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                   OMELIE anno 2019

            Santa Maria Assunta alla Badia Fiorentina 

                                           

 

 

martedì 31 dicembre 2019 - Messa per la Pace - Is 32,15-20 - Col 3,12-15 – Mt 5,1-12 - Badia Fiorentina - fr. Antoine-Emmanuel


 

Non posso predicare in questa messa per la pace nel mondo

senza un grande dolore per le tante sofferenze

che attraversano la nostra umanità,

per le tante ingiustizie, per lo sfruttamento,

per le tante vittime il cui sangue grida ancora oggi

 

Penso ai rabbi del movimento hasidico che avevano una grande parresia,

per rivolgersi a Dio e per protestare dinanzi alla sofferenza umana.

Il rabbi Levi Yitzhak di Berdychiv, ad esempio, nato in 1740 in Galizia,

era solito dire che la festa di Yom Kippurim era una festa al plurale:

la richiesta di perdono doveva essere reciproca,

anche Dio doveva chiedere perdono.

Una volta, in questa festa, disse:

Oggi è giorno di giudizio, Davide lo proclama nei Salmi;

oggi tutti gli esseri sono davanti a Te perché tu possa rendere la tua sentenza,

ma, io rabbi Levi Yitzhak, dico e proclamo

che sei tu, Dio, che oggi sarai giudicato dai tuoi figli che soffrono per te,

che muoiono a causa di te per santificare il tuo nome, la tua legge e la tua promessa.”

Certamente non facciamo nostre le parole del rabbi,

ma la sua semplicità ci sprona ad essere pieni di schiettezza filiale

per gridare verso il Signore,

e a non nascondere al Signore quanto possiamo essere scandalizzati dal male,

dalla sofferenza che attraversa tante, ma tante vite.

 

Sì, Signore, vogliamo insieme gridare verso di te,

per chiedere giustizia e misericordia per il mondo intero,

per chi soffre, per chi geme, per chi non ha più speranza

 

Sapendo di vivere in un mondo molto privilegiato,

anche se non mancano pure tra noi le sofferenze, le malattie e le avversità.

 

Il Signore, nel passo di Isaia, ci dice oggi

che la pace, la pace vera, la pace di Dio, la pace che è Shalom”,

la pace che è quella pienezza di umanità

che riconcilia l’uomo con sé stesso, con gli altri, con il creato, e con Dio,

questa pace proviene dalla giustizia,

e la giustizia irrompe nel mondo quando viene lo Spirito di Dio. (Cf Is 32,15)

E quindi noi preghiamo per l’irruzione dello Spirito Santo di Dio nelle anime degli uomini che farà sì che essi aprano il cuore alla sorte degli altri,

alla sorte dei poveri,

rinunciando ai propri egoismi.

 

La conversione è sempre possibile!

Il Papa nel suo messaggio odierno mette l’accento sulla speranza:

La speranza è la virtù che ci mette in cammino,

ci dà le ali per andare avanti, perfino quando gli ostacoli sembrano insormontabili.”1

È con questa speranza che noi preghiamo e intercediamo in questa notte.

 

Ma, è anche con la memoria, con il ricordo dei drammi del passato.

E il papa accenna agli hibakusha,

ai sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki

che oggi mantengono viva la fiamma della coscienza collettiva2.

La loro testimonianza risveglia e conserva la memoria delle vittime

affinché la coscienza umana diventi sempre più forte

di fronte ad ogni volontà di dominio e di distruzione3 già nei nostri cuori.

*

Ma a noi non basta intercedere.

La preghiera è vera quando noi, per primi, ci impegniamo

ad essere i servi, gli strumenti per la realizzazione della preghiera che facciamo.

E qui, il papa ci invita ad “abbandonare il desiderio di dominare gli altri

e ci dice : “L’altro non va mai rinchiuso in ciò che ha potuto dire o fare,

ma va considerato per la promessa che porta in sé.”

E la stessa affermazione ritorna nell’ultima frase del papa,

nella benedizione finale del suo messaggio odierno.

Scrive Papa Francesco: “Ogni persona venendo in questo mondo

possa conoscere un’esistenza di pace

e sviluppare pienamente la promessa d’amore e di vita che porta in sé.”4

 

Potremmo proporci questo come impegno per l’anno nuovo:

far sì che ogni persona possa sviluppare pienamente

la promessa d’amore e di vita che porta in sé.

Vuol dire che ciascuno di noi porta una promessa d’amore e di vita,

e che possiamo aiutarci gli uni gli altri a far sbocciare questa promessa.

 

Per meglio capire questa intuizione, si può tornare alla ricerca teologica di Papa Bergoglio.

Papa Bergoglio fu colpito da un sogno di Romano Guardini5.

Lo trascrisse e lo commentò nel 1986 mentre lavorava alla propria tesi di dottorato.

L’aveva trovato in una lettera di Guardini:

Questa notte mentre albeggiava, quando di solito arrivano i sogni,

cominciai a farne uno.

Cosa successe nel sogno, non lo so più.

Però qualcosa fu detto, e non so se fu detto a me o su di me.

E fu detto che quando l’uomo nasce gli viene donata una parola,

e ciò ha un significato molto importante.

Non è solamente una capacità o un’attitudine,

ma è una parola.

Questa parola è detta dentro sé stesso, però è una parola d’ordine

per tutto ciò che accade.

È sia forza che debolezza.

È un incarico e un dono.

È una sicurezza e un rischio. (…)”

 

Papa Francesco, nei suoi appunti di lavoro per la tesi, commenta così:

Qui troviamo il riferimento a una nostalgia suscitata dalla prima parola che fu detta.

Quindi abbiamo un kerigma esistenziale previo al Kerigma evangelico

e sul quale si radica il Kerigma evangelico.”

 

Carissimi, noi tutti siamo portatori di una parola, di una promessa,

di una parola unica, irripetibile, che è il mistero del nostro essere.

E la nostra vita consiste nel dare carne”, nel dare storia,

nel dare concretezza a questa parola,

in comunione con la parola che porta ciascun'altra persona.

 

Come servirò la pace nel mondo?

Essendo veramente la parola che sono io,

non sfigurandola, non rinunciando ad essa,

facendo dono agli altri della parola che io sono.

E accogliendo la parola che è l’altro,

facendo spazio dentro di me alla Paola che sei tu.

 

È in questo dialogo di amore tra te, parola di Dio, e me, parola di Dio,

che la pace nel mondo si costruisce.

Facendo silenzio nel cuore io, per accogliere la parola di Dio che sei tu;

e tu, per accogliere la parola di Dio che sono io.

E in cui, insieme, facciamo silenzio per accogliere la parola di Dio

che è il fratello dell’altra cultura, dell’altra nazione, dell’altro gruppo sociale, ecc.

 

, fratelli e sorelle, mettiamoci a servizio della fioritura,

della fruttificazione della promessa di vita e di amore

che porta ciascuno di noi,

che porta ciascun'altra persona !

 

Allora saremo veramente servi della pace

nel piccolo angolo del mondo che a noi viene affidato,

e così serviremo la pace nel mondo intero.

 

 

1 Messaggio per la celebrazione della LII Giornata Mondiale della Pace, 1 gennaio 2020, n.1

2 Idem, n.2

3 idem

4 Idem, n.5

5 Cfr. Prefazione di Diego Javier Fares a “L’opposizione Polare” di Romano Guardini, Ed Città Nuova – Corriere della sera 2014

 

 

mercoledi 25 dicembre 2019 - S.Natale - Is 52,7-10 – Eb 1,1-6 – Gv 1,1-18 - Badia Fiorentina - fr. Antoine-Emanuel


 

La prima cosa da fare, oggi, è di avvicinarci al presepe.

E di lasciare Gesù parlare al nostro cuore.

 

Vi confido quello che ha detto a me.

Due cose.

 

Per prima cosa, mi ha fatto prendere coscienza del salto immenso che Egli ha fatto.

Pensate:

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio
(Gv 1,1) ed ecco un bambino, un neonato…

Che coraggio!

Vedete il salto?

Lo spogliamento?

Ed il bambino mi dice: “Anche tu, va', non aver paura di fare il salto!

Non aver paura di perderti nell’amore!

Gettati come me! Va'!

Cosa aspetti?”

 

In secondo luogo, mi ha parlato il suo sguardo.

In questo nostro presepe, Gesù guarda intensamente Giuseppe.

Sembra che Gesù Bambino sia totalmente unito nell’amore con la mamma,

Lui in Lei e Lei in Lui,

e guardi a Giuseppe come per dire:

Vieni anche tu nell’amore reciproco!

Rimane in te ancora un po’ di vergogna?

Lasciala!

Dammela!

Vieni!”

Gesù è come sorpreso che ci siano ancora in me, in noi, delle tracce di rimorso,

mentre già la misericordia è venuta!

 

Anche voi, fatevi vicini al Presepe,

e guardate, lasciate Gesù Bambino parlare al vostro cuore!

Papa Francesco ha di recente scritto una bellissima lettera appunto sul presepe,

in cui dice che è “Come un Vangelo vivo, che trabocca dalle pagine della Sacra Scrittura. (Admirabile signum, n.1)

 

Bisogna guardare, contemplare…

La vigilia di Natale del 1943, alle ore 18:30,

La Pira scrive, come quasi ogni giorno, a Fioretta:

 

"Quanta delicata tenerezza in questa scena pura

del Verbo di Dio fatto uomo e posto, bambino, vicino al cuore di Maria;

c'è San Giuseppe; ci sono i pastori; c'è il canto verginale degli angeli!

Quanta povertà, ma quanta intatta purità e quale immacolato splendore! (…)

Perchè non riempirsi gli occhi del cuore di questa scena verginale (…) ?"

 

Ecco… “riempirsi gli occhi del cuore di questa scena verginale”…

Quanto ci fa bene questo!

Per ritrovare, per risvegliare la purezza che c’è nel fondo del cuore di ciascuno di noi.

Perché sotto, nel profondo, in ognuno di noi c’è purezza, c’è verginità,

c’è la freschezza dell’amore!

Perché Dio abita i nostri cuori.

Questo Natale ci faccia ritrovare la purezza del cuore.

Certo c’è il peccato, ci sono le ambiguità, le falsità del nostro cuore,

ma, sotto, vi è una grande bellezza

perché siamo stati creati ad immagine di Dio, per essere sempre più somiglianti a Lui.

 

La seconda cosa da fare, oggi, è di meditare il Vangelo.

Il Vangelo.

Sempre ripartire dal Vangelo.

La conoscenza non la voglio attingere dal giornale o dalla rete internet, ma dal Vangelo!

E il Vangelo del Prologo è tanto, ma tanto concreto! Sì!

Spesso sentiamo delle persone dire che sono perse, che non capiscono quale sia la volontà di Dio, che sono nel buio.

Ma cosa abbiamo ascoltato oggi?

Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
(Gv 1,19)

La vera luce… eccola! Il Bambino!

La vera luce, la vera sapienza è di essere come Lui:

non avere pretese, nessuna pretesa…

Siamo in un mondo fatto di competizione, di rivalità, di vanagloria.

Bisogna tornare al Bambino Gesù!

E cosa fa Lui quando l’accogli?

A quanti (…) lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio
.” (Gv 1,12)

Egli ci dona quello che E’.

Cosa ha nelle mani?

Niente!

Non ci dona qualcosa!

Ci dona quello che è!

Ci dona di essere con Lui, in Lui, figli.

Non siamo più degli orfani, siamo figli di un Padre che ci ama immensamente!

Di un Padre al quale possiamo rivolgerci in ogni momento!

 

Il 27 dicembre del 1948, nella festa di San Giovanni,

lo stesso la Pira scrive di nuovo a Fioretta:

Soavissimo ogni Natale, non è vero? (…)

È una immissione di luce divina nell’anima:

una vera irradiazione del Verbo in noi!

Il Signore scende davvero nelle anime che lo aspettano e lo invocano:

ed il documento sensibile della Sua discesa

è in quella delicata dolcezza e fine purità che pervade tutta l’anima

facendola davvero “sede” di Dio e preannuncio di Paradiso!

 

Ecco quello che avviene oggi: la tua anima diviene sede di Dio e preannuncio del Paradiso,

perché cominci a vivere da figlio, da figlia del Padre!

 

Concludo con la terza cosa da fare oggi:

chiudere gli occhi…

E, allora, ti rendi conto di una cosa.

Chi nasce oggi?

Il Bambino! Certo!

Ma solo Lui? No!

Anche tu! Anch’io!

 

Cosa scrive Giovanni nel Prologo?

A quanti (…) lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
(Gn 1,12-13)

 

Sono stati generati…

Quello che riceviamo da Gesù non è solo un nuovo slancio, una ricarica,

No!

È una vita nuova.

Credo che si sia veramente cristiani quando si è fatta questa esperienza:

di essere, per grazia, una persona nuova.

Non sono un altro. Ma sono un uomo nuovo, una donna nuova.

 

Penso al nostro fondatore.

Aveva delle fragilità, dei difetti, viveva le lotte di tutti noi.

Ne era ben consapevole,

a tal punto che si rifiutò sempre di scrivere un'autobiografia vera e propria.

E tante volte gli chiesi di acconsentire ad un libro-intervista autobiografico,

ma non volle mai, assolutamente.

Invece c’è un versetto che torna molto spesso nei suoi scritti:

Non vivo più io, ma Cristo vive in me.”(Gal 2,20)

Perché ne aveva fatto l’esperienza!

Questo è la vita cristiana!

 

Una nuova nascita!

E, sapete il più bello?

Non solo ciascuno di noi nasce oggi…

Ma nasce anche la promessa di un popolo nuovo,

nascono rapporti nuovi,

nasce proprio lì, nella grotta, questo nuovo modo di stare al mondo

che si chiama l’amore reciproco…

 

Il giorno di Natale del 1945, Fioretta Mazzei è a Fonterutoli.

La Pira è malato.

E Fioretta gli scrive una bellissima lettera, e gli confida

che le è rimasto impresso il versetto di Vangelo della messa dell’aurora:

« Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore».(Lc 2,19)

E scrive:

Il suo mondo se lo portava nel suo cuore ed in esso viveva:

in questo modo, quando Gesù è nato

non è avvenuta nessuna separazione tra Lui e sua Madre.

Anche dopo, durante la vita pubblica, la Passione, e l’attesa dell’Assunzione,

la vita di Maria è stata la stessa: la presenza vera di Gesù in Lei.

E per questo la Comunione è come la Natività nell’anima.

 

Ecco quello che stiamo ormai per vivere:

la Comunione, che sarà “la Natività nell’anima”.

Per vivere pienamente in Gesù.

Per una vita veramente NUOVA.

 


martedì 24 dicembre 2019 - IV settimana di Avvento - 2 Sam 7,1..16 – Lc 1,67-79 - Badia Fiorentina - fr. Antoine-Emmanuel


 

Quando sorgerà il sole,

vedrete il Re dei re:

come lo sposo dalla stanza nuziale

egli viene dal Padre.”

 

Questa l’antifona al Magnificat che la Chiesa ci fa cantare oggi, 24 dicembre.

 

Ci dice che quando sorgerà il sole,

quando verrà il dies natalis

il dies natalis solis invicti,

vedremo il Re dei re,

avremo, cioè, la visione del Re di gloria, del Re divino.

 

E come ce lo presenta l’antifona?

Come lo sposo dalla stanza nuziale

egli viene dal Padre.”

Questa immagine è tratta dal Salmo 18

che descrive la corsa quotidiana del sole in questo modo:

(Iddio) “Pose una tenda per il sole
che esce come sposo dalla stanza nuziale:
esulta come un prode che percorre la via.
Sorge da un estremo del cielo
e la sua orbita raggiunge l'altro estremo:
nulla si sottrae al suo calore.
” (Sal 18, 6-7)

E’ la stessa immagine che ritroviamo nella profezia di Zaccaria

che abbiamo appena ascoltato:

parla della tenerezza e della misericordia del nostro Dio,

grazie alle quali

ci visiterà un sole che sorge dall'alto,
per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre
e nell'ombra di morte,
e dirigere i nostri passi
sulla via della pace".
(Lc 1,78-79)


Fissiamo nella memoria due meraviglie

che il Signore ci rivela ora.

 

La prima è questa:

in questo momento, lo Sposo sta uscendo per te,

per me, per noi, per i poveri, per i ricchi, per tutti,

dalla stanzia nuziale.

 

Lo Sposo viene a cercarci.

Stiamo per far esperienza dell’eros purissimo del Verbo di Dio.

Il Verbo si è messo in cammino per venire verso di noi.

Il suo desiderio di noi l’ha spinto a infrangere

tutte le barriere, tutti gli ostacoli metafisici, ontologici,

a spogliarsi di ogni gloria,

per raggiungerci,

per essere più vicino a noi

di quanto lo siamo noi stessi…

 

Una voce! L'amato mio!
Eccolo, viene
saltando per i monti,
balzando per le colline.
L'amato mio somiglia a una gazzella
o ad un cerbiatto.
Eccolo, egli sta
dietro il nostro muro;
guarda dalla finestra,
spia dalle inferriate.
(Ct 2,8-9)

 

Preparati all’incontro…

Il Verbo non vuole un incontro che rimanga nell’esteriorità, nella mente o nella fantasia.

Vuole le nozze.

Vuole fecondare tutta la vita che è in attesa dentro di te.

E quanta vita c’è in attesa dentro di te!

 

L’altra meraviglia è l’immagine del sole.

Colui che viene è simile al sole.

Il sole si leva su di te, su di noi,

sul nostro noi…

per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre
e nell'ombra di morte,
e dirigere i nostri passi
sulla via della pace".
(Lc 1,79)

 

Viene la luce.

La luce della verità.

Lo dirà lui stesso, il Re dei re:

Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo:

per dare testimonianza alla verità.

Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce". (Gv 18,37)

Si tratta per noi di permettere al sole di alzarsi sulla nostra vita.

Certamente metterà in luce gli errori, i compromessi, i peccati.

Ma metterà anche in luce la bellezza che è in noi,

quella bellezza che perdiamo sempre di vista.

 

Viviamo in un mondo, in una cultura anche ecclesiale

che si compiace dell’accusa, della condanna,

della giustizia senza misericordia che non è più giustizia.

Il Verbo invece ci porta la luce vera

in cui la giustizia non si può separare dalla misericordia…

 

Carissimi,

viene lo Sposo.

Per puro Amore.

Viene la Luce.

Per puro Amore.

È ormai tempo di aprire il cuore,

di disarmare.

E di presentare al Verbo di Luce il mondo intero.


 


Domenica 22 dicembre 2019 - IV Domenica di Avvento -  7,10-14 - Rm 1,1-7 – Mt 1,18-24 - Badia Fiorentina - fr. Antoine-Emmanuel

 

Il Vangelo odierno orienta subito il nostro sguardo su Maria, sulla Madonna,

e ci rivela che, “essendo promessa sposa di Giuseppe,

prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.”(Mt 1,18)

Lo stesso vangelo ci fa pure intuire che Maria

non dice nulla di questo mistero a Giuseppe.

Non spetta a lei, sembra, rivelare a Giuseppe il mistero.


E subito il nostro sguardo si rivolge a Giuseppe.

Egli scopre che la fidanzata è incinta.

Lo scopre, probabilmente, al ritorno dai tre mesi da lei trascorsi dalla cugina Elisabetta.

 

Maria non le dice il perché.

Se Giuseppe avesse saputo il perché,

l’amore per Maria e il suo senso di responsabilità

avrebbero reso impossibile il ripudio, anche segreto.

Giuseppe non sa.

 

Possiamo quindi capire il dramma interiore di Giuseppe,

il tormento, le tenebre che avvolgono la sua anima.

 

Come interpretare quanto accade?

Maria, la sua bellissima fidanzata, pura, purissima

Vergine, verginissima,…

Amante di Dio

Giuseppe sapeva della sua chiamata alla verginità

Ora, eccola incinta. Incinta!

Sono per Giuseppe tenebre assolute.

L’amore è oltraggiato, l’amore è bestemmiato.

E’ un tradimento.

Giuseppe non considera Maria come adultera.

No!

Se l’avesse considerata adultera, essendo giusto,

l’avrebbe denunciata e fatta lapidare.

Non la crede adultera, ma non la crede neanche innocente:

è entrato in lui il sospetto,

questa cosa molto sottile e mostruosa che è il sospetto.

Da qui la decisione di ripudiarla.

Decisione grave, gravissima,

perché nella legge giudaica con il fidanzamento

il contratto matrimoniale si riteneva già stipulato:

era un vincolo ormai indissolubile.

Eppure Giuseppe decide la separazione, la rottura del legame matrimoniale.

 

Fu quindi la Passione di Giuseppe.

Giuseppe doveva partecipare al mistero della Redenzione.

Doveva partecipare in anticipo alla Passione di Gesù.

Era per te, era per me.

 

E Giuseppe non è senza peccato,

non è immacolato come Maria.

Non solo è soggetto alla tentazione, ma vi entra come noi.

 

Ora che cosa avviene?

Nel luogo stesso della prova, del dolore più cupo,

giunge il dono più stupendo!

dove la prova è più straziante, ha luogo una nascita proprio divina.

Nella notte più assoluta nasce una vita divina

per la quale Giuseppe avrà un compito straordinario:

egli assumerà la paternità di quel bambino divino.

 

Questo è lo stile di Dio:

sei dilaniato dal dolore, ma proprio lì, in esso, nasce una vita nuova,

e ti trovi ad assumere una fecondità che mai avresti potuto immaginare.

 

Questo è il Natale,

ed è questa luce che bisogna porre sui drammi del nostro cuore,

delle nostre famiglie, della società e del mondo.

Sarà la prima lettura della notte di Natale:

Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce,

su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. (Isaia 9,1)

 

*

Ma facciamo un passo oltre.

In che cosa Giuseppe ha mancato di sapienza evangelica?

Come mai ha lasciato entrare in lui il sospetto?

Cosa leggiamo?

 

Giuseppe era giusto,

era in sintonia, cioè, col volere di Dio, che veniva espresso nella Legge.

Ascoltava la legge divina.

 

Egli non voleva accusarla pubblicamente”,(Mt 1,19)

quindi era in ascolto della propria coscienza,

che gli vietava il ripudio ufficiale, con la conseguente lapidazione.

Bene!

Ma gli mancava un altro ascolto:

l’ascolto dell’altro,

l’ascolto della fidanzata, l’ascolto di Maria, l’ascolto della donna.

Giuseppe non chiede nulla a Maria.

Non chiede a Maria di spiegargli quel che è avvenuto.

Non chiede a Maria la sua "sapienza".

 

Rimane nel modello dell’uomo maschio

che non ha bisogno della donna per conoscere ed aderire alla volontà di Dio.

 

Carissimi, questo modello maschilista è letale, e porta alla distruzione.

Invece è sorgente di luce, di vita, di gioia, la sapienza evangelica

che sa che l’altro sesso è portatore di una sapienza di cui ciascuno ha bisogno

per andare verso Dio, per entrare in Dio.

Quanti santi sono stati ispirati da una donna e viceversa!

 

Il Natale del Signore è anche questo:

l’alba della sapienza evangelica

che trasforma l’opposizione mortifera dei sessi

in tensione polare che dona la vita.

L’altro non è minaccia, l’altro è gioia,

perché oramai la tensione polare fondamentale,

essere Dio e essere uomo,

abita la nostra umanità.

*

Concludo con un terzo punto:

la gioia.

La gioia di Giuseppe.

Giuseppe avrà chiesto perdono a Dio e a Maria.

E, perché era umile, avrà accolto il perdono,

e avrà perdonato a se stesso.

E quindi la gioia sarà entrata nel suo cuore.

 

Non la gioia rumorosa del benessere mondano che non è gioia,

ma la gioia profonda dell’anima che è inseparabile dalla povertà del cuore

e dalla simpatia per i poveri.

Gioia leggera, freschezza dell’anima, alba del cielo sulla terra.

E questo è Natale:

una gioia leggera che non puoi imprigionare,

che non puoi mettere in scatola.

 

Viviamo, è vero, in una società che si è impossessata del Natale,

e ne ha fatto una festa rumorosa e commerciale.

Ma vedo un grande rischio: il rischio della lamentela dei cristiani.

Noi cristiani ci lamentiamo,

perché il mondo è pagano”,

ci lamentiamo perché si celebra un Natale pagano

con delle feste pagane”, un Babbo Natale pagano, etc…

Ci hanno rubato l’essenziale, siamo delle vittime, è triste…”

Io dico: basta! Basta con le lamentele!

 

È questa la realtà. È così!

A noi spetta annunciare a quanti celebrano “le feste",

la bellezza e la gioia del Natale che non conoscono.

Non sprechiamo le nostre energie a lamentarci, neanche un secondo!

Al contrario, approfittiamo delle feste

con tutto ciò che vi è di bello, di solidarietà, gioia ed anche convivialità,

per annunciare la gioia, la vera gioia

 

Niente nostalgia,

ma un grande abbraccio benedicente ai nostri contemporanei

a nome di Gesù Bambino!

 

 

 

sabato 21 diceMBRE 2019 - III settimana di Avvento - Ct 2,8-14 – Lc 1,39-45 - Fr. Antoine-Emmanuel - Badia Fiorentina
 

Mi ricordo come, al nostro arrivo in Badia nel 1998,

l’anziana, e così bella, signora Anna,

mi disse l’importanza di celebrare ogni anno la commemorazione di Ugo di Toscana.

E fu un nostro dovere portare avanti quest'antica tradizione dei monaci della Badia.

 

Ma perché, dall’anno 1001, i monaci della Badia

hanno voluto celebrare questa messa in suffragio del Marchese Ugo

che Dante chiama il gran barone?

 

Perché San Pier Damiani fa di Ugo un modello di Principe

che propone come esempio a uno dei successori di Lui nella marchia di Toscana,

il duca Goffredo il barbuto1?

Probabilmente per la sua fedeltà.

Ugo non si imponeva per virtù guerriere bensì

per capacità diplomatiche di compromesso,

per misura, per equilibrio e soprattutto per lealtà e fedeltà”.

Ernesto Sestan nel suo saggio sulla Badia Fiorentina2 scrive:

Ma ciò che più dovette colpire la mente,

e forse un poco anche la fantasia dei contemporanei,

fu la sua pietà religiosa”.

Come tanti altri nobili dell’epoca fondò chiese e conventi.

Ma in nessuna delle carte di fondazione di nuovi monasteri si riservava diritti sulla nomina degli abati e sui redditi dei monasteri.”

Sembra, anzi, che Ugo abbia sostenuto lo stesso san Romualdo

nella sua riforma monastica, col suo spirito di rigore morale e religioso.

 

Un documento degli ultimi anni della vita di Ugo

ce lo presenta a tavola col vescovo di Firenze.

Leggono la Bibbia e, vedendo come il re Ciro è strumento di Dio

per il ritorno dall’esilio babilonese degli Ebrei,

Ugo capisce quanto un principe cristiano debba mettersi al servizio della Chiesa di Cristo

e fa una donazione alla Cattedrale di Firenze.

 

Ma, come Ugo giunse a questa pietà, a questo senso religioso?

È uno scritto molto più tardivo che può aiutarci,

anche se non possiamo affermarne il valore pienamente storico.

È la cronaca dell’abate Puccinelli.

Vi scopriamo che Ugo, nellinfanzia, fu ferito

dal non conoscere il babbo fino all’età probabilmente di 10 anni.

Ebbe poi una gioventù segnata dalle passioni della carne.

 

Lo storico Giorgio Batini scrive

che “Un giorno proprio dopo una stancante cacciata fermatosi per riposarsi in una radura,

vide apparire davanti a sé una donna bellissima

per la quale provò una grande ammirazione,

ma stranamente nessun desiderio materiale” - direi carnale.

Il cacciatore domandò alla sconosciuta se, essendo lei di quella contrada,

potesse procurargli un po’ di cibo,

al chè la fanciulla lo accontentò.

Gli offrì infatti dei cibi squisiti accompagnati da vini profumati,

che però erano contenuti in luridi piatti e in laidi bocali,

tanto che Ugo mangiò e bevve con un po’ di riluttanza,

facendo osservare alla ragazza quella stranissima contraddizione:

sembrava infatti strano che si offrissero dei cibi così eccellenti e raffinati

in recipienti così ripugnanti.”

 

Come rispose quella donna, che non era altro che la Madonna?

Rispose che questa era precisamente la contraddizione nella quale viveva Ugo,

il quale per un verso proteggeva i deboli, amava la giustizia, proteggeva la chiesa,

e quindi aveva un’anima bellissima,

mentre dall’altro lato custodiva la propria anima dentro un recipiente ripugnante,

ovverosia in un corpo reso sporco dal vizio e dal peccato.”

 

Ugo fu senz’altro colpito da tale Visitazione della Madonna,

ma dopo poco tempo, tornò ai piaceri della carne,

finché avvenne che, in una seconda cacciata nei boschi del Mugello,

entrato in una spelonca a causa di una bufera,

fu accolto dal terrificante spettacolo di diavoli che tormentavano i peccatori,

e vedendo quello che era il dramma dell’inferno,

capì l’urgenza della conversione,

e gridò aiuto a quella donna che aveva incontrato durante la prima caccia,

e da lei fu esaudito.

E, quella volta, rinunciò veramente ai piaceri della carne.

 

La santità di Ugo trova quindi un suo fondamento in questa Visitazione di Maria

che rivelò a Ugo le contraddizione della sua vita.

 

La Madonna non accusa.

Ma rivela l’ambiguità, il non senso che abita il nostro cuore.

 

La Madonna è madre dell’unità,

madre dell’unità di tutto ciò che compone il nostro essere.

Ci aiuta a ricomporre l’unità, la coerenza della nostra vita.

 

Le passioni ci disgregano,

creano separazione, lacerazione dentro di noi, e quindi intorno a noi:

nella coppia, nella comunità, nella famiglia, nella società.

 

Maria è madre di un'unità interiore che non è però uniformità e tranquillità,

ma è unità nell’amore di tutte le tensioni polari che abitano il nostro essere.

Perché in noi c’è una continua tensione polare

tra Amore di Dio e amore del prossimo,

tra solitudine e comunione,

tra amicizia e fraternità universale,

tra libertà interiore e obbedienza, e così via.

Il vivere queste tensioni crea dinamismo, crea vita,

e, di questa vita, Maria è madre.

Queste non sono contraddizioni,

non sono schizofrenie,

non sono divisioni interiori,

bensì polarità sane e preziose.

 

Il monumento di Ugo di Toscana,

opera di Mino da Fiesole del 1481,

presenta la figura della Carità come simbolo di quello che fu la vita di questo laico santo.

 

Santo per grazia, santo per un cammino di conversione,

santo grazie a colei che è raffigurata in cima al monumento:

Maria, madre dell’unità della nostra vita.

 

Unità nella carità.

E' la carità che unifica tutto!

 

Maria è madre di questa unità nella carità,

perché genera in noi il figlio di Dio che porta in braccio,

che è, in persona, l’unità della nostra vita.

 

In Gesù la tua vita trova il suo senso.

In Gesù la tua vita si riconcilia.

In Gesù la tua vita trova misericordia.

In Gesù la tua vita trova pace.

In Gesù sei liberato dalle tue passioni.

In Gesù trovi la salvezza.

E Lui viene: questo è il Natale.

 

1 Cfr. La Badia Fiorentina, Ed. Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, 1982

2 Cfr. Il Gran Barone, Ed. Polistampla, 2002

 


mercoledì 11 dicembre 2019 - II settimana Avvento -
Is 40,25-31 – Mt 11,28-30  - Badia Fiorentina - fr.Antoine-Emmanuel


 

Risulta molto difficile a Israele

capire come Dio possa lasciarlo nella prova dell’esilio, nell’umiliazione, nella sconfitta.

E Israele ripete: “La mia via è nascosta al Signore

e il mio diritto è trascurato dal mio Dio.” (Is 40,27)

Dio non ci vede più,

abbiamo stancato Dio;

la nostra situazione è oltre i limiti della benevolenza di Dio.

Come se il peccato di Israele, le miserie d’Israele,

fossero più grandi delle possibilità di salvezza di Dio.

 

Allora il Signore invita Israele ad alzare lo sguardo, a guardare le stelle

e a ricordarsi che Dio è il creatore.

E, se il creatore conosce le stelle, se le chiama tutte per nome,

se Egli ha creato i confini della terra,

a maggior ragione conosce la situazione del suo popolo,

conosce il grido del cuore di ogni suo figlio.

E si rivela come il Dio che non si affatica né si stanca e la cui intelligenza è inscrutabile.

Anzi è Lui, Dio, che dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato. (cfr Is 40,26-29)

 

Il discorso perciò è rovesciato:

non è Dio che si è stancato, ma è l’uomo!

Anche i giovani faticano e si stancano,

gli adulti inciampano e cadono.” (Is 40,30)

 

Viene ora l’essenziale del messaggio che Dio ci rivolge oggi, attraverso il profeta Isaia:

Ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza,

mettono ali come aquile,

corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi.” (Is 40,31)

 

Da dove ci viene la forza?

Dalla Speranza nel Signore!

 

Tutti noi conosciamo momenti di stanchezza.

Se non l'avverte la mente, l'avverte il corpo. Non è vero?

Ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza!

Il salmo 102, allo stesso modo, recita:

Dio perdona tutte le tue colpe,

(…)sazia di beni la tua vecchiaia,

si rinnova come aquila la tua giovinezza (Sal 102,3.5)

 

Ecco il nostro desiderio in questo tempo di Avvento:

poter mettere ali come aquile.

Avere nuove forze, non per correre in tutte le direzioni,

ma per camminare, col passo deciso, sulla Via dell’Amore.

Gesù viene a sollevarci, a liberarci da ogni stanchezza, sulla Via dell’Amore.

 

Oggi ci dice: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi" da tanti fardelli,

da tante leggi ingiuste che vi impediscono di amare.

Venite a me", voi che avete i cuori appesantiti da tanti divieti,

da tante paure che impediscono lo sgorgare dell’Amore divino in voi.

"Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro(Mt 11,28)

e io vi darò riposo,

e io sarò il vostro riposo,

perché vi renderò capaci di amare.

Il vostro riposo è amare.

Perché l’anima umana non trova riposo, se non nellamare.

L’Amore è l’unico riposo dell’anima.

"Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso è leggero" (Mt 11,30)

perché è il giogo dell’Amore, il peso dell’Amore.

