di Magdala.
La Maddalena chiaramente ha scoperto chi è Gesù. Ha capito che quest’uomo, questo rabbi, è uno che porta il perdono, cioè la remissione dei peccati. È uno che ti porta il perdono di Dio. Avrà sentito Gesù parlare? Avrà sentito Gesù parlare di misericordia? L’avrà sentito raccontare la parabola del buon pastore?(Gv 10,1-6)
In ogni modo ha capito. Il suo cuore ha capito da una parte il dramma del suo peccato, della sua sensualità, della lussuria, della violenza insita nella lussuria. E, inseparabilmente, ha capito che Gesù è Colui che ti assolve, che ti perdona. Per questo viene. Entra nella casa del fariseo. Chissà che non fosse abituata ad entrare in quella casa? Comunque la gente l’ha lasciata entrare ed entrare dove le donne non entravano…
Entra e manifesta per Gesù un amore immenso. Ascoltate come lo racconta Gesù: « Mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli; Da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi; E mi ha cosparso i piedi di profumo.» (Cfr Lc 7,44-46) Una tenerezza splendida. Gesti belli e casti. Molto belli e molto casti. Sono l’espressione di… Di che cosa? Per il fariseo, preso dall’invidia e dalla sensualità, sono l’espressione della sensualità, della ricerca del piacere, del potere della carne. Per Gesù…no! Gesù riceve quei gesti per ciò che sono nel cuore della Maddalena: gesti di pentimento e di amore. Ama profondamente Gesù. Ama in risposta all’amore che ha percepito in Lui. Gesù non è insensibile alla tenerezza, ma la purezza del suo cuore non si appropria della donna. Non vuole farne un oggetto, uno strumento. Non approfitta della sua debolezza. Al contrario pone su di lei uno sguardo che la libera. Finalmente un uomo che la conduce alla libertà… La lussuria genera nebbia interiore, fa perdere la chiarezza dello sguardo, del discernimento, della percezione della realtà. La castità invece permette di vederci chiaro, e quindi di amare veramente.
Che grande amore nel cuore della Maddalena! Il perdono ha fatto sì che nel luogo del peccato venisse a sgorgare l’amore. Chi dei due debitori della parabola amerà di più il padrone che ha condonato ad entrambi il loro debito? «Colui al quale ha condonato di più.» (Lc 7,43) È stupendo questo! Chi ama di più è colui che più ha peccato! Il che vuol dire che se veramente accogliamo il perdono di Gesù, scaturirà dal nostro cuore un grande amore. Vuoi amare? Ma amare veramente? Allora affrettati ad andare a confessarti! La misericordia di Gesù farà nascere l’amore. Trasformerà l’amarezza del peccato nella bellezza dell’Amore. Ecco il grande miracolo che compie Gesù. Là dove abbonda il peccato, sovrabbonda l’amore! Ma a patto che accogliamo veramente, col cuore, la potenza della croce, la potenza del perdono di Gesù. Allora il figlio prodigo che sono io entra pienamente nella festa, e tutta la sua vita diviene festa!
«La tua fede ti ha salvata; va' in pace!» (Lc 7,50)
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sabato 15 settembre 2018 - Beata Vergine Maria Addolorata - Eb 5,7-9 – Gv 19,25-27 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Giovanni vide una donna. Una donna, rivestita di sole, gloriosa, che gridava nel dolore di un parto misterioso. Chi è questa donna di cui viene detto che partorisce non un neonato, non un bimbo, ma un figlio adulto? (cfr Ap. 12,5) In un parto violentemente contrastato dal drago, da Satana, che, incapace di ingoiare il Figlio, è inferocito contro la donna e coloro che si schierano con Lei.
È Maria. Maria nel mistero pasquale, quando viene l'ora in cui la grande spada trafigge l'anima sua. Fu più di una ferita. Fu una messa a morte, nell'anima sua. Perdere il proprio figlio. Perdere il proprio Dio. Separazione insopportabile. Tutto in Lei, corpo, psiche, anima, grida. Avvenne quello che non sarebbe dovuto mai avvenire, ma che era necessario per la salvezza della famiglia umana. Il suo cuore immacolato non le risparmia il dolore dell'anima. Lo rende infinitamente più straziante.
Chi può raccontare l'Amore della Vergine per il Figlio? La separazione è impossibile. Sono un'anima sola, un cuore solo. Eppure Ella sa di dover attraversare per noi questa passione. Esserci. Unirsi alla Passione del Redentore. Acconsentire al patire del Figlio, abbandonato da Dio, in una solitudine che non si può descrivere. E acconsentire alla propria estrema solitudine. Spoliazione radicale dell'anima. L'umano è spogliato di tutto … Non rimane che l'amore. L'anima è in kenosis: niente, niente, niente. In Lei si apre un varco, un abisso d'amore, un nuovo seno materno capace di accogliere l'umanità intera in una maternità sconfinata: “Ecco tuo figlio!” (Gv 19,26) Non è una sostituzione al Figlio morente. E' un ricevere lo stesso Figlio Gesù ricevendo nel grembo suo miliardi di volti. Maternità costosa. Maternità dolorosa.
Oggi più dolorosa che mai. Perché da quando l'uomo fa a meno di Dio, da quando l'uomo si fa Dio, da quando l'uomo pretende di essere il Dio della vita, della morte e dell'identità sessuale, il Dio del creato, il Dio degli dei, Iddio amplifica la missione della madre per soccorrere questa nostra umanità drammaticamente in pericolo di morte eterna.
Mater misericordiae. Madre di misericordia, ella oggi non cessa di dare segni della sua maternità. E ci invita a schierarci con lei nella lotta per le anime. Non è una devozione. E' la grande Opera di misericordia del nostro tempo.
L'unica nostra speranza è Gesù, unico Redentore. Ma questa speranza ha un volto, il volto materno di Maria di Nazareth. Al Suo Cuore ci siamo consacrati per far risplendere quaggiù la via dell’unica vera speranza: “Ecco tua Madre!” (Gv 19,27)
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martedì 11 settembre 2018 - XXIII settimana del tempo ordinario - 1 Co 6,1-11 – Lc 6,12-19 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
«Ne scelse dodici ai quali diede anche il nome di apostoli»: (Lc 6,13) Simone, Andrea, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo, Simone, Giuda e Giuda Iscariota.
Una cosa colpisce subito: Gesù scelse dodici uomini. C'erano tante donne vicine a Gesù, donne di grande fedeltà, di grande generosità, cioè di grande amore, e soprattutto di grande fede. Eppure Gesù scelse come suoi apostoli dodici uomini.
Non è per convenienze sociali, perché Gesù dimostra una grande libertà nei confronti dei costumi del suo tempo. Basti pensare all’attenzione data ai bambini o alla sua libertà nei confronti, appunto, delle donne. Non temeva di esser anche solo con una donna, ad esempio nel suo incontro con la donna di Samaria.
Scelse quindi liberamente dodici apostoli maschi. Cosa ci insegna questa scelta?
La prima cosa è molto semplice. Gesù è un uomo. Lo è pienamente. Ha assunto pienamente la sua mascolinità, nel modo di essere, nel lavoro, nel seminare la Sua Parola, nelle tradizioni ebraiche. Per essere suoi ambasciatori nei secoli a venire, sceglie degli uomini, il che significa che la realtà dell’incarnazione non è una messa in scena, o una realtà effimera o passeggera. Gesù rimane nella sua umanità, anche quando viene glorificato. Nella gloria, non ha perso la sua mascolinità. Non è mai stato e non è mai divenuto una specie di essere para-umano senza sesso. I suoi apostoli sono come sacramenti di Gesù anche nella sua umanità, perché Gesù ha preso per sempre la nostra condizione umana.
La seconda osservazione deriva dalla storia biblica. Nel suo rivelarsi, Dio ci ha insegnato che Egli è per noi, per il Suo popolo, il vero Sposo. La nostra umanità, pur ferita, pur peccatrice, è per il Dio d’Israele la sposa diletta. Gesù l’ha confermato fin dalle nozze di Cana. Ci ha fatto capire che la pienezza delle nozze di Dio con l’umanità tutta intera è avvenuta nella Sua persona. Ci ha sposati! Ha scelto di diventare uomo per sposarci. E le nozze sono state consumate sulla croce e nella gioia della risurrezione. Scegliendo degli uomini per fare le sue veci, Gesù ci fa capire¸ che queste nozze non sono un ricordo del passato: avvengono oggi! Oggi Gesù ci sposa… e ce lo fa vedere “rapendo”, se si può dire, degli uomini perché siano i segni vivi della presenza viva di lui, lo Sposo!
Chi sono allora gli apostoli, i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, sposati o meno? Sono come il sacramento di Gesù uomo e sposo che si consegna, che dona la vita a tutti… Gesù dona il Suo corpo, dona il suo sangue, dona il seme della sua Parola… La «gerarchia» quindi non è un potere sugli altri, una gloria umana: questo, quando avviene, è una vera e propria maledizione per il popolo di Dio e per tutta l’umanità. La «gerarchia» nel senso originale significa che a capo del popolo vi è qualcosa di santo, cioè di traboccante di amore. Vuol dire che Gesù dona la Sua grazia a degli uomini perché siano servi, servitori, seminatori, …. così che tutti abbiano la vita.
Loro – noi – siamo stati scelti perché tutti sono scelti. Siamo stati scelti perché tutti sappiano di esser scelti. Per dirlo in termini da addetti ai lavori, il sacerdozio ministeriale è a servizio del sacerdozio naturale e del sacerdozio battesimale dei fedeli.
Che gli apostoli siano solo uomini è visto da non poche persone come un'ingiustizia. In realtà, è una buona novella: le nozze avvengono oggi! Siamo tutti scelti, tutti sposati! Gesù è vivo e vuole rendersi presente, tra tanti altri modi, attraverso degli uomini che sono canali del traboccare del suo cuore. È questo che faceva dire al curato d’Ars, Jean-Marie Vianney: « Le sacerdoce, c’est l’amour du cœur de Jésus », il sacerdozio non è altro che l'amore del cuore di Gesù...
Ringraziamo il Signore per i santi sacerdoti e vescovi che ha messo sul nostro cammino… E preghiamo perché oggi i vescovi ed i sacerdoti non si scoraggino con la messa in luce nel clero di tanti misfatti e scandali talvolta gravissimi…
Carissimi, date tanto amore ai sacerdoti e pregate tanto per loro così che essi lascino traboccare dal loro cuore il tesoro meraviglioso che vi appartiene!
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Domenica 2 settembre 2018 - XXII Domenica del Tempo Ordinario (B) - Dt 4,1..8 – Gc 1,17..27 – Mc 7,1..23 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Siamo di nuovo nel Vangelo di Marco. C'è già stato, da poco, un primo viaggio di Gesù fuori dalla Terra Santa, nella Decapoli. Ora siamo alla vigilia di un secondo viaggio, quello nella regione di Tiro.
Gesù deve preparare i discepoli a quest’avventura fuori dalle frontiere religiose, ben definite… Dovranno allargare il cuore, allargare lo sguardo… entrare in un respiro religioso ampio, aperto, pieno di amore e di compassione.
Cosa fa Gesù? Gesù approfitta di una domanda dei farisei e degli scribi che sono scandalizzati perché i suoi discepoli non si lavano le mani prima di mangiare, letteralmente di «mangiare il pane». Infatti essi sono eredi di una quantità innumerevole di prescrizioni, di osservanze…
Cosa dice loro Gesù? Gesù si riferisce alla Parola di Dio, al Profeta Isaia.
«Questo popolo mi onora con le labbra,
Ci sono qui due osservazioni. La prima sulla liturgia: la vostra liturgia è vana, è vuota, non ha senso, perché il vostro cuore è lontano da me Quello che fa la verità, il senso, della liturgia non è il moltiplicare i riti, i canti, i sacrifici, ma è la prossimità del cuore. La liturgia vissuta col cuore ripiegato su noi stessi non ha senso. È vuota. Ha senso la liturgia vissuta col cuore che accoglie la vicinanza di Dio ed entra nella vicinanza con gli altri. Ecco... dov’è il tuo cuore?
Inoltre Gesù, attraverso la citazione di Isaia, osserva una seconda cosa. Insegnano, dice, «dottrine che sono precetti di uomini». Si insegna a nome di Dio…ma in realtà si tratta di precetti umani! E Gesù insiste: «Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini.» (Mc 7,8) E insiste una terza volta: Voi annullate la Parola di Dio con le vostre tradizioni. (cfr Mc 7,13)
Questo discorso va capito bene. Capita che noi cerchiamo di togliere alla Parola di Dio la Sua autorità … Come? Creando, inventando dei precetti religiosi. È come un modo di scappare dall’obbedienza a Dio. Siamo noi che definiamo quello che si deve fare per piacere a Dio…. È interessante, perché non è che si cerchi una via meno impegnativa sul da farsi. Al contrario: si aggiungono tanti precetti! Ma è una via meno impegnativa nel cuore, perché siamo noi uomini che la inventiamo… e scappiamo dall'obbedienza a Dio!
Oggi dobbiamo porci una domanda: come persona, come comunità, come Chiesa, abbiamo inventato delle prescrizioni, dei riti che non vengono dall’amore obbediente a Dio, bensì dalla voglia di decidere noi quel che piace a Dio? È come una chiamata a tornare all’essenziale della Parola di Dio… Sei Tu, Signore, e solo Tu che puoi dirci cosa ti piace, cosa aspetti da noi!
Gesù poi entra nello specifico del lavarsi le mani. La posta in gioco è quella della purezza. Cercare la purezza significa darsi da fare per non essere bruciati dalla santità di Dio. Vuoi vegliare sulla tua purezza? Bravo! Ma la purezza non si perde mangiando questo o quel cibo. Non si ottiene lavandosi con l’acqua… La purezza si perde con quello che fuoriesce dal nostro cuore.
Capire questo per un fariseo implica una conversione radicale! Il pericolo non è esterno! Il pericolo è dentro di noi, nel cuore. È quindi una chiamata a vigilare sul proprio cuore. Invece di preoccuparci dell’apparenza, preoccupiamoci del cuore!