 

Domenica 1 dicembre 2019 - 1a Domenica di Avvento (A)  - Is 2,1-5 – Rm 13,11-14a – Mt 24,37-44 - Badia Fiorentina - Fr. Antoine-Emmanuel

 

"Gloria al Padre al Figlio e allo Spirito Santo

a Dio che è, che era e che viene.”

 

Dio che viene: quante volte ripetiamo queste parole!

Che meraviglia! Dio che viene!

Dio che si fa vicino, Dio che entra nella storia,

Dio che attraversa lo spessore della storia per farsi vicino a noi.

 

Ma da dove ha origine questa espressione?

 

Deriva dalla traduzione del nome rivelato da Dio a Mosè al Roveto ardente,

che troviamo nel capitolo terzo dell’Esodo;

Il giudaismo dell’epoca ellenistica traduce il nome “Yahveh” con l’espressione

Colui che è”.

Questa è poi ampliata,

nella versione aramaica dell’Antico Testamento chiamata "Targum di Gerusalemme",

nell’espressione: “Colui che è, che era, e che sarà.”

 

Ma poi nell’Apocalisse di San Giovanni la stessa espressione

riceve una nuova tonalità, diviene: “Colui che è, che era, e che viene.”

 

Con la Nuova Alleanza, l’Essere di Dio si è manifestato,

si è rivelato nel suo Venire!

Venire appartiene all’Essere di Dio.

L’Amore per natura esce!

 

Tutto questo non è il risultato di un'elaborazione concettuale,

bensì il frutto di una storia, di un evento:

Dio non ha soltanto mandato degli inviati, dei sapienti, dei profeti,

ma Dio stesso è venuto in Gesù.

Il Verbo di Dio che è Dio si è fatto carne.

E’ stato rifiutato, ma ha trasformato il rifiuto in salvezza. (cfr Gv 1,11-14)

 

Ma c’è di più: Egli stesso, Gesù, ha insistito nel dire vengo di nuovo,

verrò nella gloria.

Ed il Nuovo Testamento si conclude con queste parole:

"Sì, vengo presto!". Amen. Vieni, Signore Gesù. (Ap 22,20)

 

Dio è quindi, essenzialmente, Colui che viene nella storia,

che viene verso di noi.

E, tra la Prima Venuta nella Carne e l’Ultima Venuta della Gloria,

vi è la continua venuta di Dio nella nostra vita quotidiana:

questo continuo venire di Dio

di cui l’Eucarestia è Sacramento.

 

*

 

Ma oggi vogliamo, in modo particolare, lasciarci interpellare dall’ultima venuta di Gesù:

il suo venire nella Gloria, alla fine dei tempi.

È di questa venuta che Gesù ci parla nel Vangelo odierno

per dirci che il giorno e l’ora di questa venuta sono assolutamente imprevedibili.

Nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.” (Mt 24,44)


Gesù porta come paragone quello che avvenne al tempo di Noè,

alludendo non tanto alla cattiveria della gente di quell’epoca,

quanto al fatto – storico - che nessuno si rese conto di quello che stava per accadere.

La gente viveva la vita normale, il mangiare, il bere,

lo sposarsi, l’avere figli, il lavorare e così via.

E, all’improvviso, arrivò il diluvio.

Lo stesso avverrà per la venuta in gloria di Gesù.

 

Da qui l'appello forte di Gesù a vigilare!

Gesù non ci chiede di stare sempre in chiesa: ci chiede di vigilare.

Ci chiede un’attenzione del cuore,

un cuore sempre attento a Dio,

sempre pronto ad accogliere la venuta di Gesù,

affinché, quando Egli verrà, anche se sei nel campo,

anche se sei a lavorare in cucina,

anche se sei dinanzi al tuo computer,

tu sia pronto a lasciare tutto e a ricevere il dono del Regno di Dio,

tu sia pronto a lasciarti perdonare,

pronto e lasciarti amare, pronto ad accogliere, con tutti, il dono dell’eternità.

 

È questa prontezza che Gesù ci chiede.

 

Mi direte: “Ma questo vigilare è una fatica in più!

Già la vita comporta tanta fatica,

già la vita comporta tanti impegni

ed ecco che il Signore ci chiede in più questa vigilanza!

 

In realtà, la vigilanza, questo cuore allerta è un dono!

È una liberazione!

Perché la vigilanza dà una dimensione nuova alla nostra vita.

Se entriamo in questa vigilanza, le cose della terra non ci opprimono più.

Non siamo più schiacciati dal peso delle cose della terra,

perché c’è un’altra dimensione, c’è un orizzonte escatologico

che conferisce un’apertura nuova a tutto quello che viviamo.

 

C’è poi un secondo frutto.

Con la vigilanza, questa attenzione del cuore,

perdiamo, è vero, la signoria che pensiamo di avere sul tempo.

Ma con questa perdita, ci apriamo alla grazia del momento presente:

non ho più il tempo nelle nelle mie mani,

ma vivo l’istante presente,

vivo pienamente l’oggi in vista dell’eternità.

E non solo dell’eternità per me, ma pure dell’eternità per te,

dell’eternità per tutti.

 

Un terzo frutto della vigilanza, ce lo indica San Paolo nella seconda lettura.

La vigilanza ci aiuta a rompere col peccato.

Perché, se devo essere pronto ad accogliere, oggi, la venuta di Gesù,

non posso rimandare a domani il rigetto del peccato.

Domani smetterò di fare quelle cose di nascosto? No!

Domani smetterò di usare internet per la lussuria on-line? No!

Domani rinuncerò a litigi e gelosie? No!

Oggi, Signore, liberami!

Oggi, fratelli, aiutatemi!

Oggi voglio rivestirmi del Signore Gesù Cristo

perché la notte è avanzata il giorno è vicino.

Perciò oggi scelgo di gettare via le opere delle tenebre e di indossare le armi della luce.

(cfr Rm 13, 12-14)

 

Infine c’è una quarta grazia nella vigilanza,

e la ricaviamo della prima lettura.

In questa lettura, tratta dal Libro del Profeta Isaia,

vediamo tutti i popoli che convergono verso Gerusalemme.

Perché? Per ascoltare la legge, per ascoltare la Parola del Signore,

per essere istruiti, ammaestrati da Dio.

Da Dio ricevono la giustizia,

ed il frutto di questo ascolto è il disarmo, con la bellissima profezia:

Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri,

delle loro lance faranno falci.” (Is 2,4)

Se siamo vigilanti, se lo siamo insieme, se ascoltiamo insieme il Signore,

allora il frutto sarà il disarmo.

Il frutto della vigilanza e dell’ascolto è il disarmo.

Non abbiamo più bisogno di essere in competizione tra noi!

Perché viviamo insieme della vittoria di Gesù,

viviamo insieme della Sua misericordia

il cui trionfo finale è il Suo venire nella Gloria.

 

Ecco, carissimi, i frutti della vigilanza che il Signore ci chiede.

Insieme scegliamola!

Il nostro cuore si orienti verso Gesù che viene,

si orienti verso quest’orizzonte di luce.

E' ormai tempo di svegliarci, dice San Paolo! (cfr Rm 13,11)

Ed è tempo di svegliare il mondo!

Siamo nell’Avvento.

 

Gloria al Padre al Figlio e allo Spirito Santo

a Dio che è che era è che viene.”

 


Domenica 24 novembre 2019 - Cristo Re dell'universo
-
2 Sam 5,1-3 – Col 1,12-20 – Lc 23,35-43 - Badia Fiorentina - fr. Antoine-Emmanuel


Cristo Re dell’Universo.

Che Vangelo avreste scelto per questa festa?

La Trasfigurazione?

L'ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, acclamato dalla folla?

L'Ascensione del Signore Risorto?

 

La Chiesa ha fatto una scelta diversa.

L’anno A sceglie la Parabola del giudizio universale.(Mt 25,31,46)

Gli anni B e C scelgono episodi della Passione!

 

Lasciamoci dunque guidare dalla Chiesa, che ci porta oggi in cima al Golgota.

Chi pensa che la regalità significhi oro, argento, banchetti di lusso

e reggia super chic… si dirà: ”Ma dove andiamo?

E chi pensa a potere, ministri, esercito potente…

si dirà: “Il Golgota? Ma che rapporto ha con la regalità?”

 

Ma guardiamo da vicino.

Si parla di regalità sul Golgota?

A dire il vero, se ne parla tanto.


Rileggiamo il Vangelo odierno.

Il popolo stava a vedere”. (Lc 23,35)

Guardano Gesù.

In silenzio.


I capi religiosi invece lo deridevano dicendo:

"Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto". (ibid.)

Quando leggiamo “Cristo”, significa il “Messia”, ossia il Re atteso da Israele.

I capi religiosi parlano della pretesa di Gesù di essere Re.

 

Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell'aceto

e dicevano: "Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso". (Lc 23,36-37)

Qui si tratta dei soldati romani.

Sono pagani, stranieri, rappresentanti del potere che occupa Israele.

E anch'essi parlano di Gesù come di Colui che sarebbe il Re dei Giudei.

 

Sopra di lui c'era anche una scritta”

E che dice la scritta?

"Costui è il re dei Giudei".(Lc 23,38)

Una scritta voluta da Pilato per umiliare i giudei…

Quel che ho scritto, ho scritto.”(Gv 19,22) E rimarrà scritto!


“Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava:

"Non sei tu il Cristo, cioè il Re Messia? Salva te stesso e noi!". (Lc 23,39)

Anche il malfattore parla della regalità di Gesù.

 

Avete notato l’unanimità tra i capi religiosi, i soldati romani

e il malfattore?

Non è banale che ci sia unanimità

tra il potere religioso, il potere civile e il potere della corruzione…

 

Tutti e tre dicono a Gesù la medesima cosa:

Il potere religioso dice:

Salvi se stesso, se è lui il Cristo Re Messia di Dio.”

Il potere civile dice:

"Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso".

Il potere della corruzione dice:

"Non sei tu il Re Messia? Salva te stesso.” E aggiunge: “e noi!".

 

Salva te stesso”…

Tutti e tre hanno quindi la stessa idea della regalità.

Se uno è re, è capace di salvare se stesso.

Chi è re? Colui che è autosufficiente.

È re colui che non ha bisogno di nessuno.

 

Carissimi, questa concezione della regalità, della più grande dignità umana

è sempre più dominante oggi…

 

Quante cose compriamo per non aver bisogno degli altri…

Quanti mezzi tecnologici inventiamo e ci procuriamo anche a caro prezzo,

per non aver più bisogno degli altri…

E quanto diventiamo dipendenti dalla tecnologia…

E quanto il creato grida di dolore…

E, soprattutto, quanto diventiamo soli…

 

Ma torniamo al Golgota.

In mezzo al grido unanime che vuole quest’inferno della solitudine

si sente una voce diversa.

Una sola voce diversa.

La voce di uno che, al contrario, ha bisogno di un altro.

Una voce che grida: “Ho bisogno di te!”

Da chi viene?

Viene dall’altro malfattore che, non ne ho alcun dubbio,

avrà incrociato lo sguardo di Maria ai piedi della croce.

Lo chiamiamo il Buon Ladrone.

La tradizione lo chiama Dismas.

Al suo compagno dice, rimproverandolo:

"Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena?

Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni;

egli invece non ha fatto nulla di male".

E disse: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno".(Lc 23,40-42)

Anch'egli parla di regalità!

Ma in modo del tutto diverso.

Vede Gesù appeso alla croce come lui,

vede il suo corpo straziato come il suo, e peggio del suo a causa della flagellazione,

vede e sente l’accumularsi della violenza, dell’odio, delle maledizioni su Gesù,

lo vede morire in un buio indescrivibile,

e confessa che entrerà “nel suo regno.”

 

Anzi, gli chiede con fede di ricordarsi di lui nel momento in cui entrerà

nel suo regno.

Sarà quindi un regno in cui il povero Dismas non sarà dimenticato,

un regno in cui il povero regnerà, il ladro pentito regnerà,

il malfattore convertito regnerà…

 

Nel Regno di Gesù,

non è l’autonomia che regna.

Non è l’autosufficienza che regna.

Non è l’autoreferenzialità che regna.

Regna la misericordia…

Ed è un regno che non passa.

Un regno che attraversa la morte.

 

E infatti cosa risponde Gesù a Dismas?

È una delle ultimissime parole di Gesù,

col pochissimo respiro che gli resta.

Ma Gesù non vuole lasciare senza risposta la confessione di fede di Dismas.

 

"Amen, a te dico: oggi con me sarai nel paradiso". (Lc 23,43)

Non potrebbe esserci una dichiarazione più regale di questa.

È l’annunzio regale della vittoria sulla morte

adempiuta non in un domani indeterminato, ma proprio oggi.

Oggi” l’anima di Dismas conoscerà la gioia del Paradiso,

la gioia cioè di essere con il Re dei Re, con Gesù.

 

Il non aver bisogno di nessuno è inferno.

L’essere con Gesù è Paradiso.

 

Il regno di satana è isolamento.

Il Regno di Cristo è comunione,

Il Regno di Dio è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo.” (Rm 14,17)

Il Regno di Dio è in mezzo a noi!” (cfr. Lc 17,21)

 

E, come Paolo ci dice oggi,

possiamo “ringraziare con gioia il Padre

che ci ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce.


È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre
e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore,
per mezzo del quale abbiamo la redenzione,
il perdono dei peccati.”
(cfr. Col 1,13-14)

 

Vorrei concludere con la prima lettura.

Vediamo le tribù del Nord, di Israele,

che per interesse politico, vengono da Davide a Hebron nel Sud,

e chiedono a Davide, già re del Sud, di diventare re anche del Nord.

Hanno tre argomenti:

il primo “Noi siamo tue ossa e tua carne” … siamo dello stesso sangue!

Il secondo è il ricordo della storia: “Quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele” … hai già fatto cose grandi per noi!

E il terzo sono le parole di Dio stesso: "Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d'Israele"

Davide non può quindi rifiutare… “Ed essi unsero Davide re d'Israele” (cfr. 2 Sam 5,1-3)

 

E noi? Dobbiamo convincere Gesù? Lo dobbiamo ungere?

No!

Gesù è già nostro Re!

Perché l’abbiamo convinto? Perché l’abbiamo meritato? No!

Perché l’abbiamo unto noi? No!

Perché si è consegnato per diventare nostro Re!

Perché ci ama!

È per amore che Egli regna su di noi…


 

 

martedi 19 novembre 2019 - XXXIII settimana T.O. - 2 Mac 6,18-31; Lc 19,1-10 - Badia Fiorentina - fr.Antoine-Emmanuel


 

È splendido contemplare la differenza tra l’atteggiamento di Zaccheo

e il modo di fare di Gesù.

 

Zaccheo desidera vedere Gesù.

C’è in lui un desiderio forte di vedere quel Gesù di cui ha sentito parlare.

Aspetta uno sguardo, aspetta un incontro, aspetta una qualche salvezza,

perché Zaccheo è uno che non ha la coscienza tranquilla,

con il suo mestiere di pubblicano, con le sue ricchezze.

Ma non vuole essere faccia a faccia con Gesù.

Si protegge.

È diviso tra desiderio di conversione e paura della conversione,

tra desiderio di mettersi a nudo e rifiuto di mettersi a nudo,

tra desiderio dell’incontro e resistenza all’incontro.

 

Allora sale sulla pianta.

Sale per vedere, senza essere visto.

Come la donna con le perdite di sangue voleva toccare Gesù,

ma non voleva essere vista da nessuno, nemmeno da Gesù.

Come il centurione di Cafarnao voleva la guarigione del servo,

ma senza che Gesù venisse a casa sua.


Zaccheo quindi si nasconde, come un bambino, nel sicomoro.

È buffo, se non ridicolo!

L’unica cosa che vuole è che Gesù non si fermi e non lo sveli!

A meno che non sia proprio quello che segretamente desidera…

Perché l’anima umana è complessa…

 

E invece, cosa fa Gesù?

Quello che fa Gesù, lo potremmo chiamare un “corto circuito”!

Il corto circuito della misericordia!

Fa passare la corrente dove non era previsto!!!

Dove nessuno se l’aspettava!

 

Gesù va direttamente alla persona,

direttamente occhi negli occhi,

direttamente al cuore,

e chiama Zaccheo.

Lo chiama per nome.

Lo invita,

meglio si invita da lui!

Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”! (Lc 19,5)

La scintilla del tuo desiderio mi è bastata per varcare la porta del tuo cuore.

Lascia tutte le resistenze, tutti i ragionamenti

secondo i quali non meriti di essere guardato ed amato.

 

E il corto circuito della Misericordia fa scandalo a Gerico!

Ma è appunto di questo corto circuito che noi abbiamo veramente bisogno.

Fa saltare tutte le protezioni contro la Misericordia.

E, se accogliamo il corto circuito della Misericordia Divina,

allora saremo capaci di fare, anche noi, corti circuiti di misericordia verso gli altri.

Appunto, non è quello che fa Zaccheo

quando sceglie di condividere abbondantemente i suoi beni con gli altri, con i poveri?

Senza dimenticare il primo corto circuito da fare:

quello con noi stessi, la misericordia con noi stessi:

Con Gesù io mi perdono questo o quello…”

Anche Zaccheo avrà dovuto fare questo cammino:

accogliere a casa sua anche il povero che era egli stesso!

 

La prima lettura ci dà come esempio il vecchio Eleazaro,

che rimane fedele fino in fondo alla legge del Signore.

Attraverso di lui risuona la chiamata a fare di tutta la nostra vita

un grande corto circuito d’amore!

Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”,(Lc 19,10)

per cercare e salvare tutto ciò che in noi e tra di noi

resiste all’amore, tutto ciò che resiste alla misericordia.

Viene ancora questa sera in questa prima Eucarestia nella Cappella Pandolfini.

 

Come non ricordare che in questa cappella avvenne la prima lectio Dantis!

Nel Purgatorio, il re Manfredi, figlio di Federico II,

spiega che, quando in battaglia fu colpito da due lance mortali,

«io mi rendei, piangendo,
a quei che volentier perdona.
Orribil furon li peccati miei;
ma la bontà infinita ha si gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei»

(Purg., III 119-123)

 

Il Cardinale Giovanni Battista Re ricordando che per Dante,

Dio non solo è «l’Amor che muove il sol e l’altre stelle»,

ma è anche colui che «volentier perdona»,

scrive:

 

Come insegna anche Papa Francesco, la misericordia di Dio

è una dolcissima verità che sta al centro del Vangelo

e che costituisce «l’architrave della vita della Chiesa».

Dio non abbandona nessuno, ma dà a tutti la possibilità di un nuovo inizio.

Non ci sono situazioni dalle quali non possiamo uscire.

Nella vita si può sbagliare, ma l’importante è rialzarsi sempre.

Dio ci ama, e proprio perché ci ama,

nella sua infinita misericordia è sempre disposto a perdonarci,

purché da parte nostra vi sia il pentimento del male compiuto

e il proposito di portare i nostri passi sulla via del bene.1

 

Lode a Te, Signore, per ogni corto circuito della tua Divina Misericordia,

Tu che “volentieri perdoni”!


 

1 http://www.osservatoreromano.va/it/news/alighieri-e-la-misericordia

 

 

Domenica 3 novembre 2019 - Dedicazione della Cattedrale di Santa Maria del Fiore - 1 Re 8,22-23.27-30–1 Pt 2,4-9 – Gv 4,19-24 - Badia Fiorentina - Fr. Antoine-Emmanuel

 

Celebriamo oggi l’anniversario della dedicazione della cattedrale di Santa Maria del Fiore.

 

Ha senso oggi celebrare tale memoria,

quando si pensa alle tantissime chiese distrutte in Siria?

Penso anche alle 300 chiese distrutte a Kandhamal in India.

Penso a Notre Dame de Paris così sfigurata.

Ha senso?

 

Eppure la Chiesa continua a celebrare la dedicazione delle chiese.

Perché?

 

Innanzitutto perché ogni edificio-chiesa è un dono di Dio.

L’anniversario della dedicazione o della consacrazione di una chiesa è fare memoria

della gioia grande del giorno in cui una comunità cristiana

ha potuto costruire – e pagare – una chiesa.

Che gioia, che fierezza, avere una chiesa!

Noi siamo abituati, troppo abituati!

 

Una chiesa [è] l’unica cosa degna di rappresentare il sentire di un popolo,

poiché la religione è la cosa più elevata nell’uomo”

scriveva Gaudi, l’architetto della Sagrada Familia di Barcellona.

 

È quindi occasione per noi di ringraziare il Signore per Santa Maria del Fiore,

con tutta la sua bellezza.

 

Ma questa festa va ben oltre,

perché la presente liturgia ricorda una consacrazione:

l’edificio-chiesa è stato segnato da una presenza particolare di Dio.

La preghiera sulle offerte nel Messale

ricorda il giorno santo in cui tu, Signore,

hai riempito della tua presenza questo luogo a te dedicato”,

quindi ricorda un dono particolare di Dio

che ha segnato per sempre l’edificio-chiesa.

E per questo dono siamo ancora a ringraziare il Signore per tanta bontà.

Ma c’è di più:

l’edificio-chiesa è un segno.

Essa dice che, in mezzo alla città, esiste un luogo

in cui c’è un rendez-vous, un appuntamento molto particolare tra Dio è il suo popolo.

 

Certo Dio incontra i suoi figli dappertutto!

Incontra i singoli, i suoi figli, ovunque

perché oramai adoriamo in spirito e verità, (Gv 4,24)

senza necessità di muri, di pietre, di templi.

Dio incontra anche le famiglie, a casa e ovunque.

 

Ma vi è un luogo dove Dio incontra il suo popolo come popolo.

Un luogo riservato ad un incontro molto speciale,

come lo è il letto per gli sposi.

Un luogo dove Gesù Sposo si unisce non ad una sola persona o ad un gruppo,

ma al Popolo.

E il Popolo è un popolo in cui tutti sono benvenuti:

non è un club, non è un gruppo nazionale o tribale,

non è un'élite.

 

In mezzo alla città, l’edificio-chiesa dice che

c’è un incontro amoroso tra Gesù Sposo e la Chiesa Sposa.

 

La Promessa Sposa viene perché sente la chiamata del diletto (Ct 2,8): sono le campane.

Si lascia rivestire di misericordia: è la liturgia penitenziale all’inizio della celebrazione.

Ascolta la parola dello Sposo: è la liturgia della Parola.

Riceve il corpo dello Sposo: è l’unione sponsale, l’Eucarestia.

E la Sposa genera una vitalità missionaria: è l’invio missionario del Popolo Santo,

del popolo che "Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui

che ci ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa". (1 Pt 2,9)

 

L’edificio-chiesa è quindi il segno di un avvenimento

che si rinnova ogni volta che celebriamo l’Eucarestia e gli altri sacramenti.

 

Com’è bello il Prefazio che recita:

Questa Chiesa, tu la santifichi sempre come sposa del Cristo,

madre lieta di una moltitudine di figli,

per collocarla accanto a te rivestita di gloria.

 

E’ poi un luogo stabile.

L’incontro è sempre possibile, sempre offerto,

come dice Salomone nella sua preghiera:

Tu mantieni l’alleanza e la fedeltà verso i tuoi servi. (1Re 8,23)

Non è a caso che i regimi oppressivi vogliono sempre chiudere o distruggere le chiese

 

Inoltre, in questo edificio, il popolo è trasformato.

Se vi entrano degli individui, ne escono dei fratelli.

L’edificio-chiesa è il luogo dove, se viviamo veramente La Liturgia,

si tesse l’amore reciproco.

Una Chiesa, ebbe a dire Benedetto XVI,

è un edificio in cui Dio e l'uomo vogliono incontrarsi;

una casa che ci riunisce, in cui si è attratti verso Dio,

ed essere insieme con Dio ci unisce reciprocamente. 1


Se viviamo la liturgia come un'azione individuale,

in cui "ricarico le mie batterie", indipendentemente da quello che vivono gli altri,

non è vita cristiana, non è liturgia cristiana.

Si va in chiesa per lasciarsi tessere con gli altri,

per lasciarsi "mettere in rete";

ma non una rete virtuale, da cui ci si può staccare con clic.

Si tratta di una rete reale:

la rete dell’amore reciproco

in cui faccio spazio all’altro nel mio cuore

e faccio dono di me all’altro.

 

Come abbiamo sentito nella Prima Lettera di Pietro oggi:

se ci avviciniamo a Gesù Pietra Viva.

siamo costruiti anche noi come un edificio spirituale (cfr 1Pt 2,5)

diventiamo un corpo unico,

diventiamo membra gli uni degli altri. (Ef 4,25)

La chiesa è il luogo d'incontro con il Figlio del Dio vivente

e così è il luogo d'incontro tra di noi.”2

diceva ancora Benedetto XVI.

 

L’anniversario della Dedicazione di una chiesa

ci fa riprendere coscienza della nostra vocazione come Popolo!

Siamo stati consacrati come Popolo.

E dobbiamo diventare quello che siamo!

 

È pure una chiamata a non perdere mai di vista il traguardo, l’orizzonte.

Recita così il Prefazio:

In questo luogo santo, tu ci edifichi come tempio vivo

e raduni e fai crescere come corpo del Signore

la tua Chiesa diffusa nel mondo,

finché raggiunga la sua pienezza

nella visione di pace della città celeste,

la santa Gerusalemme.”

 

2 Idem.

 

 

venerdì 1 novembre 2019 - Solennità di Tutti Santi - Ap 7, 2-14–1Gv 3,1-3–Mt 5,1-12a - Badia Fiorentina - Fr. Antoine-Emmanuel

 

 

Guardiamo a questi volti!

Ci parlano!

Ci chiamano personalmente e insieme alla santità!

Santo anche tu!

Per grazia, per pura grazia!


Ma bisogna mettersi in cammino,

prendere la via delle Beatitudini che è LA via della santità.

 

Allora, oggi, saliamo il monte delle Beatitudini,

e ci mettiamo in ascolto di Gesù.

 

Su quel monte, Gesù si è seduto come un vero maestro,

si è seduto come un nuovo Mosè, che sul monte ci dona la legge.

Non è venuto ad abolire la legge, ma a portarla a compimento. (cfr Mt 5,17)

Non si agisce più per paura del castigo ma per desiderio del cielo.

 

Perché le Beatitudini sono promesse di gioia,

promesse di felicità evangelica per chi decide in cuor suo il santo viaggio (Sal 83,6),

per chi sceglie la povertà del cuore, la mansuetudine, il pianto per esser fedele a Dio,

la fame e sete di giustizia, la misericordia, e così via,…

 

Le Beatitudini sono gioia, perché queste scelte

ci aprono un orizzonte di vita che ci meraviglia:

Saremo consolati, avremo in eredità la terra, saremo saziati,…(cfr Mt 5,4-6)

e… grande è la vostra ricompensa nei cieli. (Mt 5,12)

 

Ma vorrei fermarmi oggi sulla prima beatitudine:

Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3)

 

Come vivere oggi questa beatitudine?

Questa domanda vorrei farla con voi alla Chiesa di Gesù che è in Amazzonia.

 

Cosa ci dicono i vescovi, i laici, uomini e donne, i diaconi, i sacerdoti,

dell’Amazzonia, e di tutto il mondo, che hanno lavorato nel recente sinodo1?

 

Mi sembra che ci diano tre risposte.

 

La prima è la grande attenzione ai due milioni e mezzo di indigeni

che abitano in Amazzonia.

 

Il sinodo ha affermato la necessità di creare o mantenere

un'opzione preferenziale per le popolazione indigene.

 

La Chiesa deve essere alleata delle popolazioni indigene.

 

La Chiesa oggi ha l’opportunità storica di prendere le distanze

dalle nuove potenze colonizzatrici,

prestando ascolto ai popoli amazzonici,

esercitando la sua attività profetica in modo trasparente.

 

Il Sinodo chiede, ad esempio, una maggiore conoscenza delle religioni indigene e dei culti afrodiscendenti.

 

E quanto bene faranno i profumi antichi dei popoli amazzonici

che contrastano la disperazione che si respira spesso nel nostro mondo moderno!

Quanto bene faranno i loro valori di reciprocità, di solidarietà

e di senso di comunità!

 

Da questo invito, possiamo cogliere una chiamata ad una povertà del cuore

che riconosce che la nostra cultura occidentale, con tutte le sue ricchezze,

non è l’unica cultura,

e che ha tanto da ricevere da tutte le altre culture del mondo.

Un cuore povero si apre alla cultura dell’altro,

fa spazio all’altro con la sua cultura:

Questo è beatitudine.

E questo oggi è essenziale anche tra le generazioni!

 

Un secondo tesoro che possiamo cogliere nel sinodo per l’Amazzonia

è l'appello ad una vera conversione ecologica,

secondo cui tutto è intimamente connesso.

Questo si traduce in un atteggiamento che collega

la cura pastorale della natura alla giustizia per i più poveri e svantaggiati della terra.

 

L’ecologia integrale è l’unico cammino possibile

per salvare l’Amazzonia dall’estrattivismo predatorio,

dallo spargimento di sangue innocente

e dalla criminalizzazione dei difensori dell’Amazzonia.

 

La conversione avverrà quando si capirà

che i criteri commerciali non sono al di sopra dei criteri ambientali e dei diritti umani.

 

Molto preziosa è anche la definizione del peccato ecologico

come un’azione o un'omissione

contro Dio, contro il prossimo, contro la comunità, contro l’ambiente,

contro le future generazione, e contro la virtù della giustizia.

 

Cogliamo da questo secondo punto

che povertà del cuore è vivere il creato in un modo umile,

senza appropriarcene, senza arrogarci il diritto di abusare delle creature.

Si tratta di un rapporto nuovo ed umile con il creato, a partire da sorella acqua.

Questo è beatitudine.

*

Il terzo punto che vorrei sottolineare del dono di questo sinodo

è il rapporto con le tradizioni della Chiesa stessa.

 

Il sinodo invita a superare il clericalismo e le imposizioni arbitrarie

ed a rafforzare una cultura del dialogo, dell’ascolto e del discernimento spirituale.

Parla di una sinodalità che si traduce in corresponsabilità e in ministerialità di tutti,

in partecipazione dei laici uomini e donne ritenuti attori privilegiati”.

 

Il sinodo auspica che le donne possano ricevere i ministeri del lettorato, dell’accolitato,

e che si continui la riflessione sul diaconato permanente per le donne.

E per le comunità cristiane in cui possono passare mesi o addirittura anni

prima che un sacerdote torni per celebrare la messa

o offrire i sacramenti della riconciliazione o dell’unzione degli infermi,

il documento finale propone di stabilire criteri e disposizioni

per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità

che abbiano un diaconato permanente fecondo

e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato

potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile

per sostenere la vita della comunità cristiana

attraverso la predicazione della Parola e la celebrazione dei sacramenti

nelle zone più remote della Regione Amazzonica.

 

Da questo terzo punto colgo

che povertà del cuore è povertà nei confronti del nostro stesso tesoro ecclesiale.

Splendido, bellissimo, ricchissimo, dono di Dio, è il nostro tesoro ecclesiale,

ma niente può essere ricchezza per il nostro cuore.

Unica ricchezza del cuore sarà Gesù.

Questo è beatitudine.

 

Sono convinto che, se questo Sinodo ha dato fastidio,

non è soltanto per la questione dei viri probati,

è perché è un sinodo che ci invita, ci chiama alla povertà del cuore.

Ricordiamoci:

Dio ha scelto quello che è debole per il mondo per confondere i forti(1 Cor. 1,27)

 

Dio sia Benedetto per la bellezza della nostra cultura occidentale!

Dio sia Benedetto per la bellezza del Creato!

Dio sia Benedetto per i nostri tesori ecclesiali!

Ma niente deve diventare ricchezza per il nostro cuore.

Unica ricchezza è Dio, unica ricchezza è Cristo.

Siamo chiamati a perdere.

A perdere delle abitudini, dei modi di fare, delle sicurezze.

Saper perdere” è essenziale alla vita spirituale, diceva Chiara Lubich.

 

E’ questo saper perdere che ci apre il Paradiso!

Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli

Beati saremo insieme se non abbiamo tesori sulla terra,

se l'unico nostro tesoro è Gesù!

 

1 Cfr: https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2019-10/sintesi-documento-sinodo-chiesa-alleata-amazzonia.html

 

 

mercoledì 30 ottobre 2019 - XXX settimana T.O. - Rm 8,26-30 ; Lc 13,22-30 - Badia Fiorentina - Fr. Antoine-Emmanuel

 

 

La porta stretta


Gesù oggi ci chiama a lottare per entrare per la porta stretta.

Il verbo greco è agonizzare. (cfr Lc 13,24)

E’ una lotta severa!

 

Perché la porta non è facile da trovare.

Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita,

e pochi sono quelli che la trovano! (Mt 7,14)

 

Bisogna lottare per non prendere la porta larga e la via spaziosa che conducono alla perdizione.

Per non prendere la via della facilità.

 

E Gesù è chiaro:

Vi è un domani in cui tanti si sforzeranno e non potranno entrare.

E un dopodomani in cui la porta sarà chiusa,

e chi avrà frequentato Gesù e non sarà entrato rimarrà fuori.

 

L’invito di Gesù è quindi chiaro: bisogna entrare OGGI.

E non rimandare a domani.

 

La domanda iniziale era: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?” (Lc 13,23)

La risposta è quindi: datevi da fare oggi!

Lottate insieme oggi!

Per entrare insieme!

 

E’ una porta stretta … in cui si entra solamente insieme!

 

Ma che cos’ è la porta stretta?

 

Ci risponde a modo suo Paolo, oggi, nella Lettera ai Romani:

La porta stretta è di dire di SI al disegno di Dio.

Quelli che egli da sempre ha conosciuto,

li ha anche predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo,

perché egli sia il primogenito tra molti fratelli;

quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati;

quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati;

quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati.!(Rm 8,29-30)

 

La porta stretta è dire e ri-dire di SI a questo piano d’amore del Signore.

E’ non scappare dall’amore gratuito di Dio

che ci chiama, ci giustifica e ci glorifica…

 

E’ un triplice SI alla chiamata rivolta al peccatore che sono…

Mi chiama per nome… mi conosce… mi ama!

Alla giustificazione: mi libera dal peccato e mi chiama ad una vita nuova,

mi chiama alla libertà, alla bellezza dell’amore reciproco ormai reso possibile!

Alla glorificazione: mi rende partecipe della sua gioia eterna, per condividerla con gli altri,

specialmente con i più poveri…

 

Porta stretta, vero… ma che conduce alla VITA !