Cosa sta germinando in questi giorni nel mio, nel tuo cuore? Se lasciamo che vi germinino semi d’invidia, l’invidia invaderà la nostra vita. Se lasciamo che vi germinino semi di lussuria, la lussuria invaderà la nostra vita. La purezza, la possibilità di esser in Dio, non viene da un battesimo esteriore, ma dal battesimo di tutto il nostro essere, a partire dal nostro cuore. Non viene dalla sola acqua! Viene dall’essere lavati dal Sangue e dall’Acqua che zampillano dal cuore di Gesù! Allora, possiamo «mangiare il pane», cioè partecipare alla mensa eucaristica, entrare in comunione con il Signore e con gli altri.
Ecco… cosa possiamo ritenere di questo Vangelo? Una chiamata a tornare all’essenziale della Parola di Dio. La Parola di Dio senza additivi, senza coloranti… la Parola «bio» !! E insieme, una chiamata a tornare al cuore. La Parola di Dio ed il tuo cuore… Bisogna quindi disfarsi di ciò che impedisce il contatto tra la Parola di Dio ed il cuore. E tenere tutto ciò che favorisce questo contatto… In altri termini, occorre esporre il proprio cuore alla Parola, senza contraccettivi spirituali! Abbiamo sentito nella seconda lettura : «Per sua volontà (Iddio) ci ha generati per mezzo della parola di verità, per essere una primizia delle sue creature.» (Gc 1,18) Esporremo il nostro cuore alla Parola di Dio così che una nuova vita, un nuovo modo di vivere possa nascere in noi.
La Parola di Dio non è un seme morto, un oggetto da museo… È un seme vivo. La Parola di Dio è più viva di quanto sono vivo io! Anzi, sono vivo nella misura in cui accolgo la Parola e lascio che Ella mi dia vita!
Mosè, nella prima lettura, ci ha detto che la Parola di Dio ci dona una saggezza ed una intelligenza incomparabili… (cfr. Dt 4,6) Sono la saggezza e l’intelligenza del cuore, la saggezza e l’intelligenza dell’amore, al punto che «Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo.» (Gc 1,27) Religione pura e senza macchia è prendersi cura di chi è nella solitudine, di chi vive nella solitudine umana e di chi vive nella solitudine dell’anima, di chi non conosce l’Amore di Dio…
Ecco quello che scaturirà del contatto vivo del nostro cuore con la Parola di Dio: l’Amore reciproco… che è il cuore della Parola di Dio, l’Unico comandamento… Ama e fa' quello che vuoi!
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Domenica 29 luglio 2018 - XVIIma Domenica del Tempo Ordinario Anno B - Badia Fiorentina - un monaco della Badia
Siamo sempre nel dinamico del vangelo di domenica scorsa, di Gesù commosso di compassione per la folla che lo seguiva fino al luogo in disparte con i discepoli. La gente era stanca e pareva a Gesù come pecore senza pastore, per questo la ristora nutrendola, il cuore e il corpo, cioè con la Parola e poi col pane. Si mise a insegnare loro molte cose dice Marco prima di moltiplicare per loro il pane. Il suo racconto però è molto breve per rendersi conto di questo insegnamento di molte cose. Per questo la liturgia interrompe la narrazione di Marco e prende quello di Giovanni sul pane di vita che ascolteremo le prossime 4 domeniche di agosto. Dove potremo comprare pane dice Gesù a Filippo. Ci ricorda la domanda della Samaritana... da dove prendi l’acqua viva che diventerà in me sorgente d’acqua che zampilla in vita eterna? Quella di Nicodemo... da dove verrà questo soffio di vita che farà nascere di nuovo? Di colui che dirigeva il banchetto di Cana... da dove viene questo vino buono che hai tenuto da parte finora? Da dove può venire il pane che può saziare tanta gente? Perché carissimi c’è pane e pane. C’è il pane che si vende e si compra, per il quale gli uomini si litigano, per il quale ci si arriva perfino a togliere la vita. Non certo di questo pane parla Gesù. O piuttosto è lo stesso pane ma percepito, ricevuto diversamente. Nello stesso modo che il pane della nostra tavola e sostanzialmente lo stesso della tavola eucaristica, ma percepito, ricevuto diversamente. Perché questo discorso di Gesù sul pane è un insegnamento sull’Eucarestia, sulla vita che vuole donare agli uomini per mezzo dell’Eucarestia. E per vivere sempre più di questa, la liturgia ce la spiega sempre più, ci fa entrare sempre più nel mistero del pane ricevuto e condiviso. Nel senso primario, il pane è tutto ciò di cui abbiamo bisogno in questo mondo servono per mantenere la vita. Questo è vero per tutti esseri viventi, vegetali e animali. Per l’uomo però, un senso più profondo del pane lo mette da parte da tutti gli altri viventi. Il pane non è solo per mantenersi in vita, ma anche per condividerla. Il pane e tutto ciò che l’uomo riceve dalla provvidenza servono prima di tutto per essere in legame con il donatore di tutto e con gli altri. Se nel primo caso il pane si ricerca, si ammassa per rimanere in vita il più lungo possibile, nel secondo caso il pane si riceve, si dona per amore e così vivere della vera vita. Perché la vita dell’uomo è ben più che la vita fisica. Lo sappiamo bene, qualcuno può avere granai strapieni di riserve eppure morire di fame perché non ha appetito, è anoressico. Perché la vita dell’uomo è nella relazione con l’altro e l’Altro. Nello stesso modo che il neonato non vive solo di latte, ma di tutte le parole che escono dalla bocca della mamma e del babbo, delle loro carezze, così l’uomo non vive di solo pane ma di tutta parola che esce dalla bocca del suo Dio. Da' quei pani da mangiare alla gente dice Eliseo nella 1ma lettura. Gesù prese i pani e dopo aver reso grazie li diede alla folla. Quando il pane e tutt’altro bene in questo mondo è ricevuto nel ringraziamento (1Tm 4,3), ci ricongiunge alla sorgente di tutto bene e della vita. Il pane e tutto bene diventano ciò che sono in realtà, vettori, trasmettitori della vera vita. Per questo il cristiano non può prendere i pasti senza rendere grazie, dire il “benedicite”. Marco e Luca aggiungono poi un dettaglio rilevante sul modo di ricevere questo pane. Gesù fa sedere la folla in gruppi di 50 o 100. Come per sottolineare che la vita che dà Gesù è da condividere in gruppi. Questo pane non è da ricevere da soli oppure essendo perduto in una massa di 5 mila persone anonime. Lo si riceve insieme con persone che si può conoscere se non per nome almeno di viso. Perché questo pane si riceve dal Padre per scoprire gli altri come fratelli e sorelle. C’é dunque pane e pane ricevuto-condiviso. Quest’ultimo non è solo sorgente di vita fisica ma anche della vera vita. Annunciato dalla manna nel deserto, questo pane scende dal cielo. Ci viene dal Figlio che riceve tutto dal Padre e condivide tutto con i fratelli. Non è da comprare, né da vendere, perché come l’amore non ha prezzo, piuttosto è al prezzo della vita del Dio fatto uomo. Non è nemmeno da meritare, è da ricevere gratuitamente come dono, espressione d’amore. Quel ragazzo del nostro vangelo che ha dato il poco che aveva, ma tutto che aveva è infatti immagine di Gesù stesso. Pur insignificante agli occhi di tutti... che cos’è questo per tanta gente dice Andrea, questo piccolo dono ha scatenato il dono spettacolare della moltiplicazione dei pani. Primizie e annuncio del dono che Gesù farà di se stesso all’ultima Cena e sulla Croce. Dono che sarà tramandato nel tempo e nello spazio per mezzo del sacramento dell’altare che riceviamo fra poco. Dall’Eucarestia riceviamo non solo la vita ma impariamo anche il principio della vera vita che può ravvivare, rinvigorire tutti i settori della vita. Prendiamo ad esempio le vacanze, il tempo di riposo che noi stiamo per prendere oppure alcuni hanno già preso. Da una parte possiamo viverla al livello primo, cioè come tempo di riposo ben meritato, vacanze costose per essere tranquillo da qualche parte in capo al mondo, lontano dal solito della vita quotidiana. Ci si ristora fisicamente, ci si ricarica le batterie... e poi al rientro spesso ci si ritrova esaurito ben presto in autunno e non si vede l’ora per prendere le prossime vacanze. Oppure possiamo vivere le vacanze come un dono, riceverla nel ringraziamento, nella lode di Colui che ci ha dato la vita, il mondo, tutte le belle cose che ammiriamo, di cui godiamo. Viverla magari più semplicemente e non necessariamente partendo lontano nei posti esotici. Sopratutto viverla assieme con le persone che contano davvero nella vita, anche se ciò significa sopportare il nonno brontolone, la zia irritabile, cugini rompiscatole... Condividere le piccole semplici gioie della vita, vivere le vacanze per rinsaldare amicizie, vivificare i legami vitali con i cari, familiari. Vissute così le vacanze ricaricano non solo il corpo ma anche il cuore perché ci fanno tornare all’essenziale, vissute così le vacanze ci ricollegano alla sorgente della vita.
Possa il tempo estivo, possa già questa
Eucarestia essere per noi una ricostruzione interiore,
restauro del cuore e dell’anima nel Signore.
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Domenica 22 luglio 2018 - XVI Domenica T.O. - Ger 23,1-6 – Ef 2,13-18 – Mc 6,30-34 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Vediamo i dodici apostoli appena tornati dalla missione. Gesù li ha mandati a due a due, ed ora ascolta il loro racconto. Ecco, ad esempio, Pietro e Filippo o Giuda e Giacomo che raccontano quel che è avvenuto durante la missione, ossia due cose: «quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato». (Mc 6,30)
Quello che hanno fatto sono i segni del Regno che hanno compiuto: guarigione di malati, guarigione di lebbrosi, liberazione di indemoniati, e, chissà, risurrezione di morti, i segni che manifestano che Dio è entrato in modo nuovo nella nostra realtà umana, portandovi vita e liberazione. Quello che hanno insegnato sono le catechesi che hanno dato, annunziando che il Regno è vicino. Non sono più il male, la violenza, l’invidia, l’egoismo e tutte le forme di malvagità ad avere l’ultima parola sulla nostra storia, bensì l’Amore del Dio d’Israele che si è fatto concretissimo nella persona di Gesù di Nazareth.
Raccontano così a due a due quello che hanno vissuto. Si vede quindi come sono stati capaci di collaborare alla missione, come il dono dello Spirito si è manifestato in modo diverso nell’uno e nell’altro: chi è stato di più strumento dei segni del Regno, chi è stato di più strumento dell’annuncio. E Gesù ascolta… Non posso non pensare alla reazione di Gesù al racconto dei settantadue nel Vangelo di Luca: «Non rallegratevi (…) perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli». (Lc 10,20) Poi Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse :« Ti rendo lode, o Padre,... perché hai nascosto le cose del Regno ai sapienti e ai dotti e le ha rivelate ai piccoli.» (cfr. Lc 10,21)
Una cosa è certa: l’ascolto profondo da parte di Gesù. Gesù ascolta le gioie come le angosce dei discepoli…
Carissimi, credo che questa pagina evangelica sia per noi un invito a fare esattamente come gli apostoli… Siamo a fine luglio, alla fine, cioè, di un anno pastorale, e sarebbe una cosa splendida che ciascuno di noi, o meglio a due a due, raccontassimo a Gesù come abbiamo svolto la nostra missione quest’anno.
Tutti siamo «discepoli missionari», anche se le chiamate sono molto diverse. Quindi tutti possiamo – dovremmo – fermarci e rivolgerci a Gesù per raccontargli «quello che abbiamo fatto e quello che abbiamo insegnato». (cfr. Mc 6,30) In questi undici o dodici ultimi mesi, ecco, Gesù, come ho svolto la mia missione, la nostra missione. Raccontare, semplicemente… Come sarebbe gradito a Gesù! Potrebbe essere un bell'impegno per le prossime settimane, vero?
Per dare a questo racconto, a questa rilettura, una maggiore profondità, vi propongo di cogliere nella Parola di Dio di oggi tre domande.
Cominciamo dal Vangelo. Marco ci dice che «Sceso dalla barca, Gesù vide una grande folla, ed ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.» (Mc 6,34) Gesù vide la folla ed ebbe compassione, cioè fu commosso nelle sue viscere materne… Gesù non scarta la realtà dolorosa del suo tempo, non chiude gli occhi, e neppure si abitua al dolore delle folle. Ebbe compassione. E Marco, per farci capire il dolore di Gesù, riprende un'espressione già usata da Mosè, ormai anziano, in una sua preghiera. Egli disse al Signore: «Il Signore, il Dio della vita di ogni essere vivente, metta a capo di questa comunità un uomo che li preceda nell'uscire e nel tornare, li faccia uscire e li faccia tornare, perché la comunità del Signore non sia un gregge senza pastore» (cfr. Num 27,15-17)
Si tratta per noi di avere quegli stessi sentimenti di Mosè e poi di Gesù, cioè di avere a cuore la sorte degli altri. Perché delle «pecore senza pastore» sono delle pecore che in breve moriranno di fame, di sete, o saranno preda della violenza di animali selvatici.
Quest’anno che sguardo ho posto sulle folle di oggi? Di indifferenza o di compassione? La testa nella sabbia oppure gli occhi e i cuori aperti? Mi sono preoccupato della salute fisica e mentale degli altri? Della loro sorte eterna?
La seconda domanda la possiamo ricavare dalla Lettera di Paolo agli Efesini. Paolo, oggi, ci insegna come Dio ha operato per demolire il muro più terribile, più letale, che ci sia: il muro che i credenti in Dio costruiscono per separarsi dagli «atei» come dice Paolo (cfr. Ef 2,12) È un muro terribile perché si edifica con delle certezze religiose, e quindi delle certezze molto salde…
Cos’ha fatto Gesù? «Ha abbattuto questo muro di separazione (…) per mezzo della sua carne.» (cfr. Ef 2,14) I credenti che pensavano di meritare la salvezza con le loro opere, e gli atei che erano senza Dio, senza Cristo, Gesù li ha attirati a sé. Paolo usa poi un verbo molto forte: Gesù crea! «Ha creato in sé stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace.» (cfr. Ef 2,15) Non che gli atei debbano diventare dei credenti che meriteranno la salvezza… No! È una nuova creazione, un dono gratuito di Dio attraverso la morte e la risurrezione di Gesù. E ci sarà un solo popolo, un solo ovile, un solo Pastore. Saremo una cosa sola in Lui. Anzi, siamo già una sola cosa in Gesù, e ci spetta di diventare ciò che per grazia già siamo!