 

 

sabato 26 ottobre 2019 - XXIX settimana T.O. - Rm 8,1-11 ; Lc 13,1-9  - Badia Fiorentina - fr. Antoine-Emmanuel


 

Una vigna.

E nella vigna, un albero di fichi.


C’è la vigna, la grande vigna del creato,

e vi è l’albero caro, carissimo, che è la persona umana, plasmata il sesto giorno,

ad immagine e somiglianza di Dio. (cfr Gn 1,26)

Da questa pianta a Lui così cara, Dio aspettava un frutto,

un frutto maturo, bello, saporoso come lo è il fico:

la vocazione della persona umana è di assomigliare pienamente a Dio,

cioè di portare il bel frutto dell’amore: «Amore, gioia, pace,

magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22)

Quello che Dio aspetta da te, da me,

è un amore puro, disinteressato, casto e gioioso…

un amore che trabocca di misericordia:

«Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi.» (Gv 15,12)


E quante volte, sì quante volte, Dio è venuto nella vigna,

e si è avvicinato all’albero di fico per vedere se ci fosse un frutto buono!

Non che Egli avesse bisogno di quel frutto.

Ma desidera tanto che avvenga uno scambio di frutti,

che gli uomini incomincino a donarsi gli uni agli altri.

Il Suo sogno è che l’amore circoli tra tutti, ma tutti!

 

E quale gioia ebbe il giorno in cui scendendo nella vigna

vide germogliare sulla pianta tanto amata un frutto nuovo

un frutto bello, saporoso… il frutto che da sempre aspettava:

vide un ramoscello nuovo spuntato a Nazareth: Maria di Nazareth…

Era sempre l’albero di fico, ma di una purezza perfetta,

di un amore incontaminato…

Un ramoscello pronto a dare un frutto nuovo

che avrebbe potuto rinnovare tutta la pianta…

E il ramoscello nuovo di nome Maria disse di Sì,

diede al mondo il frutto nuovo, il Figlio di Dio…

Egli stesso accettò di fare della sua vita un dono,

anzi di diventare il concime dell’intera pianta, perché essa fosse totalmente rinnovata,

affinché ricevesse una vita veramente nuova.

 

Da quel giorno vi è un dialogo tra la giustizia divina

e la misericordia divina:

Dice la giustizia divina:

«Ecco, sono anni che vengo a cercare frutti su quest'albero, ma non ne trovo.

Taglialo dunque!». (Lc 13,7)

Ma la misericordia divina le risponde: «Lascialo ancora,

finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime.

Vedremo se porterà frutti per l'avvenire; se no, lo taglierai». (Lc 13,8-9)

 

Carissimi, siamo ancora, per poco, nel tempo della misericordia divina.

La misericordia divina sta zappando attorno a te.

Mette il concime.

E aspetta la tua conversione.

E la mia.

La nostra conversione all’amore.

 

Ma vi è una scorciatoia.

Il ramoscello: Maria.

Prendilo.

Mettiti alla scuola di Maria.

Meglio: mettila nel tuo cuore.

Meglio ancora: metti te stesso nel Suo cuore.

E incomincerai a portare lo stesso frutto che porta Lei: Gesù.

 

 

Domenica 20 ottobre 2019 - XXIX Domenica T.O.- Es 17,8-13; 2 Tm 3,14-4,2 ; Lc 18,1-8 - La Badia, Firenze - fr. Antoine-Emmanuel

 

Missione e gioia

 

«In quel tempo,
Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola

sulla necessità
di pregare sempre, senza stancarsi mai.»
(Luc 18,1)

 

Se guardiamo il testo in modo più letterale, leggiamo:

«Egli diceva loro una parabola sul fatto che bisogna pregare sempre

e non scoraggiarsi»

 

Gesù conosce il cuore dell'uomo.

«Egli infatti conosceva quello che c'è nell'uomo» (Gv 2,25)

Egli sa che noi tendiamo a scoraggiarci nella preghiera,

a scoraggiarci nella vita spirituale.

Proviamo facilmente

una forma sottile di stanchezza, di depressione spirituale insidiosa,

che fa sì che non ci si aspetti più granché da Dio.

Si prega, sì, ma con poca convinzione che Dio possa agire

a casa, in famiglia, al lavoro, nella città, negli ospedali, in Siria, in Irak, in Israele o in Venezuela…


Da qui questo richiamo, questo grido:

« Bisogna pregare sempre, senza scoraggiarsi.»

Una specie di NO alla tristezza che insidia la nostra anima,

un no all'accidia, un no al ripiegamento interiore chiuso alla speranza.

 

Per questo Gesù ci presenta una parabola,

e la Chiesa ci offre, come eco, un racconto dal Libro dell'Esodo.

 

Cominciamo dalla Parabola.

C'è una vedova che, avendo subito un'ingiustizia,

si reca dal giudice della sua città.

Il giudice, non avendo timor di Dio né rispetto per gli uomini,

non si cura del grido della donna

e non fa niente per lei.

Ma lei non desiste e non cessa di chiedere giustizia,

inseguendolo con insistenza giorno e notte!

 

Osserviamo, di passaggio, che tanta insistenza ci fa credere

da una parte che questa donna abbia dei figli da nutrire

e dall'altra che non abbia né figli adulti né parenti

in grado di difenderla!

 

E il giudice finisce per farle giustizia,

non per rispetto della giustizia, ma per poter stare in pace.


 

Perché Gesù racconta questa storia triste?

Per farci capire che, se un giudice così spietato

finisce col prendersi cura di una madre di famiglia rimasta vedova,

a maggior ragione Dio, nostro Padre, si prende cura di noi.

 

Ma quello su cui dobbiamo soffermarci in questa piccola parabola,

è l'insistenza, la perseveranza della vedova.

Ella avrebbe tutte le buone ragioni per smettere di chiedere,

per smettere di bussare alla porta del giudice,

per smettere di gridare.

Ma persevera.

Non dà ascolto alle mille buone ragioni

che vorrebbero scoraggiarla dal chiedere giustizia.

Ella dà ascolto al suo senso della giustizia e al suo cuore di madre,

Sa che Dio è dalla Sua parte,

e che l’iniquità, il potere malsano e sprezzante degli uomini non può avere l’ultima parola.

 

Gesù invita anche noi a fare questa scelta:

essere perseveranti nella preghiera.

Quando sentiamo tante notizie che parlano di sconfitte nel campo

della vita, della famiglia, dell'amore, della pace,

siamo tentati di abbandonare la preghiera...

Ed è un errore enorme.

La preghiera non cessa e non cesserà mai di trasformare il mondo.

«Dio farà giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui !»

«Li farà forse aspettare a lungo?

Io vi dico che farà loro giustizia prontamente» (Lc 18, 7-8)

 

Il Padre ascolta le nostre invocazioni, ascolta le nostre grida.

Il Signore è in ascolto della parte più profonda,

della parte più vera, del grido della nostra anima.

Quello che la nostra anima crede veramente e chiede veramente,

il Signore l'ascolta, il Signore l'esaudisce.

Egli fa giustizia!

*

Soffermiamoci ora sulla prima lettura.

Il popolo d'Israele è un popolo in cammino verso la Terra Promessa.

Ma si trova di fronte all'ostilità degli Amaleciti

che «vennero a combattere contro Israele a Refidim ». (Es 17,8)

 

Spinto dallo Spirito Santo, Mosè comprende che deve lottare con la preghiera.

Giosuè lotterà nella pianura, sul campo di battaglia, con gli uomini migliori,

mentre lui, Mosè, lotterà «sulla cima del colle» con la preghiera.

 

«Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva;

ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk.» (Es 17,11)

 

Certamente erano in pochi a vedere Mosè,

si vedevano Giosuè ed il suo esercito.

Ma l’essenziale si giocava sul colle!

Ci voleva Giosuè e la sua fatica nella pianura…

Ma la vittoria non poteva esserci, per Israele, senza l’intercessione di Mosè.

 

L’essenziale si giocava sul colle…

E l’essenziale si gioca ancora oggi sul colle della preghiera...

 

Fratelli e sorelle, noi abbiamo una responsabilità:

la responsabilità della preghiera.

 

La responsabilità di gridare a Dio giorno e notte

come la vedova del Vangelo.

«Giorno e notte»

Che sia giorno o che sia notte

nelle nostre anime, nelle nostre emozioni, nei nostri stati d'animo,

nella nostra vita spirituale …

 

La responsabilità di alzare le braccia dell'intercessione

per tutti quelli che, come noi, combattono le battaglie della vita,

dell'amore, della giustizia, dell'annuncio del Vangelo, nel mondo.

 

La responsabilità anche di sostenere le braccia di quelli

che non riescono più ad alzare le braccia,

come Aronne e Cur sostennero le braccia di Mosè.

 

Noi abbiamo, in fondo, una responsabilità comune,

quella di non cedere alla malattia dell'anima che è l'accidia,

lo scoraggiamento interiore,

e di crescere nella preghiera fiduciosa che Gesù ci chiede,

che la Chiesa ci raccomanda.


Carissimi, oggi, guardo a Mosè, guardo alla vedova,

e mi dico che, davvero, essi non si sono scoraggiati.

Come mai?

Qual è il loro segreto?

Come non cadremo nell’accidia?

 

Mi sembra che ci siano due risposte molto semplici:

la prima è che Mosè persevera nella preghiera

perché ama il suo popolo,

ama in modo viscerale questo popolo per il quale ha dato tutta la sua vita.

E credo che la vedova perseveri nella preghiera

perché ama i suoi figli, con tutto il suo amore di madre.

 

E' l'amore che ci rende perseveranti nella preghiera.

Perseveriamo nella preghiera

quando cominciamo ad amare, senza alcuna esclusione,

gli uomini e le donne del nostro tempo,

di tutte le nazioni, popoli e religioni.

L'amore infiamma la preghiera,

infiamma il cuore!

E' quindi una chiamata a chiedere una nuova effusione dello Spirito Santo

per un di più di amore,

per accogliere sempre di più nel nostro cuore i volti del nostro tempo.

Tutti.

 

La seconda è di andare da un Aronne e da un Cur,

cioè di chiedere aiuto a dei fratelli, a delle sorelle:

Aiutami a pregare”.

Prega per me”.

Insegnami a pregare”.

Osiamo chiedere le cose più semplici !

 

Con il cuore rinnovato nello Spirito Santo ed il sostegno dei fratelli,

potremo, sì, essere perseveranti nella preghiera per il mondo di oggi.

Ed è una gioia!! Una gioia profonda!

Credo che la tristezza sopraggiunga nell’anima quando pensiamo

di non poter più fare nulla per gli altri.

Ma questa è una menzogna.

Possiamo sempre bussare alla porta del cuore di Dio per gli altri;

possiamo sempre alzare le braccia dell'intercessione per gli altri.

La nostra vita fino all'ultimo respiro è una vita missionaria.

Siamo in missione fino alla morte.

Responsabili gli uni degli altri, fino alla nostra stessa morte,

perché possiamo scegliere di offrire le nostre sofferenze e la nostra morte

per gli altri.


Ma, fratelli e sorelle,

« Il Figlio dell'uomo, quando verrà,

troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8)


La risposta dipende da te …

Se tu ti impegni, nel più profondo dell'anima, nella preghiera e nel concreto dell'amore,

avrai dato senza alcun dubbio il tuo contributo

perché Gesù trovi la fede sulla terra

quando verrà nella Sua Gloria.

 

 

venerdi 11 ottobre 2019 - XXVII settimana T.O. - Gl 1,13-15;2,1-2 - Lc 11,15-26 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel

 

Gesù ha appena guarito un uomo sordo e muto,

un uomo che non poteva sentire, non poteva parlare,

che era come imprigionato, chiuso ,

chiuso dal male, chiuso da Satana.

E Gesù l’ha liberato, ha riaperto i suoi sensi.

Gesù è colui che ci apre,

che ci apre agli altri, che ci apre al creato, che ci apre a Dio.

 

Questa liberazione splendida viene però interpretata da alcuni in modo del tutto negativo.

Dicono che essa è stata opera di Belzebùl.

Perché? Perché non sopportano la libertà e la novità di Gesù.

Non accettano che Dio possa manifestarsi al di fuori di un certo quadro religioso:

Dio deve agire secondo quello che essi sanno e conoscono di Lui, e soltanto così.

Dio non ha il diritto di agire diversamente!

Ma, nella persona di Gesù, Dio si manifesta con una novità,

con un amore, con una libertà splendidi,

e ci chiede di fare posto a questa novità,

di permettere a Lui di agire in modo nuovo nella nostra vita e nella vita del mondo.

Il Vangelo dell’Incarnazione, il Vangelo della Croce e della Risurrezione

è un Vangelo sempre nuovo.

Dio vuole scrivere nella nostra vita una pagina sempre nuova del Suo Vangelo.

Gesù dà la giusta interpretazione del miracolo appena avvenuto:

Se io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi Il regno di Dio”. (Lc 11, 20)

Quel segno, quel miracolo, significa che il Regno di Dio è giunto fino a noi!

Questo regno è Regno di Dio!

Non è il regno del pensiero umano, non è il regno del nostro pensiero limitato!

È il regno di un amore più grande del nostro,

il regno di una libertà più grande della nostra,

il regno di una vita più grande della nostra vita.

 

Il regno di Satana è un regno che ci rinchiude, ci limita, ci schiavizza.

Invece il Regno di Dio è un regno che ci libera,

che spalanca l’orizzonte della nostra vita,

è un regno sempre più grande di noi.

 

Ma bisogna dire di sì a questa libertà!

Bisogna accogliere un orizzonte più grande dentro di noi.

Quante volte assomigliamo ad un uccello in gabbia, a cui si è aperta la porta della gabbia,

ma rimane dentro la gabbia!

 

Viene in mente la lettera ai Galati:

Cristo ci ha liberati per la libertà!” (Gal 5,1)

Il grande dono del Vangelo di Cristo è la libertà, la libertà dell’amore.

La possibilità di amare,

cioè la possibilità di donarci,

la possibilità di morire per l’altro,

perché non siamo più schiavi della morte:

possiamo ormai morire per l’altro.

La Risurrezione è già dentro di noi!


Ma su questa libertà bisogna vigilare:

State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo Il giogo della schiavitù” (Gal 5,1)

dice ancora Paolo ai Galati.

Perché c’è chi è venuto “a spiare la nostra libertà che abbiamo in Cristo Gesù,

allo scopo di renderci schiavi” (Gal 2,4)

È anche quello che dice Gesù nel Vangelo odierno.

Quando sei stato liberato da uno spirito cattivo, devi essere molto vigile;

perché, se non hai veramente desiderato questa liberazione,

se non sei deciso a vivere per Dio,

lo spirito cattivo vorrà tornare con altri spiriti peggiori di lui,

perché tu divenga di nuovo il “suo” palazzo, e per sempre. (cfr Lc 11, 24-26)

Attenzione alla nostalgia dei piaceri sbagliati,

attenzione alla nostalgia del peccato,

attenzione alla nostalgia della menzogna!

La nostra bella Libertà Cristiana è sempre minacciata

dalla carne, dalla pesantezza dell’io,

minacciata dal mondo, della mondanità,

minacciata dal diavolo,

ma quello che ci rassicura è che questa libertà è divina:

questa libertà è l’opera di Gesù in noi.

L’abbiamo sentito: Gesù si presenta oggi come l’uomo più forte della piccola parabola,

che vince il demonio, gli strappa via le armi e ne spartisce il bottino. (cfr Lc 11, 22)

Gesù è quest'uomo più forte nella vittoria della Croce.

È nell’avvicinarci alla Croce di Gesù che troviamo e ritroviamo la vera libertà.

È quello che viviamo in ogni Eucarestia:

torniamo alla Croce gloriosa di Gesù per ritrovare la nostra bella e gloriosa libertà!

 

 

Domenica 6 ottobre 2019 - XXVII settimana T.O. - Ab 1,1..2,4 – 2 Tim 1,6..14 ; Lc 17,5-10 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel

 

No alla paralisi spirituale!

 

Sono appena tornato dall’Ecuador,

dove ho accompagnato un pellegrinaggio di giovani disabili,

provenienti dal Canada.

In quest’inizio di mese missionario straordinario,

devo testimoniare quanto questi giovani disabili siano profondamente missionari.

Portano Gesù!

Aprono i cuori della gente e seminano la sapienza evangelica.

 

E noi? Siamo missionari?

Credo che spesso siamo alle prese con una sorta di paralisi spirituale

che ostacola la nostra missionarietà,

una paralisi spirituale che si può riassumere in due tipi di blocco:

Non ho abbastanza fede, e quindi non mi muovo”;

e “Il Signore - o la Chiesa - mi chiede troppo, e quindi non mi muovo”.

 

È questo doppio pericolo che Gesù mette in luce

nel Vangelo odierno.

 

Mi spiego.

 

Gli apostoli dicono al Signore: «Accresci in noi la fede!».

Non dicono di non avere fede in Gesù,

nel suo essere il Messia, il Redentore.

Ma chiedono che la loro fede sia rafforzata, accresciuta.

Aspettano da Gesù il dono di una fede più grande,

più chiara, più evidente, più coinvolgente.

Allora, saranno in grado di praticarla.

Allora, potranno fare anch'essi miracoli.

 

Come risponde Gesù?

«Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso:

Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.» (Lc 17,6)

 

Significa in qualche modo:

«Non procrastinate!

Non aspettate di avere una fede più forte per vivere la vostra fede».

 

La tua fede grande quanto un granello di senape, impegnala!

Investila subito!

Mettila in pratica.

Traduci in azione la fede che hai oggi.

Altrimenti sarai sempre in attesa di una fede più grande,

e non vivrai mai la tua fede.

Ad esempio, incontro un malato e so che Gesù può fare delle meraviglie nella sua vita.

Ma ritengo che la mia fede sia troppo piccola,

e non oso pregare con quel malato, su di lui.

Questa è una tentazione…

 

Non aspettare di avere una fede gigantesca…

Non aspettare di avere una fede luminosissima, senza nessuna domanda…

Non aspettare di avere una fede che non esisterà mai.

Buttati con la fede che hai….

 

«Custodisci, mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato.»

dice oggi Paolo a Timoteo. (2Tm 1,14)

La fede che hai oggi è una perla preziosa.

Tu la ritieni insufficiente…

Ma è una perla preziosa.

Prenditi cura di essa.

Non lasciarti ingannare e tentare.

La fede che già abita nel tuo cuore è bellissima,

perché è dono di Dio.

Non chiamare insufficiente quello che è divino in te…

Non si tratta di sognare una fede che crescerebbe secondo criteri umani,

ma di crescere nella fede che già hai…

 

La seconda forma di paralisi spirituale è questa:

«Il Signore - o la Chiesa - mi chiede troppo, e quindi non mi muovo».

 

Gesù parte da una realtà molto concreta.

Immaginate un servo che abbia reso il servizio che gli era stato richiesto.

Ha lavorato, ha sudato, si è dato da fare con serietà.

Poi, ad un certo momento, ritiene di dover ormai essere servito a sua volta:

«Ho servito, ho quindi diritto ora ad essere servito».

Dopo un certo sforzo, pretende di essere, lui, servito.

 

Mette, cioè, lui, un limite al servizio, al dono di sé.

 

«Ho risposto alla chiamata di Gesù,

ho camminato, ho obbedito, ho sudato, ho anche sofferto.

Ma ora, basta… c'è un limite.

Gesù non può chiedermi troppo.

C'è un limite nel donarsi».

 

Gesù ci fa capire che quest’atteggiamento non può andare bene.

Gesù senz’altro ci ha chiesto, ci chiede e ci chiederà “troppo”!

Perché ci chiede tutto.

E perché ci chiede quello di cui non siamo capaci.

Ci chiede qualcosa per cui è Lui e sarà Lui a darci la forza.

Lo dice Paolo a Timoteo:

«Con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo.» (2Tm 1,8)

Ma spesso dimentichiamo che è Lui a darci la forza…

 

Ci dice oggi:

«Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite:

Siamo servi inutili.

Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”» (Lc 17,10)

 

Non che quel che facciamo, quando seguiamo Gesù, sia inutile,

ma, letteralmente, siamo servi che non sono indispensabili.

Non siamo noi a salvare il mondo.

Il Salvatore è Gesù.

Il Regno non è opera nostra…

 

Rimaniamo e rimarremo servi del Regno che il Signore ci dona.

La Salvezza è opera di Gesù, nella Sua morte in croce,

nella Sua resurrezione e nel dono dello Spirito Santo.

E noi ne siamo i servi.

Solo servi.

E sempre servi.

 

Non schiavi che operano per paura o per costrizione.

Ma servi che agiscono per amore e per riconoscenza.

Ma sempre servi.

 

Non avanziamo alcuna pretesa dinanzi a Dio.

Non meriteremo mai la salvezza…

«Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, scrive ancora Paolo,

non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia.»(2Tm 1,9)

 

E se Gesù ci chiede: «Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi,

finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu»,(Lc 17,8)

così faremo.

 

Anche se riteniamo che sia troppo

Sarà sempre troppo.

Perché si tratta sempre di rispondere, di corrispondere a troppo amore!

 

Allora possiamo accogliere l’invito odierno di Paolo:

«Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l'imposizione delle mie mani.

Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza.» (2Tm 1,6-7)

Non aspettare un dono di fede straordinario;

Non pretendere di aver donato ormai abbastanza:

accogli il dono e la chiamata al servizio che sono già ora nella tua vita,

e mettili in pratica…

 

«Il giusto vivrà per la sua fede», ci ha ricordato il profeta Abacuc nella prima lettura.(Ab 2,4)

La fede è un tesoro straordinario che fa di noi dei viventi.

La tua fede è un tesoro straordinario che fa di te un vivente,

nella misura in cui ne vivi,

nella misura in cui, per essa, ti metti al servizio del Regno di Dio

acconsentendo a darti troppo,

ad amare troppo,

a soffrire troppo per il Regno.

Credi e mettiti al servizio del Regno con la fede che hai,

e sarai veramente VIVO.

Sarai il missionario che SEI.


 

 

Domenica 22 Settembre 2019 - XXV settimana T.O. - Am 8,4-7; 1 Tm 2,1-8; Lc 16,1-13 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel


 

Il nostro Libro di vita di Gerusalemme

ci indica una via molto concreta per vivere il voto di povertà,

ponendo come prima tappa l’umile accettazione delle nostre ricchezze.

La prima tappa della tua pasqua di povertà passa dall’umile accettazione delle tue ricchezze.

Qualunque cosa tu faccia o dica, eccoti ricco della tua fede, della tua speranza,

dell’amore della tua Fraternità, della tua cultura, della tua salute, della tua libertà,

fino a conoscere il perché della tua sete di povertà.

Da ciò non trarre motivo né di vergogna, né di vanità:

Dio non ha preferenze per nessuno.

Non te ne fare una colpa, ma non dimenticarlo mai.” (Libro di vita, n°95)

Dobbiamo accettare umilmente che siamo ricchi,

e questo è vero per tutti noi.

Il Vangelo odierno ci invita anche a riconoscere

che le ricchezze sane e legittime che possediamo ci sono state affidate da Dio

e che, all’ora del giudizio, il Signore ci chiederà conto

di cosa avremo fatto di quello che Egli ci ha affidato

Avverrà per noi quello che avvenne per l’amministratore nel Vangelo di oggi:

Rendi conto della tua amministrazione”. (Lc 16,2)

Ti ho affidato delle ricchezze fisiche, intellettuali, spirituali, familiari, culturali, materiali …

cosa ne hai fatto?

 

Sappiamo attraverso la parabola dei talenti

quanto sia insensato e malsano sotterrare i doni di Dio

per paura di Dio, (cfr Mt 25,25)

perché non conosciamo il suo amore e la sua misericordia.

Al contrario, quello che glorifica il Signore

è far fruttificare tutte le ricchezze che Egli ci ha affidate,

secondo il Suo disegno di Amore, a servizio del Suo Regno;

svilupparle per condividerle;

investirle nella banca dell’amore, come diceva la piccola Teresa del Bambino Gesù,

dove il più grande profitto è il dono.

Donare tutto e donarsi.

Far fruttificare tutte le ricchezze che Dio ci ha affidate

per umanizzare il nostro mondo, e, inseparabilmente,

per parlargli di Dio, per testimoniargli il Suo amore senza limite.

Perché l’orizzonte che abita la nostra anima

è quello che Paolo indica nella seconda lettura:

Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1Tm 2,4)

*

Ma il Vangelo di oggi non ci pone soltanto la domanda

sull’amministrazione dei beni che Dio ci ha affidati.

Ci offre una via, una via molto concreta…

Per toccare i nostri cuori, Gesù racconta una parabola che ci sorprende.

E’ la storia di un amministratore disonesto

che abusa della fiducia del suo padrone.

Il padrone viene a saperlo e, prima di licenziarlo, gli chiede di presentargli i conti.

Cosa fa questo amministratore?

Continua ad essere disonesto!

Utilizza il suo ruolo di intendente per alleggerire il debito dei servi del padrone,

affinché questi, pieni di riconoscenza, l’aiutino

quando egli si ritroverà disoccupato e senza risorse.

L’intendente ha un modo di fare disonesto,

e certamente il padrone non lo loda per questo.

Ma ha un'intuizione molto giusta, e, siccome il padrone è umile e vero,

riconosce il valore di questa intuizione.

L'intuizione è di usare la ricchezza che gli è affidata

per il bene di coloro che sono oppressi dai debiti.

Allora questi lo accoglieranno quando egli sarà spogliato dei suoi beni.

E' un’intuizione geniale:

i beni affidatici hanno una durata limitata;

un giorno non li avremo più… finiranno!

Ma quello che avremo dato agli altri, e specialmente ai poveri,

non ci verrà tolto,

anzi sarà la nostra ricchezza.

Quello che tu doni oggi, sarà il tuo patrimonio domani!

E’ quello che Paolo esprime in modo teologico dicendo:

L’amore non passerà mai” (1Cor 13,8)

Dice Gesù: “Ogni ricchezza puzza di ingiustizia, usatela

per farvi degli amici,

così quando non avrete più ricchezze,

i vostri amici vi accoglieranno presso Dio.” (cfr Lc 16,9)

Chi ci accoglierà in cielo?

Gesù certamente!

La Vergine ed i santi, senza dubbio.

Ma anche quella persona che avremo accompagnata quando era malata e morente;

quell’altra che avremo accolta nella nostra famiglia quando era in difficoltà ;

il giovane che avremo aiutato a studiare;

i migranti che avremo sostenuti;

le persone che avremo veramente portate nella nostra preghiera;

i salariati per i quali avremo creato del lavoro, e così via.

E’ tutto il contrario di quello che denuncia il profeta Amos

rivolgendosi a coloro che calpestano il povero e sterminano gli umili del paese. (cfr Am 8, 4)

 

Ecco la sfida: far fruttificare le nostre ricchezze umane e spirituali

per dare vita, per umanizzare ed evangelizzare il mondo.

 

Vorrei portarvi un esempio che viene da una terra che mi è molto cara: il Canada.

Vorrei parlarvi di Louise Brissette.

Siamo nel 1966, Louise ha vent’anni e ha appena avuto il suo diploma di fisioterapista.

Lavora in un ospedale.

E’ ricca:

ricca della sua fede, della sua energia, della sua creatività e della sua competenza professionale.

A 21 anni, parte per l’America Latina

e si mette a disposizioni dell’Università Centrale di Quito in Ecuador,

e aiuta un'equipe medica militare per il recupero di bambini handicappati.

Là, vede come sono trattati i bambini disabili:

i bambini arrivano dentro delle scatole,

40, 50, 80 bambini scaricati come una merce, spesso senza nome e senza età,

arrivano dalla montagna e dalla foresta equatoriale.

I camion passano zona per zona, e prendono tutti i bambini disabili,

vittime in tanti delle epidemie di poliomielite.

Il lavoro di Louise consiste nel formare terapeuti

che aiuteranno nella cura di tutti questi giovani.

Di ritorno nel Quebec, vi lavora fino al '75, quando riparte per il Camerun,

di nuovo per curare i bambini disabili,

e poi, quando ritorna in Canada, cosa fa?

Continua a far fruttificare i doni ricevuti,

adottando uno, poi due, tre … e infine 37 bambini disabili.

Trentasette figli che la chiamano “mamma” e che quindi hanno ormai una famiglia,

hanno fratelli e sorelle,

che hanno, grazie a dei volontari e ad alcuni dipendenti che collaborano,

una scuola ed una situazione di vita adatta a loro,

ed una vita piena di fede e di gioia irradiante.

Ecco la bellezza che zampilla quando facciamo fruttificare i doni che Dio ci ha affidati.

 

E quello che è magnifico, da Louise, è tutto ciò che danno i bambini:

la loro semplicità, la loro gioia, la loro fede.

Se andate su internet troverete questa bella espressione a proposito dei disabili:

dei “regali mal-imballati che sono un tesoro di amore”.

Questo ci fa capire che le nostre ricchezze sono anche le nostre fragilità,

i nostri limiti, le nostre povertà.

Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, scrive Paolo,

perché la potenza di Cristo agisca in me.” (cfr 2 Cor 12,9)

Ecco l’immensa grazia del mistero Pasquale .

Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio ”.(Rm 8,28)

Essendo la morte vinta, tutto nella nostra vita può portare frutto,

anche i nostri handicap, i nostri limiti,

e anche i nostri peccati, se li rimettiamo alla misericordia di Dio.

LA condizione è di non tenere nulla per noi, nei nostri cuori,

né i nostri peccati né qualunque ricchezza.

L’essenziale è mantenere il cuore povero.

Mai, mai, il nostro cuore sia avaro, sia chiuso.

Beati i poveri di cuore perché il regno di Dio appartiene a loro” (cfr Mt 5,3)

Signore, ti rendiamo grazie

per le nostre ricchezze fisiche, intellettuali, spirituali, familiari, culturali materiali,

e per tutte le nostre fragilità.

Il tuo Spirito Santo ci insegni come far fruttificare tutto

per umanizzare ed evangelizzare il nostro mondo

che ha tanto bisogno di amore

che ha tanto bisogno di Te. Amen.

 

 

venerdì 20 Settembre 2019 - XXIV settimana T.O. - 1Tm 6,2-12 - Lc 8,1-3 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel


 

Abbiamo contemplato ieri i gesti pieni di pentimento e di amore di Maria di Magdala,

che lava i piedi di Gesù con le sue lacrime. (Lc 7,36-50)

E oggi la vediamo già insieme alle sante donne che accompagnano Gesù

nel suo ministero,

nel suo andare di città in città a portare la gioia del Regno,

annunziando La Buona Notizia.

Come sono belle queste donne!

Come sono fedeli!

E sappiamo che le donne saranno le più fedeli quando verrà l’ora della prova,

l’ora del Golgota.

Scrive Marco:

Vi erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Màgdala,

Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome,

le quali, quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano,

e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme.” (Mc 15,40-41)

E molte altre donne

Che santità!

Santità al femminile.

 

L’amore della Maddalena, in particolare, fu così grande,

il suo dolore fu così profondo,

che Gesù, appena risorto, scelse di manifestarsi a Lei,

anche prima di salire al Padre per presentarsi a Lui nel Suo corpo glorioso.

 

Ma come mai le donne, le sante donne,

furono così fedeli, fino alla croce?

 

Mi sembra che l’Apostolo Paolo,

nelle sue raccomandazioni a Timoteo che abbiamo sentite oggi,

ci dia un elemento di risposta.

 

Paolo ci dice che tra le persone religiose ce ne sono alcune

che bramano le ricchezze.

E altre, no.

Per chi non è in ricerca avida di soldi, di denaro, di ricchezze,

la religione è paradossalmente… un guadagno!

Quelli invece che vogliono arricchirsi, cadono nella tentazione,

nell'inganno di molti desideri insensati e dannosi,

che fanno affogare gli uomini nella rovina e nella perdizione.” (1 Tim 6,9)

 

Possiamo adottare questo criterio, anzi allargarlo.

Le sante donne del Vangelo, seguendo Gesù, cercavano delle ricchezze?

Le sante donne del Vangelo, seguendo Gesù, cercavano il potere?

Le sante donne del Vangelo, seguendo Gesù, cercavano la fama?

 

Prendiamo l’esempio di Maria di Magdala.

Cercava il denaro?

No… al contrario, versò un vaso di profumo carissimo

- il che, fra l’altro, testimonia il suo essere benestante -!

Non cercava il denaro.

D’altronde il Vangelo odierno lo dice chiaramente:

Le donne assistevano Gesù ed i Dodici con i loro beni. (cfr Lc 8,3)

 

Maria di Magdala cercava il potere?

Il suo atteggiamento umile e pentito dice tutto il contrario.

 

Cercava la fama?

Se l’avesse cercata, non avrebbe certamente fatto il suo gesto di pentimento,

in modo quasi pubblico.

 

La sua motivazione nel seguire Gesù non è la ricerca di un certo benessere,

o di un potere o di un onore.

Che cos’è?

E’ l’amore.

Lo dice Gesù:

Maria ha scelto la parte migliore e non le sarà tolta”. (Lc 10,42)

 

Ecco il segreto delle sante donne.

Il loro amore è poco inquinato…

 

E quindi è un amore che è capace di salire il monte Calvario.

Invece, la brama dei soldi, del potere e della fama

rende impossibile la salita al Calvario con Gesù.

Non puoi!

 

Ma, per riprendere le parole di Paolo,

per chi non è in ricerca avida di ricchezze, di onore, di potere,

la religione è… un guadagno!

È un guadagnare Cristo!

La nostra ricchezza è Gesù, è il Suo amore, la Sua fedeltà eterna… Cosa c’è di più bello!?

Il potere… è di poter amare, di poter dare la nostra vita.

Un potere che è libertà!

E la fama?

È di esser conosciuti non dagli uomini, ma dal Padre

come figli amatissimi!!!

 

Sante donne, che tanto avete da insegnarci,

pregate per noi!

 

 

venerdì 13 Settembre 2019- XXIII settimana T.O. - 1Tm 1,1-2.12-14 - Lc 6,39-42 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel



Possiamo essere convinti di vederci chiaro, di porre uno sguardo giusto, vero,

sul marito, sulla moglie, sul confratello, la consorella, il vicino di casa, il collega di lavoro,

ma non è affatto vero perché abbiamo una trave nell’occhio.