Quest’anno ho posto sul mondo questo sguardo di speranza? Mi sono lasciato afferrare dal desiderio che diventiamo per grazia un solo popolo, con tutti, con chi oggi non crede, non ama, non spera? Mi abita questa speranza che diventiamo una cosa sola?
Ecco, quindi, due domande: Ho avuto uno sguardo di compassione? Ho avuto uno sguardo di speranza?
Da queste due domande deriva la terza. Cosa fa Gesù quando arriva sulla riva del lago, nel posto dove voleva portare i suoi apostoli a vivere un sabato lontano dall'ostilità dei farisei e vede una grande folla che lo aspetta?
Aveva detto: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po'». (Mc 6,31) E il luogo deserto è gremito di «una grande folla» …
Cosa fa? Va via? Li caccia? Li fa aspettare? «Si mise a insegnare loro molte cose.» (Mc 6,34)
Gesù, cioè, rinunzia ai suoi progetti anche più generosi, per rendersi disponibile a chi è bisognoso. La sua vita non è imprigionata dentro dei precetti o dei progetti… La sua vita è donata… È il Buon Samaritano che si lascia deviare per prendersi cura del prossimo, anche nel modo più inaspettato…
Ed io, quest’anno, ha avuto questa flessibilità, questa docilità dell’amore? Mi sono lasciato deviare dalla compassione? Mi sono lasciato spiazzare dalla speranza?
Carissimi, ecco ciò che possiamo raccontare a Gesù. Prima nel cuore a cuore, poi, magari, col padre spirituale, con un amico, … Racconta a Gesù la bellezza della tua esperienza. Raccontagli come la Sua grazia ha così bene operato in te, come nei tuoi fratelli e nelle tue sorelle. Ma prima in te… Non chiudere gli occhi sulla bellezza della tua vita di battezzato, di testimone… Poi potrai pure raccontare a Gesù le tue resistenze, le tue chiusure, i tuoi tradimenti. Non quelli degli altri… i tuoi.
Racconta… trova il tempo di raccontare… E sentirai Gesù che ti dirà: «Vieni in disparte, noi due soli, in un luogo deserto, e riposati un po'». (cfr. Mc 6,31) Riposati sul mio cuore. Riposati nella mia misericordia. Riprendi forze nuove nel mio cuore, perché, fra poco, vi invierò di nuovo verso la folla delle pecore senza pastore…
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giovedì 19 luglio 2018 - XV settimana T.O. - Is 26,7-9.12.16-19 – Mt 11,28-30 - Badia Fiorentina -f. Antoine-Emmanuel
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi.» (Mt 11,28) Letteralmente: «venite a me, voi tutti che siete stanchi e sotto un fardello…» Nel contesto ebraico del tempo di Gesù, era chiaro che l'espressione si riferisse al fardello dei precetti, dei moltissimi precetti che gli scribi, i farisei insegnavano al popolo.
Una moltitudine di precetti non è ciò che richiede la vita monastica? Tu devi esser puntuale alle 6.30, alle 12.30 e alle 17.30. Tu devi preparare bene i libri per le liturgie. Tu devi osservare il silenzio a tale e tale momento, in tale e tale luogo. Tu devi obbedire al priore, alla priora. Tu devi chiedere perdono ogni settimana per le tue mancanze. Tu devi esser casto col tuo corpo, come col corpo altrui. Tu devi chiedere i soldi all’incaricato. Tu non devi avere soldi propri…. Ecc…
un po’ per idealizzazione, un po’ per la certezza che «ce la farò», ed un po’ per la speranza di guadagnare meriti…
Ma, col passare degli anni, il fardello può farsi pesante. Non ce la faccio più… ho bisogno di autonomia... … non corrisponde all’anelito della mia anima che vuole una libertà spirituale… Poi vedo i miei coetanei che sembrano esser talmente più liberi di me! E… la società non cessa di esaltare l’auto-realizzazione. Allora… comincia un combattimento interiore tra la sete di auto-realizzazione e il desiderio di Dio, il desiderio di Dio nel duplice senso del mio desiderare Dio, e del desiderio che Dio ha di me. Da una parte c’è la voglia di autonomia psichica, dall’altra c’è l’anelito profondo dell’anima assetata di Dio.
E qui entra in gioco il Vangelo odierno: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero». (Mt 11,28-30)
«Venite a me» …. volentieri! «Prendete il mio giogo sopra di voi» … No! No… finché non capiamo cos’è il giogo di Gesù! Innanzi tutto è il giogo che Gesù per primo ha portato: ha dato sé stesso per me, per noi, per amore, per salvarci. E' il giogo del suo morire abbandonato sulla croce. Il giogo dell’amore che si spoglia totalmente di sé per dare vita all’altro. Il giogo dell’amore che è di per sé rinuncia a sé stesso….
Prendere noi questo giogo significa obbedire all’unico comandato di Gesù: «Amatevi gli uni gli altri, come ho amato voi.» (cfr Gv 15,12) Non è un «tu devi» in più rispetto a tutto l’elenco già fatto. Non è neppure un cancellare tutto quell’elenco. È avere come unica legge l’amore, che dà senso, che dà luce, che dà forza a tutti i doveri della vita monastica. Tutto ciò che la vita monastica mi chiede ha per senso di adempiere fino in fondo il comandamento dell’amore. «Poiché la carità è il pieno compimento della Legge, l’esigenza dell’amore fraterno viene ad essere allora il compendio della tua vita monastica, come lo è della Legge e dei Profeti. Ad ogni istante interrogati dunque sull’amore, poiché sarai giudicato sull’amore3.» (Libro di vita di Gerusalemme, n.4)
Devo vivere il silenzio? Si! Per una legge fredda? No! Per amore! Per amore del Signore per ascoltare la Sua Parola. Per amore dei fratelli, per ascoltare la parola che essi sono. Per amore di me stesso, per non perdermi nei miei rumori interni. E così via…
Lo dico della vita monastica. Ma si può dire di ogni forma di vita cristiana.
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero». (Mt 11,28-30) Leggero perché Gesù lo porta con noi, lo porta per noi. È il Suo giogo… Rimarrà per sempre il Suo. Ma noi, per amore, lo portiamo insieme a Lui.
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mercoledì 18 luglio 2018 - XV settimana T.O. - Is 10,5..16 – Mt 11,25-27 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Si ferma e si rivolge al Padre: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.» (Mt 11,25-26)
Questo vuol dire che Gesù guarda quello che sta succedendo, legge la storia, a cominciare dalle vicende della sua missione.
Gesù guarda. Guarda quel che succede: il rifiuto da parte di tanti di riceverlo, l'apertura di alcuni. Guarda e vede che sono i piccoli, i « nepioi », i bambini, che accolgono il Regno, mentre i sapienti ed i dotti rimangono incapaci di aprire il cuore al Vangelo.
Gesù legge questi avvenimenti, questa realtà, e vede che è proprio Dio Suo Padre che nasconde queste cose ai sapienti e ai dotti, mentre le rivela ai piccoli.
La sua è una lettura della storia fatta nella fede: un vedere, un riconoscere come Dio opera dentro la storia.
Di essa abbiamo un controesempio nella prima lettura. Il popolo assiro non ha riconosciuto l’opera di Dio. Le sue vittorie sono un fatto accertato, concretissimo, ma essi hanno letto queste vittorie come il frutto della loro forza, della loro intelligenza. «Con la forza della mia mano ho agito e con la mia sapienza, perché sono intelligente; ho rimosso i confini dei popoli e ho saccheggiato i loro tesori, ho abbattuto come un eroe coloro che sedevano sul trono.» (Is. 10,13)
Il loro sguardo è puramente orizzontale, umano, piatto…. Manca loro lo sguardo della fede, che richiede di inginocchiarsi e di invocare lo Spirito di discernimento. Se avessero chiesto questo dono, avrebbero capito di essere solamente uno strumento della collera di Dio nei confronti del Suo popolo. La collera, cioè il ritirarsi di Dio era divenuto necessario perché Israele divenisse consapevole di essere su una strada di morte e non di vita. Ma questo non l’hanno visto. E la conseguenza della loro cecità è stata un drammatico «incendio di fuoco». (cf Is 10,16)
E noi? Siamo come gli Assiri? Oppure siamo capaci di fermarci, di inginocchiarci, e di chiedere il dono dello Spirito per leggere la nostra storia, la storia della nostra famiglia o della nostra comunità, la storia della Chiesa, del mondo?
Come Dio opera oggi nella mia vita? Che senso, che fecondità ha tale grazia, tale prova….?
Un giorno, una mamma stava pregando nella chiesa di San Giacomo a Medjugorje. Piangeva, e sussurrava: «Perché, Dio? Perché a me?». Pianse durante tutta la messa, perché aveva tre figli disabili ed era venuta a Medjugorje per chiedere la loro guarigione e per sapere perché Dio le avesse dato una tale croce. Man mano che pregava e che la messa si svolgeva, lo Spirito Santo operava in lei. Alla fine della messa, piena di gioia sussurrava: «Perché non a me? Perché non a me? Oh! Che posto! Questo è il più bel giorno della mia vita!» E poi raccontò: «Perché Dio non dovrebbe darmi questa croce? Se me la dà, vuol dire che secondo Lui sono in grado di portarla! Ha fiducia in me ed io confido in Lui. Lui mi aiuterà se la croce si fa troppo pesante. Non vedo l’ora di andare a casa e di baciare i miei figli. È una grande grazia averli!» (citato da : Mirjana Soldo, «Il mio Cuore trionferà», Ed. Dominus Production, p.391)
Ora spetta a noi fermarci e leggere la nostra vita… Saremo meravigliati, perché ci renderemo conto che l’Amore di Dio è all’opera molto più di quanto possiamo immaginare. Sta tessendo la nostra vita eterna, non la mia solamente, non la tua solamente, bensì la nostra…
Vieni Spirito Santo, donaci occhi per scoprire il modo divino con cui il Padre ed il Figlio insieme a Te, in Te, sono all’opera per guarire, ricucire, abbellire e salvare l’intera famiglia umana. Amen.
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Domenica 8 luglio 2018 - XIVma Domenica del Tempo Ordinario Anno B - Badia Fiorentina - un monaco della Badia
Da dove gli vengono queste cose? Dicono i Nazareni stupiti... non é costui il falegname? Sono sicuri di conoscere bene finora il loro compaesano senza sorprese. È cresciuto con loro, facevano insieme i pellegrinaggi a Gerusalemme, probabilmente gli avevano chiesto lavori come falegname. E poi d’improvviso... eccolo che compie guarigioni, miracoli, parla con autorità ... si parla di lui in tutto il paese. Da dove mai gli viene tutto questo? Si capisce il loro stupore, ma sembra eccessiva la loro reazione. Era per loro motivo di scandalo dice la traduzione liturgica, altri traduzioni esprimono più, erano profondamente scioccati, sconvolti. A tal punto che non potevano avere fede in lui, sono rimasti increduli. Non giudichiamo subito i Nazareni, non sono tutti testardi, duri di cuore, razza di ribelli di cui parla Ezechiele, cerchiamo di capirli un po’. Motivo di scandalo, la parola scelta da Marco ci ricorda la lettera di san Paolo... noi annunziamo Cristo crocifisso scandalo per i Giudei e follia per i pagani (1Co 1,23). È la pietra d’inciampo di fronte al mistero dell’Incarnazione. Infatti, già Nazareth non è un indirizzo buono... da Nazareth può mai venire qualcosa di buono ? diceva Natanael (Gv 1, 46). E poi c’è un altro senso per un Giudeo abitante in Israele che esercita un mestiere. Va bene, è normale per un Giudeo avere un mestiere quando si è in diaspora, ma quando si é in terra santa, non coltivare neanche un pezzetto di terra vuol dire che è spogliato dall’eredita dei padri, essere talmente povero di non poter redimerla. L’eredità, la terra dei padri, l’eretz Israel è molto importante per loro. Fare il falegname in terra santa era davvero una piccolezza. Mettiamoci al posto di questi Nazareni... come credere che Gesù fosse quello che dice... Il benedetto di Dio? Essere piccolo non è benedizione. Come credere che l’Altissimo viene fra gli uomini facendosi piccolo? In fondo l’uomo non ama essere piccolo, non gli piace la piccolezza. E se crede in Dio, crede in un Dio alla misura dei suoi desideri di grandezza. Un Dio onnipotente, maestoso, regale. Eccoci carissimi, la pietra d’inciampo di fronte al mistero dell’Incarnazione. Scandalo non solo per i Nazareni, i Giudei... ma per tutti gli uomini credenti di qualsiasi religione. A nessun credente piace un Dio piccolo, ultimo di tutti, debole. Non c’è interesse credere in un Dio piccino! Guardando bene, siamo davvero diversi dai Nazareni? Siamo migliori di loro? Sulla stessa pietra di scandalo c’incagliamo quando per esempio non ascoltiamo l’esortazione del nostro parroco alla conversione durante l’Avvento e la Quaresima... perché lui, lo conosciamo bene come le nostre tasche... conosciamo i suoi punti deboli, i suoi cambiamenti d’umore da pazzo... e così via. Ora... Dio non sceglie e non manda profeti e apostoli perché sono migliori dagli altri. Isaia era di labbra impure, Geremia non era abile nel parlare, Pietro traditore, Giovanni e Giacomo ambiziosi, Paolo persecutore... e così via fino a Charles de Foucauld che non era bravo come un chierichetto... ma la forza divina dice Paolo nella 2da lettura si manifesta pienamente nella debolezza umana. È una debolezza inevitabile la distanza tra la parola annunziata e la povertà, piccolezza degli annunziatori, la loro fatica, ferite, miserie. Superare la pietra d’inciampo, non scagliarsi su di essa ma accettarla come pietra angolare della salvezza, vuol dire prima di tutto andare oltre i nostri sogni di grandezza, accettare le nostre piccolezze e quelle degli altri, quelle di coloro che il Signore ci manda come apostoli. Vuol dire carissimi riconoscere la Parola di Dio che talvolta ci viene con la voce aspra, rauca di colui, colei che l’annuncia. E se diciamo questo dei laici nei confronti dei preti, si può dire la stessa cosa degli ecclesiastici. Qualche volta non ascoltano la parola profetica, oppure una idea ispirata dallo Spirito nei laici... perché non hanno fatto studi teologici, perché non spetta a loro dire questo o fare quello nella Chiesa... Da dove gli viene tutto questo? Che cosa è questa sapienza data a questi laici? Come osano parlare nel nome dello Spirito Santo, come se avessero una linea diretta con il cielo? Nei nostri giorni, chi sono i familiari di Gesù, chi sono coloro della sua patria? Non è forse la Chiesa, noi? Dobbiamo ammettere che oggi come nel passato, talvolta gli atti di fede luminosi, prodigi miracolosi avvengono fuori dagli ambienti ecclesiastici ufficiali. Accadono spesso fra i piccoli credenti, in questi movimenti oppure nuove comunità marginalizzate da coloro che sono nella Chiesa e la sua tradizione da sempre. Qual è questa mancanza di fede che impedisce a Gesù di dispiegare la sua potenza ancora nei nostri giorni? Talvolta si tratta dall’attaccamento eccessivo ai costumi, osservanze, usanze che si faceva da sempre. Certo non sono tutti cattivi queste tradizioni, ma tendono ad sclerotizzarsi in pratiche prive di senso se non si lascia posto alla novità dello Spirito.