Posso essere convinto di porre sugli altri uno sguardo di verità,

ma in realtà non sono in grado di vederli correttamente…

 

Allora, come vederci chiaro?

Gesù ci indica la via da seguire:

bisogna prima togliere la trave dal nostro occhio.

E come la possiamo togliere?

Abbiamo l’esempio di Paolo.

Paolo era convinto di vederci chiaro,

al punto che il Signore dovette renderlo cieco per un tempo

perché divenisse consapevole della sua cecità.

E come ritrovò la vista?

Con il battesimo.

Fu l’acqua battesimale, fu l’acqua viva della Pasqua di Gesù che lavò i suoi occhi.

Ci voleva la stretta unione con Gesù perché ci vedesse chiaro.

Gesù E’ la luce del mondo.

E’ questo che Gesù esprime con la guarigione di diversi ciechi,

anche di un cieco nato.

Sono venuto perché i ciechi vedano,

e perché chi pensa di vedere divenga cieco.”(cfr Gv 9,39)

La retta visione sulle persone ce l’ha Gesù, e Gesù solo.

È quindi a Lui che il Padre ha affidato il giudizio, quello individuale, come quello finale.

*

Cosa ne possiamo trarre?

L'impossibilità per noi di giudicare qualunque persona.

Voler giudicare è già di per sé una trave enorme nel nostro occhio.

Può giudicare una persona solo chi la conosce

in tutta la sua storia e fin nel profondo del cuore.

E conoscere, nel linguaggio che Dio ci ha rivelato,

significa amare, unirsi nell’amore all’altro.

Gesù è Colui che si è unito a noi nell'amore fino ad offrirci di essere con Lui un solo corpo.

Lui ci conosce, Lui vede chiaro, Lui ci ama, e nell'amore ci giudica;

giudica l'intenzione profonda del cuore.

E questo porterà a delle sorprese;

sorprese negative quando diremo: “Abbiamo mangiato con te,

ti siamo stati vicini, discepoli”;

e lui dirà: “Allontanatevi da me, non vi conosco”(cfr Lc 13,26-27),

perché il nostro cuore non era con Lui.

Sorprese positive, spiazzanti, quando diremo:

Ma quando ti abbiamo visto malato, migrante, morente, e ci siamo presi cura di te?” (cfr Mt 25,37-39)

 

A Gesù solo appartiene il giudizio.

Quanto a noi, nel momento in cui riconosciamo di non poter giudicare,

già una trave scompare dal nostro occhio,

perché ci mettiamo a guardare gli altri con umiltà.

Non posso giudicarti, ma posso amarti.

Il giudizio ci separa dagli altri, ci mette a distanza.

Il giudizio è molto spesso prodotto dalla paura o dall'invidia o dal rancore;

ma queste travi cadono quando ci apriamo allo sguardo di Gesù.

Non è più la pagliuzza nell'occhio del fratello che guardiamo, è il fratello che guardiamo:

il fratello come fratello,

il fratello nel suo intimo mistero,

il fratello come uno per il quale Gesù è morto,

il fratello che è diverso,

e questa diversità è veramente un dono ed una chiamata ad uscire da noi stessi.

 

Il giudizio ci fa stare chiusi dentro di noi, come in una fortezza,

mentre l'amore si fa uscire da noi stessi.

 

Allora non possiamo più pretendere di guidare gli altri,

perché saremmo dei ciechi che guidano altri ciechi;

ma possiamo farci carico dell'altro,

accogliendo Gesù come nostra guida sulla via dell'amore.

Nella Luce che è Gesù, il fratello è bello, è amabile!

 

Ciò non vuol dire che siamo buoni-buoni, pusillanimi, come se il male non ci fosse;

anzi nella luce di Gesù, il peccato ci appare in tutta la sua gravità, nel suo orrore;

ma lo vediamo non più identificando il fratello col suo peccato,

ma guardando il peccato come il nemico del nostro fratello,

schierandoci col fratello per aiutarlo ad accogliere Gesù, unico vincitore del Peccato.

*

Signore, liberaci dalla tendenza a giudicare e a condannare;

al contrario, il nostro sguardo sugli altri sia per loro

esperienza di misericordia,

di liberazione dalla condanna che spesso portano su loro stessi.

Donaci il tuo sguardo che ama, che spera, che benedice, che ridona fiducia. Amen.

 

 

martedì 10 Settembre 2019 - XXIII settimana T.O.- Col 2,6-15 - Lc 6,12-19 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel

 

Una notte.

Una notte intera di preghiera.

Una notte durante la quale Gesù dice di sì.

Sì a Simone che sarà roccia, Pietro;

sì ad Andrea;

sì a Giacomo;

sì a Giovanni;

e così via…

E sì a Giuda.

Anche a Giuda.

 

Gesù sapeva perfettamente quanto questi uomini fossero fragili, poco affidabili nella prova.

Conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza su un altro.

Egli infatti conosceva quello che c'è in ogni uomo.” (cfr Gv 2,24-25)

Sapeva che Giuda sarebbe stato un peso immenso per Lui,

per il suo ministero.

E che sarebbe stato il traditore.

 

E dice di sì.

Era la volontà del Padre.

Era la Sua volontà.

 

Una sapienza solo umana certamente non li avrebbe mai scelti.

Una sapienza solo umana certamente non ci avrebbe scelti.

Ma l’Amore sì!

 

E cosa fa Gesù?

Non discende dal monte per chiamarli:

li chiama sul monte.

Gesù li chiama nel luogo della sua preghiera,

dell’intimità con il Padre.

Li attira nel focolare dell’amore divino.

E, là, li sceglie.

L’Amore li sceglie e ne fa degli apostoli,

cioè degli inviati, degli uomini chiamati a uscire, a partire, ad andare verso gli altri.

 

L’amore divino non si ferma dinanzi alla fragilità umana.

Non fa una inversione ad U dinanzi alle nostre povertà,

ai nostri probabili tradimenti.

 

Ci ha scelti come scelse i Dodici.

La scelta dei Dodici non poggiava sulle sole capacità umane.

L’Amore scelse di donarsi a loro, di renderli capaci di un amore intenso,

di riempirli di Sé.

 

Quando il Signore ci ha scelti per essere suoi discepoli,

ha fatto un grande atto di amore.

E' stato l’inizio di un nuovo dono di Sé.

 

Quando Dio ci sceglie, non è una sfida, è una promessa.

E per noi la certezza che il dono di Dio ci sarà.

Simone non diventerà roccia con le proprie forze!

Diventerà roccia perché l’amore di Gesù lo renderà saldo,

anche attraverso la sua caduta nel cortile del Sommo Sacerdote e tutte le altre sue cadute.

L’esperienza dell’Amore di Gesù, della misericordia di Gesù

farà di lui un innamorato di Gesù,

e quindi una roccia nella fede!

 

Ma tutto ciò è possibile a condizione di vivere come scrive Paolo nella Lettera ai Colossesi:

Camminate dunque nel Signore Gesù Cristo, come l'avete ricevuto,

ben radicati e fondati in lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato,

abbondando nell'azione di grazie.

Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana,

secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo.” (Col 6, 6-8)

 

Questa la nostra parte: camminare nel Signore Gesù…

Non lasciarci ingannare dalle sapienze esoteriche che vanno di moda.

Dimorare in Gesù.

Allora si fa ogni giorno l’esperienza che fecero tanti malati nel Vangelo odierno.

Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.” (Lc 6,19)

Il Vangelo aggiunge un dettaglio:

Anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri, venivano guariti.”(Lc 6,18)

Il verbo greco per esprimere il tormento interiore ha la stessa radice della parola “folla”:

coloro, cioè, che avevano dentro di loro una “folla” venivano guariti.

Gesù ci guarisce, ci libera dalla “folla” rumorosa che ci portiamo dentro:

un caos di idee, di argomenti, di emozioni, di tentazioni, di pensieri cattivi…

In Lui ritroviamo l’unità interiore.

In Lui ritroviamo la pace interiore.

Tutto si unifica nell’unico comandamento dell’amore.

Ecco il frutto della Sua scelta:

l'unità interiore che ci permette quindi di partire,

di essere suoi testimoni, suoi apostoli.

 

Ti benediciamo, Signore, per averci scelti,

TI benediciamo perché la tua scelta è la nostra forza,

e ti chiediamo “la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza,

e che custodirà i nostri cuori e i nostri pensieri in Cristo Gesù.” (cfr. Fil 4,7)

 

Domenica 8 Settembre 2019 - XXIII settimana T.O. - Sap 9,13-18 – Fm 9.17 - Lc 14,25-33 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel

 

Il Vangelo di Luca è molto preciso:

una folla numerosa andava con Gesù.

In tanti camminavano con Lui, Lo ascoltavano, osservavano.

Se Gesù fosse interessato al successo, al numero dei tifosi,

sarebbe felice!

Una bella autoaffermazione: popolarità, fama! Tanti seguaci!

 

Ma è vero il contrario.

A Gesù non interessa il successo né il numero.

Interessa la verità, la verità dei cuori.

A Gesù non interessa che le chiese siano piene: interessa la verità nei nostri cuori.

 

Egli si voltò e disse…” (Lc 14,25)

Si rivolge a quelli che camminano con Lui, e, in qualche modo, li spinge ad interrogarsi

sul perché camminino con Lui.

Che nessuno si faccia illusioni,

che tutti si rendano conto che camminare con Lui è una cosa, essere discepolo è un'altra.

E bisogna riflettere, discernere, prima di decidere di diventare discepoli di Gesù.

Come ci si deve sedere e discernere

prima di intraprendere la costruzione di un palazzo che costerà tanto,

o prima di partire in guerra contro un avversario molto più potente.

 

E su che cosa bisogna discernere?

Gesù parla di tre esigenze per essere discepoli:

dare a lui la priorità assoluta nell'amore;

portare la propria croce;

e rinunciare a tutti i propri beni.

 

Si capisce che i discepoli siano pochi…

Si capisce che le chiese spesso siano vuote!

 

Gesù agisce in modo contrario a quello della pubblicità odierna.

Sembra, anzi, allontanare i candidati.

 

Chi, di fatto, accetterà queste tre esigenze?

Esaminiamole.

La prima, letteralmente, è di odiare tutti i nostri cari. (cfr Lc 14,26)

Vuol dire che, per seguire Gesù, bisogna avere il cuore libero dagli affetti che ci imprigionano.

Si tratta di odiare la possessività e la passionalità dell’amore umano.

Bisogna essere liberi dalla ragnatela degli affetti che ci tolgono la libertà interiore,

per poter dare a Gesù veramente il primo posto nel nostro cuore.

Allora, sì, potremo amare i nostri cari e i nostri nemici con un amore vero, puro, disinteressato.

Amarli in Gesù, con Gesù.

 

La seconda è di portare la propria croce. (cfr Lc 14,27)

La croce, si sa, è uno strumento di messa a morte dei condannati.

Portare la mia croce significa che acconsento

a portare le conseguenze dei miei errori, dei miei peccati,

di tutto ciò che è stato disordinato nella mia vita.

Assumo le mie responsabilità.

Il peccato è perdonato, e questo è il dono immenso di Gesù,

ma rimane la lotta contro le cattive abitudini.

Ciò che in me appartiene alla morte, vuole ancora regnare su di me,

e devo lottare per accogliere pienamente la vita.

C’è una sofferenza nel combattimento per la verità, la purezza, la tenerezza vera:

ecco la croce che bisogna portare.

 

La terza è di rinunciare a tutti i nostri beni. (cfr Lc 14,33)

Non possiamo essere discepoli di Gesù se siamo prigionieri dei nostri beni.

È come per gli affetti:

bisogna avere la libertà dell’uccello o del vento,

per essere sempre di più disponibili a Gesù, sempre di più nelle sue mani,

e quindi sempre di più nella libertà dell’amore.

 

Ecco…

Bisogna parlare chiaro: Gesù ci chiede tutto.

Tutto.

Perché vuol darci una vita veramente nuova, una libertà veramente nuova.

Quello che a noi appare una privazione, anzi come una forma di morte,

è in realtà l’apertura ad una vita nuova.

Nella nostra vita Gesù vuole poter dire: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”. (Ap 21,5)

 

Un esempio bellissimo di questo è nella seconda lettura.

Paolo chiede a Filemone

di porre sul suo schiavo fuggitivo Onesimo uno sguardo totalmente nuovo.

Lo vede come schiavo, lo vede come fuggitivo, lo vede come colui che l'ha tradito?

Gli chiede di guardare a lui come ormai è, come un fratello carissimo.(cfr Fm 15-16)

Questo significa che Paolo ha fiducia nell’opera dello Spirito Santo

nella persona, nel cuore, di Filemone.

Lo invita a vivere come uomo nuovo e ad incarnare questa novità nelle scelte più concrete della vita.

 

Quanto ci sentiamo inadeguati dinanzi a una tale sfida!

Ci viene in aiuto la prima lettura, dal Libro della Sapienza.

L’autore riconosce che i ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni.

A stento immaginiamo le cose della terra;

ma chi ha investigato le cose del cielo?

E risponde: chi avrebbe conosciuto il tuo volere se tu non gli avessi dato la sapienza

e dall’alto non gli avessi inviato il tuo Santo Spirito? (cfr Sap 9,14-17)

È lo Spirito Santo che illumina il fondo del nostro cuore

e ci dà il desiderio, anzi la voglia o la passione, per rispondere di sì alle esigenze di Gesù.

È lo Spirito Santo che fa di noi degli innamorati di Gesù.

È lo Spirito Santo che rivela al nostro cuore l’amore folle di Gesù

e ci fa capire che quello che guardiamo come esigenza durissima

non è altro che una via di liberazione, di libertà, di vita nuova.

 

Perché il desiderio di Gesù è di portare i nostri cuori all’incandescenza dell’amore.

Il suo Vangelo oggi è una chiamata forte ad uscire da ogni forma di morte

per vivere della Risurrezione, per vivere da risorti.

È un grido del cuore di Gesù: “Vieni, vieni alla vita!”

 

Allora emerge dal nostro cuore un grido di ringraziamento:

Grazie, Gesù, di parlarci così chiaro!

Grazie, Gesù, di rivelarci quello che ci impedisce di essere tuoi !

La vita nuova tua, la desideriamo, la scegliamo.

Non ci basta più camminare con te, vogliamo, sì, essere tuoi discepoli.

E, per esserlo, ci fidiamo di te.

Non sarà mai una questione di essere all’altezza:

si tratta di lasciarci attirare a te dal Padre.

Ce l’hai detto:

Vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre.” (Gv 6,65).

Padre Santo, eccoci, ci mettiamo nelle tue mani,

e ti chiediamo di attirarci a Gesù.

Oggi, in questo anniversario di fondazione,

ti chiediamo una sola cosa:

innamorarci di Gesù, innamorarci della sua Passione, della sua Croce, della sua Risurrezione.

Allora, insieme, potremo essere servi di Lui in questa Badia,

che è stata ed è Santuario del Cuore Eucaristico di Gesù;

casa di famiglia aperta a tutti,

dove dal Cuore del Risorto sgorga un fiume di grazia

offerto a chiunque entri.

Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio,

a Te ci affidiamo per diventare veramente discepoli del tuo Figlio.

 

sabato 7 Settembre 2019 - XXII settimana TO - Col 1,21-23- Lc 6,1-5 - Badia Fiorentina - fr Antoine-Emmanuel

 

"È lecito, non è lecito, è permesso, non è permesso...

Devi, non devi, fare questo o quello..."

 

Quanti "farisei" ci portiamo dentro, e quanto rumorosa può essere la loro voce dentro di noi.

E così si vive sotto il fardello della legge.

Tutto è legge...

 

E Dio... Chi è Dio? Colui che conta le tue inosservanze della legge!

 

Ma "Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi sotto questo fardello..." (cfr Mt 11,28)

ci dice oggi Gesù in qualche modo.

Difatti il racconto evangelico odierno è uno specchio

di quello che avviene nel campo della nostra vita, del nostro cuore.

 

Non era lecito raccogliere il grano di sabato,

e lo era ancora di meno un secondo sabato del primo mese,

e tale era il giorno di quell'avvenimento, secondo alcuni manoscritti antichi;

a quella data, vicina alla mietitura, era vietato mangiare il grano,

perché i primi frutti della mietitura andavano offerti a Dio.

Ed i Farisei vedono, interrogano, criticano, giudicano...

Quanto rumore anche dentro di noi!

 

Allora si manifesta Colui che è il Signore del sabato: Gesù.

Lui ci porta alla libertà.

Ci dona l' amore come unica legge.

Ci dona l' ascolto obbediente dello Spirito Santo come unico precetto.

 

Ormai, se la necessità di mangiare per vivere, per poter amare ,

ti porta a cogliere il grano e a mangiarlo di sabato,

sii felice e fallo!

Se la legge dell'amore - e non l'amore della legge-

se la fedeltà a Gesù, se la fedeltà alla missione,

ti portano a cogliere il grano e a mangiarlo anche il sabato del primo mese,

sii felice e fallo,

fallo liberamente, accogliendo la libertà che Gesù ci dona.

 

Gesù è nostro Liberatore.

Gesù è la nostra libertà.

 

Non guardare nello specchietto della tua giustizia,

come se tu fossi capace di giudicare te stesso

o come se tu fossi capace di essere giusto con i tuoi sforzi.

 

No! Guarda davanti, guarda l'orizzonte di libertà che Gesù ti offre, ci offre!

 

Ed è quello che ci insegna la lettera ai Colossesi.

Scrive Paolo: "Nessuno vi condanni infatti

in fatto di cibo o di bevanda o per feste noviluni e sabati.

Queste cose sono ombra di quelle future,

ma la realtà è Cristo".

Questo nel capitolo secondo (cfr Col 2,16-17).

Ma già nella lettura di oggi, dal primo capitolo:

"Un tempo, voi eravate stranieri, nemici di Dio,

stranieri alla volontà di Dio.

Ora Dio vi ha riconciliati.

Come? "Nel corpo della carne di Cristo",

mediante, cioè, la morte di Gesù sulla croce.

Dio vi ha riconciliati per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili dinanzi a lui.

Se noi accogliamo la morte di Gesù nella nostra vita, nel nostro cuore,

allora siamo santi, immacolati e irreprensibili dinanzi a Dio.

Non a causa dei nostri sforzi, ma a causa della nostra fede in Gesù Cristo.

Perciò Paolo aggiunge: purché restiate fondati e fermi nella fede.

Non in una fede che traballa, non una fede che esita, non una fede piena di paure.

Ma una fede fondata e ferma, essendo noi irremovibili nella speranza del Vangelo.(cfr Col 1,21-23)

 

Ecco quello che chiediamo oggi: diventare irremovibili nella speranza del Vangelo.

Basti pensare a quello che Paolo scrive nella Lettera ai Romani:

"Non c'è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù." (Rm 8,1)

Se tu sei in Cristo Gesù, se tu dimori in Cristo, se la tua fede è in Cristo,

se per te vivere è Cristo (Fil 1,21),

non c'è più nessuna condanna.

 

Siamo stati liberati e non viviamo più sotto il peso della legge.

La nostra legge ormai è la legge dello spirito,

cioè l'obbedienza allo Spirito Santo, che sempre ci spinge sulla Via dell'Amore.

In questa eucaristia chiediamo a Gesù la Sua libertà, la vera libertà.

 

Domenica 21 luglio 2019 - XVI Domenica T.O. - Gn 18,1-10a – Col 1,24-28– Lc 10,38-42 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel

 

Oggi facciamo come Abramo:

sostiamo all’ingresso della tenda,

per accogliere il Signore che viene attraverso la Sua Parola e la Sua Eucarestia.

Se Lo accogliamo, non c’è dubbio che una vita nuova sarà seminata in noi!

*

Vi ricordate del Vangelo di domenica scorsa?

Era la parabola del Buon Samaritano.

Era l’invito di Gesù a farci prossimo di chiunque troviamo nel bisogno.

Oggi abbiamo il Vangelo che lo Spirito Santo ispirò a San Luca

di collocare immediatamente dopo quella parabola.

 

Infatti, com’è generosa, com’è bella, l’accoglienza di Marta!

«Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.»

recita il Vangelo. (Lc 10,38)

Quindi, in questo momento, gli apostoli che sono per strada con Gesù

hanno qualche altra occupazione, qualche compito,

e Gesù solo entra nella casa di Marta.

 

Marta lo ospitò.

Marta accoglie Gesù con tanta premura.

Si dà da fare.

Antipasti, primi, secondi, e così via, e si può ben immaginare che prepari il pranzo o la cena

anche per i dodici e qualche altro discepolo, che verranno più tardi,

perché il Vangelo ce la mostra molto indaffarata.

Ma molto!

 

Che bel servizio!

Marta è tutta presa dal servizio.

Vuole fare bene, vuole fare il meglio, per accogliere,

per onorare il Maestro e i suoi discepoli.

E vede che sua sorella invece è seduta ai piedi di Gesù.

Il testo greco è sorprendente:

dice che Maria si è seduta accanto presso Gesù.

Una doppia insistenza sulla prossimità rispetto al Maestro.

Non è solo l’attenzione di un discepolo che ascolta un maestro, un rabbi,

vi è anche un atteggiamento amoroso.

Maria ascolta amorosamente Gesù.

Dimostra tanto amore. (cf Luca 7,47)

Tanto ascolto.

 

Marta, quindi, vede sua sorella seduta ai piedi di Gesù,

e non capisce.

Come mai Gesù, che vede benissimo che Ella, Marta, si dà da fare per preparare da mangiare

non manda Maria a darle una mano?

«Signore, non t'importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire?

Dille dunque che mi aiuti».(Lc 10,40)

 

Maria ascolta Gesù.

Marta invece dice a Gesù cosa deve fare.

Dice a Gesù in che modo Maria deve farsi prossimo di Gesù e degli apostoli che devono mangiare,

e mangiare bene.

 

La risposta di Gesù è più che sorprendente!

Non asseconda la richiesta di Marta.

Non congeda Maria.

Anzi, dice che Ella ha scelto la parte migliore che non le sarà tolta. (cfr Lc 10,42)

 

Era bello, era generoso, era magnifico, il servizio di Marta.

Ma c’è una parte migliore.

Questa parte migliore si chiama Amore.

Amore per Gesù.

Amore che consegna tempo, affetti, soldi, per Gesù;

che consegna la propria vita per Gesù.

 

«Marta era distolta per i molti servizi.» (Lc 10,40),

letteralmente, era tirata, lacerata, assillata da un servizio molteplice.

Il servire le aveva fatto perdere l’unità interiore.

Era diventata una donna dispersa interiormente.

Faceva tanto, ma aveva perso l’ascolto del cuore.

 

Gesù le dice oggi con chiarezza:

«Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno.» (Lc 10,41-42)

Marta è presa da tante inquietudini.

Tanta agitazione.

Ha perso l’unico necessario.

Fa tanto per Gesù.

Ma perde il rapporto con Gesù.

 

Oggi, Gesù ci invita a riaccogliere, a riscegliere l’unica cosa necessaria,

per non perderla mai:

custodire l’essenziale che è il rapporto vivo, amoroso ed obbediente con Gesù.

 

Prendiamo tempo, «perdiamo» tempo,

per sederci accanto presso Gesù,

amorosamente.

Lasciamo che l’amore abbia i suoi diritti nella nostra vita.

 

Guardate all’esempio di Paolo!

«Con le mie sofferenze», abbiamo sentito nella seconda lettura,

«completo in me ciò che Cristo soffre a vantaggio del suo corpo,

cioè della chiesa.» (Col 1,24)

L’amore per Cristo, l’amore di Cristo ha pervaso tutto nella sua vita.

Anche la sua sofferenza.

La Sua vita è divenuta una vita amorosamente sottomessa a Cristo.

«Per me vivere è Cristo» (Fil 1,21)

«Adesso», dice, «Dio ha voluto far conoscere questo progetto segreto, grande e magnifico,

preparato per tutti gli uomini. E il segreto è questo:

Cristo è presente in voi e perciò anche voi parteciperete alla gloria di Dio.» (Col 1,27)

Cristo è presente in voi.

E noi vogliamo rispondere con amore alla presenza di Cristo.

 

Carissimo, chi nel mondo di oggi dimostra gratitudine, amore, tenerezza a Gesù?

Chi?

Non è questa la nostra comune vocazione?

 

sabato 20 luglio 2019 - S.Elia - Sir 48,1..11b– Lc 9,28-36 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel

 

Al tempo di Elia andava di moda una nuova religiosità:

si manteneva ancora la fede antica dei Padri,

ma si accoglieva anche la religione dei vicini.

Non per amore dei vicini, non per apertura del cuore,

ma per il proprio interesse.

Questo orientamento veniva dall’alto:

il re Acab aveva sposato la regina Gezabele,

che faceva di tutto per diffondere il culto di Baal, il dio della natura.

Non il dio dell’Alleanza che ama il suo popolo,

ma il dio al quale si fanno dei sacrifici,

e che, in cambio, concede il benessere, il potere, le ricchezze.

Quindi era di moda fidarsi del dio d’Israele e di Baal.

E, man mano, si dimenticava il Dio d’Israele,

perché il piacere è immediato,

mentre la beatitudine non è nell’immediato, nell’effimero, nella superficialità.

 

Elia avrebbe potuto accettare tutto questo,

pensare come tutti, fare come tutti, vivere come tutti;

e lasciare che il popolo cadesse in un inferno di menzogne

che veniva presentato come un paradiso.

Un po’ come le pubblicità di oggi che offrono dei benefici illimitati… e ci si lascia ingannare:

perché tutto ciò che il mondo ci offre di illimitato

mette tanti limiti alla nostra libertà interiore.

 

Elia era un israelita come tutti gli altri israeliti,

ma egli disse di no a quello che andava di moda,

non solo per salvare se stesso,

ma affinché nessuno andasse perduto.

Aveva un cuore grande, e non si preoccupava solamente del suo destino,

ma del destino dell’intero popolo.

 

Per un certo tempo visse fuori dal mondo, attirato da Dio.

Dio non era per lui un’idea: era come una calamita, un amante.

Ed Elia aveva bisogno di tempi di solitudine, di solo a solo con Dio.

Non voleva isolarsi, non voleva chiudersi:

era attratto, aveva sete di Dio,

ma non si estraniò mai dalle vicissitudini del suo tempo.

Anzi si fece avanti sulla scena, anche politica, di allora

per ricordare che c'è un unico Dio.

 

Non ebbe paura di annunciare al re una grande siccità,

un’immensa prova per il popolo, il che lo fece diventare il primo nemico del re.

Non ebbe paura di sfidare pubblicamente e poi di uccidere tutti i sacerdoti di Baal,

il che lo fece diventare il più grande nemico della regina.

Voleva Dio e non voleva altro.

Non voleva compromessi.

Nessun compromesso.

Dio amato, Dio servito.

Dio solo, anche a costo della vita.

*

Ma anche Dio era innamorato di Elia.

Al punto che Dio permise che egli conoscesse un tempo di grande prova interiore,

in cui fu preso da grande angoscia, perché Gezabele lo minacciava di morte,

e fuggì nel deserto, desiderando morire.

Doveva conoscere la sua vulnerabilità.

Doveva conoscere la grande fragilità del suo essere,

per poter conoscere veramente Dio.

Dio che non si manifesta nel rumore del vento, del terremoto o del fuoco,

ma in una voce di fine silenzio. (cfr 1Re 19,12)

Elia doveva conoscere già il mistero Pasquale,

Doveva gustare l’umiltà di Dio.

 

Così fa Dio con i suoi amici:

li attira nel suo mistero, li configura a sé stesso.

Bisognava che Elia conoscesse il vero fuoco di Dio,

il fuoco del Roveto ardente,

il fuoco dell’Oreb.

Doveva fare un'esperienza di morte e di risurrezione.

Doveva essere già tra i discepoli di Gesù.

Allora sarebbe stato pronto ad affidare la missione profetica ad un altro, ad Eliseo,

e a lasciarsi portare nell’eterno Amore dal carro di fuoco.

 

Da Elia impariamo che l’uomo di Dio, quello vero,

è l’uomo consumato dal fuoco di Dio,

da un fuoco che lo brucia anche interiormente,

che lo configura alla passione redentrice di Cristo,

e quindi lo rapisce nella Sua risurrezione.

 

 

venerdì 19 luglio 2019 - XV settimana T.O. - Es 11,10-12,14 – Mt 12,1-8 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel

 

Questa sera, dobbiamo scegliere.

Da che parte stiamo?

 

Ecco la situazione.

Siamo in Galilea, in mezzo ai campi dove la messe è matura.

Ci sono spighe dorate belle e pronte per la mietitura.

Siamo di sabato, giorno sacro al Signore,

durante il quale ogni lavoro è vietato.

È un giorno per il Signore. (cfr Es 20,10-11)

 

Gli apostoli del Signore, Pietro, Andrea, Giovanni, Giacomo e tutti gli altri,

sono in un campo che non è di loro proprietà.

E stanno cogliendo delle spighe.

Le prendono nelle mani, le schiacciano con le dita

per recuperare i chicchi di grano, che poi mangiano.

Vuol dire che hanno fame, e che non hanno altro da mangiare.

Non hanno ricevuto ospitalità, nessuno ha dato loro da mangiare quel giorno.

Hanno davvero fame, perché il grano fresco, da solo, non è il miglior piatto della Galilea!

 

Ora che pensare di questo comportamento?

Era lecito cogliere del grano in un campo altrui?

Era lecito fare un lavoro di mietitura artigianale il giorno di sabato?

Qui dobbiamo fare una scelta di campo.

 

Da una parte ci sono i farisei che dicono di no.

Non è lecito!

«Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare di sabato» (Mt 12,2)

Loro guardano alla Legge.

Gli apostoli sono colpevoli.

Non importa la loro situazione, il loro vissuto, la loro persona.

Sono colpevoli.

Non si guarda alla persona, si guardano i fatti.

Essi vogliono una casistica precisa, secondo una logica chiara:

con tali azioni si merita la salvezza;

con tali altre azioni si è maledetti.

Punto e basta.

Sei da questa parte?

 

Oppure sei dall’altra parte?

Sarà quella della permissività?

Tutto è permesso?

Fa' quello che ti pare?

Fa' quello che ti senti di fare?

E quindi gli apostoli avevano ragione…

Punto e basta!

Ma non è di questo che ci parla il Vangelo.

 

Il Vangelo ci racconta un'altra storia.

Anzi, tre storie.

La prima è quella di Davide che, insieme ai suoi compagni,

«entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell'offerta,

che né a lui né ai suoi compagni era lecito mangiare, ma ai soli sacerdoti.» (Mt 12,4)

La seconda è quella dei sacerdoti nel tempio che vìolano il sabato

e tuttavia sono senza colpa. (Mt 12,5)

La terza è appunto il caso dei discepoli, oggi, nel campo di grano.

 

Qui non c'è più una determinazione meccanica, una logica anonima.

C'è l'attenzione alla persona, alla sua situazione, alla sua storia,

ed alla presenza di Dio:

a Davide, l’unto di Dio,

al Tempio, luogo della Sua presenza,

e a Gesù che è più di Davide e più del Tempio.

 

Dio non è un contabile.

Dio non guarda la storia dall’esterno, con un metro o un contatore.

L’uomo guarda l’apparenza, Dio guarda il cuore. (cfr 1 Sam 16,7)

Dio guarda la realtà.

Dio conosce la realtà di Davide, del pio sacerdote nel tempio o degli apostoli affamati.

Se gli uccelli mangiano il grano, non potrebbe mangiarne chi ha fame?

Se gli uomini non sono stati in grado di offrire da mangiare agli apostoli,

Dio vieta loro di mangiare perché è giorno di sabato?

Ma che Dio sarebbe!

No!

 

Cosa chiede Dio?

Qual è l’attesa di Dio?

Risponde Gesù con una chiarezza luminosa:

Misericordia io voglio e non sacrifici. (cfr Mt 12,7)

Dio non vuole sacrifici senza misericordia.

Vuole il sacrificio del cuore che è la misericordia.

Dio non vuole il cuore che accumula meriti e diviene autosufficiente.

Vuole il cuore povero e misericordioso.

 

Era lecito per Gesù esser appeso sulla croce, la vigilia del Grande sabato?

Per tanti uomini religiosi, era un bestemmiatore ed un maledetto!

Eppure Egli compiva l’attesa del Padre,

perché il Suo Sacrificio era tutto Misericordia.

Era l’Agnello il cui Sangue veniva versato per il perdono di tutti,

anche dei farisei, dei Galilei che lo odiavano.

 

Ed è quel medesimo Sangue che si troverà fra un po’ nei calici su quest’altare.

Il medesimo Sangue.

Il Suo Sangue.

Non si mette più, come nella prima Lettura odierna, sugli stipiti delle case,

bensì nella profondità dei cuori.

Beviamo il Sangue dell’Agnello.

Il Calice della Misericordia.

Lo beviamo a nome del mondo intero.

Con la speranza che il mondo scopra la Divina Misericordia.

Così da uscire sia dal regno della legge,

sia dal regno del piacere e dell’io.

Unica via d’uscita è la Misericordia Divina.

Unico Pastore è Gesù.

Unica Legge è l’Amore.

Unico Cibo eterno è l’Eucarestia.

 

 

venerdì 12 Luglio 2019 - XIV settimana T.O. - Gn 46,1..30– Mt 10,16-23 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel

 

 

«Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato.»(Mt 10,22)

Nel contesto di persecuzione di cui ci parla Gesù,

cosa significa perseverare fino alla fine?

Significa prendere le armi e lottare fino alla fine?

Significa lasciarsi massacrare fino alla fine?

No!

Si tratta di conservare un atteggiamento di fiducia fino alla fine.

La perseveranza, l’upoménè, è una fiducia nel Signore che non si spegne.

 

Si tratta di dimorare nella fede, quando non c’è più nessuna consolazione,

nessuna luce, nessuna ragione di credere.

Si tratta di partecipare alla fiducia di Gesù nel Padre che perdura fino in fondo.

La perseveranza cristiana consiste nel non riprendere noi in mano la situazione,

perdendo la fiducia in Dio,

ma nel rimanere nell’obbedienza interiore, nella fiducia interiore.

 

Gesù ci insegna oggi un aspetto molto concreto di questa perseveranza,

di questa upoménè.

Nell’ora della prova, non sarete più voi a parlare,

ma lo spirito del Padre vostro parlerà attraverso di voi. (cfr. Mt 10,20)

Sarà quindi un’esperienza molto particolare;

nella prova faremo l’esperienza del Carisma della parola:

una parola che sorge in noi, pur non venendo da noi.

È l’opera tipica dello Spirito Santo.

Quando rinunciamo a difenderci noi,

Lui ci difende.

Finché siamo forti noi, non può essere Lui la nostra forza.

Finché chiacchieriamo noi, non può parlare Lui.

 

La perseveranza cristiana è l’arte di rimanere nel silenzio interiore,

permettendo allo Spirito Santo di parlare Lui.

È la grazia che chiediamo questa sera ai piedi della croce:

la grazia del silenzio interiore,

la grazia di non rispondere al male con i nostri discorsi interiori,

la grazia di non costruire una fortezza di discorsi per proteggerci.

L’ultima parola la lasciamo al Signore;

il giudizio lo lasciamo al Signore.

 

Guardate: sono poche le parole di Gesù in croce.

Non c’è una parola di accusa;

non c’è una parola per affermare che Lui non è colpevole;

non c’è una parola per sostenere che non merita la maledizione.

Non prende le armi della parola,

ma chiede l’assoluzione di coloro che non sanno quello che fanno; (cfr Lc 23,34)

annunzia al buon ladrone la sua canonizzazione: «Oggi con me sarai nel paradiso»;(Lc 23,43)

affida Giovanni e noi tutti alla Co-redentrice: «Donna, ecco tuo figlio!» (Gv 19,26)

Chiede da bere per compiere la Scrittura, (cfr Gv 19,28)

Grida la sua sofferenza di essere abbandonato dal Padre(cfr Mt 27,46; Mc 15,34)

e al Padre si abbandona: «Padre, nelle tue mani, consegno il mio Spirito». (Lc 23,46)

E lancia un ultimo grido (cfr Mc 15,37; Mt 27,50), come tanti moribondi che chiamano la madre.

Nessun rancore, nessuna vendetta, nessuna maledizione.

Gesù ci insegna la vera perseveranza dell’amore,

che acconsente allo spogliamento, fidandosi del Padre.

Ci apre davvero una strada nuova:

un silenzio del cuore che a Dio solo dà fiducia.

Non mi fido dei miei discorsi, mi fido di Te, Signore.

Non è efficace la mia parola: è efficace la Tua parola.

 

 

 

Domenica 7 luglio 2019 - XIV Domenica T.O. - Is 66,10-14c – Ga 6,14-18– Lc 10,1..20 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel

 

Fa impressione, oggi, vedere la Cattedrale di Notre Dame a Parigi.

Una chiesa sventrata, denudata, che fa pensare ai versetti di Osea:

«La spoglierò tutta nuda e la renderò simile a quando nacque

e la ridurrò a un deserto, come una terra arida…» (Os 2,5).

È un’immagine, un riflesso della Chiesa nella grande prova,

della Chiesa che attraversa grandi purificazioni….

 

Ma oggi la liturgia ci invita a guardare al domani della Chiesa,

a quello che avverrà oltre la grande prova,

oltre il grande esilio.

Abbiamo difatti sentito un invito a rallegrarci con Gerusalemme, (cfr Is 66,10)

con una promessa straordinaria:

saremo allattati e ci sazieremo al seno delle sue consolazioni;

succhieremo e ci delizieremo al petto della sua gloria.

Perché così dice il Signore:

«Ecco, io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la pace;

come un torrente in piena, la gloria delle genti.» (cfr. Is 66,11-12)

 

Da dove verranno questa pace e questa gloria?

Da dove vengono già questa pace e questa gloria?

Ci risponde Paolo nella seconda Lettura.

La pace e la gloria ci vengono a patto che,

per ciascuno di noi, e per noi come comunità,

«non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo». (Gal 6,14)

Questo il Credo di Paolo.

L’unico mio punto di appoggio, l’unico mio caposaldo, l’unica mia fierezza,

è la croce di Gesù.

Il mondo ha perso il suo fascino,

il mondo con le sue ricchezze, con la sua arroganza, non mi parla più,

il mondo non può più essere il mio fondamento… impossibile.

Ed io per il mondo sono un morto.

Non entro più nei giochi di potere, di prestigio, di competizione,

di show business, di gara, … del mondo.

 

Per mezzo della croce di Gesù,

«il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo.» (Id.)

E, conclude Paolo, un'unica cosa conta: «l'essere nuova creatura». (Gal 6,15)

Per grazia, per pura grazia.

Tutti i giochi per meritare la stima di Dio e degli altri sono spazzatura…

Conta solo essere nuova creatura,

cioè uomini e donne che vivono non più di sé stessi e per sé stessi,

ma che vivono di Gesù, della Sua morte e risurrezione…

LA novità, l’unica novità è Cristo Risorto.

 

Ed è questa novità che abbiamo la missione di rivelare al mondo.

Soprattutto con la nostra vita.

Il Vangelo odierno manda in frantumi l’idea che la missione sia solamente per i Dodici,

quindi per i vescovi ed i preti!

No… Gesù ha designato 72 discepoli, e li ha chiaramente inviati in missione, a due a due.

Siamo quindi chiamati ed inviati tutti!

A tutti noi, Gesù affida la missione!

A tutti noi, Gesù affida la novità e la bellezza del Vangelo!

Siamo tutti portatori dell’annuncio più bello che ci sia!

 

Pensate a tutti i titoli sui giornali, nelle edicole, sulle pagine web…

Nessuna notizia è più bella e più nuova e più decisiva di quella che a noi è stata affidata!

Lo si capisce già con la prima immagine usata da Gesù: una messe.

Gesù non dice che magari ci sarà un po' di grano…

No!

Dice: «La messe è abbondante.» (Lc 10, 2)

Il dono della Pasqua di Gesù è già operante nel mondo.

La riconciliazione è già offerta.

Il cielo è aperto.

Il demonio è vinto.

«Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni

e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi.» (Lc 10,19)

Si tratta di raccogliere il frutto della messe!

Di raccogliere il frutto della Pasqua di Gesù, perché niente vada perso.

Possiamo lasciare marcire il grano?

Possiamo privare la gente, e specialmente i giovani, del dono che è la Pasqua di Gesù?

Anche se essere missionari significa essere mandati «come agnelli in mezzo a lupi» (Lc 10,3),

cioè essere feriti, e talvolta dilaniati dai media, dalla gente…

 

Come vivere la missione?

Come viverla quest’estate?

Possiamo tenere a mente 7 chiavi.

  1. Pregate il signore della messe…(Lc 10,2): saremo sempre insufficienti. La missione sarà sempre oltre le nostre forze, quindi avremo bisogno della preghiera; e avremo bisogno dell'aiuto degli altri: non è un affare in cui posso farcela da solo.

  2. Non portate borsa, né sacca, né sandali…(Lc 10,4): avremo come appoggio non dei mezzi umani ma la grazia di Dio. La nostra fiducia non è nell’ultima App, anche se può essere utilissima per l’evangelizzazione. Mio punto di appoggio è il Signore e la Sua Parola.

  3. Non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada...(Id.) Quando è l’ora della missione, la priorità è la missione, non è lo star bene con i conoscenti.

  4. In qualunque casa entriate, prima dite: «Pace a questa casa!».(Lc 10,5) Il primissimo passo è annunciare e trasmettere il dono inestimabile che è la Pace di Gesù, la riconciliazione con il Padre: Dio ti ama, Dio ti perdona, Dio ti aspetta, Dio è appassionato di te… Se la persona ha un cuore anche lievemente aperto, il dono di pace entrerà in lei. Se no, ritornerà su di noi.

  5. Chi lavora ha diritto alla sua ricompensa.(Lc 10,7) Occorre accettare di essere amati, benvoluti, senza cercare però quello che ci piace di più. Si tratta di entrare in una relazione, nell’amore reciproco.

  6. Guarite i malati... e dite loro «È vicino a voi il regno di Dio» (Lc 10,9): potremo infine entrare nel vivo della predicazione, con i suoi due aspetti ossia la preghiera per delle guarigioni che sono i segni del Regno e l'annuncio stesso: «È vicino a voi il regno di Dio».

  7. «Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».(Lc 10,20) La settima chiave, Gesù la dà ai 72 discepoli, al loro ritorno. Ed è essenziale. È la chiave che mantiene la comunità nella carità e nella fede, ed evita il settarismo orgoglioso…

La missione senz’altro è una gioia:

una prova, quella degli agnelli in mezzo ai lupi,

una fatica, quella degli operai della messe,

ma una gioia, la gioia della messe,

la gioia di vedere il Regno di Dio entrare nei cuori, trasformare le relazioni,

irrigare il mondo…

La gioia di vedere la chiara sconfitta di Satana, totalmente vinto,

la liberazione dal peccato,

la morte vinta…

Ma la gioia deve essere sempre di più una sola:

la gioia di sapere i nostri nomi scritti nei cieli.

 

Sì, fratelli e sorelle,

i nostri nomi sono scritti nei cieli.

Scritti con il Sangue di Gesù.

Scritti nel Cuore del Padre.

Scritti con la Scrittura dello Spirito Santo.

Per pura grazia.

Per puro amore.

Anche se la missione può essere sorgente di profonde gioie, e lo è,

Gesù ci chiede di attingere la nostra gioia a questa scritta celeste,

che non è una scritta individuale,

bensì una scritta in cui ci siamo tutti noi…

«I vostri nomi sono scritti nei cieli.»

 

martedì 18 giugno 2019 - XI settimana T.O. - 2 Co 8,1-9 – Mt 5,43-48 - Badia Fiorentina - fr. Antoine Emmanuel

 

«Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.» (Mt 5,48)

 

Insegnando sul Monte, Gesù tratta di tanti argomenti:

del digiuno, della preghiera, della castità, del non fare giuramenti, e così via…

Ma una sola volta troviamo questa affermazione:

«Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.»

o meglio: «Sarete perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.»

In che contesto?

Quando Gesù parla dell’amore dei nemici. (cfr Mt 5,44)

 

Il cammino della perfezione è quindi unico: è l’amore dei nemici.

Serve - e tanto! - il digiuno.

È vitale - e quanto! – la preghiera.

È preziosa - e come! – la castità.

Ma tutto ciò ha per meta la carità,

l’amore, che arriva all’amore dei nemici.

 

Abbiamo vari obiettivi immediati, come quello di vivere con serietà un digiuno

o vivere appieno un’ora di adorazione.

Ma abbiamo un unico obiettivo finale: la carità.

 

Il greco distingue bene lo scopos che è l’obiettivo immediato

dal telos che è l’obiettivo finale.

Unico è il nostro telos: amare.

 

Appunto, nel versetto:«Sarete perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.»(Id)

la parola «perfetto» traduce il greco teleios.

Il Padre è teleios.

Il Padre è perfetto: il Padre eternamente adempie il fine suo che è l’Amore.

Dio È Amore!

Anche noi, siamo chiamati ad essere «teleios»,

ad andare, cioè, fino in fondo nella nostra chiamata all’amore.

 

È quindi un appello a non fermarci a metà strada sulla via dell’amore,

a far sorgere il sole della nostra benevolenza sui cattivi e sui buoni,

e a far piovere gesti di tenerezza e di bontà sui giusti e sugli ingiusti.

Accettando anche noi il sole e la pioggia degli altri

quando siamo cattivi o ingiusti!

 

E quest’andare fino in fondo nell’amore è esigente.

Non è più il solo «amare il prossimo», in cui siamo ancora noi il centro,

ed amiamo chi è intorno a noi, alla nostra famiglia, alla nostra religione,

al nostro pensiero politico…

No!

«Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo” e odierai il tuo nemico.

Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano.»

(Mt 5,43-44)

Il centro non siamo più noi, bensì chiunque il Signore metta sul nostro cammino.

Ed è questo rinunciare ad essere noi il centro

che ci fa diventare figli del Padre celeste.

 

Di quest’amore che trabocca, abbiamo oggi un esempio

nelle Chiese di Macedonia,

nella prima lettura odierna.

Come hanno potuto sovrabbondare nella ricchezza della loro generosità?

Come hanno potuto dare secondo i loro mezzi

e anche al di là dei loro mezzi, spontaneamente?

Anzi, domandando a Paolo con molta insistenza la grazia

di prendere parte alla colletta in favore della Chiesa di Gerusalemme? (cfr 2Cor 8,2-4)

 

Grazie a due cose.

Due cose li hanno aiutati a dare, ad amare,

pur essendo nella grande prova della tribolazione:

la loro gioia sovrabbondante

e la loro estrema povertà. (cfr 2Cor 8,2)

 

Ci rendono capaci di amare al di là delle nostre capacità

la gioia e la povertà!

 

È prezioso questo…

Perché spesso ci diciamo che saremo capaci di fare tanto,

di amare tanto, quando saremo più comodi, più tranquilli, più ricchi…

Non è per niente vero.

L’amore non cresce con la ricchezza e le comodità.

L’amore cresce con l’accoglienza dello Spirito Santo in noi…

 

È lo Spirito Santo che ci porta verso il nostro telos,

che ci guida verso la verità tutta intera, (cfr Gv 16,13)

che ci accompagna verso un amore sempre più grande.

È quello che sta facendo in modo particolare dall’ultima Pentecoste.

Il dono ricevuto sta crescendo in noi….

 

 

Domenica 16 giugno 2019 - SS.Trinità - Pr 8,22-31; Rm 5,1-5; Gv 16,12-15 - Badia Fiorentina - Fr. Antoine Emmanuel

 

 

Vivere la Trinità


 

« Molte cose ho ancora da dirvi,

ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.» (Gv 16,12)

Cosa sono queste «molte cose» di cui Gesù ci parla oggi?

Queste molte cose che Egli aveva ancora da dire ai suoi apostoli ?


Quel che è certo è che gli apostoli “quella”sera, alla vigilia della Passione,

non sono capaci di « portarne il peso » …

E' troppo pesante per loro.

Essi non possono intuire il peso di sofferenza

che Gesù deve portare

per liberarci dal peccato e dalla morte

ed aprirci le porte del Cuore di Dio.

Questo richiede un dono di sé, un amore,

a cui non sono ancora pronti …

 

Essi non possono ancor meno immaginare

la quantità smisurata ed eterna di gloria, di felicità, di gioia,

che la Pasqua di Gesù ci apre. (cfr 2Cor 4,17)

Essi non possono ancora comprendere

l'altezza, la larghezza, la profondità, la grandezza (cfr Ef 3,18)

del mistero d'amore di cui sono i testimoni …

 

«Quando verrà lui, lo Spirito della verità,

vi guiderà a tutta la verità.» (Gv 16,13)

Verrà Lui, lo Spirito della Verità, il soffio divino della verità,

che scaccerà tutte le semi-verità e tutte le menzogne su Dio …

Lo Spirito della Verità che li condurrà, che ci condurrà, passo dopo passo,

verso «tutta la verità»,

che ci svelerà questo Amore sempre troppo grande per noi!

 

E Gesù aggiunge una frase molto sorprendente:

«Vi guiderà a tutta la verità,

perché non parlerà da sé stesso ...» (Id.)

 

Lo Spirito Santo non parla da sé stesso!

Non racconta il suo proprio mistero:

Egli è tutto rivolto verso il Padre e verso il Figlio.

 

Egli ci parla del Padre e del Figlio …

E' come se Gesù ci dicesse:

non aspettatevi che lo Spirito Santo vi riveli delle cose misteriose

che non hanno niente a che vedere con Gesù!

Non aspettatevi soprattutto che vi riveli i cosiddetti segreti

delle stelle, delle lettere, delle mappe...

Tutto questo è l'armamentario dei ciarlatani e la trappola di Satana.

 

Lo Spirito Santo è il frutto dell'Amore del Padre e del Figlio

e ci dice questo Amore, ce lo dona,

lo depone in noi.

 

E Gesù prosegue:

«E vi annuncerà le cose future» (Id.)

Le cose future che cosa sono?

Siamo alla vigilia della Passione.

Le cose future sono la Passione, la crocifissione,

l'abbandono del Padre, la morte, e la resurrezione di Gesù,

sono la Pentecoste e la Chiesa.

In breve, sono tutto il Mistero Pasquale!

Lo Spirito Santo ci racconta le ricchezze infinite

del Mistero Pasquale di Gesù!

 

Lo Spirito Santo è Colui che ci dice questo mistero, questo Amore,

che ce lo dona, che lo depone in noi.

Il più grande «segreto» della storia, della mia storia, della tua storia,

della storia dei popoli e delle civiltà,

-che non è un segreto ma un mistero-

è Gesù!

Tutto ciò che esiste ha in Gesù la sua chiave di interpretazione,

perché tutto è stato creato in Lui e tutto converge verso Lui! (cfr Col 1,16)

Egli è il nostro Alfa e il nostro Omega.

In Lui tutta la nostra esistenza trova il suo significato;

e tutto nella nostra vita acquista senso.

 

Allora cosa fa lo Spirito Santo?

Non ci fa un corso di teologia!

Ci fa vedere il legame vivo tra la nostra vita e Gesù.

Ci fa scoprire che c'è un legame molto profondo, molto intimo, unico,

tra Gesù e noi; un'articolazione profonda, qualcosa di inseparabile,

che rende la nostra vita più bella e più preziosa di quanto noi l'immaginiamo.

 

Noi non siamo un « caso » o un « numero »,

o un « problema » o un « fallimento »,

perché tutto nella nostra vita trova in Gesù

il suo significato, la sua realizzazione, la sua liberazione,

anche e soprattutto le nostre miserie, i nostri peccati, quello che ci procura vergogna …

 

Allora noi cominciamo a guardare la croce con stupore!

Ecco la mia salvezza, la mia speranza, la mia gioia …

Lo Spirito Santo si ritira ed eccoci nelle braccia di Gesù!

 

Noi accogliamo il suo giudizio, perché Egli è il giudice,

e perché il male è male, il peccato è peccato.

 

Ed accogliamo al tempo stesso la sua misericordia, il suo sangue.

Il sangue di Gesù penetra nelle pieghe della nostra coscienza

e ci permette di guardare quello che non osavamo guardare in noi,

ci permette di ri-sollevarci e di ritrovare la nostra dignità

o piuttosto di scoprire la nostra vera dignità:

quella di discepoli perdonati,

di figli e figlie di Dio tanto amati,

fieri di essere amati d'un amore così gratuito!

 

E che fa Gesù?

Anch'Egli fa un passo indietro.

E ci invita a condividere il suo sguardo tutto rivolto verso il Padre,

ad amare il Padre con Lui, come Lui.

Gesù condivide con noi il suo cuore per amare il Padre!

E' quanto ci ha detto l'apostolo Paolo nella seconda lettura:

«Noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo.

Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede,

l'accesso a questa grazia nella quale ci troviamo.» (Rm 5,2)

 

E anche di questo lo Spirito Santo è l'artigiano discreto.

E' sorprendente: le Persone divine lavorano nell'ombra;

nell'ombra dell'Amore,

per condurci non a sé, ma all'Altro …


In Dio non c'è possesso:

tutto è dono.

Per Dio noi non siamo degli oggetti di possesso:

siamo il faccia a faccia di un amore eterno!

 

Festeggiare la Trinità è un poco questo!

E' dire di SI all'Amore dei Tre!

Prendere una boccata d'aria fresca,

per vivere meglio il quotidiano

con le sue pesantezze, le sue angosce, i suoi problemi,

per farvi una potente infiltrazione di speranza e di tenerezza.

*

Poiché i miei fratelli e le mie sorelle hanno suggerito di rendere grazie

oggi per i miei primi 25 anni di sacerdozio,

vi dico con molta semplicità qualche parola.

 

Per prima cosa, ieri sera, mi sono congratulato con Gesù

per i suoi 25 anni di sacerdozio in me!

Non è retorica, perché per me

è molto chiaro che il sacerdozio è Gesù!

E Lui mi ha risposto che l'aveva fatto con Maria …

 

Poi due parole

su quello che la Trinità ha significato per me nel corso di questi anni.

 

Quello che ha certamente segnato

i miei primi anni di sacerdozio a Parigi e a Strasburgo

è lo sguardo sulla Trinità.

Cercare di guardare…

Ed io vedevo come un'altissima cascata in montagna,

simile a quella che avevo visto in uno dei grandi parchi della California.

Un'acqua pura che sgorga dal cuore del Padre.

E il Figlio che riceve questo puro amore con una gioia infinita,

che l'offre di nuovo al Padre … e che l'offre a noi.

 

Questo mi ha aiutato ad uscire da me stesso,

come l'uccello che esce dal suo nido e guarda il mondo.

 

In seguito c'è stata, nel 1996, la grazia dell'effusione dello Spirito Santo,

grazie al Rinnovamento carismatico.

In questa occasione sono stato aiutato da alcuni laici a mettermi sotto la cascata!

E ne avevo tanto bisogno,

soprattutto per imparare ad amare.

Lo Spirito Santo ha lavorato molto per liberarmi da tante paure,

per liberare la Parola,

per liberarmi dalla regola,

dalla preoccupazione per l'immagine mia e della comunità,

per ciò che brilla, …

E continua a lavorare!

 

Non si tratta soltanto di guardare alla Trinità:

ma di immergersi in essa!

Mi piace molto l'immagine di sant'Agostino che dice che il mistero di Dio

è come l'acqua del mare:

non la si può mettere in un bicchiere!

Ma ci si può tuffare in essa!

 

Poi è arrivata la grazia di conoscere

l'esperienza di Chiara Lubich e Igino Giordani,

fondatori del movimento dei focolari.

Io avevo scoperto il loro insegnamento qui a Firenze nel 2002,

ma, dopo un ritiro nel 2015 in Québec, è divenuto essenziale nella mia vita.

La Trinità credo che siamo chiamati a viverla tra noi!

Vivere la Trinità! Sì!

Vivere delle vere esperienze trinitarie

che sono un po’ di cielo sulla terra.

 

Dio vuole stabilire tra noi il suo modo di amare.

Egli vuole tessere tra noi dei legami che sono quelli del Regno dei cieli.

Questo si chiama amore reciproco,

interiorità reciproca,

amicizia pasquale, …

Ho amato ancora di più quello che Pierre-Marie ci ha dato

come prospettiva nel nostro Libro di vita:

«Accogli l'invito all'amore fraterno come l'aprirsi ad un grande mistero,

perché con esso entrerai nell'essere stesso di Dio» (n.6)

 

Cari fratelli e sorelle,

lo dico con tutto il cuore:

sono profondamente felice di essere sacerdote.

Ma non lo sono da solo.

Sarei incapace di esserlo da solo.

Lo sono in Gesù. È evidente.

Lo sono con Maria. È evidente.

Lo sono con voi.

Sono con voi prima d'essere per voi.

Il Signore mi conduce con vincoli d'amore, come dice il profeta. (Os 11,4)

So che io sono veramente quando amo

e quando mi lascio amare …

Ed è il mio continuo lavoro di conversione …

 

Sacerdoti lo siamo tutti.

Diventiamo quello che siamo quando facciamo della nostra vita un dono.

E' per questo che celebriamo l'Eucarestia:

per immergerci nuovamente nel dono di Gesù,

per poter meglio donarci.

 

 

venerdì 7 giugno 2019 - VII settimana d Pasqua - At 25,13-21 – Gv 21,15-19 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel


 

Il frutto dello Spirito Santo è … fedeltà

 

Il frutto che chiediamo oggi in questa novena di preparazione a Pentecoste

è la fedeltà,

la fedeltà nell'amore.

 

Ricordiamoci che c'è un solo frutto dello Spirito: l'Amore;

mentre ci sono tante opere carnali,

tante passioni, tanti desideri carnali (cfr Gal 5,24).

L'uomo vecchio, il mondo, il diavolo ci portano

alla dispersione, alla divisione, ci dis-articolano.

E fanno sì che ci divoriamo gli uni gli altri (cfr Gal 5,15)

L'uomo nuovo invece è unificato.

Unificato intorno ad un solo amore: l'Amore di Dio.

Tutto è ordinato, unificato dall'amore per Dio.


Ciò che chiamiamo “i frutti dello Spirito” sono i colori

dell'Amore di Dio «riversato nei nostri cuori»

dallo Spirito Santo. (Rom 5,5)

Lo Spirito Santo effonde in noi un modo di amare

che è quello di Dio.

E questa arte di amare è caratterizzata

dalla gioia, dalla magnanimità, dalla benevolenza, ecc ...(Gal 5,22-23),

che sono tutti colori dell'Amore.

 

Quindi oggi benediciamo il Signore che ci vuole

rendere fedeli nell'amore;

ci vuole dare un amore fedele,

cioè un amore sul quale si può contare:

gli altri potranno contare sul nostro amore.

 

Se facciamo spazio allo Spirito Santo,

se ci lasciamo guidare da Lui,

se obbediamo alle sue mozioni,

ameremo di un amore sempre più vero

e sempre più fedele.

 

Oggi gli altri possono contare sul nostro amore?

Oppure il tuo, il mio amore

è come rugiada del mattino

che presto scompare? (cfr Os 6,4)

Siamo entusiasti, generosi per un momento

e poi dimentichiamo gli altri?

Come il figlio della parabola che dice di sì,

ma non va a lavorare nella vigna... (Mt 21,28-31)

 

Pensate che dono saremmo per gli altri

se il nostro amore fosse stabile?

Dico «stabile» perché la parola “pistis” corrisponde all'ebraico “Amen”,

e quindi vuol dire “stabilità”, come di una roccia.

Se il mio, il tuo amore, avesse la stabilità di una roccia …!

 

Mi direte che è impossibile...

e che comunque “come una roccia” sarebbe triste!

Vi rispondo che certo è impossibile all'amore umano

perché il cuore umano è così “malato” (cfr Ger 17,9)!

Ma quando l'Amore di Dio è riversato (cfr Rom 5,5) nei nostri cuori,

allora riceviamo la fedeltà del divino amore...

che è più solido della roccia

più solida.

E' eterno.

E non è triste. Non è ripetitivo.

L'amore di Dio è sempre nuovo.

Ed è pieno di tenerezza.

Le bontà del Signore non sono terminate.

Le sue tenerezze non sono finite.

Sono nuove ogni mattina.

Grande, Signore, è la tua fedeltà! (cfr Lam 3, 22-23)

 

L'Amore di Dio non si ripete mai.

E' tenerezza sempre nuova.

In questo stesso momento in cui vi parlo

Dio Trinità ha una tenerezza tutta nuova

per ciascuno di noi e per il popolo che formiamo.

 

In Dio, la fedeltà non è noia … tutto il contrario.

Ed è questa tenerezza sempre nuova

che lo Spirito Santo viene a deporre nei nostri cuori.

Se l'accogliamo, gli altri troveranno

in noi un amore stabile e sempre fresco.

Saremo gli uni per gli altri dei servi buoni e fedeli! (cfr Mt 25,21.23)


Allora preghiamo, come Gesù ci ha insegnato...

«Se noi che siamo cattivi

sappiamo dare cose buone ai nostri figli,

quanto più il Padre darà lo Spirito Santo

a coloro che glielo chiedono».(cfr Lc 11,13)

Ma ricordatevi dell’inizio della parabola:

si tratta di un uomo che chiede del pane non per sé,

ma per darlo a chi ha bussato alla sua porta.(cfr Lc 11,5-8)

Chiediamo lo Spirito Santo non per potenziare il nostro io,

ma per amare gli altri di più,

molto di più.

 

martedi  4 giugno 2019 - VII settimana di Pasqua - Atti 20,17-27 – Gv 17,1-11a - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel


 

«Padre, è venuta l'ora: glorifica il Figlio tuo»

Perché Gesù chiede al Padre di essere glorificato?

Innanzi tutto, per glorificare il Padre:

«perché il Figlio glorifichi te.» (Gv 17,1)

E poi, inseparabilmente,

siccome il Padre gli ha dato potere su ogni essere umano,

perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che il Padre gli ha dato. (Cfr Gv 17,2)

 

Gesù chiede la gloria per donare a noi la vita eterna.

Ecco quanto siamo cari a Gesù!

 

Ma cos’è la vita eterna?

È la vita che non è più bloccata, asfissiata, distrutta dal peccato e dalla morte!

E questa vita, Gesù la vuole per noi fin d'ora, su questa terra:

La vita eterna quaggiù è che conosciamo il Padre, l'unico vero Dio,

e colui che ha mandato, Gesù Cristo. (Cfr Gv 17,3)

 

Siamo vivi quando conosciamo il Padre e il Figlio.

La conoscenza di Dio, che è l’unione amorosa con Dio,

l’immergersi nella Trinità, questo è VIVERE.

*

Avendo fatto questa preghiera, Gesù fa al Padre una confessione bellissima:

«Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l'opera che mi hai dato da fare.»

(Gv 17,4)

Gesù, nel suo pellegrinaggio terreno,

aveva un’opera da compiere.

E l’ha compiuta!

Ed è esattamente la stessa cosa che Paolo,

in quanto imitatore amoroso di Gesù, desidera compiere!

Agli anziani di Efeso, dice oggi:

«Non mi sono mai tirato indietro da ciò che poteva essere utile» (At 20,20)

Ed insiste:

«Non ritengo in nessun modo preziosa la mia vita,

purché conduca a termine la mia corsa e il servizio

che mi fu affidato dal Signore Gesù,

di dare testimonianza al vangelo della grazia di Dio.» (At 20,24)

Ecco il vero discepolo!

Non ha che un desiderio: condurre a termine la sua corsa

e il servizio che gli fu affidato dal Signore.

 

Carissimi, non sarebbe tanto bello

che, anche noi, potessimo dire a quelli a cui siamo stati inviati:

«Non mi sono sottratto al dovere di annunciarvi tutta la volontà di Dio»? (At 20,27)

 

Anche noi abbiamo un’opera da compiere!

Anche noi abbiamo un servizio che ci è stato affidato dal Signore!

Un’opera, un servizio, che non è, innanzi tutto, fare delle cose,

ma un essere:

essere chi siamo in verità;

non scappare dalla missione che siamo;

non sottrarci al dovere di dare noi stessi agli altri.

*

Allora, quanto ci è necessario invocare lo Spirito Santo!

Come vorremmo, anche noi, come Paolo,

essere letteralmente «legati» dallo Spirito Santo!

Avete sentito quel che dice Paolo?

« Ed ecco, dunque, costretto dallo Spirito,

io vado a Gerusalemme, senza sapere ciò che là mi accadrà.» (At 20,22)

Paolo si è lasciato costringere dallo Spirito Santo!

Letteralmente è «legato» dallo Spirito Santo!

Perché lo vuole!!

 

Anche noi, lasciamoci «legare» dal legame d’Amore che è lo Spirito Santo!

È legame di obbedienza.

Perché la vita nello Spirito Santo È obbedienza alle mozioni dello Spirito Santo.

Rimani sveglio, guardi al tuo schermo interiore,

e appena discerni un WhatsApp dello Spirito Santo,

ti metti in ascolto, col desiderio di obbedire.

 

E quale sarà il frutto?

Lo Spirito Santo ci personalizza!

Ci fa diventare di più persone, nella nostra unicità,

nella nostra bellezza, e nella nostra capacità di amare e di essere amati.

In altri termini, ci fa diventare la missione che siamo!

 

Ed un bel frutto ne è la makrothumia, parola tradotta con magnanimità.

In origine è una qualità del Dio di Israele.

Dio è longanime, ha la narice longa,

cioè, allontana la propria collera,

è longanime, paziente, usa misericordia…

Lo Spirito Santo ci dona questa stessa magnanimità,

che è pazienza dinanzi alle miserie nostre e degli altri.

Lo Spirito Santo, allarga la nostra anima, ci rende magnanimi.

Ci dà una tolleranza che non è cecità né perdita del senso del peccato,

bensì una pazienza simile a quella del Maestro della Parabola

che rimette l’enorme debito del servo

che l’aveva pregato: «Sii longanime con me…» (cfr Mt 18,26)

La longanimità è la pazienza dell’amore.

Non è un fatto di carattere, ma una scelta libera di amore.

Ti do il tempo di cui hai bisogno,

come mi do il tempo di cui ho bisogno.

È un rapporto di misericordia nel tempo,

un dare tempo.

È l’amore paziente.

È il frutto che chiediamo oggi di poter portare al mondo

che ne ha tanto bisogno…

 

 

 

Domenica 2 giugno 2019 - Ascensione del Signore - Atti 1,1-11 – Eb 9,24-10,23 - Lc 24,46-53 - Eremo di Lecceto - Ritiro delle Fraternità dei laici di Firenze e Pistoia - f. Antoine-Emmanuel


 

Una cosa è certa:

quando si va in Terra Santa, non vi si trova nessun santuario

dove si venererebbe il corpo intatto di Gesù!

 

Se ci fosse, l’Incarnazione sarebbe stata

un teatro, un travestimento, un’ipocrisia!

 

Se l’incarnazione fosse finita con il lasciare il corpo di Gesù sulla terra,

avrebbe significato che in cielo, in Dio, l’umanità non ci entra!

 

No! Non avvenne così!

Dov’è il corpo di Gesù?

Dov’è l’umanità ferita e gloriosa di Gesù?

«Fu assunto in cielo» ci dicono gli Atti degli Apostoli. (Atti 1,2)

 

L’Amore trinitario, la gioia trinitaria, circola ormai

tra l’Eterno Padre e il Figlio umanato.

Non un Figlio disumanatosi.

 

Le piaghe, le ha fatto scomparire, perché non farebbe bella figura in cielo?

No!

Il sorriso, l’ha perso?

No!

La tenerezza umana, l’ha persa?

No!

Il cuore, non ce l’ha più?

No!

Il Verbo umanatosi condivide ormai la piena ed eterna gloria del Padre!

 

Ora, la natura divina è l’Amore,

cioè il donarsi, il perdersi.

Gesù in cielo è uomo ed è dono.

Natura umana in continua donazione di sé stesso.

A chi si dona?

Al Padre e a noi.

 

È tutto dono!

Lo vorremmo circoscrivere in un luogo? Impossibile!

È tutto dono, sempre dono!

E sempre uomo…

 

Non cessa di accogliere l’amore del Padre e di offrirsi al Padre.

E non cessa di fare a noi il dono di sé.

Come? In che modo?

Come sposo!

Sposo che si dona alla sposa che siamo.

Ma, a differenza dal nostro, il suo donarsi non è parziale né limitato nel tempo.

È dono totale: corpo, sangue, anima e divinità,

per diventare con noi una cosa sola.

 

Cosi, il corpo di Gesù, la sua umanità ferita e gloriosa, dov’è?