Questa Eucarestia nella quale la potenza
di Dio si dispiega ancora una volta nella debolezza e
piccolezza del segno del pane spezzato e del vino versato,
ci faccia entrare sempre più nella sapienza di Dio, ci
faccia crescere nella fede e così liberare la potenza di Dio
nella nostra vita, nella Chiesa.
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Domenica 1 luglio 2018 - XIII Domenica T.O. B - Sap 1,13-15; 2,23-24 – 2 Cor 8,7.9.13-15 - Mc 5, 21-43 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
La donna venuta a toccare i vestiti di Gesù e il capo della sinagoga Giairo sono due persone molto diverse: una donna, un uomo; una donna religiosamente impura, un capo religioso; una donna divenuta molto povera, un uomo benestante. E cosi via… Ma una cosa hanno in comune: entrambi hanno capito che possono portare a Gesù il più concreto dei loro problemi, delle loro sofferenze. Non vengono a parlare di teologia o di riti religiosi con Gesù: vengono con i loro problemi, con il dramma più reale della loro vita.
Per lei, è la perdita continua di sangue con tutte le conseguenze fisiologiche, pratiche, sessuali, psicologiche e religiose. Le visite dai medici non le hanno procurato nient'altro che umiliazioni. E lei ha speso tutto e si ritrova nella miseria.
Per lui, il dramma è la sua figliuola in fin di vita. Lo scandalo della sofferenza e della morte dei bambini è entrato nella sua casa.
Gesù non scappa. Nessuna fuga. Anzi entra in un rapporto vivo, personale con chi soffre. Non evita la casa della sofferenza: vi entra. E questo non è semplice. Si dà da fare. E deve affrontare per ben tre volte le incomprensioni.
La prima incomprensione si verifica per strada. La donna ha appena toccato i vestiti di Gesù, di nascosto, da dietro. Gesù percepisce quello che è avvenuto e chiede: «Chi ha toccato le mie vesti?» (Mc 5,30) I discepoli non capiscono… sembra che Gesù sia fuori dalla realtà! «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te, e dici: «Chi mi ha toccato?» (Mc 5,31) Ma Gesù vuole incontrare la persona… Vuole un incontro, occhi negli occhi! Gesù non è un guaritore. È un innamorato!
Contemplo oggi Gesù in mezzo a noi. Cerca qualcuno. Cerca qualcuno che l’ha invocato, che Gli ha chiesto una grazia, l’ha ricevuta… ma non si lascia guardare in faccia da Gesù. Come se scappasse ancora dal Suo sguardo. Ma Gesù desidera quest’incontro. Gesù ha sete dell’incontro con te. Non gli basta la tua religiosità. Aspetta che tu gli dica: «Eccomi… sono io che ho ricevuto tanto da Te, ma fuggo l’incontro con Te. Ho paura di essere amato da Te. Ma, oggi: eccomi!» «La tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male» (Mc 5,34)
quando arriva la gente dalla casa di Giairo. «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». (Mc 5,35) Perché? A che serve? È tutto finito… Gli avvenimenti della tua vita ormai sono questi, e non possono cambiare. Perché disturbare Gesù? Ha altro da fare. Per te non potrà far nulla. Lascia perdere!
Per fortuna, Gesù sente questi ragionamenti. «Non temere, soltanto abbi fede!». (Mc 5,36) Non permettere che sia la paura a guidarti. Lascia che sia la fede! La paura ti toglie la vita, ti ruba la speranza. La fede invece ti apre nuove prospettive…
Contemplo oggi Gesù in mezzo a noi che, vedendo le nostre paure, ci dice: «Non temete, soltanto abbiate fede!». (cfr Mc 5,36) Perché le nostre paure ci rubano la speranza. Esse impediscono che la grazia venga a trasformare la nostra vita.
Oggi, Gesù, Ti consegno le mie paure. Rinunzio a quei ragionamenti che mi suggeriscono che non dovrei disturbarTi. Sono menzogne, perché non Ti disturbiamo mai. È la nostra poca fede che Ti fa soffrire! La voce che in me dice: «Lascia perdere», non voglio ascoltarla. Ma voglio ascoltare la Tua voce e Ti invito a casa mia, Ti chiedo di visitare tutte le nostre case, tutti i nostri cuori.
La terza incomprensione avviene quando Gesù arriva a casa di Giairo. La figliuola è morta. Vi è grande dolore, grida, pianti, lamenti. Il dolore è terribile. «Dio non ha creato la morte, e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano.» (Sap 1,13-14) La morte è e rimane un dramma, uno scandalo…
Arriva quindi Gesù, e dice: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». (Mc 5,39) Sembra che Gesù di nuovo sia del tutto fuori dalla realtà. Non ha capito che la bambina è morta. Sarà nel suo mondo… rifiuta di guardare alla realtà. «E lo deridevano.» (Mc 5,40)
Gesù, entrato là dov’era la bambina, «prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». (Mc 5,40-41) Ed, ecco, la bambina si sveglia… Gesù solo ha visto la realtà, la verità di ciò che sta succedendo. Davvero dormiva. Era nel sonno della morte, cioè in una morte che non è uno sprofondare nell’inferno, ma una morte sulla quale Gesù ha ogni potere.
Oggi, contemplo Gesù che invita anche noi ad entrare nel Suo sguardo. A guardare al mondo, alla vita, alla stessa morte, con speranza. Non perché tutto sia bello e sano… ma perché Lui c’è! La Sua presenza cambia le sorti delle persone, delle relazioni, della stessa creazione. Non è lontano dalla realtà Lui: è lontana dalla realtà la cultura che nega la Sua presenza, la Sua opera!
Tre tappe, quindi: Non rimanere nella religiosità: lasciati guardare ed amare da Gesù! Non lasciarti guidare dalle paure: la fede sia la guida della tua vita! Non lasciarti sedurre dalla cultura della depressione: la verità la trovi nello sguardo di Gesù.
Perché ridurre la tua vita dentro orizzonti ristretti? Apriti! Effata! Guarda Gesù, che, da ricco che era, si è fatto povero per te! Quando? Sulla croce! Per te è divenuto più che povero: È nel non essere perché tu divenga ricco del vero essere, che è l’Amore. Sei ricco! Siamo ricchi! Non ricchi di denaro, ma ricchi di Amore, di speranza, di vita. Non vivere come se tu fossi povero! La ricchezza divina è in te, in me, tra noi!
Apri la tua religiosità all’Amore di Gesù! Consegna le tue paure all’Amore di Gesù! Entra nella cultura della fiducia nell’Amore di Gesù! Questa è ricchezza vera… una ricchezza che non si può non condividere. E più la condividi, più ne divieni ricco. Sei ricco quando doni tutto di te insieme a Gesù. Sei ricco e beato quando con Gesù non sei più niente. Perché sei Amore!
Ama ... e fa' quello che vuoi! Fa' quello che vuole l’Amore. Facciamo quello che vuole l’Amore! E saremo beati!
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sabato 16 giugno 2018 - X settimana T.O. - 1 Re 19,19-21 - Mt 5,33-37 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
«Non giurate» (Mt 5,34), ci chiede Gesù oggi. Non moltiplicate le parole per ottenere la fiducia degli altri, per raggiungere i vostri fini, per far valere le vostre ragioni. Non giurate affatto…
«Giuro per la testa di mio padre, giuro per Iddio, giuro per questo e per quello…» No! Sii umile nel tuo parlare.
Capita di ricorrere a Dio, di usare Dio per convincere gli altri. Dio diviene un mezzo per ottenere ciò che vogliamo noi, per convincere gli altri della verità delle nostre parole. Questo è tipico della mondanità spirituale. L’abbondanza di parole solenni nasconde la poca fiducia che si ha gli uni verso gli altri.
Gesù non vuole che nei nostri discorsi nominiamo tanto Dio, mentre in realtà siamo tutti centrati su noi stessi e sui nostri interessi. È questa una chiamata alla sobrietà nelle parole.
L’affidabilità dei nostri discorsi non deve riposare sul nominare Dio, né sul moltiplicarsi delle parole, bensì sulla verità della nostra vita. Ti credo, non perché giuri su Dio o sulla testa di tuo padre, ma perché vedo che c'è coerenza tra le tue parole e la tua vita.
Davvero, se diventiamo veri discepoli di Gesù, la nostra vita diviene parola affidabile, parola vera. Ma come giungere a questo? Come risanare la discrepanza che c’è tra le nostre parole e la nostra vita?
Credo sia necessario entrare in una certezza di fondo: Dio NON è sì e no. Dio non è come il tempo che cambia: qualche volta ci è benevolo, qualche volta ci è indifferente, qualche volta è nostro nemico… Non è il Dio banderuola che cambia secondo un misterioso vento… No! Dio non cambia. E non lo faremo cambiare. Dio è Amore e non cambia.
Dio è Sì e non diverrà No. Dio è il Sì del Padre al Figlio e del Figlio al Padre; un Sì eterno, amoroso, che è lo Spirito Santo. Non diviene No, e non lo può diventare.
Dio è Sì… e, di fronte alle creature, non nega il suo essere Sì: non rinunzia all’atto creatore, anche quando la creatura si ribella ed entra nel no, nel non amore. Non rinunzia a creare gli esseri liberi che siamo noi, degli esseri chiamati ad entrare nel Sì eterno dell’Amore.
Dio ha detto di sì a te, a me. E questo Sì non lo ritirerà mai. L’ha detto, l’ha firmato con il sangue del Figlio crocifisso. La Croce è il Sì eterno di Dio all’umanità, a te, a me. È il «giuramento» di Dio, un giuramento non di parole, un grido d’amore, una parola eterna silenziosa che è la morte di Gesù per amore nostro; un grido echeggiato per l’eternità nella gioia e nella danza della Risurrezione.
Questo è il fondamento della nostra vita. È il fondamento oggettivo: esisto perché Dio ha detto di sì al mio essere, al mio nascere, al mio vivere, al mio ingresso nell’eternità Sua. È il fondamento soggettivo: se contempliamo questo Sì, se l’accogliamo, vi troviamo la forza per vivere che è la fede. Se intravediamo che questo Sì divino è eterno, nasce in noi la speranza. Se intuiamo l’amore infinito che si trova in questo Sì, nasce in noi l’amore vero.
Il Signore ha detto e dice di sì a quel che siamo, e vogliamo allora rispondere con il nostro sì. È il senso delle promesse che, nel corso della nostra vita, abbiamo fatte al Signore.
Ci ricordiamo delle promesse che abbiamo fatte al Signore? Le promesse del nostro battesimo; le promesse del matrimonio; i voti della professione religiosa; le consacrazioni fatte in privato; le promesse segrete del nostro cuore. Poche parole che impegnano tutta la nostra vita. Questa è la nostra dignità. Una vita senza impegno è una vita che non conoscerà la verità dell’Amore, che rimarrà sempre alla soglia.
Carissimi, bisogna contemplare, sentire, il Sì di Dio a quello che siamo. E sentire anche il Sì di Dio a quello che sono gli altri, i nostri amici come i nostri nemici. Cambierà il nostro sguardo su di loro…
E poi sentire il Sì di Dio all’amore fraterno tra noi, dono del battesimo, all’amicizia verso la quale siamo chiamati a camminare, all’amore vicendevole, come Gesù ci ha amati che è il vertice dell'Amore. E rispondere di sì a questo Sì, con la nostra vita. «Non a parole e con la lingua, ma con i fatti e nella verità.» (1 Gv 3,18)
«Il nostro parlare sia: «Sì, sì», «No, no»; il di più viene dal Maligno.» (cf Mt 5,37)
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Domenica 10 giugno 2018 - Xa Domenica del Tempo Ordinario - B - Gn 3,9-15 – Ef 4,13-5,1 - Mc 3, 20-35 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
È questa la preghiera di tanti, anche se non è formulata in questa maniera.
«Rimani nei cieli, perché noi sulla terra ci arrangiamo.» Abbiamo trovato il nostro modo di vivere e ti preghiamo di non disturbarci. Tutto va bene: pochi ricchi danno qualche briciola di pane ai tantissimi poveri. I conflitti si risolvono con delle guerre, anche se è solo per un momento e si dovranno fare poi altre guerre. Ed il progresso umano farà di noi degli dei.
Quanto a Dio, si pagano a Lui le tasse, cioè un culto anche ipocrita, e così si è tranquilli: Dio ci deve la salvezza in fin dei conti.
Allora, «Padre nostro, rimani nei cieli.»
Ora questa preghiera, per fortuna, non viene esaudita. Anche perché c’è la preghiera del tutto diversa dei piccoli, degli umiliati, delle vittime dell’egoismo umano. Loro chiedono a Dio di squarciare i cieli e di scendere a salvarci.
E così, il Verbo si fece carne. (Gv 1,14) In Gesù, suo Figlio, Dio si è fatto vicino, vicinissimo.
Ma quando iniziò a parlare, dopo trent'anni di vita nascosta, diede fastidio. Ma… molto fastidio. È ciò che si vede nel Vangelo odierno.