Siamo noi!

 

A che serve il prete?

Ad essere il segno, il «sacramento» di Gesù Sposo

che si dona a voi

perché diventiate il corpo di Cristo, una cosa sola con Lui.

Ad essere il servo del donarsi di Gesù

che si manifesta visibilmente e corporalmente nell’Eucarestia!

 

Carissimi, perché gli apostoli

poterono tornare a Gerusalemme con grande gioia? (cf Lc 24,52)

Perché Gesù era partito? No!

Ma perché la sua Ascensione inaugurava

una Sua nuova presenza.

Una presenza non più circoscritta a qualche apparizione, pur sempre breve:

«Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo.» (Mt 28,20)

 

Nuova presenza e nuova misericordia,

come ci ha fatto intuire la Lettera agli Ebrei:

«Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo,

figura di quello vero, ma nel cielo stesso,

per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore.» (Eb 9,24)

 

E le ultime parole di Gesù prima dell’Ascensione,

su che cosa insistono?

Sul prepararsi a ricevere lo Spirito Santo.

 

Gesù ha esperienza dello Spirito Santo:

come Amore ricevuto dal Padre,

come Amore donato al Padre,

e come frutto del reciproco Amore.

Lo Spirito Santo, comunione nella Trinità.

 

E cosa desidera Gesù?

Che noi possiamo fare tante, ma tante, piccole e grandi esperienze trinitarie.

 

Sì, nello Spirito Santo, vivremo la Trinità tra noi!

 

Sì, nello Spirito Santo, vivremo la Trinità con i poveri, i malati che visiteremo, che serviremo.


Sì, nello Spirito Santo, vivremo la Trinità

con le persone verso le quali andremo

per portare loro la benevolenza di Dio, la gioia del Vangelo.

La missione, l’evangelizzazione non è convincere delle persone

ad aderire a delle idee.

È un essere servi della diffusione dell’Amore trinitario.

 

Perché ormai, vivere la Trinità tra noi non è impossibile.

Ormai, nella Trinità l’uomo c’è:

l’umano è entrato nella gioia trinitaria.

La gioia trinitaria è entrata nell’umanità!

 

 

Domenica 26 maggio 2019 - VI domenica di Pasqua - Atti 15,1..29 – Ap 21,10..23 - Gv 14,23-29 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel


Gli Atti degli Apostoli ci raccontano una crisi molto grave

che si verificò nei primi anni della Chiesa nascente.

La crisi fu particolarmente viva ad Antiochia,

perché, là, dei missionari venuti dalla Giudea insegnavano questa dottrina:

«Se non vi fate circoncidere secondo l'usanza di Mosè, non potete essere

salvati». (At 15,1)

 

La posta in gioco, la sfida era enorme!!

Infatti, da secoli, era impensabile per un ebreo entrare

nella casa di un pagano,

ancor più mangiare alla stessa mensa.

Ma se un ebreo diveniva cristiano e se un pagano si convertiva anche lui,

avrebbero potuto ormai mangiare alla stessa mensa?

Se il pagano si era convertito, voleva dire davvero che era puro?

Anche se non era circonciso?

Anche se non osservava il sabato e tutti i precetti della legge di Mosè?

 

Ma non era solo questo.

La questione era più profonda.

Se avessero accolto il pagano senza chiedergli la circoncisione,

voleva dire che la salvezza, l’essere gradito a Dio,

non richiedeva la circoncisione?

Bastava la fede in Gesù?

Davvero?

 

Cosa ne pensate?

Era davvero la pietra d’inciampo!

Accetti o non accetti!!

 

Ebbene, ad Antiochia vennero dei predicatori di Gerusalemme,

- non di un posto qualunque, di Gerusalemme! -

che dicevano

che certo Gesù ci salva,

ma ci vuole la circoncisione,

così noi ebrei divenuti cristiani non perdiamo la nostra purezza legale.

Perché, sì, crediamo in Gesù,

ma vogliamo pure custodire la nostra purezza legale.

 

Cosa avvenne ad Antiochia?

Una grossa crisi!

Perché lì si trovavano pure Paolo e Barnaba

che si opponevano risolutamente e discutevano animatamente

contro questi predicatori.

 

L’unica soluzione che trovarono fu di trasferire la questione a Gerusalemme

presso gli apostoli e gli anziani.

E fu il primo Concilio della Storia della Chiesa:

Gerusalemme I,

come ci sarebbe stato il Vaticano II.

 

Vado direttamente alla conclusione del concilio.

Gli apostoli e gli anziani scrissero una lettera alla comunità di Antiochia

in cui davano una risposta molto precisa.

E vorrei fermarmi su un'espressione di questa lettera:

« È parso bene allo Spirito Santo e a noi,

di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie:

astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati

e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose.

State bene!». (At 15,29)

 

«È apparso buono, è piaciuto (edoxen) allo Spirito Santo ed a noi …»

 

Questo vuole dire che gli apostoli e gli anziani,

al termine del loro incontro,

riconobbero che lo Spirito Santo era presente,

anzi, che era stato Lui a avere il primo posto nel discernimento.

 

A dire il vero, la situazione era estremamente delicata,

e c’era una grande probabilità di un'esplosione della comunità.

 

Ebbero la sapienza di ascoltare la realtà,

cioè i racconti di Pietro, Paolo e Barnaba,

- la realtà è superiore all’idea -,

presero momenti di silenzio, ci racconta Luca, (cfr At 15,7-21)

accolsero la diversità dei pareri, fecero un vero dialogo,

ma era grande il rischio di voler accontentare i discepoli di origine farisaica.

Paolo non avrebbe mai accettato questo.

Allora anche Pietro si sarebbe distaccato.

E dove sarebbe andato a finire Giacomo?

 

No…

Ci fu un lavoro sottile dello Spirito Santo in tutti,

ed in particolare in Giacomo,

che pur essendo di un temperamento piuttosto duro, forte,

propose una via di accoglienza reciproca,

che invitava tutti alla conversione.

 

«È apparso buono, è piaciuto (edoxen) allo Spirito Santo ed a noi …»

 

Carissimi, e noi? Siamo in ascolto dello Spirito Santo?

 

Cosa ci dice il Vangelo odierno a proposito dello Spirito?

 

Siamo nel Cenacolo.

Sono le ultime parole di Gesù prima della Passione.

Il suo Testamento.

Gesù ha già detto una cosa essenziale:

Ha detto che pregherà il Padre ed egli ci darà un altro Consolatore

perché rimanga con noi per sempre. (cfr. Gv 14,16)

Gesù è Consolatore, presenza divina, Dio in mezzo a noi.

Ma ci sarà un’altra presenza divina in mezzo a noi: lo Spirito della verità.

 

Gli apostoli già ne avevano una certa conoscenza,

perché da tre anni erano vicini a Gesù,

e lo Spirito dimorava stabilmente su Gesù:

«Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi.»

 

Ma ora, Gesù annuncia loro una cosa immensa:

«Egli rimane presso di voi e sarà in voi.» (Gv 14,17)

 

Ecco la novità straordinaria:

«Sarà in voi.»

Non solo presso di voi, ma in voi.

 

E cosa farà in noi?

Gesù ce lo dice oggi:

«Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome,

lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.» (Gv 14,26)

 

Il Consolatore, quindi, ci insegna.

Ci insegna spesso «senza rumori di parole»,

per riprendere l'espressione di Santa Teresa di Lisieux.

 

L’avete già sentito?

Meglio, l’avete già ascoltato?

Dovrei piuttosto dire, ma ci credete che Lui sia presente e ci insegni?

Non è che insegni solo ai santi!

No!

I santi sono persone molto imperfette che si sono messe alla Sua scuola!
 

Una sera, La Pira chiese a don Bensi le chiavi di San Michelino Visdomini

per pregare.

Un po' più tardi, don Bensi andò a dormire, dimenticando di scendere

per salutare La Pira e chiudere la chiesa!

La mattina, si svegliò, cercò le chiavi della chiesa,

e si ricordò che aveva lasciato La Pira nella chiesa…

Andò in chiesa… e trovò La Pira che era lì, ancora in preghiera.

 

Ecco, La Pira era un uomo che si era messo alla scuola dello Spirito Santo.

 

Sì, bisogna inginocchiarsi interiormente ed accogliere

gli insegnamenti dello Spirito Santo.

Bisogna aprire le mani,

e bere alla sorgente dello Spirito che sgorga dal nostro cuore.

Il nostro cuore è roccia?

Sì!

Ma – ecco il mistero pasquale – dalla roccia del nostro cuore

sgorga l’acqua viva dello Spirito Santo!

 

Certo, bisogna discernere!

Perché dal nostro cuore zampilla anche acqua sporca, vero!

Però non siamo soli!

Abbiamo la Scrittura, e sappiamo che lo Spirito

ci ricorda tutto ciò che Gesù ci ha detto.(cfr Gv 14,26)

Così quel che esce dal nostro cuore, ma non è conforme alla Parola di Gesù,

non lo riteniamo.

Abbiamo allo stesso modo l’insegnamento della Madre Chiesa.

E, poi, ci aiutiamo a vicenda a discernere le mozioni dello Spirito Santo.

 

Quanti progressi nell’amore faremmo

se ci mettessimo alla Scuola dello Spirito Santo!

 

Sì, bisogna raccogliere gli insegnamenti dello Spirito Santo

che sgorgano dal nostro cuore,

come quelli che sgorgano dal cuore degli altri,

dei piccoli, dei novizi, dei poveri…

 

Allora, avverrà quel che avvenne negli Atti degli Apostoli.

Lo Spirito Santo ci insegna la via dell’unità.

Non una via facile.

Non una via alla moda.

Ma La via.

La via di un'unità che non conosciamo ancora.

La via di un'unità che non immaginavi fosse possibile su questa terra.

Perché lo Spirito Santo non è solo il Maestro dell’unità.

È l’unità.

Quella divina.

 

 

 

venerdì 24 maggio 2019 - V settimana di Pasqua - S.Maria Ausiliatrice - Atti 15,22-31 – Gv 15,12-17 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel


 

Grato per la liberazione dalla prigionia avvenuta il 24 maggio 1814,

il Papa Pio VII istituì la festa di Maria, aiuto dei cristiani.

Festa dapprima limitata alla Chiesa di Roma,

fu poi adottata dalle diocesi della Toscana nel 1816,

infine estesa alla Chiesa universale.

 

Questa festa fu particolarmente cara a don Bosco,

che pregava la Vergine ausiliatrice in questi termini:

 

O Maria, Vergine potente,
Tu grande illustre presidio della Chiesa;
Tu aiuto meraviglioso dei Cristiani;
Tu terribile come esercito schierato a battaglia;
Tu sola hai distrutto ogni eresia in tutto il mondo;
Tu nelle angustie, nelle lotte, nelle strettezze
difendici dal nemico e nell'ora della morte
accogli l'anima nostra in Paradiso!
 

Maria, aiuto meraviglioso dei cristiani

 

Che aiuto chiediamo questa sera a Maria santissima?

Che aiuto, O Maria, vorresti donarci?

 

A Maria piace senz’altro aiutarci a vivere il comandamento di suo Figlio,

il Suo comandamento,

che è l’amore, il deporre la propria vita per gli amici.

Ma non solo.

È l’amore reciproco, l’amore gli uni per gli altri.

 

Ma non solo.

È l’amore reciproco con una misura ben precisa:

come Gesù ha amato noi ,

fino a sentirsi totalmente abbandonato dal Padre sulla croce.

 

Come Gesù ha amato noi, e perché Gesù ha amato noi in questo modo.

Gesù è misura ed è fondamento!

 

Poi, avete notato questo «noi»?

Come vi ho amati?

Questo vuole dire:

Gesù ha amato te.

Gesù ha amato me.

Gesù ha amato «noi» che formiamo noi due.

Gesù ha amato noi della comunità,

della famiglia, della città, dell’umanità intera…

 

E questo è il fondamento e la misura

dell’amore reciproco al quale siamo chiamati.

 

Allora ci rendiamo conto

che l’amore reciproco, che ha per misura il modo in cui Gesù ha amato noi,

non è altro che accogliere Gesù-in-mezzo-a-noi.

 

A Maria, aiuto meraviglioso dei cristiani, chiediamo

di obbedire sempre di più a questo comandamento;

di progredire nell’amore reciproco;

di fare dei passi, anche piccoli;

cioè di accogliere Gesù in mezzo a noi.

Perché è questo l’amore reciproco!

E chi, meglio della Madre di Gesù,

ci permette di accogliere Gesù-in-mezzo-a-noi?

 

Nel concreto, si tratta di gustare la comunione dei santi.

Di gustarla dapprima nella preghiera.

 

Un bell'esempio lo troviamo in una lettera del Professore La Pira.

La sera dell’11 maggio 1944,

Giorgio La Pira scrive a Fioretta Mazzei da Roma:

«La mia anima va oltre le frontiere del visibile,

verso quel regno invisibile delle anime

che in quest’ora di tramonto a Dio più intimamente si uniscono.

Provo sempre più beneficio in questa unione con le anime oranti; (…)

com’è bella questa invisibile Città di silenzio e di preghiera!»

 

Anche noi possiamo gustare questa unione con le anime oranti…

 

Ma la comunione dei santi va vissuta pure nella vita.

Ecco quel che scrisse Chiara Lubich:

 

«La Comunione dei Santi, il Corpo mistico c’è.

Ma questo corpo è come una rete di gallerie oscure. (…)

Ma Gesù non voleva solo questo quando si rivolse al Padre, invocandoLo.

Voleva un Cielo in terra: l’unità di tutti con Dio e fra loro:

la rete di gallerie illuminata;

la presenza di Gesù in ogni rapporto con gli altri,

oltre che nell’anima di ognuno»1.

 

È bella la comunione dei santi!

Ma non è solo «bella» nell’invisibile … possiamo farne questa esperienza viva!

Possiamo superare la paura della relazione, della verità tra noi,

uscire dalle nostre tane, deporre le maschere,

e deporre la vita, per gli amici, come dice Gesù!

Lo possiamo perché Gesù ce ne ha dato il comandamento!

 

Quel che ci rassicura, appunto, è che la reciprocità dell’amore

e la misura della croce

non sono un progetto umano,

bensì un comandamento divino.

E quindi la grazia c’è.

E, poi, la Madre della grazia c’è!

La grazia ha una Madre, la vita nuova ha una Madre…

Gesù-in-mezzo-a-noi ha una madre!

 

Cos’è l’Opera di Maria in questo nostro tempo?

Credo che sia, in modo del tutto particolare,

di far risplendere

e la reciprocità dell’amore tra noi

e la profondità dell’amore di Gesù crocifisso ed abbandonato.

È, questa, una doppia - e in realtà unica - risposta potentissima

ai mali del nostro tempo,

ed è una consolazione, una carezza, straordinaria che il Padre ci dona.

Anzi, è salvezza!

 

1 Chiara, Le parole d’un Padre, in La dottrina spirituale, Mondadori, Milano 2001, p.142; Città Nuova, Roma 2006, p.157.

 

Domenica 19 maggio 2019 - V Domenica di Pasqua - Atti 14,21..27 – Ap 21,1-5a– Gv 13,31..35 - Basilica della Madonna dell’umiltà, Pistoia - f. Antoine-Emmanuel


 

La prima lettura ci fa vedere Paolo costantemente in movimento.

Ma perché questi continui spostamenti?

Perché Paolo sapeva di dover diffondere il Vangelo.

Un «Vangelo», un «Euaggelion» era, all’epoca di Paolo,

un annuncio solenne dell’imperatore,

ed era detto «Eu-», cioè «buono», perché veniva dall’imperatore!

I cristiani ripresero questo termine,

per l’Annuncio che veniva non dall’imperatore, ma dal Kurios, dal Signore!

Ed è, questa volta, veramente, una buona novella!

Anzi è LA notizia che cambia il destino dell’uomo,

il destino di tutti gli uomini,

come ci dimostra il fatto che il Signore apre ai pagani la porta della fede.

(cfr. Atti 14,27)

 

Di questo «Vangelo», abbiamo oggi due echi splendidi:

uno nella seconda lettura ed uno poi nel Vangelo.

 

La seconda lettura ci parla dell’eternità,

ma vorrei iniziare con una testimonianza personale.

All’origine della mia vocazione monastica,

c’è un semplice colloquio con un compagno di classe

quando avevo 19 o 20 anni.

Lui mi parlò della felicità del cielo, di come saremmo stati felici.

Non ci avevo mai pensato!

Questo colloquio mise il fuoco nel mio cuore,

e questo fuoco non si è mai spento!

Ma, in quel momento, non avevo capito una cosa:

che questa felicità non sarebbe stata una felicità individuale:

sarebbe stata condivisa!

Saremmo stati felici insieme!

Saremmo stati un cielo gli uni per gli altri.

Tu sarai la mia gioia e io sarò la tua gioia!

 

Appunto, quale immagine usa il Signore per parlarci oggi dell’eternità?

Una città!

Cioè uno stare insieme!

L’eternità non assomiglia ad una camera singola con un divano

e delle cuffie sulle orecchie!

È una città!

 

Mi direte che la città può essere disumana!

Mi ricordo di alcuni quartieri di Calcutta dove i profughi del Bangladesh

vivono in una miseria spaventosa…

 

Ma bisogna leggere bene l’Apocalisse.

Cosa dice il testo?

«Vidi la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio.»

(Ap 21,2)

Il vivere insieme viene da Dio!

Non è il risultato di sforzi umani.

 

Carissimi, Dio è capace di farci felici lassù insieme?

Si o No?

Lo desiderate?

Credete che Dio ci voglia far misericordia?

 

Il «Vangelo» è che questo orizzonte di felicità eterna è certo

per chi crede nella misericordia divina!

Gesù morendo sulla croce ha vinto tutte le forze del male

che impedivano questa felicità condivisa tra noi, tra tutti noi.

Dio «asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi;

e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno,

perché le cose di prima sono passate.» (Ap 21,4)

 

Mi direte: «Ma a che servono questi pensieri?

Noi siamo immersi nei problemi del quotidiano:

le bollette da pagare, le gelosie nella famiglia,

i figli che vanno male..., le guerre…»

 

Vi racconto una storia.

Il 16 febbraio 1944, ci furono dei bombardamenti a Roma.

E un figlio della famiglia che ospitava il professor La Pira fu ucciso.

Due giorni dopo, La Pira scrisse a Fioretta Mazzei:

«L’avvenire pare sempre più carico di incertezze?» (…)

Ma … «Niente paura: non c’è che da fare una sola cosa:

trascendere con più intenso desiderio e con più viva orazione

l’ordine del tempo

per fissarsi e quasi inserirsi in quello dell’eterno.

Guardare il Paradiso. (…)

 

Ma come, si potrebbe dire, la tempesta infuria

e noi restiamo con la mente estatica in Dio?


Si, proprio cosi: per vincere nel tempo c’è bisogno di una forza dell’eterno;

perché per ordinare il mondo dell’uomo,

c’è solo la forza che dona il mondo di Dio.

È così; è questo il cristianesimo.» (Lettera a Fioretta Mazzei del 18.02.1944)

*

Ora passiamo al Vangelo di Giovanni

in cui troviamo l’altra eco della Buona Notizia!

Siamo nell’ultima cena.

È appena uscito Giuda.

Quindi, ormai, non si tornerà più indietro, Gesù sarà tradito,

Gesù sarà condannato.

I giochi sono fatti.

E, per Gesù, questo vuole dire: GLORIA!

Glorificazione del Padre, glorificazione di Lui…

 

Ma è pure giunto il momento di dare il SUO comandamento.

Il SUO.

Un comandamento nuovo.

In greco ci sono due parole per dire «nuovo»:

neos e kainos.

Neos significa solo qualcosa di recente,

mentre kainos è una novità qualitativa, essenziale…

ed è questo termine che usa l’evangelista.

 

Ma qual è la novità del comandamento di Gesù?

L’amore? No! La coscienza già ce lo comanda.

L’amore del prossimo come noi stessi?

No! L'Antico Testamento già lo comandava.

L’Amore di Dio con tutto il cuore?

No! L'Antico Testamento già lo insegnava.

La novità sta in quattro parole: «gli uni gli altri».

La novità sta nell’amore reciproco.

Ed è imbarazzante, perché non posso adempiere

questo comandamento da solo!

 

Ma non è la sola novità!

La novità sta pure nella misura:

Qual è la misura che Gesù dà all’amore reciproco?

Di amarci tanto? No!

Di amarci con tutte le forze? No!

Di amarci come Lui ci ha amati: ecco la misura!

 

La misura e la grazia:

Siccome vi ho amati, allora potete anche voi amarvi gli uni gli altri!

 

Carissimi, questo è talmente nuovo e raro,

che se lo viviamo, se lo vivete qui a Pistoia,

vi assicuro che la gente vi riconoscerà come discepoli di Gesù!

 

Ma non è facile vivere questo comandamento, vero?

Ora, la grande rassicurazione è, appunto,

che l’amore reciproco è un comandamento di Dio!

Se fosse un comandamento umano o un nostro progetto,

avremmo motivo di scoraggiarci!

No!

Ce lo comanda Dio!

Ce lo comanda oggi Gesù! Proprio oggi.

 

Allora cosa ci vuole?

Ci vuole qualcosa come un apriscatole… ma per il cuore.

Qualcosa che apra il nostro cuore per sprigionare la fede.

Quel che ci manca è la fede.

Ma, in realtà, non ci manca: è imprigionata dai legami del mondo.

 

Signore, la fede l’ho persa in me!

L’ho coperta con tante distrazioni, tanti rumori, tante tentazioni.

Ho messo la preghiera tra parentesi,

come qualcosa che farò quando ne avrò il tempo.

 

Siamo impantanati nel fango del mondo,

di un mondo che fa a meno di Dio,

che scansa Dio, non ne vuole sapere, ne prende il posto.

 

Carissimi, qual è La grande risposta di Dio a questo grido?

Anzi qual è il dono della misericordia di Dio, anche prima che gridiamo?

La Madonna!

La Madonna del nostro tempo.

La Vergine del XXI.mo secolo.

Non credo che la Vergine sia stata finora tanto attiva nel mondo,

come lo è nel nostro secolo.

Posso sbagliare…

Credete che una madre rimanga passiva

quando vede i figli prendere vie storte,

anzi stortissime?

Care mamme, ditecelo!


La Vergine Maria ha una forte personalità.

È un'educatrice.

Una donna forte.

Unisce in lei tenerezza e forza, come nessuna mamma quaggiù.

Ricordatevi che è divenuta mamma in modo divino:

la sua maternità è divina,

quindi è ampia fino a abbracciare tutti gli uomini,

ed è di una sapienza divina che ci spiazza e ci spiazzerà sempre.

Le vie di Maria non sono le nostre!

 

Allora è a Lei che ci affidiamo perché il nostro cuore si apra alla fede,

per accogliere veramente lo Spirito Santo,

e così poter vivere l’amore reciproco.

 

Ora bisogna celebrare l’Eucarestia per ricevere quest’amore

per poi viverne gli uni per gli altri.

 

E vi dico che se viviamo tra noi di quest’amore

e se lo offriamo a chiunque incontriamo,

anche con tutti gli scandali di preti pedofili,

le chiese si riempiranno.

perché è questo che tutte le anime cercano.


Riassumiamo.

Abbiamo un futuro chiaro: la Gerusalemme celeste,

la città, l’essere insieme che Dio vuole darci eternamente,

dove saremo un cielo gli uni per gli altri.

Ma già ora Gesù ci comanda di amarci a vicenda come Lui ci ha amati.

E noi, affidandoci a Maria e attingendo al cuore di Gesù,

diciamo di SI!

 

 

sabato 18 maggio 2019 - IV settimana di Pasqua - Atti 13,44-52 – Gv 14,7-14 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel


 

Il vangelo di Giovanni letto ieri

ci diceva che, per conoscere il Padre, bisogna passare per Gesù.

 

Attraverso la natura, scopri qualcosa del Padre;

attraverso l'intelligenza, la filosofia, capisci qualcosa del Padre;

attraverso le religioni del mondo come l'Islam e l'Induismo,

puoi fare un incontro con il Padre;

attraverso la Prima Alleanza puoi entrare in contatto con il Padre.

Ma per "conoscere" veramente il Padre,

per conoscere il Padre nel senso biblico,

ci vuole la Nuova Alleanza, ce lo dice la Bibbia,

ci vuole Gesù.

«Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6)

 

Oggi Gesù ci spiega il rovescio della medaglia,

ossia che, quando conosci Gesù, necessariamente conosci il Padre.

 

Questo Filippo non l'aveva capito.

Filippo da tre anni seguiva Gesù.

Aveva sentito Gesù insegnare con autorità,

Aveva sentito il suo insegnamento nuovo, diverso da quello degli scribi,

aveva visto liberazioni e guarigioni,

aveva visto lebbrosi mondati e resurrezioni di morti.

Aveva percepito la grandezza di Gesù.

Certamente, come Nicodemo pensava:

«Nessuno può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui» (Gv 3,2)

Quindi credeva che Dio fosse con Gesù.

Ma non aveva capito che il Padre fosse in Gesù

e Gesù nel Padre.

 

Allora Gesù gli fa capire: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 13,9)

quindi...Filippo ha visto il Padre!

 

E qui, bisogna capire che non vuol dire che Gesù assomigli al Padre;

e, quindi, che, vedendo Gesù, vedi qualcuno che assomiglia al Padre,

che ha gli stessi tratti! No!

Chi ha visto me ha visto il Padre...

perchè il Padre è in Gesù

e Gesù è nel Padre.

 

Questo è un legame che noi,

piccole creature terrestri e transitorie... e peccatrici,

non conosciamo: l'interiorità reciproca.

Solo Dio vive questo tipo di legame.

E questo tipo di legame non è altro che una persona divina:

lo Spirito Santo !!

 

Noi facciamo tanta fatica ad ospitare gli altri nel nostro cuore.

Manca lo spazio.

E facciamo fatica ad affidarci al cuore di un altro

fino a prendere dimora in lui o in lei.

Abbiamo paura di perderci.

*

Non ho detto la verità... Questo tipo di legame

è ormai possibile... Questa è la buona novella di Pasqua...

E' la Pentecoste dell'Amore.

Oramai, Gesù è in noi e noi in Gesù,

e, quindi, possiamo ospitarci gli uni gli altri !

Possiamo diventare con gli altri un cuor solo ed un'anima sola

come il Padre e il Figlio sono Uno,

allo stesso modo,

nel medesimo legame di amore

che è lo Spirito Santo.

 

Questo fa lo Spirito Santo:

ci rende capaci di accogliere gli altri nel nostro cuore.

Egli trasforma il nostro cuore in "convivenza",

non solo per pochi eletti,

ma anche per i nemici, i noiosi, gli stranieri.

Egli fa pure sì che siamo felici di essere accolti

nel cuore degli altri, anche di chi ci dà fastidio...

 

Questo è il bell'Amore di cui Maria è la Madre !

È il bell’Amore che chiediamo al Signore

in questa Eucarestia!

 

 

venerdì 17 maggio 2019 - IV settimana di Pasqua - Atti 13,26-33 – Gv 14,1-6 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel


 

Il Vangelo odierno è un invito a consegnare a Gesù

ciò che turba, ciò che agita il nostro cuore.

 

Non è vero che talvolta abbiamo il cuore agitato?

Cosa può placare il cuore?

«Abbiate fede in Dio, ci dice Gesù oggi,

e abbiate fede anche in me.» (Gv 14,1)

 

Quando abbiamo il cuore come un mare in tempesta,

spesso cerchiamo delle risposte, accumuliamo degli argomenti,

delle riflessioni.

Ma invano.

Allo stesso modo, anche le consolazioni dei sensi non bastano.

Perché il cuore umano non è soltanto intelligenza,

e non è solo sentimenti.

Ha delle profondità divine.

 

Una pianta ha bisogna di luce, del sole.

Allo stesso modo, il cuore umano ha bisogno di Dio.

E come viene Dio? Attraverso la fede.

 

La fede, il credere, non è soltanto supporre che Dio esista ed agisca:

è attaccarci a Dio, è dar fiducia a Dio.

È aver più fiducia in Dio che in noi stessi o negli altri.

 

La fede è estremamente potente sul nostro cuore.

È la fede, è il fidarsi, che mette la calma nel nostro cuore.

*

Ma il Vangelo odierno ci spinge più avanti.

Per gli apostoli, l’ultima cena è il momento

in cui entrano in un' immensa prova.

Sono come noi, quando la croce entra nella nostra vita.

quando un avvenimento ci scandalizza.

Quando sembra che Dio tradisca le sue promesse;

quando entriamo nel buio,

quando tradiamo anche noi,

rinneghiamo anche noi…

 

Ora, Gesù ci dice oggi una cosa essenziale:

in questi momenti, in realtà,

Lui ci sta preparando un posto in cielo.

Lo sta preparando per noi e per gli altri.

Noi vediamo solo la croce, solo la prova, solo il dolore,

ma la realtà è che Lui ci sta preparando un posto nella gloria eterna,

nel cuore del Padre.

Non solo un posto per me, per te,

ma per ogni essere umano.

 

E la creatività divina si dispiega per portare ogni persona in cielo,

per lottare contro le nostre resistenze a lasciarci amare.

 

Ricordiamoci di questo nell’ora delle prove.

Siamo nella prova?

La croce è pesante?

In realtà, Gesù sta preparando un posto a noi e a tanti altri in cielo…

*

Una terza ed ultima cosa.

Quando viene superata la prova,

quando appaiono la luce e la pace,

quando Gesù risorto si manifesta,

cosa avviene?

«Verrò di nuovo e vi prenderò con me,

perché dove sono io siate anche voi.» (Gv 14,3),

cioè verrò di nuovo,

e vi prenderò perché siate con me presso il Padre.

Ma non ci prenderà come singoli, come individui.

Ci prenderà insieme!

Ci prenderà insieme nel cuore del Padre.

Ecco il frutto della prova, il frutto della croce:

essere insieme nel cuore del Padre.

 

La croce non è una via senza uscita

né una via con uscita individuale:

sboccia nella comunione, nell’amore reciproco.

Sboccia nel cuore del Padre.

 

Quando entriamo nella consolazione spirituale,

bisogna lasciarci portare da Gesù in questa comunione.

Non riprendiamo il controllo della situazione,

perché siamo nella consolazione!

Al contrario!

La consolazione richiede un maggiore abbandono,

cosicché Gesù possa compiere fino in fondo

il suo progetto d’amore.

 

Il desiderio di Gesù è di allargare il nostro cuore

verso gli altri e verso il Padre.

perché siamo veramente vivi!

*

Riassumiamo.

Hai il cuore agitato?

Torna alla fede: Gesù, confido in te!

Sei nella prova?

Ricordati che Gesù in questo momento sta preparando un posto in cielo

per tanti e per te.

Sei nella consolazione?

Lascia che Gesù ti porti ad una maggiore comunione

con gli altri nel cuore del Padre.

 

Gesù, tu sei la via, le verità e la vita!

 

Domenica 12 maggio 2019 - IV Domenica di Pasqua - Atti 13,14..52 – Ap 7,9..17– Gv 10,27-30 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel


 

E così posso tendere la mano a tanti altri…

 

La prima lettura oggi ci porta nella città di Antiochia di Pisidia.

Paolo e i suoi compagni vi sono appena arrivati.

Di sabato, vanno nella sinagoga e si siedono.

Dopo la lettura della Legge e dei Profeti,

i capi della sinagoga mandano a dire loro:

«Fratelli, se avete qualche parola di esortazione per il popolo, parlate!».

Paolo si alza e, fatto cenno con la mano, comincia a parlare.

Rilegge la storia d’Israele e giunge all’annuncio del Vangelo,

cioè della Risurrezione di Gesù, e del perdono dei peccati.

(Cfr. Atti 13,13 ss.)

 

Tanti fedeli sono profondamente colpiti ed esortano Paolo

ad esporre ancora queste cose il sabato seguente. (cfr At 13,42)

Anche durante la settimana, Paolo incontra Giudei e proseliti

e li invita a dimorare sempre nella grazia di Dio,

a perseverare nella grazia! (cfr At 13,43)

Come se dicesse loro:

«Non lasciatevi rubare la grazia

e la gioia che vi viene dalla Resurrezione di Gesù!»

 

Tutto ciò si sa nella città, e, il sabato seguente,

quasi tutta la città si raduna!

Allora subentra una tensione immensa…

Alcuni Giudei, quando vedono quella moltitudine,

sono ricolmi di gelosia

e con parole ingiuriose contrastano le affermazioni di Paolo.

 

Perché quest’odio?

Perché questo rifiuto del Vangelo?

Perché ancora oggi sono in tanti a rifiutare il Vangelo?

E perché anche dentro di noi, c’è questa resistenza

ad abbandonarci al Vangelo?

 

Paolo e Barnaba ci danno oggi una risposta molto precisa:

 

« Paolo e Barnaba con franchezza dichiararono:

Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi

la parola di Dio,

ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna,

ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani.”» (Cfr Atti 13,46)

 

Avete sentito?

«...non vi giudicate degni della vita eterna.»

Ecco il perché!

C’è qualcosa in noi che dice: «Non sei affatto degno della vita eterna.»

 

Questo vuol dire, per prima cosa, che ci poniamo come giudici di noi stessi.

Siamo noi i giudici di noi stessi!

E vedendo la discrepanza tra quello che viviamo

e quello che può essere la vita eterna,

ci giudichiamo indegni…

 

Allora il Vangelo ci fa andare in collera!

La misericordia ci scandalizza!

Come Dio può pensarla diversamente da noi?

Salvarci? Si!

Essere salvati… no!

Non vogliamo essere dei rifugiati soccorsi

nell’alto mare della nostra vergogna e delle nostre passioni.

 

Ora, il cuore del problema è questo:

non possiamo giudicarci degni o meno della vita eterna da noi stessi!

Non ha senso!

Solo Dio può giudicarci degni o no!

E la Buona Novella è questa:

«SI, Dio ci ha giudicati degni della vita eterna!»

 

«Quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro,
e il suo amore per gli uomini,
egli ci ha salvati,

non per opere giuste da noi compiute,

ma per la sua misericordia,

con un'acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo,

che Dio ha effuso su di noi in abbondanza

per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro,

affinché, giustificati per la sua grazia,

diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna.» (Tt 3,4-7)

 

Accettiamo questo giudizio di Dio?