Fastidio a chi? Prima di tutto ai suoi parenti. Non sopportano il suo modo di fare. Una vita che si dona nell’amore infastidisce, perché mette in discussione i nostri egoismi. Chi ama veramente viene disprezzato, perseguitato. «È fuori di sé» (Mc 3,21) dice la parentela. Allora vengono a prenderlo, a toglierlo di mezzo. E, siccome non ci riescono, vanno a prendere la madre, Maria, certi che Lui sarà costretto a fermarsi, a venire da loro, e così potranno costringerlo a cambiare strada. Ma invano! «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». (Mc 3,33) «Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre». (Mc 3,35)
Poi a chi altro dà fastidio? Alle autorità religiose. Sono infastiditi dall’insegnamento di Gesù che mette in discussione tutto l’edificio religioso col quale hanno potere, tanto potere, sulle anime. E quanto è saporoso aver potere sulle anime… ti senti Dio. E se questo ti rende pure ricco, è inebriante. Credi davvero di essere Dio!
Ma… i segni ci sono! Anche di recente, Gesù ha guarito un uomo proprio in una sinagoga, e per giunta di sabato. È impossibile che sia da Dio! Dio non può opporsi al modo di pensare di uomini molto religiosi, pensano! Non è da Dio, quindi è opera di Satana. Sono talmente attaccati al loro modo di pensare la religione, che giungono ad una vera e propria bestemmia. Che contrasto, che tensione, che lotta tra questi uomini e Gesù ! E chi ha vinto? Se si guarda al Golgota, è chiaro: hanno vinto le autorità religiose. Sono anche riuscite ad asservire le autorità civili. Il potere ideologico riesce sempre a manipolare il potere civile, ieri come oggi… Infatti Gesù fu crocifisso come bestemmiatore, anzi, come se tutto il suo essere fosse bestemmia.
Così si poteva pensare. Ma qual è la realtà, la verità? Gesù ce la rivela già oggi in una piccola parabola. Parla di un uomo forte che ha tanti beni nella sua casa, in suo potere. Tanti… Essendo forte, esercita pienamente il suo potere sul suo patrimonio. Ma, se viene uno più forte di lui, cosa fa? Tre cose: Entra nella sua casa, lega quell’uomo, e rapisce i suoi beni. (cfr Mc 3,27)
Di chi si tratta? L’uomo forte che ha questo grande patrimonio è Satana. L’abbiamo sentito nella prima lettura: «Il serpente mi ha ingannata ed io ho mangiato» (Gen 3,13) dice Eva. Con l’inganno, seminando la sfiducia nei confronti di Dio, il serpente si è impadronito del cuore dell’uomo. Si è costruito un vero regno, un regno tutto tessuto d’inganno, ma davvero un regno!
E chi è l’uomo più forte che riesce a legare Satana, a spogliarlo della sua signoria? È Gesù! Con l’Incarnazione, Gesù è entrato là dove regna Satana, e con la sua morte in Croce l’ha legato. Legato! Gli ha tolto il potere sulle anime. E poi, nella Risurrezione, ha offerto la libertà a tutti coloro che erano prigionieri dell’inganno di Satana. «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore» (Lc 10,18) dirà Gesù.
Ora tutto diviene chiaro: questo nostro modo di arrangiarci senza Dio, vivendo di egoismi e di ipocrisia religiosa, non è altro che l’inganno di Satana. E da quest’inganno ci libera Gesù, mi libera Gesù. E dove mi porta? Nell’Amore! Cioè in un’altra maniera di vivere la vita. L’unico comandamento è di amarci a vicenda come Gesù ci ha amati. (cfr Gv 15,12) E Dio? Se ci amiamo a vicenda come Gesù ci ha amati, la nostra vita diviene una lode a Dio. Non si tratta più di pagare le tasse a Dio per essere a posto e meritare la salvezza. Si tratta di accogliere l’Amore di Dio che si riversa su di noi gratuitamente, di far fruttificare quest’Amore tra noi, e di offrire a Dio quest’Amore con gioia, con esultanza, anzi!
Bene! E questo è facile? Le difficoltà le ha avute Gesù, ma noi ormai ce la facciamo senza ostacoli? No! E qui abbiamo la bellissima testimonianza di Paolo. «Siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi.» (2Cor 4,8-9)
Paolo lo dice con un'espressione molto suggestiva: «Il nostro uomo esteriore si va disfacendo.» (2Cor 4,16) Scegliere l’amore e il perdono, vivere pienamente da cristiani oggi ci costa. Basti pensare ai cristiani della Siria, della Nigeria, dell’India. O a noi stessi cristiani dell’Occidente quando viviamo la fede sul serio. Soffri quando non sei capito. Soffri quando i figli sono indifferenti alla tua vita di fede. Soffri quando ti prendono in giro, ti umiliano a causa della tua fede.
Ma Paolo prosegue: «Anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno.» (2Cor 4,16)
Nella misura in cui sei fedele a Gesù nella sofferenza, l’uomo interiore in te «si rinnova di giorno in giorno». È come una vita nuova che continuamente sgorga dentro di te. Bevi il calice amaro dell’umiliazione, e, nella misura in cui lo bevi con Gesù, gusti già una beatitudine, una gioia che non è di questo mondo.
Il rinnovarsi più profondo del nostro uomo interiore avviene proprio attraverso la Croce: Scegli l’Amore, scegli di donarti, ed il dono non viene accettato: allora sei con Gesù come non lo sei stato mai. Sei con Gesù abbandonato, partecipi alla Sua Passione, e già pregusti qualcosa della Sua Risurrezione che è una pienezza d’Amore che ingloba tutti gli altri nella pace e nella misericordia. «Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne.» (2Cor 4,17-18)
Ecco, carissimi, la vittoria sul demonio, che è pure vittoria sull’egoismo, sull’ipocrisia religiosa, cioè sulla mondanità. Vittoria che è tutta di Gesù. Vittoria definitiva. Vittoria che apre a tutti le porte del cielo.
E come ci viene questa vittoria? La prima lettura ce l’ha detto:
«Io porrò inimicizia fra te e la
donna, dice Dio al serpente,
La donna e la sua stirpe schiaccia la testa del serpente. Ecco il ministero della Madonna… È la donna che ci ricollega sempre al Redentore. Nel suo cuore si trova la via della nostra libertà. Perché nel suo cuore si trova il Redentore!
«Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?» (Mc 3,33) chiede Gesù. E vedendoci oggi uniti al Cuore Immacolato di Maria, dice: «Ecco mia madre e i miei fratelli!» (Mc3,34)
E noi diciamo: «Padre nostro che sei nei cieli, venga il tuo regno quaggiù, su tutta la terra!» (cfr Mt 6,9-10)
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Domenica 27 maggio 2018
- Santissima Trinità -
Badia Fiorentina - un monaco della Badia Oggi celebriamo uno dei misteri più alti, più profondi della nostra fede. Eppure era solo nell’ottavo secolo che un monaco anglosassone, il Beato Alcuino, discepolo di S. Beda il venerabile, propone di celebrare una messa in onore della Santissima Trinità la domenica dopo Pentecoste. A Pasqua si celebra Gesù costituito da Dio Signore e Cristo nella sua morte e risurrezione (At 2,36). A Pentecoste celebriamo la venuta dello Spirito Santo nei cuore dei fedeli mandato da Dio Padre e del Figlio salito al cielo e assiso alla sua destra. Con la festa della Trinità, Alcuino propone celebrare l’apice della rivelazione di Dio che salva l’umanità mediante l’annuncio del battesimo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo... La festa della Santissima Trinità si è diffusa nel seguito, adottata dall’Abbazia di Cluny e da vescovi per i loro diocesi. Ma il Papa Alessandro II non ha permesso di stenderla a tutta la Chiesa. Ed è dovuto al fatto semplice che la Trinità è già celebrata tutto il giorno e tutti i giorni dell’anno. È al centro della preghiera della Chiesa, nella dossologia (Gl al Padre al Figlio e allo SS), le preghiere eucaristiche dall’antichità sono scritte sul modello trinitaria (indirizzate al Padre, per mezzo dal Figlio e nello SS). È al centro della proclamazione della fede, il Credo degli Apostoli e di Niceo-Costantinopoli hanno una struttura trinitaria. È solo nel Trecento, quasi 5 secoli dopo che il Papa Giovanni XXII decretò la celebrazione della Festa della Santissima Trinità per tutta la Chiesa. Perché questo cambiamento? Va detto prima che la preghiera della Chiesa è vivente, si adatta, riflette la vita dei fedeli, la storia del mondo, i pericoli contro la fede, il fervore oppure la tiepidezza dei credenti. Quali sono le circostanze che hanno spinto il Papa per stabilire la festa ? Purtroppo non ci sono tanti elementi nella storia di questa festa, ma si può pensare che c’entri qualcosa il fatto che nel medioevo si è accentuato molto il mistero dell’Incarnazione, di Gesù. La gente che ne ha passate tante, sofferto tanto.. le pesti, le guerre...aveva bisogno della vicinanza dei santi, di Dio nelle sue sofferenze. Era l’epoca delle Madonna Addolorata, nei dipinti, statue, dei crocifissi con Gesù sofferente, mentre il Gesù dei crocifissi più antichi lo mostrava regale, maestoso, la Croce il suo trono. È molto possibile che la festa della Santissima Trinità aveva per scopo di ricentrare, sottolineare la fede sul Padre, Figlio e Spirito Santo. Comunque è chiaro che questo è il caso nei nostri tempi con il rinnovo della teologia trinitaria già prima del Concilio Vaticano II (Moltmann, Rahner, von Balthaser) e dopo, fino al giubileo del 2000 all’insegna della Santissima Trinità. Era l’auspicio caro a S. Giovanni Paolo II… mostrare agli uomini del terzo millennio il vero di Dio, volto incompreso, misconosciuto. Secondo lui questa ignoranza di Dio é una delle cause del malessere dell’uomo moderno. Certo l’ignoranza di Dio é da sempre, ma va detto che mai nella storia umana fu così ben dimostrata come all’epoca dell’Illuminismo. Dichiara Voltaire... si dice che Dio ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza, ma l’uomo glielo ha restituito bene, cioè l’uomo ha creato Dio a sua immagine. Al quale altri pensatori fanno eco come Dio sarebbe una proiezione dai desideri oppure le paure dell’uomo. Scrive Kant... per ovviare alla sua ansia dell’assoluto, l’uomo ha inventato gli dei, entità superiori, crogiuolo delle loro paure, surrogato di un infinito inafferrabile. Ma di che dio parlano questi signori eruditi? Guardando da vicino, molti di loro si ribellavano infatti contro il vecchio dio barbuto delle immagini pie, tuonando e schiacciando le creature con la sua divina volontà onnipotente, esigendo la crocifissione del suo Figlio, i sacrifici e la sottomissione degli uomini. Affinché l’uomo possa vivere davvero, realizzarsi, dicono questi signori, bisogna uccidere questo dio! Ecco carissimi...il colmo dell’ignoranza di Dio, aveva ragione S. Giovanni Paolo II. Capiamo bene questi pensatori e siamo noi cristiani i primi a voler farla finita con questo dio temibile. Non è affatto il Dio Padre misericordioso rivelato dal Figlio obbediente per amore, da cui, il Padre e Figlio, procede lo Spirito d’amore versato nei cuori che fa gridare Abba, Padre! È vero che da sempre l’uomo proiettava sulle divinità le sue idee, bisogni, desideri e paure. Quale Dio venera, prega quell’uomo, quella donna nel suo tempio, moschea, santuario? Possiamo chiedergli... dimmi chi è tuo dio oppure il dio che rifiuti e ti dirò chi sei. Da sempre l’uomo proietta se stesso, una parte di sé sul suo dio. Voltaire non diceva per niente qualcosa di nuovo. Questi dèi che tanti uomini venerano, temono, contro i quali si ribellano... sono idoli che non esistono. Perché carissimi il desiderio non produce mai la cosa desiderata, mai si è sentito dire che una grande voglia di torta ha potuto far esistere una torta. Una gran fame può dare forza per preparare, cuocere una torta ma non creare dal nulla farina, uovo e zucchero per farla, tutto quanto è ricevuto appunto. Il desiderio di Dio non può mai far esistere Dio. Ed è qui carissimi che la fede giudeo-cristiana è diversa da tutte le religioni. Uno dei primi comandamenti della Bibbia è proprio non fare immagine, rappresentazione di Dio. Perché è Lui, Dio da manifestarsi, è di sua iniziativa, è al modo suo che si rivela all’uomo. Con le sue leggi, interventi nella storia come abbiamo sentito nella 1ma lettura. Da questo sapranno che siete i miei discepoli.. dall’amore e dall’unità che avete gli uni con gli altri dice Gesù. Dio è Spirito, nessuno lo ha mai visto, ma Dio è amore, solo l’amore ricevuto, condiviso Lo fa vedere agli uomini. Se i pensatori dell’illuminismo si ribellavano contro un dio mostro, di cui si deve aver paura... forse la dottrina, le pratiche, gli atteggiamenti degli uomini di chiesa all’epoca c’entravano qualcosa. E oggi carissimi, quale Dio facciamo vedere, intuire ai nostri contemporanei? Siamo abitati dal Dio Figlio che ci spinge verso gli altri? Siamo abitati da Dio Spirito che grida in noi Abba, Padre? Siamo fiduciosi che qualunque cosa ci accada, abbiamo un Padre, Babbo nei cieli? Facciamo vedere delle comunità, parrocchie, famiglie nelle quale circola l’amore ? Celebrare bene la Santissima Trinità è entrarvi sempre più. Vuol dire rispondere sempre più all’invito del Figlio a lasciarsi amare dal Padre, accogliere lo Spirito amore. Entrare nella vita trinitaria è, come dicono i padri, entrare in una danza d’amore, di vita, gioia... Così sia per noi in questa festa, in questa Eucarestia.
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lunedì 21 maggio 2018 - Maria, Madre della Chiesa - Gv 19,25-34 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
L’avremmo ricordata come Madre di Dio, come Santa discepola del divino Maestro, come esempio incomparabile di apertura allo Spirito Santo.
Ma ci fu sul Calvario un avvenimento che rivelò a Maria di Nazareth una vocazione nella vocazione, stupenda, umanamente impensabile.
Maria era la madre di Gesù. Non aveva nessun altro figlio, anche se certamente aveva per tanti, se non per tutti, un amore materno.
Sul Calvario, era immersa nella più atroce sofferenza, spogliata di tutto, spogliata soprattutto del proprio figlio. Era la sua vera e propria kenosi. Un vuoto, una lacerazione interiore, un morire… indicibili. Maria è «morta sul calvario», era solito dire P.Pierre-Marie.
Nel momento in cui perde tutto, la voce del figlio crocifisso si fa sentire: «Donna, ecco tuo figlio!». (Gv 19,26) Tuo figlio ormai è Giovanni, il discepolo.
Giovanni non era senza madre, anzi la sua mamma, Maria Salomé, era proprio lì sul Calvario. Ma tu, Maria, sarai la madre della vita nuova. Giovanni è il primo. Apre il tuo seno nuovo, la tua maternità spirituale.
Non è buono, non è secondo Dio, che l’uomo sia solo (cfr. Gen 2,18) vale anche per l’Uomo-Dio che è il Redentore del genere umano. Ci vuole la Donna. La Donna la cui discendenza schiaccia la testa del serpente. (cfr. Gen 3,15)
Chi si prenderà cura di coloro che accoglieranno la Redenzione, affinché crescano nella vita nuova? Ci vuole una donna, una madre col cuore immacolato. Ci vuole l’Amore di un Cuore Immacolato. Ci vuoi Tu, Maria!
E chi si prenderà cura di coloro che non capiranno l’Amore redentore? Quelle schiere di uomini e di donne che passeranno accanto alla Croce, pur gloriosa, e rimarranno fermi a ciò che è solo umano? Ci vuole un amore materno. È forte, è violento come la morte, l’amore materno. Se la donna che ha perso una moneta accende la lampada, spazza tutta la casa e cerca accuratamente finché non la trova, (cfr. Lc 15,8-10) cosa non farà non per una moneta, ma per tanti figli perduti? E se il cuore di una madre è un cuore immacolato che porta fin dal suo concepimento l’impronta della Redenzione di Cristo, Dio non poteva non scegliere Lei, affinché la Redenzione fosse accolta non da pochi, ma da tutti.
Ci voleva una madre il cui desiderio fosse all’unisono col desiderio di Dio. Così, sul Calvario, rivolgendosi a Giovanni, il Crocifisso si rivolgeva a tutti, a te, a me: «Ecco tua madre!». (Gv 19,27) Divenne Madre della Chiesa, la Chiesa intesa come Sogno di Dio, Popolo sconfinato che radunasse tutti i popoli della terra nel Suo divino cuore.
Accanto ad Elia ci fu la donna di Sarepta che gli permise di portare avanti il proprio ministero. Accanto ad Eliseo, ci fu la Shunamita che lo accolse in casa sua. Accanto al Redentore, c'è la Madonna, serva della Redenzione, co-redentrice, affinché il Sangue non sia stato sparso invano.
«Ascolta,
figlia, guarda, porgi l'orecchio: il re è invaghito della tua bellezza».(Sal 44,11-12) Ti ha chiamato alla più alta vocazione. Entra nel Palazzo dell’Amore. Entra nel Patire che salva. La tua com-passione sarà per te immensa sofferenza. (cfr Ap 12) Ma sarà sofferenza di parto, per dar vita ad una moltitudine di anime; sofferenza materna, finché tutti siano in Gesù,
finché tutti siano una cosa sola.
(Gv 17,21)
«Ai tuoi padri succederanno i tuoi
figli;
Il tuo nome voglio far ricordare per
tutte le generazioni; «E da quell'ora il discepolo l'accolse con sé». (Gv 19,27)
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Domenica 20 maggio 2018 - Pentecoste - Badia Fiorentina - un monaco della Badia
A che cosa possiamo paragonare la Pentecoste? A tante cose... ma questa mattina vi propongo di contemplarla come la nascita della Chiesa! La Chiesa, questo organismo vivente per cui Gesù si è impegnato sin dall’inizio, stabilendo le fondamenta con la scelta dei 12 apostoli, plasmando le membra, i membri annunciando il vangelo. La Chiesa, alla quale Gesù aveva dato il seme della vita, il sangue e l’acqua scaturiti dal suo fianco trafitto. Ma la vediamo dopo la Risurrezione, Ascensione ancora nel seno della madre, chiusa nel Cenacolo al piano superiore (At 1, 13). Ecco la Chiesa, come un bebè giunto al termine dello sviluppo ma non ancora nato. Eppure è tutto lì, un cuore che batte, cervello che funziona, le membra formate, occhi sebbene ancora chiusi, orecchi, naso... gli manca solo il soffio di vita. È così la Chiesa nel Cenacolo, Maria la madre la porta nel cuore, gli apostoli, i discepoli sono i membri e le membra, il vangelo di Gesù crocefisso e risorto, la missione, il mandato per annunciare è già consegnato... gli manca solo il soffio di vita per dargli forza, coraggio e andare fuori. La differenza nel nostro paragone è che il bebè... per lanciare il grido primordiale e per ispirare il soffio di vita deve uscire prima dal seno della madre, mentre la Chiesa per uscire dal Cenacolo deve essere espulsa dal soffio di vita che è lo Spirito Santo! Ecco carissimi, la Pentecoste è la nascita della Chiesa! E qual è il grido primordiale della Chiesa, la sua prima testimonianza di vita? Luca lo dice negli Atti che abbiamo ascoltato nella 1ma lettura: la lode di Dio per le sue grandi opere, la lode nell’unità, nella comunione! In lingue molteplici ma uno nel contenuto, uniti nel messaggio! Un fenomeno che richiama quello di Babele quando gli uomini a causa dal distacco da Dio si sono anche staccati gli uni dagli altri, divisione manifestato dalla moltiplicazione di lingue, causa ed effetto dall’incomprensione, mancanza di unità fra loro. Anche a Pentecoste c’e molteplicità di lingue, ma tutto è comprensibile a tutti, segno dell’unità ritrovata tra gli uomini. Come capire, intendere questo fenomeno? È possibile che i discepoli originari dalla Galilea avevano parlato d’improvviso l’elamitico, l’akkadu, l’arabo, la lingua dei Parti, dei Medi... È uno dei doni dello Spirito Santo che si manifesta ancora oggi. Per annunciare la Buona Notizia, in modo inaspettato, un fedele può esprimersi in una lingua altra. È un dono diverso dalla preghiera in lingue oppure la “glossolalia” di cui ne avete già forse sentito parlare. Ne era testimone un noto biblista a Parigi agli inizi degli carismatici. Era scettico nei loro confronti, ma una sera per curiosità è andato ignoto in una assemblea carismatica. C’era stato la preghiera in lingue e poi nel silenzio che segue... d’improvviso una vecchietta intona con voce chiara un canto alla Vergine in aramaico antico. Stupore del biblista... dopo l’assemblea chiede alla signora se capiva quello che cantava. Rispose che “non” e che sperava che qualcuno venisse per interpretargliela. Lo Spirito aveva previsto lui, il biblista. Ma possiamo anche capire questo fenomeno in un altro modo. È possibile che a Pentecoste i discepoli avevano lodato Dio nella loro solita lingua... ma in un modo nuovo, con una intensità, una forza nuova in maniera tale che gli stranieri li hanno capiti come se fosse loro idioma. Per illustrare ricordiamoci di S. Bernadette, convocata in gendarmeria, un carabiniere la interrogava... mi dica Bernadette, questa Signora che dici di vedere, in quale lingua ti parla? Pensava di poter smascherarla perché Bernadette non era istruita in francese, parla solo il dialetto e la Vergine... lei non può mica parlare in dialetto pireneo. Bernadette risponde : non saprei dire in quale lingua si esprime, ma quando mi parla, dentro di me capisco tutto! Ecco carissimi, qualunque sia la lingua nella quale i discepoli lodavano Dio, si tratta di un linguaggio comprensibile a tutti, linguaggio del cuore, nuovo, divino, il linguaggio dell’amore, linguaggio che unisce gli uomini, fa entrare tutti nel Regno del Padre. È lo stesso che dice S. Paolo nella lettera ai Galati (2da lettura): il frutto dello Spirito è l’amore... uno solo.. ο δε χαρπος... il frutto al singolare. Poi segue le manifestazioni, espressioni dell’amore : gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. Contro di esse non c’è Legge, non c’è barriera di lingua, razza, cultura, provenienza... La folla di stranieri che viene a Firenze mostra come l’arte, la bellezza è una lingua comprensibile a tutti...tanto più l’amore...molteplice nelle sue espressioni, ma intelligibile a tutti... Chiediamo carissimi il dono, il frutto dello Spirito... sarà diverso per ciascuno di noi, ma uno nel messaggio... è quella la lode degno di Dio Padre! Dite forse... ovvia...a parole, è tutto bello! Ma...non mi dispiacerebbe ricevere questo dono. Certo che vorrei essere più magnanime nei riguardi del mio marito che qualche volta è un pezzo di marmo, non dice niente, sempre al computer; vorrei essere paziente con mia moglie che parla, parla, mi critica in tutto; vorrei un linguaggio nuovo comprensibile ai miei ragazzi adolescenti; vorrei essere più benevola verso tutti per uscire dalla mia solitudine; vorrei il dominio di sé per domare la mia collera; vorrei essere rinnovato nei doni dello Spirito per essere più credibile come cristiano, religioso... avere più gioia nel dono di sé...Come ricevere sempre più lo Spirito, come rinascere dall’alto sempre più come dice Gesù a Nicodemo? Certo, possiamo chiedere... e Dio può darci una nuova Pentecoste come ai discepoli impauriti per le prime persecuzioni... Dio li ha rinnovati nel coraggio per annunciare il vangelo (At 4, 31). Va detto però che già abbiamo tutti i doni dello Spirito in virtù del nostro Battesimo, della nostra Cresima. Purtroppo ce ne serviamo pochissimo... eppure carissimi, abbiamo un forfait illimitato di grazie, di doni spirituali! Peccato che molti vivono frugalmente, 2 ore al mese di “chat” con Dio, 90 minuti di sorriso, 60 minuti di pazienza, 2 ore di pace al mese... Non c’è da stupirsi di tanti cristiani di quaresima e non di Pasqua ! Telefonate illimitate al cielo, pace senza limite, tutti i giga che vogliamo per navigare nel mondo dello Spirito fra i santi, in comunione con gli altri... tutto compresso nel forfait Battesimo, Eucarestia, Confessione. Carissimi... non accontentiamoci di una esistenza mediocre, annacquata dice Papa Francesco nel Gaudete et exsultate (1) Come fare per usufruire del nostro forfait spirituale? Non è che si deve schiudere il cielo o la generosità di Dio, c’é da liberare il nostro desiderio, c’é da schiudere il nostro cuore, liberarlo dai desideri parassiti, potarlo dai desideri superflui... E sopratutto, dice ancora Gaudete et exsultate (15)... scegliere Dio di nuovo... rinnovare la decisione di seguirlo per rinascere sempre più dall’alto... dallo Spirito! Così sia per tutti noi in questa festa...
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sabato 19 maggio 2018 - Veglia di Pentecoste - Gv 7,37-39 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Lo Spirito Santo è un lavoratore instancabile. Agli inizi della Chiesa, ha aperto la danza del vangelo, guidando i primi apostoli sulle strade dell’Impero romano. Quando Impero e Chiesa correvano il rischio di mescolarsi, suscitò monaci e dottori per far risplendere la verità e la libertà del Vangelo. Quando il disordine dei barbari minacciava la Chiesa, suscitò Benedetto e i suoi figli come custodi della memoria viva del Vangelo, testimoni dell’ordine dell’amore. Quando la cultura occidentale andava centrandosi sull’uomo e le sue emozioni, suscitò Bernardo ed i suoi figli come testimoni dell’innamoramento di Dio. Quando la Chiesa rischiava di esser invasa dal clericalismo, suscitò santi laici, amici di Dio, testimoni della mistica nel mondo. Quando il rischio era di assolutizzare l’opera dell’uomo, anche nel campo spirituale, suscitò Teresina e tanti altri come testimoni della gratuità del Vangelo e della necessità di sedersi alla tavola dei peccatori. Quando trionfava il messianismo nazista e comunista, suscitò testimoni della Misericordia come Massimiliano Kolbe, Giovanni Paolo II o il Cardinale Van Thuan. Non si stanca mai….
E oggi?
Come opera oggi lo Spirito?
E che dire del mondo contemporaneo? Vorrei rispondere a questa domanda con una parola un po’ inusuale: «Anomia». «Nomos» in greco significa la legge. L’«anomia», nella tradizione ebraico-cristiana, è un sistema di pensiero ed un modo di vivere in cui si rigetta la legge di Dio. Non c’è più legge di Dio.
Già alcuni testi inter-testamentari, prima della nascita di Gesù, parlavano degli ultimi tempi come tempi di empietà e di violenza, segnati appunto dall'«anomia». Gesù stesso annuncia che negli ultimi tempi «sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti.» Ed aggiunge: «Per il dilagare dell'anomia, si raffredderà l'amore di molti». (Mt 24,11-12) Papa Francesco, nel suo messaggio per la Quaresima, ha scelto appunto questo versetto, come per dirci discretamente: guardate che siamo già nel tempo dell’«anomia»! Non è vero che oggi, per molti occidentali, non c’è più nessuna legge divina? Non è che ci si ribelli contro una legge o un’altra: è un rifiuto indeterminato del fatto stesso di dover obbedire a un Dio. La cultura occidentale di massa è una cultura dell'«anomia». Anche riguardo la legge, per molti oggi è legge il progresso tecnico e scientifico. È strano, ma è così: dobbiamo fare quel che la scienza ci permette. La speranza è nella scienza e nella tecnica. Speranza inebriante, perché si spera di plasmare un'umanità secondo i nostri criteri, e di far scomparire la stessa morte. Ma la legge di Dio… non c’è più!
Allora, in questa cultura, come lavora lo Spirito? Le risposte sono molte, perché l’amore divino è più che inventivo! Vorrei fermarmi su un’opera particolare dello Spirito Santo. Gesù aveva annunciato che lo Spirito ci avrebbe guidato verso la verità tutta intera, (Cf. Gv 16,13) cioè verso lo svelamento del mistero di Gesù, svelamento, in particolare, del mistero della Croce. Di fatto, oggi capiamo come non mai prima la portata delle parole di Paolo quando scrive che Gesù si è fatto peccato per noi. (Cf. 2Cor 5,21) Gesù ha fatto suo tutto il dramma dell’umanità, anche i gulag, anche Auschwitz. Ha abbracciato tutto il dolore, tutto lo smarrimento, tutto il disagio profondo, tutto il peccato dell’uomo. Tutto. Qualunque sia il malessere, la sofferenza, il peccato dell’uomo, Gesù lo conosce, Gesù vi è disceso. Anche l’ateismo più profondo, perché Gesù ha fatto l’esperienza dell’abbandono di Dio. Ha conosciuto il deserto più tenebroso dell’anima umana.