Accettiamo di essere amati, di essere già salvati dal Sangue di Gesù?

 

Il Signore ci invita oggi a contemplare la «moltitudine immensa,

che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua.

Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello,

avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani.

E gridavano a gran voce: "La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all'Agnello"». (Ap 7,9-10)

 

Carissimi, diciamo di sì all’essere domani in questa moltitudine

che canta la gioia della salvezza?

 

Non vuol dire che la nostra vita sarà senza tribolazione!

Anzi, essi «sono quelli che vengono dalla grande tribolazione».


Non vuole neanche dire che siamo o saremo senza peccati!

Essi «hanno lavato le loro vesti,

rendendole candide nel sangue dell'Agnello.» (Ap 7,14)

 

Si tratta di lasciarci lavare dal Sangue di Gesù!

E di lasciarci guidare da Lui.

«L'Agnello, che sta in mezzo al trono,
sarà il nostro pastore
e ci guiderà alle fonti delle acque della vita.»
(cfr. Ap 7,17)

 

Ecco quello che conta: dar fiducia a Gesù Buon Pastore.

Si tratta di imparare a riconoscere la voce di Gesù,

e ad ascoltarla.

Allora comincia un’avventura piena di amicizia tra Lui e noi:

Lui ci conosce, nel senso biblico più profondo,

e noi Lo seguiamo. (Cfr Gv 10,27)

 

E cosa avviene se ci lasciamo conoscere ed amare da Gesù,

se Lo seguiamo?

Lui ci dona la vita eterna.

Non dice: «Io darò loro la vita eterna»,

bensì «Io do loro – al presente – la vita eterna.» (Gv 10,28)

 

Carissimi, la vogliamo oggi questa VITA?

Questa vita eterna?

Questa vita che è unione con Dio e amore reciproco tra noi?

 

La vogliamo o ci ripieghiamo su noi stessi come i fedeli di Antiochia,

che, per superbia, si giudicavano indegni della vita eterna?

 

Si tratta oggi di dire di SI a Gesù Buon Pastore.

Sapendo che nessuno poi ci strapperà dalla sua mano.

Se prendiamo la mano che Gesù oggi ci tende,

nessuno più ci strapperà dalla sua mano.

Ed, in Gesù, è il Padre stesso che ci tende la mano,

perché sono una cosa sola. (cfr Gv 10, 29-30)

 

No!

Voglio nuotare io.

Voglio salvarmi da solo.

Voglio giungere alla riva dell’Amore vero con le mie forze…

 

Oppure:

 

Si!

Accolgo la tua mano, Gesù!

Prendo per sempre la tua mano.

E così posso tendere la mano a tanti altri

perché li hai giudicati degni della vita eterna e non lo sanno.

So che mai, mai, lascerai la mia mano,

e, così “agganciato” a te, potrò essere di aiuto a tanti.


Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.

2 Su pascoli erbosi mi fa riposare,

ad acque tranquille mi conduce.

 

3 Rinfranca l'anima mia,

mi guida per il giusto cammino

a motivo del suo nome.

 

4 Anche se vado per una valle oscura,

non temo alcun male, perché tu sei con me.

Il tuo bastone e il tuo vincastro

mi danno sicurezza.

 

5 Davanti a me tu prepari una mensa

sotto gli occhi dei miei nemici.

Ungi di olio il mio capo;

il mio calice trabocca.

 

6 Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne

tutti i giorni della mia vita,

abiterò ancora nella casa del Signore

per lunghi giorni. (Salmo 23)

 

 

 

 

mercoledi 1 maggio 2019 - San Giuseppe Lavoratore - Gn 1,26 – 2,3 – Mt 13,54-58 - Saint Gervais - Parigi - fr. Antoine-Emmanuel

 

la santità non fa rumore

 

La liturgia di oggi ci porta nella sinagoga di Nazareth,

nel giorno in cui Gesù vi insegna,

suscitando grande stupore nell'assemblea dei fedeli.

 

Erano « pieni di stupore e dicevano :

«Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi?» (Mt 13,54)

 

Sorge quindi la domanda :«Non è costui il figlio del falegname?» (Mt 13,55)

Una domanda significativa per noi in questa festa di San Giuseppe!

La gente di Nazareth non dice :

« Gesù è il figlio del grande santo

o del grande esperto della legge che è Giuseppe!».

Ma: « Non è costui il figlio del falegname ? »

 

Ecco quello che ci dice la discrezione di Giuseppe.

La santità di Giuseppe non ha fatto rumore a Nazareth.

E tuttavia è proprio nella sua casa che si è svolto

in gran parte l'avvenimento

che più di tutti ha sconvolto la storia dell'umanità!

E Giuseppe ne è stato, dopo Maria, il primo servitore.

 

La santità non fa rumore…

 

Papa Francesco,

nel suo intervento alla fine del vertice

sugli abusi sui minori nella Chiesa,

ha citato queste parole di Edith Stein, Santa Teresa Benedetta della Croce :

«Nella notte più oscura

sorgono i più grandi profeti ed i più grandi santi.

Tuttavia la corrente vivificante della vita mistica rimane invisibile.

Sicuramente gli avvenimenti decisivi della storia del mondo

sono stati essenzialmente influenzati da anime

sulle quali nulla viene detto nei libri di storia.

E quali siano le anime che dobbiamo ringraziare

per gli avvenimenti decisivi della nostra vita personale,

è qualcosa che sapremo soltanto nel giorno

in cui tutto ciò che è nascosto sarà svelato».1

 

E' importante per noi essere coscienti di questo :

la nostra santità, cioè la nostra unione con Dio,

non si misura dal successo, dalla fama.

Si può essere santi e non essere su Wikipédia!

 

Possiamo anche spingerci oltre :

ciò che è da Dio poco a poco si nasconde, diviene più celato.

Ciò che è dal male, al contrario, fa sempre più rumore.

 

Divo Barsotti scriveva così:

«Se il male cresce, cresce l’apparenza:

la rovina sul piano sociale, sul piano cosmico, appare.

 

Il bene quanto più cresce, tanto più si fa intimo,

tanto più fa sì che gli uomini affondino in Dio.

Dio è puro mistero. (…)

Egli è l’invisibile.

La presenza di Dio è una presenza assoluta ma invisibile.

Il bene, quanto più è grande, tanto meno appare.

Entra precisamente nel mondo di Dio,

nella Realtà ultima che rimane nascosta2

 

San Giuseppe non ha fatto rumore..

Anzi si è come eclissato.

 

Di più: egli ha partecipato in anticipo alla Passione di Gesù,

all'annientamento di Gesù nella sua Pasqua.

Basti pensare alla Passione di Giuseppe

quando scopre che Maria è incinta

senza che né il Signore né Maria stessa gli diano alcuna spiegazione;

alla Passione di Giuseppe e di Maria quando Gesù, a 12 anni,

non si trova per tre giorni;

un vero martirio dell'anima.

E alla Passione di Giuseppe che muore senza ave visto dispiegarsi la missione di Gesù.

 

Tre Pasque che sono state anche tre ingressi successivi nella Vita.

I suoi occhi si sono aperti

sulla comunione con Maria di cui scopre la maternità divina

e che prende con sé;

sulla comunione con Gesù

che proclama la sua filiazione divina e si sottomette a Giuseppe;

sulla comunione con il Padre quando Gesù, in spirito, viene come Salvatore

a liberare i giusti dalla dimora dei morti e ad aprire loro il Paradiso.

 

La discrezione, la santità nell'ordinario, il passaggio nel crogiolo

ci aprono ai più grandi tesori di comunione.

L'amore scaturisce nella sua splendida novità dalla terra buona dell'umiltà.

Il Cielo appare quando si resta vicini alla terra.


 

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2 « Forti nella fede» Ed Grimaldi, p.67

 

 

venerdì 26 aprile 2019 - ottava di Pasqua - Atti 4,1-12- Gv 21,1-14 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel


 

Il mio «nulla» offerto a Gesù

 

«Quella notte, non presero nulla.» (Gv 21,3)

Nulla.

La rete è vuota dopo un’intera notte,

durante la quale hanno gettato e tirato su la rete tante, tante volte.

All’alba: nulla.

Niente gioia, niente fierezza, niente da mangiare.

Niente.

 

Ed è proprio questo «nulla» che una voce venuta dalla riva sollecita.

«Avete qualcosa da mangiare?» (cfr Gv 21,5)

No! Niente!

 

Il Risorto, fattosi mendicante, si rivolge al loro «nulla»,

al niente che ha reso il loro operare penoso e vergognoso.

 

Questo niente, il Risorto, ancora nascosto, non riconoscibile,

lo chiede loro.

 

Lo chiede pure a noi questa sera.

Quel «nulla» che si trova nella nostra vita,

quel senso di sterilità, di vergogna,

è appunto là che il Risorto vuole manifestarsi.

 

E come si manifesta?

Con una Parola!

Una parola da accogliere proprio dove il nostro niente ci fa soffrire.

 

Ora, alla richiesta di «gettare la rete a destra», (cfr Gv 21,6)

gli apostoli avrebbero potuto rispondere con rabbia o con una bestemmia.

No!

Si sottomettono alla Parola sentita nella barca di Pietro.

Lasciano la Parola dell’Uomo della riva entrare nel loro nulla.

La vita entra là dove regnava la tristezza e l’amarezza.

 

E la rete fu piena.

Piena come non mai!

Là dove regnava la vergogna, proprio là, la loro vita divenne traboccante.

Fu una pesca dell’altro mondo, pur in questo mondo.

Un dono dall’Alto.

Era la Resurrezione che entrava nel loro quotidiano,

trasfigurandolo come loro non si sarebbero mai aspettati.

Semplicemente perché avevano consegnato al Risorto il loro nulla.

 

Ma la meta non era solo quella.

Gesù li voleva portare ad un’altra esperienza,

quella della colazione mattutina sulla riva.

Un momento d’eternità.

Una dolcezza straordinaria.

Dovevano sperimentare la dolcezza della presenza del Risorto,

che per loro aveva preparato il fuoco ed il pasto.

 

Dovevano imparare a gustare la presenza nuova del Risorto:

un po’ di cielo sulla terra.

 

L’ascolto della Parola nella barca di Pietro,

l’ascolto obbediente vissuto insieme,

li portò ad una comunione con il Risorto

di una bellezza straordinaria.

 

«Gesù si avvicinò» (Gv 21,13), Gesù venne,

e, attraverso il dono del pane, del pesce,

li fece commensali del Regno.

Il niente offerto a Gesù divenne l’aggancio della comunione.

Il Risorto si unì al loro niente,

alla loro sterilità,

per farne il luogo della comunione.

 

Non una comunione ristretta a pochi eletti:

I 153 pesci sono il segno dell’insieme delle nazioni,

perché si conoscevano in quel tempo 153 specie di pesci.

La comunione è offerta a tutti.

E la rete non si spezzò.

L’amore divino è capace di radunare, di unire

le più profonde diversità.

Ma a partire dal «nulla» di ciascuno.

 

Il pesce sovrabbondante profetizzato da Ezechiele (cfr Ez 47,10)

dice che il nuovo Tempio è già presente.

E dal Suo costato aperto zampilla una sorgente divina

che trasforma la morte in vita,

la solitudine in comunione.

Ma bisogna affidargli il nostro «nulla».

 

Gesù Risorto, ti affidiamo il «nulla» della nostra vita.

Ti accogliamo là dove non c’è più nessuna gioia,

nessuna speranza, nessuna felicità.

È tuo.

Anzi, sei Tu!

Il nostro «nulla» ormai, l’hai fatto tuo,

sei Tu, Tu crocifisso, Tu abbandonato,

Tu glorificato nel tuo annientamento.

E il nostro «nulla» in Te diviene comunione.

Lode a te, Gesù!

Non hai avuto paura del nostro «nulla» …

Si, hai avuto paura,

ma quella paura, l’hai superata con l’Amore.

«Non quello che voglio io, ma quello che vuoi tu, Padre.» (cfr Mc 14,36)

E il nulla è divenuto il tutto.

Tutto amore, tutto comunione.

 

 

21 aprile 2019 - Veglia Pasquale - Rm 6,3-11 – Lc 24,1-12 -  Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel


 

Cerchiamo questa notte di capire un po’ quel che è avvenuto.

Venerdì, eravamo sul Golgota, e siamo stati testimoni della morte di Gesù,

proprio della sua morte.

Infatti quando i soldati si avvicinarono a Gesù per spezzargli le gambe ed accelerarne la morte,

videro che Egli era già morto.

Il centurione impressionato da come Gesù era morto

disse: «Davvero quest'uomo era Figlio di Dio!», (Mc 15,39)

e per una forma di rispetto, credo, fece sì che non gli spezzassero le gambe,

ma «uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco». (Gv 19,34)

 

Quindi, Gesù è morto.

Gesù non ha finto di morire,

non è un fantasma, un’ombra, che sarebbe morto al posto suo.

 

E non è morto nella serenità, senza agonia.

Tutto il contrario.

 

Per non perderci, è entrato nelle tenebre più fitte,

nel buio assoluto, là dove regna la mancanza assoluta di Dio,

dove l’amore è completamente rifiutato, rigettato, bandito:

«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». (Mt 27,46)

 

Nel suo morire, Gesù divenne un’immensa ferita d’amore.

Una piaga spalancata

Un grido infinito.

E venne l’instante della morte.

Gesù ha conosciuto la morte come tutti gli uomini.1

Assolutamente come tutti gli uomini.

Ha vissuto la realtà terrificante della morte,

la solitudine estrema della morte,

la violenta separazione del corpo e dell’anima.

 

Il suo corpo pende dalla croce, morto.

E l’anima sua?

L’anima non muore.

L’anima umana è per natura immortale.

Ogni anima spirituale, insegna la fede cattolica, è creata direttamente da Dio

non è «prodotta» dai genitori – ed è immortale:

essa non perisce al momento della sua separazione dal corpo nella morte.2

 

Gesù ha conosciuto la morte come tutti gli uomini.3

Quindi Gesù, nella sua anima, è entrato nella dimora dei morti,4

la dimora di cui ci parla, ad esempio, la Parabola del povero Lazzaro,

con l’Ades, dove soffre terribilmente il ricco che fu insensibile al povero Lazzaro,

ed il seno di Abramo ove il povero Lazzaro fu portato dagli angeli. (cfr Luca 16,22-23).


Ma come è entrato Gesù nella dimora dei morti?

Vi è disceso come Salvatore,

proclamando la Buona Novella agli spiriti che vi si trovavano prigionieri.5

 

Vi è disceso come Salvatore.

Non come uno sconfitto, ma come Salvatore.

Ed è per questo che, al momento della sua morte,

 

dal suo costato «subito uscì sangue e acqua.» (Gv 19,34)

Probabilmente poco sangue, perché la Sua Passione gli avrà fatto perdere sangue,

ma anche acqua.

La sua morte è già sorgente di vita, anche se non si vede ancora,

se non in questo segno dell’acqua.

È pure per questo che al momento della sua morte,

Matteo ci parla di sepolcri che si aprirono

e di molti corpi di santi, che erano morti, che risuscitarono. (cfr. Mt 27,52)

 

È disceso quindi nella dimora dei morti come Salvatore,

secondo quanto scrive l’Apostolo Pietro:

«Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio;

messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito.

E nello spirito andò a portare l'annuncio anche alle anime prigioniere,

che un tempo avevano rifiutato di credere.» (1Pt 3,18-20)

 

Gesù, ci insegna il catechismo, non è disceso agli inferi per liberare i dannati,

né per distruggere l'inferno della dannazione,

ma per liberare i giusti che l'avevano preceduto.

È questo che raffigura l’icona della discesa agli inferi

oppure il meraviglioso affresco del Beato Angelico.

Ma va ricordato che quello che nell’arte si vede raffigurato con dei corpi

non è ancora avvenuto nei corpi, bensì nelle anime.

Furono le anime a essere liberate da Gesù disceso all'inferno nella sua anima.6


Mistero insondabile…

Fu il grande avvenimento nascosto del sabato santo.

«Oggi sulla terra c'è grande silenzio, grande silenzio e solitudine.

Grande silenzio perché il Re dorme:

la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato

ed ha svegliato coloro che da secoli dormivano. [...]

Egli va a cercare il primo padre, come la pecora smarrita.

Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell'ombra di morte.

Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva, che si trovano in prigione. [...]

Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio. [...]

Svegliati, tu che dormi!

Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell'inferno.

Risorgi dai morti. Io sono la Vita dei morti.»7

 

Avvenimento immenso:

perché la dimora dei morti era fino a quel momento uno «spazio» chiuso:

non c’era nessun accesso al Paradiso.

 

Ma, in Gesù, con Gesù, ecco che le prime anime entrano nel Paradiso.

E possiamo contemplare l’allegrezza di Adamo, di Eva, di Abramo, di Sara,

di Mosè, di Elia, di Geremia, di Giuditta, di Ester, di Giuseppe;

l’allegrezza di tanti poveri e piccoli di ogni nazione, razza, religione …

«Viene l'ora - ed è questa - in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio

e quelli che l'avranno ascoltata, vivranno.» (Gv 5,25)

 

Cosa avvenne allora?

Alla misericordia divina non bastò quella liberazione delle anime dalla dimora dei morti,

avvenuta nell’invisibile e senza il corpo umano.

La misericordia divina non è solo per l’anima.

Vuole salvarci in tutto il nostro essere.

Vuole portarci alla gloria in corpo ed anima.

 

Allora, al mattino del terzo giorno,

avvenne quaggiù il Miracolo in assoluto;

un’esplosione di vita e di gioia qui sulla terra;

una primavera di grazia inaudita nella realtà ben visibile nostra!

 

L’anima immortale e trionfante di Gesù si unì di nuovo

al suo corpo martoriato e sfigurato che riposava nel sepolcro.

 

La separazione drammatica, inumana, terrificante tra corpo e anima fu vinta.

La morte stessa fu vinta.

L’opera distruttrice del diavolo, del peccato, della morte è fallita.

Totalmente fallita.

La tomba è vuota.

Vuota.

«Perché cercate tra i morti colui che è vivo?

Non è qui, è risorto!» (Lc 24,5-6)

 

Ma la tomba vuota, anche se era cosa sconvolgente,

poteva essere interpretata in tanti modi.

Allora la Misericordia divina si dispiegò ancora:

Gesù, anima e corpo, Gesù nel suo corpo glorioso,

volle manifestarsi, rendersi visibile.

Perché lo vedessimo.

Perché lo toccassimo.

Perché sapessimo che la morte non ha avuto l’ultima parola.

E sono le apparizioni del Risorto,

alla Vergine Maria, ci dicono Teresa di Avila e Ignazio di Loyola,

poi alla Maddalena, alle donne, agli apostoli…

Ecco l’immensa opera della Misericordia.

 

Carissimi, l’ultima parola in questo mondo non è la morte, è l’Amore!

Già Il Cantico dei cantici affermava che «l’amore è forte come la morte». (Ct 8,6)

È vero: «L’amore, di per sé, è, per così dire, un grido che reclama infinità.»8

L’amore, nel suo anelito, va oltre la morte.

 

Ma noi sperimentiamo che «se l’amore anela all’infinito, non può darlo!

L’amore aspira all’eternità, ma si trova imprigionato nel mondo della morte».9

 

Ma, ormai, è avvenuta la Resurrezione.

La Resurrezione, la vittoria definitiva dell’amore sulla morte.10

È avvenuta la Resurrezione che colma il nostro più profondo desiderio di amore.

In Gesù, l’amore non è più prigioniero del peccato e della morte.

In Gesù, l’amore è salvato!

La Resurrezione rende possibile l’Amore reciproco, l’amore coniugale, l’amore familiare,

l’amore fraterno ….

Ecco la bellezza della Resurrezione!

Anzi… il frutto della Risurrezione è la comunione.

Infrange tutte le barriere, le paure, i pregiudizi …e ci fa diventare una cosa sola!

 

In Gesù risorto, il nostro amore si spalanca a delle dimensioni

che non possiamo ancora immaginare!

Evviva la Resurrezione!

 

1 Catechismo della Chiesa cattolica, n.632

2 Id, n.366

3 Id, n.632

4 Id n.632

5 Id n.632

6 Id n.632

7 Antica Omelia del Sabato Santo citata dal Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 635

8 Joseph Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, 2005, p.292

9 Cfr. : idem

10 Cfr. : Idem.

 

 

venerdì 19 aprile 2019 - Venerdì Santo - Is 52,13-53,12 – Eb 4,14 ..5.9 - Gv 18,1-19,42 - Cattedrale Santa Maria del Fiore - f. Antoine-Emmanuel

 

Il Suo dono è che possiamo dargli tutto.



«Mi ha amato e ha consegnato sé stesso per me.» (Gal 2,20)

Gesù mi ha amato e ha consegnato sé stesso per me.

 

Carissimi fratelli e sorelle,

nell’Amore Gesù è andato fino in fondo.

Non si è tirato indietro. (cfr. Is 50,5)

Non ha cercato né scappatoie, né scorciatoie.

«Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine.» (Gv 13,1)

Fino a essere «un verme e non un uomo,

rifiuto degli uomini, disprezzato dalla gente.» (Sal 22,7)

 

Isaia l'aveva già descritto cinque secoli prima:

«Molti si stupirono di lui,

tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto,

e diversa la sua forma da quella dei figli dell'uomo.» (Is 52,14)

 

Gesù ha così portato a compimento la volontà del Padre

che era di «cercare e salvare chi era perduto». (cfr Lc 19,10)

 

Per non perderci, Gesù è entrato nelle tenebre più fitte,

nel buio totale,

là dove regna l'assenza assoluta di Dio;

là dove l’amore è completamente rifiutato, rigettato, bandito.

Lui, l’Amore, è entrato nel non-amore:

«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46)

 

Nel momento della sua morte, Gesù si trova là dove l’amore non ha più senso,

non ha più ragion d’essere.

In quel momento, Gesù non è più che un’immensa ferita d’amore.

Una piaga spalancata.

Un grido infinito.

 

Da quel momento, dove noi siamo nella più amara solitudine, Gesù c’è.

Dove siamo nella più estrema fragilità, Gesù c’è.

Dove siamo nel peccato più tenebroso, Gesù c’è.

Dove regnano la rabbia, la collera, il rifiuto della vita, il rifiuto di Dio, Gesù c’è.

Ha voluto esserci. (cfr. Gv 10,18)

 

È un immenso mistero che trasfigura totalmente la nostra vita.

«Colui che non aveva conosciuto peccato», scrive l’Apostolo Paolo,

«Dio lo fece peccato in nostro favore,

perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.» (2 Cor 5,21)

 

«Gesù», dice Papa Francesco, «si “è fatto peccato”

e ha preso su di sé le sporcizie tutte dell’umanità, le sporcizie tutte del peccato.»

(Omelia a Santa Marta, 4 aprile 2017)

 

Sì, Gesù è «l’Agnello di Dio che prende su di sé il peccato del mondo» (cfr. Gv 1, 29),

come Isaia aveva profetizzato:

«Si è caricato delle nostre sofferenze,

si è addossato i nostri dolori.» (Is 53,4 - cfr 53,11)

 

Una giovane mi ha scritto di recente:

«Prova a metterti sulla croce, dalla parte di Gesù:

abbandono, dolore, tradimento, solitudine, stanchezza mortale,

violenza, parole amare, esser considerato un nulla, …

Tu sei lì sulla croce con Lui, e il tuo dolore non è distinto da Lui, è Lui,

il tuo peccato non è soltanto preso da Lui, è Lui.»

 

Che abisso!

 

Il peccato è sempre un isolamento.

Chi ha lasciato l’odio avvelenare il proprio cuore è terribilmente solo;

chi è davanti allo schermo per guardare pornografia è solo, terribilmente solo;

chi è affamato di onori è sempre più solo.

Il peccato è sempre un ripiegamento su di sé.

Ma… ecco, Gesù è lì e ci viene incontro!

Il nostro peccato, Egli lo prende, lo assume.

 

Il tuo, il mio peccato è l’orgoglio?

Se lo rimettiamo a Gesù oggi,

il nostro orgoglio diviene Gesù.

Il tuo, il mio peccato è la lussuria?

Se la rimettiamo a Gesù oggi,

la nostra passione diviene Gesù.

Nel luogo stesso della nostra vulnerabilità e del nostro peccato,

noi incontriamo Gesù!

 

Anzi, Egli si fa il compagno più intimo e più fedele,

l’Amico della nostra più stretta intimità,

la consolazione più profonda delle nostre ansie.

 

Il Suo perdono non è come quando si cancella una lavagna:

il Suo perdono è un conoscerci per quello che siamo

ed un amarci nella nostra fragilità.

 

La nostra solitudine più radicale oggi è infranta!

Siamo visitati, benedetti, amati.

Là dove in noi regna la vergogna, oggi entra l’amore.

E possiamo finalmente accoglierci gli uni gli altri

senza paura, senza maschera.

 

La croce è una rivoluzione.

 

A Gesù, possiamo rimettere tutto,

anche – e soprattutto – ciò che abbiamo di più vergognoso, di più disgustoso.

Anzi, è proprio quello che Gesù ci chiede oggi.

Ci supplica di consegnargli la nostra vergogna.

Perché se noi Gli rimettiamo quello di cui abbiamo vergogna,

allora Lui non sarà morto invano.

Ci sarà almeno una persona sulla terra che avrà accolto il Suo dono.

Il Suo dono è che possiamo dargli tutto.

 

Pochi giorni fa, Papa Francesco ha ricevuto i capi politici del Sud Sudan

e ha baciato i loro piedi, chiedendo loro di rinunciare alla guerra.

Vedendo la foto, la mia prima reazione è stata uno choc.

Come? Il Papa in ginocchio dinanzi a chi è responsabile di tante sofferenze!

Ma, subito dopo, ho “sentito” in me come una voce che mi diceva:

«Sai, è quello che Io ho fatto per te…»

 

Sì, Gesù è in ginocchio dinanzi a ciascuno di noi

chiedendoci di rimetterGli le sofferenze più nascoste

che portiamo, magari da molti anni, nel più grande segreto.

 

È stupendo: quello che più ci allontana da Dio,

che più ci allontana dall’amore,

diviene quello che più ci unisce a Dio,

che più ci immerge nell’Amore,

che più ci fa diventare una cosa sola gli uni con gli altri. (cfr Gv 17,11)

 

Della devastata e amata Cattedrale di Notre Dame de Paris,

circola in questi giorni una foto in cui si intravede

l’interno della Cattedrale, pieno di macerie, nel buio

con i pompieri in pieno lavoro,

e, in fondo, la croce del presbiterio come luminosa!

 

Sì, quando tutto in noi e tra noi sembra macerie,

brilla sempre la Croce.

Tutto può crollare, ma non crolla la Croce.

Non passerà mai l’Amore crocifisso di Gesù.

Nelle nostre tenebre brilla e brillerà sempre l’Amore crocifisso.

 

Ma questo, lo possiamo dire oggi anche della Chiesa:

nelle tenebre che affliggono oggi la Chiesa, brilla l’Amore crocifisso.

E brillerà sempre.

La Chiesa sta divenendo come la sposa denudata e fatta deserto,

descritta dal profeta Osea (cfr Osea 2),

come la Cattedrale di Parigi divorata dal fuoco e sventrata?

Ma Ella non scomparirà mai,

perché l’Amore crocifisso e risorto non passerà mai.

Anche se questa bellissima Cattedrale di Firenze crollasse,

non crollerà mai l’Amore crocifisso di Gesù.

 

L’unica cosa che conta è non separarci mai da Gesù nel suo Mistero pasquale,

rimanere nel Suo amore, (cfr. Gv 15,9)

anche quando la Chiesa sarà bersagliata, calpestata, perseguitata.

 

Se Gesù crocifisso risiede nel nostro cuore,

potremo attraversare ogni deserto.

Dal Roveto ardente che è Gesù crocifisso e risorto,

potremo sempre ripartire in missione

per continuare ad essere Chiesa luminosa,

piena di benevolenza e di tenerezza.

*

Ma chi ci custodirà, chi ci aiuterà a non allontanarci da Gesù?

Chi ci terrà uniti a Gesù?


Un’altra foto, di pompieri italiani, ha fatto il giro dei socials.

Vi si vedono 4 o 5 pompieri che portano in salvo una statua della Madonna.

 

Come se avessero capito che quel che dobbiamo salvaguardare è Lei!

Come hanno ragione!

Chi ci tiene uniti a Gesù, è la Sua - e ormai nostra – Madre!

Il Suo cuore immacolato trionferà,

e questo trionfo consiste nel custodirci nell’Amore di Gesù.

 

A Lei ci affidiamo, al suo Cuore Immacolato ci consacriamo.

Allora potremo attraversare tutti i deserti dell’anima e della storia,

e gusteremo il frutto della Croce che è la Resurrezione.

Se il peccato è isolamento, la Resurrezione invece è comunione.

Basta alzare gli occhi alla cupola di questa bella Cattedrale

e guardare i beati uniti dall’Amore reciproco.

Gesù ha preso su di Sé ogni discordia:

in Lui, tutto è comunione, inabitazione reciproca.

In Gesù, saremo un cielo gli uni per gli altri.

 

Vergine Maria, Santa Maria del Fiore, insegnaci a raccogliere

il dolce frutto della misericordia e della comunione

che ci offre oggi l’Albero della Croce

divenuto per noi Albero della Vita!

Amen.

 

 


Sabato 13 aprile 2019 - V settimana di Quaresima C - Ez 37,21-28 - Gv 11,45-56 -
Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel


«Voi non capite nulla!

Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo,

e non vada in rovina la nazione intera!»

Questo il calcolo politico sordido di Caifa.

Non importava che Gesù fosse colpevole o innocente.

Il fine giustifica i mezzi.

È conveniente per noi che muoia.

È conveniente per il nostro potere, per il nostro comodo.

È conveniente per salvaguardare il «nostro tempio», come dicono, (Gv 11,48)

il tempio del loro potere religioso,

il tempio dei loro interessi.

Calcolo politico sordido e sbagliatissimo,

perché la conseguenza della morte di Gesù sarà appunto la rovina del tempio.

 

Eppure…

Eppure nelle parole di questo sacerdote corrotto vi è una grande verità.

Non sapeva di profetizzare.

Sì, bisognava che Gesù morisse, affinché la nazione, e anche l’umanità intera,

non fosse distrutta.

Ma non si tratta della distruzione politica, nella storia,

ma della distruzione eterna dell’umanità in virtù della giustizia divina.

 

«Bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze

per entrare nella sua gloria.» (cfr. Lc 24,26)

e « per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi». (Gv 11,52)

La morte di Gesù non è la morte di una vittima rassegnata.

Se viene chiamato «agnello» per la mitezza ed il silenzio con i quali si consegna,

il suo non è silenzio di rassegnazione, bensì di amore.


Il suo morire non è accettazione passiva: è un lavoro, un lavorio divino.

Un immenso cantiere di riconciliazione,

per «riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi.»

Si adempie la profezia di Ezechiele:

«Ecco, io prenderò i figli d'Israele dalle nazioni fra le quali sono andati

e li radunerò da ogni parte e li ricondurrò nella loro terra:

farò di loro un solo popolo nella mia terra.» (Ez 37,21-22)

 

Ezechiele disse questo dopo aver compiuto un gesto:

prese due pezzi di legno che rappresentavano la divisione in due del popolo di Dio,

e li accostò l'uno all'altro in modo da fare un legno solo,

così che formassero una cosa sola nella sua mano.

Così nella mano del Padre sono i due pezzi di legno che formano la Croce.

È l’opera di riconciliazione per eccellenza, quella dell’umanità con Dio.

È un lavoro.

Un travaglio, un parto.

È Dio che partorisce l’umanità riconciliata.

È il grande lavoro del Mistero Pasquale,

il lavorio pasquale di Dio dentro la storia umana.

«Il Padre lavora, ed anch’io lavoro» disse Gesù. (cfr. Gv 5,17)

 

La Settimana Santa non la viviamo per la «nostra» spiritualità,

non la viviamo in vista di una nostra esperienza spirituale egoistica.

Entriamo nel lavorio di Dio.

La liturgia non è spettacolo. È travaglio, è parto.

Ci offriamo come col-laboratori della Pasqua divina,

come piccoli co-redentori.

Entreremo nel dolore del parto,

e nella gioia della nascita.

Collaboreremo alla salvezza delle anime.

Ed è questo travaglio che farà sì che sarà un’esperienza spirituale feconda per noi.

 

Il pericolo è lo spettacolo.

Non solo di metterci in mostra, ma anche di essere noi solo spettatori.

No!

Non guarderemo da lontano:

con tutte le nostre fragilità e con la nostra buona volontà,

con tutto l’amore di cui siamo capaci,

entreremo nella co-redenzione.

 

Ora, distratti e egocentrici come siamo,

l’unico modo per entrare pienamente in questo travaglio,

in questo ministero di riconciliazione,

è di entrarci con Maria.

A Lei per eccellenza è stato affidato il «ministero della riconciliazione». (cfr. 2 Cor 5,18)

È un ministero mariano prima di essere petrino.


Saremo con Maria nel Cenacolo,

e con i suoi occhi ed il suo cuore,

riconosceremo l’Amore sofferente che si svela nella lavanda dei piedi,

nel pane spezzato e nel vino versato.

 

Saremo con Maria all’ora del Getsemani,

unendoci, cuore a cuore, con la Pasqua nascosta di Gesù

che acconsente a che il peccato del mondo intero gravi su di Lui.

 

Saremo con Maria all’ora della Passione, degli oltraggi, delle torture,

offrendo a Gesù la consolazione del nostro amore e del nostro desiderio di conversione.

 

Saremo con Maria sulla Via Crucis, salendo con Gesù per amore del Padre

e affinché nessun' anima si perda.

 

Saremo con Maria sul Golgota, unendoci al morire per amore di Gesù,

entrando anche noi nell’orrendo silenzio di Dio,

nella notte di Dio,

affinché ogni anima, anche la più corrotta,

sia raggiunta dall’umile offerta di essere riscattata.

 

Saremo con Maria il Sabato santo, nel dolore dell’amara solitudine,

dell’indigeribile scandalo della morte dell’innocente,

della condanna dell’innocenza.

 

Saremo con Maria nel mattino di Pasqua,

con Lei riceveremo la prima visita del Risorto, la piena Luce,

vedremo il parto compiuto,

la nascita dell’umanità riconciliata,

la nascita dell’umanità al Cielo.