Cosa fa allora lo Spirito Santo? Ci insegna a riconoscere la presenza di Gesù che prende su di sé i nostri peccati, i peccati dell’intero mondo contemporaneo. Quando vediamo il medico ingannato dalla massoneria che promuove la cultura della morte, quando vediamo l’imprenditore ingannato dalla mafia che fa della gestione di donne schiave un commercio, quando vediamo l’infermiera che disprezza la mamma che non vuole abortire perché il figlio che porta nel grembo è dawn, quando vediamo la coppia che va sulla rete per comprarsi un bambino secondo le proprie esigenze, lo Spirito Santo ci insegna a riconoscere in tutte quelle situazioni Gesù abbandonato, Gesù che prende su di sé il peccato, anche più grave, Gesù che prende su di sé le sofferenze generate da questa cultura che fa della persona umana un oggetto di commercio.
E che atteggiamento ci ispira allora questo sguardo? Quello che avete fatto visitando chi è prigioniero, l’avete fatto a me… (Cf. Mt 25,40) L’atteggiamento che ci ispira lo Spirito Santo è di farci vicini a tutti coloro che partecipano a questa cultura senza Dio, a questa cultura dell’«anomia». Invece di esser presi dalla paura, di condannare ed odiare, ci facciamo vicini.
Va detto, perché c’è oggi un’altra risposta religiosa alla cultura dell’«anomia»: quella del fanatismo religioso che si manifesta nel terrorismo. Gli ultimi attentati in Indonesia ci hanno fatto vedere più che mai il carattere diabolico del terrorismo religioso: in quegli attentati, una famiglia con bambine di 9 o 10 anni ha seminato la morte, mentre la famiglia, per volontà di Dio, è cellula di vita e di amore… La risposta che ci ispira lo Spirito Santo non è la violenza: è riconoscere Gesù abbandonato nei drammi morali del mondo odierno e, a partire da questo sguardo, compire le opere che aiuteranno i nostri contemporanei ad uscirne.
È lo Spirito Santo che ci insegna il modo di farci vicini a chi è immerso nella cultura dell’«anomia». Una prossimità motivata non dalla condanna delle persone, ma dall’amore.
«Lo spirito del Signore Dio è su di
me,
Non posso qui non pensare al carisma della nostra Famiglia di Gerusalemme. È per sua natura un carisma di prossimità alla società malata del nostro tempo. Siamo in città, noi laici e monaci di Gerusalemme, non per condannare, ma per esser vicini a chi abita o visita la città, anche al medico massone o all’infermiera sprezzante.
In questa Pentecoste, possiamo chiedere allo Spirito Santo uno sguardo nuovo che vede Gesù abbandonato nelle persone smarrite, perché sono senza Dio, senza la Parola di Dio, senza la legge divina. Chiediamo allo Spirito Santo di insegnarci l’arte della vicinanza, una vicinanza piena di compassione e di verità, di amore e di luce. Una vicinanza, una prossimità che apra agli altri un sentiero per trovare o ritrovare Dio, per scoprire quanto è bella e liberante la legge di Dio, legge che è interamente contenuta nel comandamento dell’Amore. La nostra vita guidata dallo Spirito Santo farà vedere la bellezza dell’Amore, ma dell’Amore proprio come legge di Dio. Non un amore campato in aria, non un amore in balia dei soli sentimenti, delle sole emozioni. L’Amore che è obbedienza a Dio. L’Amore che è radicato in Dio. Ecco la nostra legge, ed è una vera e propria liberazione. Quest’Amore pieno di tenerezza e di verità è appunto l’opera dello Spirito Santo. È lo Spirito Santo in persona!
Spirito Santo, tu che sei l’Amore, donaci di farci vicini a Gesù abbandonato nelle vittime della cultura dell’«anomia», di farci vicini a Gesù come Maria, nel modo di Maria, con il medesimo sguardo, la medesima compassione, il medesimo desiderio di salvezza per tutto il genere umano.
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Domenica 13 maggio 2018 - Ascensione del Signore - At 1, 1-11 – Ef 4,1-13– Mc 16,15-20 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Vengono fuori le domande più reali, più concrete, che albergano nei cuori inquieti degli apostoli. Vorrebbero sapere. Vorrebbero che tutto fosse ben chiaro. «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?» (At 1, 6) È ora? È nella festa di Pentecoste che si sta avvicinando? Vorremo sapere! Il Regno per Israele, la fine dell’oppressione romana, il potere per noi, la libertà di culto quando verrà? Ora? Fra qualche mese? Qualche anno? Tra cinquant'anni, come un giubileo? Settant’anni come nel profeta Daniele?
E come risponde Gesù? La risposta è in due parti: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere» (At 1, 7). Non può essere più chiaro! Poi aggiunge: «Ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra». (Atti 1, 8)
Carissimi, sono soltanto gli apostoli ad avere questo tipo di domande? Noi, no?
Signore, quando finiranno le guerre in Siria ed altrove? Quando metterai fine alla tratta di essere umani? Quando finirà questa cultura in cui l’uomo si fa Dio e pretende di creare uomini secondo criteri suoi? Quando potremo offrire ai giovani una cultura sana, un creato pulito, una speranza luminosa? Quando i miei problemi finiranno? Quando la Chiesa rispecchierà il Tuo volto, il Tuo amore? Quando?
E cosa ci risponde Gesù? «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni (…) fino ai confini della terra». (Atti 1, 7-8) Vorremmo una data… e Gesù ci dà una missione. Vorremmo un calendario… e Gesù ci chiede di partire senza calendario. Ma non ci invia senza forza, senza luce, senza speranza. Riceveremo «la forza dallo Spirito Santo», e così potremo, sì, essere «testimoni».
Carissimi, cosa facciamo? Rimaniamo con le nostre domande, con il nostro desiderio di essere rassicurati, oppure diciamo di sì a Gesù?
Sì, rinuncio ad essere padrone del futuro e ti consegno la mia vita perché tu possa usarmi per il futuro che vuoi Tu, per essere Tuo testimone.
Ma come essere testimoni nel 2018? A chi interessa la nostra testimonianza?
La risposta ci viene dalla seconda lettura. Essa ci svela come possiamo offrire al mondo qualcosa di veramente diverso e che corrisponde all’anelito profondo dei nostri contemporanei… e di noi stessi. «Umiltà, dolcezza e magnanimità.» (Ef 4,2) «Sopportarci gli uni gli altri nell'amore». (id.) E qual è il traguardo di questi atteggiamenti? «L'unità.» Non l'unità formale, non l'unità superficiale, non l'uniformità, … ma l’unità dello Spirito. Non è essere uniti ad un altro perché si fa la stessa cosa, si pensa la stessa cosa. No! È un'unità che si gioca nello «spirito» che è la parte più interna dell’uomo, il nostro santuario. Un santuario che scopriamo soltanto quando entriamo in relazione con il Signore e con gli altri. Non è una cassaforte dove teniamo Dio prigioniero. È una porta sul cielo, una ferita aperta all’amore, un varco sull’oceano della comunione. Lì, si scopre e si tesse l’unità vera. L’unità, dice Paolo, «per mezzo del vincolo della pace». (Ef 4,3) Quello che ci tiene insieme è la «pace», cioè la riconciliazione con Dio, frutto del mistero pasquale. Non è un legame umano fatto solo di buoni propositi. È il sangue di Gesù che ci fa «uno». È lo Spirito Santo l’artigiano dell’unità.
Lo Spirito annunciato da Gesù e promesso dal Padre è colui che ci fa «uno», e che quindi fa di noi un segno vivo dell’Amore di Dio. Predichiamo con l’amore! Predichiamo con l’unità! L'unità è miracolo, perché abbiamo tutti i nostri difetti, le nostre chiusure, le nostre paure, i nostri bisogni affettivi sbagliati, le nostre passioni… L'unità plasmata dallo Spirito Santo… Ecco la testimonianza! Ecco il segno!
«Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri.» (Gv 13,35) Fu la preghiera stessa di Gesù: «Siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, (…) perché il mondo creda che tu mi hai mandato.» (Gv 17,21).
Ma Paolo non si ferma qui. Ci insegna che lo Spirito non lavora facendo di noi dei cloni. Clonare gli risulta impossibile! Fa il contrario: rende ciascuno più unico, più diverso, più speciale! «Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri.» (Ef 4,11)
Noi a volte vogliamo una Chiesa dove tutti siano identici, con le stesse mansioni, gli stessi carismi. Nessuna differenza, nessuna distinzione… Ma lo Spirito Santo non lavora così! Crea la diversità! È creatore di diversità! Genera tensioni! E questo «...allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all'uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.» (Ef 4,12-13)
Lo Spirito Santo però non suscita solo la diversità, suscita al tempo stesso la capacità, il desiderio della sinfonia, del mettere le diversità a servizio degli altri. Il mio esser diverso rende me desideroso di te! E te di me! Tu sei un messaggio di Dio che nessun altro può sostituire, e ti voglio accogliere. Faccio silenzio dentro di me per accoglierti! E se anche tu fai spazio per accogliere il messaggio di Dio che sono io, la vita cambia! Diventiamo segno del mondo che viene. Siamo la risposta del Signore alla domanda sul futuro dell’umanità. La vera risposta, l’unica risposta è il cielo. E il cielo non è io e Dio in una camera chiusa. Il cielo non è neppure tu ed io, l’uno accanto all’altro, a contemplare Dio, come si guarda un film in una sala buia del cinema. Il cielo è un «noi» nuovo, un «noi» in Dio, un «noi» al modo di Dio, un «noi» in cui siamo cielo gli uni per gli altri.
L’Ascensione di Gesù è l’inaugurazione di questo «noi» del domani. Gesù non entra nel cielo per esservi solo. Non è un ambasciatore della specie umana che per sempre ne sarà l’unico rappresentante. Il suo entrare nel cielo con la sua umanità è già il nostro entrare nel cielo, il nostro entrare insieme, perché la nostra unità è Lui. È in Lui che siamo «uno». Essere «uno» è essere il suo corpo, e il suo corpo è ormai nella gloria del Padre.
Ecco la bellezza straordinaria di questa festa. Bello, bellissimo, luminosissimo fu Gesù risorto in questa sua ultima apparizione ed Ascensione, il quarantesimo giorno, in cima al Monte degli Ulivi. Bellissimo! Bellezza sublime del suo corpo di Gloria. Bellezza del Suo corpo che diventiamo noi! Sì, lasciamo la bellezza di Cristo invaderci, lasciamo che la Sua bellezza appaia in noi e tra noi. Saremo profeti mediante la bellezza del «corpo» che saremo. La bellezza dell’amore tra noi dirà Dio e risveglierà la speranza nel mondo! Vieni Spirito Santo, Vieni tu che ci rendi diversi e che fai della diversità una provocazione all’Amore!
Vergine Maria, Madre nostra, Tu che a Fatima ci hai svelato la tua straordinaria missione nella storia presente, ci affidiamo a te, ci consacriamo a te. Prendici nel tuo Cuore Immacolato, perché confessiamo con te Gesù Signore e ci apriamo come te allo Spirito Santo.
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martedì 8 maggio 2018 - sesta settimana di Pasqua - At 16,22-34 – Gv 16,5-11 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Che posto diamo allo Spirito Santo nella nostra vita? Siamo soliti iniziare ogni liturgia con una preghiera allo Spirito. Abbiamo imparato a invocarlo all’inizio di ogni incontro, anche all’inizio della lectio divina.
Ma poi che posto diamo al Paraclito, come Gesù lo chiama? Siamo all’erta, attenti alla Sua voce interiore, alle Sue mozioni? Siamo disponibili alle novità che può far sorgere nella nostra vita, come nella vita della comunità, della Chiesa? Che spazio Gli diamo?
Questa domanda ce la possiamo fare, in modo particolare oggi, in due modi: innanzi tutto con il Vangelo odierno. Lo Spirito Santo è Spirito di aletheia, di verità. Aletheia significa: svelamento. Lo Spirito ci svela ciò che è di Dio. Ci svela le vie di Dio che non sono le nostre. Anzi ci accompagna sulle vie di Dio che ci sono sconosciute. Egli ci svela in particolare la mondanità spirituale che alberga in noi e tra noi. Ci fa scoprire la vera realtà del peccato, che spesso non si trova là dove pensiamo noi. Ci svela il peccato che consiste nel non credere in Gesù, nel non fidarsi di Gesù, e nel porre la nostra fiducia in altre realtà che ci separano dall’amore di Dio. Poi, ci svela la giustizia, ci svela cioè la via giusta, la via che glorifica il Padre. Ci insegna come la nostra vita possa essere per il Padre una gioia, come possa diventare una vita di veri figli e figlie di Lui. Infine, ci svela il giudizio, la realtà splendida che è il frutto del mistero pasquale, ossia il fatto che «il principe di questo mondo è già condannato». (Gv 16,11) Siamo già stati redenti dal Sangue di Gesù, la vittoria sul male, sul Maligno, è già compiuta. La catechesi dello Spirito Santo è piena di forza, di gioia e di speranza! Ci dona delle ali, ci rende capaci di amare, di testimoniare, di sperare contro ogni speranza. Senza di Lui, viviamo da ciechi. In Lui, splende la verità della Croce, la luce gloriosa della Risurrezione!
E questo costituisce il legame con la prima lettura che ci indica un’altra azione dello Spirito Santo. Egli è Spirito di potenza, ci rende capaci di lodare Dio in mezzo alla prova. Come mai Paolo e Sila, pur umiliati, pur percossi, pur imprigionati con i ceppi ai piedi sono capaci di lodare Dio nel mezzo della notte, nel carcere? È la potenza, l’ardore dello Spirito! Il miracolo che opera lo Spirito è di renderci capaci di amare e di lodare là dove umanamente, da soli, saremmo nella sconfitta e nella depressione. E la sfida è immensa, perché, se noi siamo mossi dallo Spirito, ci sono delle situazioni, delle vite attorno a noi che saranno trasfigurate. Basti pensare al custode della prigione di Filippi. Stava per suicidarsi, spada in mano. Ma l’intervento di Paolo e Sila, entrambi mossi dallo Spirito Santo, cambia del tutto la vita di quell'uomo, che, invece di suicidarsi, sceglie la vita, la carità, lavando le piaghe dei condannati, e lui stesso si lascia lavare dal Sangue di Gesù, dalle acque del Battesimo. Magari, questa sera o domani, incontreremo una persona che pensa di suicidarsi, e la cui vita sarà trasformata perché, obbedendo allo Spirito Santo, avremo nei suoi confronti l’ascolto, l’atteggiamento, i gesti, le parole che servono la vita.
Ecco la potenza dello Spirito Santo! È l’autore della vita nuova. È Lui che trasforma il vivere la vita come vittime, il vivere la vita nella paura di vivere e nella paura di morire, in una vita che ha il gusto della vita. Fa sì che la vita divenga una lode, che la nostra vita contagi la vita. È davvero creatore di vita, donatore di vita.
Verità e vita: ecco il dono dello Spirito. A noi spetta accoglierlo, fargli spazio. Metterci nell’ascolto delle Sue mozioni. Quanto bene faremo allora attorno a noi!
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Domenica 6 maggio 2018 - VI Domenica di Pasqua - At 10,25..48 – 1 Gv 4,7-10 – Gv 15,9-17 - Eremo di Gamogna - f. Antoine-Emmanuel
Perché siamo qui oggi a messa? Perché Gesù ci ha scelti! (cf Gv 15,16) Siamo stati scelti dal Signore. Scelti perché siamo stati buoni e bravi? Perché abbiamo amato Dio? No! Perché Dio ci ha amati per primo! (cf 1 Gv 4,10) Nell’amore, Dio ha sempre l’iniziativa.
Sì, perché ci ha creati per amore! Siamo stati amati e scelti… Ed ora Gesù ci chiede: «Rimanete nel mio amore!» (Gv 15,9) Non fuggire dal Suo amore! Non andare via! Di fatto, quando uno è amato, ha la tentazione di fuggire dall’amore. Perché l’amore ti chiede di donarti. L’amore chiede tutto. L’amore ti porta ad un altro modo di vivere su questa terra, e questo ti spiazza.
«Rimanete nel mio amore!» (Gv 15,9) E come si fa a rimanere nell’amore di Gesù? Gesù ci risponde chiaramente: «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore.» (Gv 15,11) E Gesù ha tanti comandamenti? No! Ne ha uno solo: «Amatevi gli uni gli altri come ho amato voi.» (cf Gv 15,12) Quindi, il modo per rimanere nell’amore di Gesù è di «amarci gli uni gli altri come Egli ci ha amati.» Cosa vuol dire concretamente? Propongo alla vostra attenzione tre punti per obbedire a questo comandamento.
Il primo è di prendersi cura delle amicizie che Dio ci ha già date. Non perdere le occasioni di fare i piccoli gesti dell’amicizia, i «dettagli» dell’amore1. E comincia con chi ti sta accanto oggi. Inoltre cerca di andare più in profondità nell’amore per chi ti sta vicino. Questo significa che, per amore, svuoti te stesso per accogliere l’altro. E all’altro fai dono di te stesso, nella semplicità e nella verità.
Secondo punto: farti vicino alla persona con cui il rapporto è difficile, ascoltandola. Anche se non sei d’accordo, fai silenzio dentro di te, e accogli il suo lamento, il suo grido. Magari non nascerà un affetto sensibile, ma spunterà un inizio di comunione.
Terzo punto: lasciati guidare dal Signore verso amicizie nuove. Pietro non sapeva che ci sarebbe stato un certo Cornelio a cui avrebbe fatto così tanto bene! Pietro non sapeva che sarebbe stato un messaggio di Dio per un soldato romano. Allo stesso modo, magari c’è un Cornelio al quale Dio ti vuole mandare, oggi o domani, e tu sarai un messaggio di Dio per questo Cornelio. E Pietro è andato? Sì! Pietro ha fatto ciò che non aveva mai fatto? Sì! E la vita di Cornelio e della sua famiglia è stata trasformata.
Questo è l’amore: essere il messaggio di Dio che sono chiamato ad essere2, e fare all’altro il dono del messaggio che sono io. Essere il riflesso di Gesù che sono io. E l’altro ne è trasformato. E l'amore giunge alla sua pienezza, quando l’altro è anch'egli il messaggio di Dio che è chiamato ad essere. Allora siamo messaggio di Dio l’uno per l’altro.
Il segreto è il silenzio interiore per accogliere il messaggio che l’altro è.
Se si vive questo in coppia, in famiglia, in comunità, ne nasce una vera esperienza mistica3, e diventiamo insieme messaggio di Dio per il mondo! (cf Gv 17,21)
Gesù ci ha scelti per questo!
1 Cfr. Papa Francesco, Gaudete ed esultate, n.144 2 Cfr. Papa Francesco, Gaudete ed esultate, n.24 3 cf Papa Francesco, Gaudete ed esultate, n.142
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Domenica 6 maggio 2018
- VIa Domenica di Pasqua -
Badia Fiorentina - un monaco della Badia
E che cosa annunciare? L’amore di Dio Figlio per tutti, la sorgente del quale è l’amore di Dio Padre, rendendo possibile l’amore fra gli uomini per mezzo di Dio Spirito Santo. Annunciare che Dio è amore... amore che dà la gioia piena. Detto così il compito sembra tutto facile, ma sappiamo bene come l’amore può diventare complicato, pur essendo il primo slancio del cuore umano, perché siamo fatti per l’amore. Rileviamo prima di tutto l’orizzonte ampio, immenso dell’amore divino, é per tutti, nessuno escluso... diverso dall’amore come conosciamo noi che tende a limitarsi in un cerchio stretto di coloro che si assomigliano, si conoscono. Si dice infatti chi si assomiglia si piglia. E poi sia quello in una coppia, in famiglia, fra amici o altri relazioni... l’amore che conosciamo noi consiste spesso in questo: amami perché io ti amo, amami come ti amo io, mi ami perché io ti amo, ti amo perché tu mi ami... E quando le difficoltà arrivano e la reciprocità diventa problematica... ci si chiede è forse giunta l’ora di separarsi, di trovarsi un altro partner, ricominciare un altra avventura d’amore. Quando si è giovane... va bene, ma quando si è sulla quarantina... e poi si è già al 3zo, 4ta partner di vita... Intendiamoci bene, parlando così non scredito in alcun modo l’amore umano. Va detto però che ogni relazione d’amore in questo mondo è spesso destinata al fallimento, perché quando l’io dell’uno si schianta contro l’io dell’altro... ci sono delle scintille! E... se non si è collegato, connesso alla fonte inesauribile d’amore... amore fino al perdono, come volete che durano le nostre relazioni? Quanti sposi sopportano, si sacrificano, si rassegnano in una vita di coppia difficile, senza gioia, senza vita... non si separano... per i bambini... per salvarsi la faccia, perché il matrimonio è sacramento! Ora ci sono dei matrimoni forse non validi sin dall’inizio. Ci sono anche coloro che non ne fanno caso e si separano perché non ne possono più. Non si può chiedere a coloro che non credono davvero nel sacramento di portare il peso dell’indissolubilità... e se non ricorrono alla grazia dei sacramenti, come si può durare nella noia, sofferenza. Dicendo tutto ciò voglio sottolineare che se l’amore è scritto da Dio nel cuore di ogni uomo, donna, facendo di ognuno immagine e somiglianza sua, questo amore si sciupa, si guasta quando si stacca dalla sorgente, va storto quando si ferma in un circolo vizioso d’egoismo a due o a parecchi, limitandosi a coloro che si assomigliano, rinviandosi, palleggiandosi l’immagine di se. L’amore secondo il vangelo spezza sempre il cerchio chiuso nel quale l’uomo tende a ripiegarsi. Il dinamismo di questo amore suona così... come io tuo Dio ti amo, così, dello stesso amore ama il tuo prossimo. L’amore così inteso non si stagna mai, sempre collegato alla sorgente, come l’acqua viva sempre sgorga, dando vita dove passa. L’amore divino è DONO continuo, ricevuto e ridonato, moltiplicandosi nella condivisione senza venir meno, anzi diventando più profondo, autentico quando è ridato sopratutto a coloro che non ne hanno o poco. Ma prima di poter annunciare questo amore dobbiamo vedere come esso illumina la nostra vita, le nostre esperienze d’amore, in coppia, in famiglia, in comunità. Altrimenti non possiamo parlarne con credibilità. Per esempio tanti problemi, difficoltà, personali, familiari, professionali, pastorali provengono dal fatto di non aver chiarito in sè cosa privilegiare: il ricevere amore o il dare amore, l’azione immediato o la riflessione, l’esteriorità o l’interiorità, l’agire o l’essere, il corpo o il cuore... Prendiamo l’esempio di una coppia: lo sposo dice unione dei corpi per arrivare all’unione dei cuori, la sposa dice unione dei cuori prima perché l’unione dei corpi sia sorgente di gioia, vita. La filosofia antropologica di S. Giovanni Paolo II ha fatto notare la differenza fondamentale tra uomo e donna nella concezione dell’amore. Cioè l’uomo tende ad amare prima per essere amato poi in cambio, mentre la donna tende ad aspettare di essere amata prima di poter amare poi in cambio. Differenza... ma non in modo netto bianco o nero perché in ognuno di noi coesistono queste due tendenze, in proporzioni varie. E poi ci sono le ferite del cuore, le conseguenze del peccato che complicano tutto. Noi amiamo perché egli, Dio, ci ha amati per primo dice Giovanni (I Gv 4, 19). Ha capito che solo colui, colei che è stato amato davvero è capace di amare a sua volta, superando paure, diffidenze, ferite. Per primo, l’aggettivo “primo” qui non è solo nel senso cronologico perché Dio ci ama sempre in ogni istante, è sopratutto nel senso ontologico, al livello dell’essere. Il suo amore precede tutto, è Lui che ha l’iniziativa in tutto. Il credente è colui che ha capito questo, ha visto in Gesù l’apice di questo amore, lo riceve e ne vive. Ed è per questo che l’immagine più eloquente di Dio nel mondo è l’amore, l’unione di uomini e donne, coppie, famiglie, comunità che amano a vicenda, si perdonano. Dio è amore dice Giovanni e riporta queste parole di Gesù... da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri (Gv 13, 35). Nessuno ha un amore più grande di questo, dare la sua vita per i propri amici. L’umile Eucarestia che stiamo per ricevere è sacramento di questa vita donata. Riceviamola con fede per poter annunciarla intorno a noi.
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martedì 1 maggio 2018 - San Giuseppe, lavoratore - Gn 1,26 – 2,3 – Mt 13,54-58 - Eremo di Gamogna - f. Antoine-Emmanuel
Scorrendo il primo capitolo della Genesi, troviamo un succedersi di espressioni come: Dio creò, Dio disse, Dio vide, Dio separò, Dio chiamò, Dio pose, Dio benedisse, … Poi, all’improvviso, compare una nuova espressione: «facciamo...» Un «noi»! Qualcuno dirà:«Sarà Dio insieme ai suoi angeli, alla corte celeste?» Ma niente ce lo fa pensare. È un «noi» in Dio… come se, in quel momento, Dio si consegnasse più pienamente, si svelasse, facesse dono di sé come non mai. «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza…» (Gn 1,26) E poi il testo spiega: «Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, (cioè) maschio e femmina li creò.» (Gn 1,27)
È immenso questo! Essere maschio e femmina non è soltanto un fatto fisiologico necessario per la riproduzione, come per gli animali. C’è qualcosa di molto più grande che si gioca nell’essere uomo e donna. Come se Dio entrasse, si nascondesse nel nostro essere uomini e donne.
Quando si nega la differenza sessuale, si scaccia Dio dalla nostra esistenza: «Non voglio essere diverso; non voglio la diversità. Non voglio Dio.»
Quando si usa la differenza come luogo di dominio, di potere, di seduzione, si scaccia Dio dalla nostra vita: «Voglio dominare l’altro; voglio possedere l’altro, e, quindi, non voglio Dio che è il Tutt'Altro.»
Quando si usa la differenza come luogo di piacere egoistico, quando si usa l’altro come un oggetto, si scaccia Dio di nuovo: «Voglio l’altro come oggetto a mia disposizione.» Questo si chiama «sesso libero», si chiama pornografia. E Dio piange questa distruzione dell’essere intimo dell’uomo.
Ma quando la differenza uomo-donna è accolta, quando è vissuta nel rispetto, nello stupore, nell’amore, allora il «noi» di Dio si rende presente in un modo stupendo.
L’essere uomo e donna diviene un'esperienza di Dio, un’esperienza mistica, un’esperienza che ci fa crescere, che ci porta nella vera vita, che è comunione.
L’altro sesso ci apre all’alterità, ci apre a Dio!
Perché il mondo oggi è così in ricerca di esperienze sessuali? È perché anela a questa comunione! Ma… non la trova nel sesso, quando lo vive senza l’Amore vero, senza lo stupore dinanzi all’altro e dinanzi a Dio. E non trovando la comunione desiderata, la vuole avere ad ogni costo, e cade nella dipendenza del piacere sessuale che diviene ossessione, tristezza, rabbia, patologia, ….
Per questo sono necessari dei testimoni che indichino un’altra via, la via del rispetto, dello stupore, dell’Amore.
In primo luogo delle coppie che vivano in modo sano e rispettoso la vita sessuale, senza permettere che la farmacia entri nella loro intimità - a meno che la malattia non lo renda necessario – rispettando il ritmo del corpo, specie della donna, ed i desideri profondi e diversi delle anime. Sono coppie luminose queste!
E' anche necessaria la testimonianza di chi vive l’essere uomo e donna senza l’intimità sessuale. Non perché l’intimità sessuale sia cosa cattiva in sé, non lo è! Ma perché hanno la missione di testimoniare un “oltre”, un orizzonte che è al-di-là della generazione terrena.
Basti pensare a Maria ed a Giuseppe. Chi potrà dire la profondità del loro amore? La loro immensa stima reciproca? Il «noi» di Dio si rese visibile in loro come mai prima sulla terra. Si rese visibile nella virilità di Giuseppe che assunse il suo essere uomo, nella femminilità di Maria che assunse il suo essere donna, e nell’accoglienza della loro diversità sessuale che divenne il luogo in cui Dio fece irruzione, crebbe, imparò ad essere uomo e ci salvò!
Signore, per la preghiera di San Giuseppe e della Beata Vergine Maria, insegnaci ad essere pienamente uomini, pienamente donne, e ad accoglierti ed amarti nella nostra differenza. Amen.
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Domenica 29 aprile 2018
- Va Domenica di Pasqua - Badia Fiorentina - un monaco della
Badia
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