 

 

giovedì 11 aprile 2019 - V settimana di Quaresima C - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel


Cominciamo ascoltando alcuni versetti

che sono tra il Vangelo di ieri e quello di oggi.

 

Vi si trova prima una domanda da parte di Gesù

indirizzata agli uomini religiosi che lo accerchiano nel tempio:

«Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio?»

 

Sono uomini molto religiosi, eppure incapaci di accogliere il linguaggio, lalia, di Gesù.

 

E Gesù dà subito la risposta: «Perché non potete dare ascolto alla mia parola.» (Gv 8,43)

C'è un'incapacità di ascoltare.

E qual è la ragione di questa incapacità? Perché sono sordi?

 

«Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro.»

Nella loro vita, nel loro cuore, c’è un’altra paternità.

Il diavolo li «genera» a suo modo.

il diavolo semina la sua zizzania, il suo seme.

 

E che tipo di seme è questo?

«Egli, il diavolo, era omicida fin da principio,

e non stava saldo nella verità, perché in lui non c'è verità.

Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna.» (Gv 8,44)

 

Ecco, il seme del diavolo è fatto di due cose:

morte e menzogna.

Semina la morte e semina la menzogna.

«In lui non c'è verità.»

Non c’è e non ci sarà mai.

Tutto nel diavolo è menzogna.

 

Quegli uomini religiosi sono incapaci di dimostrare che Gesù ha peccato.

Eppure non credono.

Non credono, perché il diavolo ha seminato la menzogna in loro.

Pur essendo molto religiosi, non sono da Dio, dice loro Gesù.

 

«Chi è da Dio ascolta le parole di Dio.

Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio.» (Gv 8,47)

 

Carissimi, è molto prezioso per noi questo dialogo tra Gesù e quegli uomini religiosi,

perché ne possiamo trarre una sapienza ben precisa.

Il modo in cui accogliamo le parole di Gesù rivela quello che c’è in noi.

 

In noi c’è il sì alle parole di Gesù?

Non un sì solo intellettuale,

ma un sì del cuore, che vuole attuarsi nella vita?

Quando sentiamo la Parola di Gesù, soprattutto nel Vangelo,

riconosciamo che è Verità.

Non è che diciamo: «Io ritengo che questo sia verità.»

Ma riconosciamo che la verità è nel Vangelo,

e da esso ci lasciamo giudicare.

Quando avviene così, significa che viviamo da figli del Padre.

Siamo veramente noi stessi.

 

Ma capita anche che, dinanzi alla Parola di Gesù, ci ribelliamo.

Non vogliamo sentirla.

Ci dà fastidio.

Non vogliamo sentire una voce che ci chiama in causa, ci rimette in discussione.

Siamo impermeabili.

Allora, significa che il demonio ha seminato in noi,

siamo nella menzogna.

Non siamo noi stessi.

Siamo nella finzione, siamo nell’ipocrisia religiosa.

E, come quegli uomini del Vangelo, prepariamo le pietre contro Gesù.

E ora, Gesù non si nasconde più,

come faceva ancora nel Vangelo odierno, (cfr. Gv 8,59)

perché la sua ora non era ancora venuta.

Ora, si lascia lapidare, si lascia inchiodare,

si lascia condannare come maledetto da Dio.

 

Come fare quando riconosciamo che il nostro cuore è divenuto pietra,

e che abbiamo nelle mani delle pietre pronte contro Gesù?

Da noi stessi, siamo incapaci di uscirne,

perché il diavolo ci ha preso nella rete della menzogna.

Tutto quello che si oppone a Gesù è menzogna.

Può sembrare molto intelligente, ma non è che menzogna.

Perché non solo Gesù dice il vero,

ma Egli stesso È La Verità.

La Verità è Gesù.

 

Da noi stessi, siamo incapaci di uscirne,

ma le pietre del cuore e delle mani,

le possiamo dare a Gesù stesso.

La salvezza è disarmarci dinanzi a Lui,

rimettergli la nostra violenza contro di Lui:

« Gesù, ti rimetto la pietra che è la mia violenza contro la fragilità,

la pietra che è la mia violenza contro i poveri,

la pietra che è la mia violenza contro i migranti,

la pietra che è la mia violenza contro la croce,

contro la mia croce,

la pietra che è la mia violenza contro la grazia,

contro la gratuità della tua salvezza.»

 

Dai a Gesù tutte le pietre che il diavolo ha messo nel tuo cuore.

Solo Gesù è il chirurgo che può risanare il cuore da ogni menzogna.

Perché Lui entra nel nostro cuore.

Entra e quando entra, entra la Verità, entra l’amore, entra la tenerezza.

 

E' talmente vero, che Gesù arriva a dire:

«Se uno custodisce la mia parola, non vedrà la morte in eterno.» (Gv 8,51)

Se la Parola di Gesù, il Vangelo della Croce,

tu lo custodisci nel cuore vivendolo nel concreto,

allora non vedrai la morte in eterno.

 

Domenica 7 aprile 2019 - V Domenica di Quaresima C. (Vangelo anno A)- Es 43,16-21 – Fil 3,8-14 – Gv 11,1-45 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel


 

«Ecco, io faccio una cosa nuova:

proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,19)

Questa la domanda che il profeta Isaia rivolge al popolo d’Israele

spossato, abbattuto, esaurito, in esilio.

Ed aggiunge:

«Non ricordate più le cose passate,

non pensate più alle cose antiche!» (Is 43,18)

E' come se dicesse:

«Voi conservate nel cuore la memoria dell’esodo, della liberazione dalla schiavitù d’Egitto?

Ma Io sto per fare per voi qualcosa di ancora più grande!»

È l’annuncio della liberazione da Babilonia,

della fine dell’esilio, del ritorno, fino ad allora impensabile, nella Terra d’Israele.

«Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa.

Mi glorificheranno le bestie selvatiche, (…) perché avrò fornito acqua al deserto,

fiumi alla steppa,

per dissetare il mio popolo, il mio eletto.

Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi.» (Is 43,20-21)

 

Carissimi, ecco l’annuncio solenne di questa domenica!

Senz’altro il Signore ha già fatto cose grandi nella nostra vita!

Se non fosse così, non saremmo qui, ma saremmo fuori a guardare la maratona!

Ma una cosa più grande sta per compiersi nella nostra vita:

una liberazione, una strada ed un fiume nel tuo, nel nostro deserto,

nel deserto della nostra società, così arida spiritualmente.

 

E la via nel deserto la vediamo chiaramente nel Vangelo odierno.

 

Non c’è in nessun altro passo dei quattro Vangeli,

un odore di morte come nel capitolo undicesimo di Giovanni.

Puzzo di morte quando si apre la tomba di un uomo deceduto per grave malattia

e che, da quattro giorni, è nel sepolcro.

Puzzo di corruzione, di putrefazione.

 

Ma odore di morte anche nei cuori di alcuni uomini religiosi

che erano convenuti a Betania presso Marta e Maria.

Se fossero venuti per vera compassione,

avrebbero fatto festa dopo la resurrezione di Lazzaro.

Invece andarono a riferire l’accaduto ai farisei, per farla finita con Gesù.

Erano lì per essere testimoni del fallimento di Gesù, dinanzi alla malattia e alla morte.

 

Ma cosa avviene là dove regna la putrefazione?

Risuona la Parola di Gesù!

E la morte deve restituire quello che aveva ingoiato.

Risuona il Suo grido: «Lazzaro, vieni fuori!». (Gv 11,43)

E si vede Lazzaro fuoriuscire dal sepolcro sotto gli occhi di tutti.

L’amore di Gesù è più forte della più tenace putrefazione…

E chi dirà la bellezza del primo sguardo scambiato tra Gesù e Lazzaro, tornato in vita?

 

Mai Gesù aveva manifestato un tale potere sulla morte.

Egli aveva acconsentito a lasciar morire l’amico.

Aveva acconsentito a gettare le sorelle nel dolore, nel sentimento di tradimento.

Aveva acconsentito alla vittoria dei suoi nemici

che si beffavano di lui che «abbandonava» l’amico malato e non impediva la sua morte.

Aveva acconsentito a dare scandalo ai suoi discepoli,

non recandosi presso Lazzaro, quando seppe che stava morendo.

Aveva acconsentito a piangere anche lui, quando venne a Betania.

 

Come talvolta acconsente al nostro grido di dolore,

al nostro passare per il deserto, per le notti dell’anima, per lo scandalo…

 

Ma aveva in mente, ha nel cuore, un bene più grande: la loro fede, la nostra fede.

Non una fede qualunque, ma una fede passata nel crogiolo.

Una fede che ormai sa col cuore che anche sulla putrefazione Gesù è vittorioso.

 

Se quegli uomini religiosi il cui cuore odorava di morte

avessero avuto anche solo un po' di umiltà,

Gesù con il Suo amore, li avrebbe fatti uscire dal loro sepolcro…

 

L’opera di Gesù nella nostra vita è di portarci

ad una fede purificata dal nostro voler far bella figura dinanzi a Dio,

alla fede di cui Gesù parla a Marta, dicendo:

«Chi crede in me, anche se muore, vivrà» (Gv 11,25)

E di nuovo, quando giungono alla tomba:

«Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?» (Gv 11,40)

Questa fede rende Marta capace di far togliere la pietra

 

È questa fede che tu, Kim, ammesso oggi tra i catecumeni, vieni a chiedere.

Hai capito che se credi, vedrai la gloria di Dio!

È la fede di cui ci parla oggi l’Apostolo Paolo in un modo stupendo.

 

Paolo ha scoperto una verità fondamentale.

Dinanzi a Dio, egli si è sempre presentato con tutto il suo bagaglio personale:

la sua origine famigliare, i suoi titoli di studio, la sua pratica religiosa,

il suo zelo, la sua conformità alla legge, …

Tutto ciò pensava che gli consentisse di esser accettato da Dio.

 

Ma ormai ha capito che tutte queste cose sono pericolose.

Dinanzi a Dio, non vuole più avere nessuna ricchezza personale, nessuna…

Vuole avere soltanto Gesù, l’amore di Gesù, la Sua croce.

E nient’altro, nient’altro…

 

Finché ci presenteremo dinanzi a Dio con i nostri beni, i nostri meriti,

saremo su una strada sbagliata …

 

È una conversione radicale.

Perché vuol dire che le mie fragilità

che mi spingono a ricorrere a Gesù, a chiedere di esser lavato con il Suo sangue,

sono preziosissime!!

 

È pericoloso quello che mi fa stare in piedi, dinanzi a Dio, con le mie forze.

È prezioso quello che mi fa cadere nelle Sue braccia…

 

Ecco la fede!

È la fede che faceva dire a un giovane vescovo francese:

«Per quale mia fragilità, Dio mi ha scelto per questo servizio?»

 

È il mondo alla rovescia.

È la mondanità spirituale alla rovescia.

È la fede.

 

Ecco la cosa nuova che Isaia ci ha annunziato.

Una cosa nuova in noi.

Ma anche tra noi.

Perché se la mia fragilità è il mio vanto dinanzi a Dio,

non ho più paura né della mia fragilità, né di quella degli altri.

Le nostre fragilità presentate insieme al Sangue di Gesù

divengono un legame d’amore saldissimo,

un po’ di cielo sulla terra.

 

«Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?»

Certo che ce ne accorgiamo, quando la Croce di Gesù

diviene il punto focale della nostra vita,

il nostro punto d’appoggio,

la nostra sorgente.

 

Avendo la Croce Gloriosa di Gesù come unica ricchezza davanti a Dio,

anche nel deserto più arido del cuore sgorga l’acqua viva,

anche la putrefazione viene trasformata in vita nuova.

Ecco il cuore del Vangelo che tu, Kim, riceverai tra un istante.
 

 

Domenica 31 marzo 2019 - IV Domenica di Quaresima - Gios 5,9°..12 – 2 Cor 5,17-21 – Lc 15,1..32 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel

 

I due figli in noi si possono finalmente riconciliare


 

La prima lettura di questa domenica narra l’arrivo nella Terra Promessa.

«Il Signore disse a Giosuè:

Oggi ho allontanato da voi l'infamia dell'Egitto”» (Gs 5,9)

Il Signore ha “arrotolato” lontano da loro la vergogna dell’Egitto,

della schiavitù.

 

Anche noi siamo arrivati nella Terra Promessa?

No e sì.

No…. siamo ancora in cammino;

in cammino di Quaresima

e in cammino di conversione, che dura tutta la vita.

Tutta la vita è un convertirsi all’amore.

Dio man mano scava in noi la capacità di amare.

 

E sì!

Per noi il Padre ha già fatto qualcosa di stupendo.

Senza aspettare il nostro sì,

la nostra conversione,

e neanche il nostro desiderio di conversione,

ci è venuto incontro in Gesù.

 

Siamo già, per grazia, nella Terra Promessa.

E non “con un piede sulla terra e un piede nel cielo”

Ma “con il cuore nel cielo E il cuore sulla terra”.

 

Il cuore nel cielo perché il sangue di Gesù ci ha lavati.

Sei di Cristo? Allora sei una nuova creatura! (cfr. 2Cor 5,17).

C’è stato un nuovo parto nella nostra vita.

E’ quella bellezza dell’amore, della fede, della speranza

che a volte noi percepiamo, in noi e negli altri.

Sono io… e al tempo stesso sono diverso dal vecchio io egoista.

In noi, ci sono i lineamenti di un volto nuovo, vero?

 

Da dove viene? Dal Padre! “Tutto”… viene dal Padre.

Ci ha riconciliati: l’iniziativa è sua! (cfr. 2Cor 5,18)

 

L’invito a ballare è del Padre,

il primo passo della danza è del Figlio,

la gioia di ballare… lo Spirito Santo!

 

E noi?

Il nostro compito è di abbandonarci al ballo, a cui già siamo stati invitati.

Il nostro compito è di dire di sì,

di sradicarci dalle paralisi, dalle paure, dalle passioni,

e di consegnarci all’Amore.

 

Paolo insiste: «Era il Padre che riconciliava a sé il mondo» (2Cor 5,19)…

Come? Con il sacrificio del cuore.

Il primo a vivere il sacrificio è il Padre: «Dio lo fece peccato». (2Cor 5,21)

Fece peccato il Figlio!

Per non perderci ha voluto che il Suo Figlio vivesse l’allontanamento dal Padre,

ha voluto che ci fosse questo strappo:

«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Sal 21,2)

e che nello strappo ogni nostro peccato potesse essere curato.

Perché fossimo nudi… spogli da ogni peccato,

da ogni protezione contro Dio, contro l’Amore.

Perché ritrovassimo la gioia di essere figli.

La gioia profonda è come il grido del bambino che nasce.

Ma non un grido di dolore: un grido di stupore e di meraviglia.

La gioia è la figliolanza divina.

Gli occhi del cuore che si aprono sul volto del Padre.

 

Carissimi, la liturgia di questa domenica è un inno alla gioia,

un invito alla gioia!

 

Un invito che viene rivolto al figlio minore in noi.

Il figlio delinquente che pensa di vivere senza Dio, che fa le valigie,

si appropria del dono del Padre e se ne va per conto proprio.

E finisce a pascolare i porci, che sono le passioni degli altri,

e muore di fame perché l’anima non ha più nessuna gioia vera.

 

L’invito del Vangelo è un invito al ritorno in noi stessi e al Padre,

per gustare l’abbraccio divino che ci ricrea…

Scopriamo che Dio non ci chiede di pagare,

ci chiede solo di tornare.

Noi vorremmo pagare con un cambiamento di status da figlio a salariato,

ma per Dio siamo figli suoi…

e niente potrà mai cambiare il suo sguardo:

Tu sei suo figlio! Sei la sua gioia!

 

Un invito più forte ancora è rivolto al figlio maggiore in noi.

Il figlio “obbediente” che si affatica per “essere a posto” con Dio,

fa le sue preghiere, fa tanto per gli altri,

e non chiede nessuna gioia al Padre.

Per lui, far festa per il figlio delinquente non ha senso, è uno scandalo,

che lo fa arrabbiare tanto.

 

Non si sente talvolta in noi stessi:

«Come mai tu faresti festa per il delinquente in me?

L’amore si merita!

La benevolenza di Dio si merita!

La gratuità è un’assurdità!

Tutto si paga!»

 

Per questo figlio, l’invito alla gioia è una conversione radicale…

E’ uno spogliarsi di ogni merito, ogni merito,

per gettarsi nelle braccia di Dio,

per entrare nella gioia di Dio.

 

Il figlio maggiore della parabola non volle entrare.

E tu, e io?

Vogliamo dire di sì alla gioia di essere amati dal Padre?

Vogliamo entrare nella gioia del Padre?

La gioia vera è il Padre.

Non è un sentimento, un’emozione… è il Padre.

Una gioia che nessuno ci può togliere.

 

Il grande processo contro la Chiesa,

l’Inquisizione dei nostri giorni, ci toglierà tanto, tanto,

ma non ci toglierà questa gioia.

L’unico a poter privarmi di questa gioia… sono io stesso!

 

Carissimi, oggi, al figlio delinquente in te, il Padre dice “vieni!”

Al figlio obbediente in te, il Padre dice “vieni!”

e finalmente i due figli in noi si possono riconciliare

e diventano capaci di relazioni vere con gli altri.

La guerra interiore ci impediva di amare e lasciarci amare.

In Gesù la riconciliazione avviene in noi e tra noi.

E riconosciamo che la nostra comune gioia è il Padre.

 

La gioia profonda non è il Padre “per me”,

ma poter dire e vivere insieme: “Padre nostro”.

 

Domenica 24 marzo 2019 - III Domenica di Quaresima C - Es 3,1..15 – 1 Cor 10,1..12 – Lc 13,1-9 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel


 

I Galilei che furono uccisi da Pilato e il cui sangue fu mescolato a quello dei loro sacrifici,

- il che era uno sacrilegio orrendo per Israele -,

erano più peccatori degli altri Galilei?

No! Risponde Gesù!

Gli egiziani copti che sono stati uccisi da Daesh nel febbraio 2015

erano più peccatori degli altri cristiani?

No!

E coloro che si trovavano sul ponte di Genova l’estate scorsa

erano più peccatori degli altri?

No!

 

Chi discuteva con Gesù quel giorno si aspettava che egli dichiarasse

che costoro erano più peccatori…

E Gesù, al contrario, parte da questi fatti drammatici

per chiamare i suoi interlocutori alla conversione:

«Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.» (Lc 13,5)

Se non vi convertite, morirete di una morte violenta

per il corpo e per l’anima…

 

Le chiamate alla conversione,

le chiamate a portare frutti di conversione,

sono in ogni pagina dell'Antico Testamento.

La Sacra Scrittura è un costante richiamo alla Teshuva,

a ritornare a Dio,

a convertire il proprio cuore all’Amore di Dio.

Ma chi vi risponde?

 

Sono tre anni, racconta Gesù nella parabola odierna,

che si aspetta un frutto di conversione, e non ce n'è…

Allora, a buona ragione, la Giustizia divina vuole tagliare quell'albero di fichi.

Ma la Misericordia divina cerca instancabilmente di zappargli attorno

e di mettervi il concime,

affinché, finalmente, i frutti di conversione vengano fuori. (cf. Lc 13,7-9)

Questo è il grande lavoro di Gesù,

affinché nessuno si perda.

 

Ma se la Misericordia non è accolta,

non c’è che la Giustizia.

 

Carissimi, la chiamata alla conversione non cessa di risuonare nella Chiesa.

Ma chi vi obbedisce?

 

Cosa avviene quando noi siamo sordi alla chiamata alla conversione?

A questa domanda risponde il Libro del Profeta Osea.

Al suo Popolo infedele, alla Gerusalemme infedele, così dice il Signore:

«Accusate vostra madre, accusatela,

perché lei non è più mia moglie e io non sono più suo marito!

Si tolga dalla faccia i segni delle sue prostituzioni

e i segni del suo adulterio dal suo petto;

altrimenti la spoglierò tutta nuda e la renderò simile a quando nacque,

e la ridurrò a un deserto, come una terra arida,

e la farò morire di sete.» (Os 2,4-5)

Per mezzo dei propri nemici, Israele viene spogliata tutta nuda…

Non è quello che avviene oggi per la Chiesa Cattolica?

Per mezzo di chi disprezza la Chiesa,

la Chiesa viene messa a nudo.

Un nuovo atto del grande processo alla Chiesa è cominciato da qualche anno.

Si mescolano fatti veri, fatti orrendi, fatti scandalosi,

e accuse perverse, generalizzazioni false, odio…

È un grande processo che mette a nudo la Chiesa.

«la spoglierò tutta nuda

(…) e la ridurrò a un deserto, come una terra arida.» (ibidem)

La Chiesa si ritrova e si ritroverà nuda…

Perché perderà il suo potere ecclesiastico.

Perderà l’impunità sacerdotale,

l’immunità ecclesiale…

Saremo nudi.

Privi di tutte le ricchezze umane di status sociale,

di sicurezza economica,

di buona fama

e di onori mondani.

Siamo e saremo quello che gli Atti degli Apostoli chiamano

la Chiesa del deserto (Atti 7,38).

«Scoprirò allora le sue vergogne agli occhi dei suoi amanti

e nessuno la toglierà dalle mie mani.

Farò cessare tutte le sue gioie,

le feste, i noviluni, i sabati,

tutte le sue assemblee solenni.» (Os 2,12-13)

Allora, dice ancora il Libro di Osea,

«Ecco, io la sedurrò,

la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore.» (Os 2,16)
 

Letteralmente, «parlerò contro il suo cuore».

Quando, nel deserto, il nostro cuore parlerà di rabbia, di scoraggiamento, di depressione,

il Signore parlerà contro il nostro cuore.

 

Nel deserto, come avvenne per Mosè, faremo esperienza del Roveto Ardente,

cioè, della presenza di Dio nella povertà del roveto.

Scopriremo l’incredibile buona notizia della Croce.

Il Signore parlerà contro il nostro cuore rivelandoci Gesù,

rivelandoci le ricchezze del Suo cuore.

Essere nudi diverrà la nostra felicità, la nostra gioia, anzi la nostra fierezza!

Perché la nostra nudità ci farà scoprire

che la nostra sola vera ricchezza è Gesù!

Il Mistero Pasquale di Gesù è il Roveto Ardente che scopriremo nel deserto.

Il Roveto è Gesù crocifisso che viene consumato dal dolore,

dall’abbandono del Padre

e dalla stessa morte,

eppure non si consuma.

Continua ad amarci.

Prende su di sé tutto il peccato degli uomini di Chiesa

e del mondo intero.

Prende su di sé tutto tutta l’empietà del mondo pagano di oggi che pretende di essere Dio.

 

E, come Mosè, vorremo avvicinarci a osservare questo grande spettacolo.

Allora, come avvenne per Mosè, la nostra vita sarà trasformata dal deserto e dal Roveto.

Diverrà una vita feconda.

 

Cristo sarà il nostro Roveto Ardente,

e, come ci dice oggi Paolo,

Cristo è e sarà la nostra roccia!

Scrive Paolo: «Tutti bevvero la stessa bevanda spirituale:

bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava,

e quella roccia era il Cristo». (1 Cor 10,4)

 

Allora, dice il Signore,

«Le renderò le sue vigne e trasformerò la valle di Acor,

- la vallata della disperazione -,

in porta di speranza.» (Os 2,17)

 

Carissimi, il nostro domani poggia interamente su Gesù.

Al processo alla Chiesa, succederà la condanna della Chiesa,

la persecuzione della Chiesa.

Ma si vedrà che la Chiesa è «Sua Chiesa» come disse a Pietro. (Mt 16,18)

Tutto ciò che nella vita ecclesiale non è di Gesù, non è per Gesù, andrà in rovina.

Ma l’Amore non passerà mai.

La Chiesa non passerà mai.

 

E chi ci custodisce e ci custodirà in Gesù,

quando siamo e saremo tentati di rinunciare alla fede in Lui?

Cosa ci dice la Scrittura?

Ci dice che coloro che «custodiscono i comandamenti di Dio

e sono in possesso della testimonianza di Gesù»

sono «il resto della discendenza della Donna», di Maria, (cf. Ap 12,17)

coloro, cioè, che accolgono Maria come Madre.

 

Chi ci custodirà in Gesù, quando saremo tentati

di abbandonare il comandamento unico, il comandamento dell’amore reciproco,

perché sarà stato profanato da alcuni?

Maria.


Chi ci custodirà in Gesù, quando saremo tentati

di non essere solidali con chi sarà accusato, giustamente o meno?

Maria.

 

Chi ci custodirà in Gesù, quando saremo tentati

di preferire una religione potente, fatta di leggi e di riti, che pretende di radunare i santi

e di meritare la salvezza?

Maria.

Maria… il Suo Cuore Immacolato trionferà…

 

Per Maria, a Gesù.

Lui, il nostro Alfa ed il nostro Omega.

Gesù, che ora si consegna nelle nostre mani,

affinché ci convertiamo all’Amore,

al Suo amore.

 
martedì 19 marzo 2019 - San Giuseppe - Mt 1,16..24 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel

 

Oggi facciamo memoria di colui che fu il primo servo e testimone dell’Incarnazione,

dopo la Vergine di Nazareth: Giuseppe.

Giuseppe, figlio di Giacobbe, nipote di Mattan.

Giuseppe, della discendenza regale di Davide.

Giuseppe figlio di Abramo, figlio dell’Alleanza.

Giuseppe che dimorava e lavorava a Nazareth, ma che era originario di Betlemme.

 

Chi più di lui fu testimone dell’Incarnazione?

Vide Maria incinta, vide il neonato a Betlemme.

Si prese cura del Bambino e della madre nella grotta.

Vide i pastori, accolse i magi.

E, quando il bimbo fu minacciato, fu lui che organizzò

la partenza, l’immigrazione, la ricerca di una casa, di un lavoro, in Egitto.

Poi fu lui a fare veramente da padre sulla terra al Figlio di Dio.

Se l’educazione religiosa era compito di Maria,

fu invece Giuseppe ad insegnare a Gesù a lavorare il legno,

a fabbricare dei mobili, con solidità e bellezza, a lavorare bene.

Gesù non fu sulla terra orfano di padre.

Il Padre suo celeste gli diede come padre terreno un santo,

dando poi alla Chiesa l’ispirazione di sceglierlo come patrono della Chiesa universale.

Un santo.

Si.

Un grande santo.

 

Santo innanzi tutto per quello che ricevette dalla sua eredità ebrea.

Santo per la sua conoscenza della Scrittura.

Santo per il suo ascolto dello Spirito Santo che lo spinse, credo,

a scegliere la verginità, cioè di essere un nazir, un consacrato per il Dio d’Israele.

Santo per la sua disponibilità a diventare lo sposo

di una giovane compaesana che aveva scelto, anche lei, la verginità.

Santo per il suo vivere la castità, pur vivendo in compagnia

della moglie alla quale si legò con intenso amore.

E si potrebbero elencare a lungo i tratti della santità di Giuseppe.

 

Ma vorrei fermarmi su due fonti della santità di Giuseppe.

 

Una prima fonte fu la Passione di Giuseppe.

Il vangelo odierno ci ha ricordato un momento cruciale della vita di Giuseppe.

Matteo ci racconta che Maria, « essendo promessa sposa di Giuseppe,

prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.»

E prosegue: «Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente,

pensò di ripudiarla in segreto. » (Mt 1,18-19)

Vi fu quindi un momento – tragico – in cui Giuseppe,

senza aver ricevuto nessuna spiegazione

né da parte di Dio né da parte di Maria,

scoprì che sua moglie era incinta.

Si può immaginare che sia stato quando Maria tornò

dal soggiorno presso Elisabetta.

 

Momento davvero tragico!

Giuseppe conosceva Maria.

Non era possibile che avesse commesso un'infedeltà coniugale.

Non era neanche possibile che fosse stata vittima di uno stupro

e che non avesse detto nulla a Giuseppe.

 

Secondo la legge, Maria avrebbe dovuto esser lapidata,

ma Giuseppe non poteva assolutamente accettare questo.

E, finché l’angelo del Signore non gli spiegò l'accaduto nel sogno,

Dio rimase in silenzio.

E Maria rimase in silenzio.

Chi dirà il tormento interiore di Giuseppe,

il non senso della situazione in cui si trovava, la solitudine estrema.

Fu la Passione di Giuseppe.

Aggravata dal fatto di non chiedere a Maria

cosa fosse accaduto.

 

A causa di Gesù, Giuseppe fu crocifisso interiormente.

Fino al momento in cui l’angelo del Signore gli disse:

«Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa.

Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo;

ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù.» (Mt 1,20-21)

Non era ancora chiaro che il Bambino fosse in persona il Figlio di Dio,

ma la sua origine soprannaturale ed il suo essere Messia erano già chiari.

 

Questa prova dovette segnare per sempre l’anima di Giuseppe.

Aprì in lui come uno spazio interiore di stupore, di meraviglia, di contemplazione

dinanzi al Bambino e alla Madre.

Ormai sapeva quanto la moglie, Maria, fosse l’intima di Dio,

l’eletta, la scelta, la benamata.

E quanto rispetto, quanto amore, quanta castità

avrà avuto nei suoi confronti !

Quanto ascolto, in particolare…

Mi piace contemplarlo quando poneva su Maria uno sguardo di così grande stupore ed amore…

 

Certo esercitò pienamente il suo servizio di capofamiglia,

ma sapeva ormai quanto fosse necessario aprirsi e chiedere luce a Maria.

Sapeva di esser accanto al Tabernacolo divino,

all’Arca dell’Alleanza,

alla Madre del Redentore,

che, fu già chiaro a Betlemme e poi alla Presentazione al Tempio,

doveva com-patire la Passione del Figlio.

 

Non era più Giuseppe il giusto, bensì Giuseppe il Santo!

 

C’è, mi sembra, un’altra fonte splendida della santità di Giuseppe.

A Betlemme, in Egitto, a Nazareth, Egli fece un’esperienza stupenda

dei rapporti interpersonali che sono propri del Regno di Dio.

 

Pensate a come sarà stato segnato dall’amore reciproco vissuto con Maria,

un amore non spento dalla castità, ma, al contrario, reso più puro, più libero.

 

Pensate a come sarà stato segnato dall’amore reciproco vissuto con Gesù:

amare Gesù ed essere amato da Lui,

nel quotidiano della vita famigliare, della preghiera, del lavoro…

 

Ma pensate pure a come sarà stato segnato dall’essere il testimone

dell’amore reciproco tra Gesù e Maria.

Come avrei voluto essere al suo posto!

Vedere l’intensità del loro amore in cui c’era l’amore materno e filiale naturali,

ma c’era molto di più:

un’anima sola,

un cuore solo.

Un unico desiderio di adempiere la volontà del Padre.

Un unico anelito a portare a compimento la salvezza del mondo.

Un cuore solo in cui c’era il mondo intero.

In cui c’eri tu, c’ero io…

Questo Giuseppe vide nel quotidiano.

 

Passione di Giuseppe.

Ed esperienza della Resurrezione, già, nella comunione all’interno della Santa Famiglia.

 

Ed il bello è che tutto ciò avvenne nell’ordinario.

Giuseppe fu un uomo che lavorò perché la piccola famiglia potesse vivere.

Si dedicò alle faccende ordinarie di una famiglia.

Assunse la responsabilità della famiglia, del tetto, dei soldi, delle riparazioni, e cosi via.

L’essere stato scelto come padre terreno del Figlio di Dio

non lo tagliò fuori dall’ordinario.

Ed è nell’ordinario che divenne il grande santo che festeggiamo oggi.

Gli chiediamo allora il dono di vivere con coraggio le nostre prove

e di contemplare con gioia i primi barlumi della Resurrezione,

nell’ordinario.

Dio ci aspetta nell’ordinario.

Il mistero pasquale lo viviamo, anche noi, nel quotidiano.

Alla scuola di San Giuseppe.

 

 

Domenica 3 marzo 2019 - VIII Domenica T.O. - Sir 27,5-8 – 1 Cor 15,54-58 – Lc 6,39-45 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel


Vi ricordate del Vangelo di domenica scorsa?

Era una grande chiamata da parte di Gesù a vivere nella misericordia,

fino a dirci: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.» (Lc 6,36)

Finiva con la chiamata a «non giudicare, a non condannare e a perdonare.» (cf Lc, 6,37)

Poi all’improvviso, sembra, ecco il Vangelo odierno

in cui Gesù ci avverte che «un cieco non può guidare un altro cieco.» (cfr Lc 6,39)

Come si collegano l'uno con l’altro?

 

Agli occhi di Gesù, chi è cieco?

È cieco colui che non conosce la misericordia del Padre.

Puoi sapere tante cose su Dio, anche sulla sua misericordia,

ma se non conosci la misericordia, sei cieco.

Se non ne hai fatto esperienza, sei cieco.

 

Questo era il dramma di tanti farisei contemporanei di Gesù,

di tanti scribi e dottori della legge.

Sapevano tante cose, erano esperti della legge,

ma mancava loro una cosa:

non avevano fatto l’esperienza della divina misericordia.

Perciò erano dei ciechi che guidavano altri ciechi.

E tutti cadevano nello stesso fosso:

il fosso del giudizio e della condanna degli altri.

 

Luca prosegue, riportandoci un’altra affermazione di Gesù:

«Un discepolo non è più del maestro;

ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.» (Lc 6,40)

 

È un detto di Gesù che anche Giovanni riporta,

nel capitolo tredicesimo, dopo la lavanda dei piedi:

«In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone,

né un inviato è più grande di chi lo ha mandato.» (Gv 13,16)

È come se Gesù dicesse:

«Non pensare di poter piacere a Dio se non lavi i piedi ai tuoi fratelli,

se non usi misericordia verso di loro.

Non c’è scorciatoia!»

 

Nel capitolo quindicesimo,

Gesù riprende la medesima affermazione:

«Ricordatevi della parola che io vi ho detto:

"Un servo non è più grande del suo padrone".»

E prosegue: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi.» (Gv 15,20)

È come se Gesù dicesse di nuovo:

«Non pensare di poter essere amico di Dio senza essere perseguitato,

senza esser umiliato, rigettato.

Non è possibile!

Non c’è scorciatoia!»


Capiamo allora che anche a noi, oggi, Gesù dice:

«Non c’è scorciatoia!

Non pensare di piacere a Dio, di essere amico di Dio,

di essere nella grazia,

se non entri nella misericordia,

e questo ti costerà non poche sofferenze

perché la cultura odierna non ama la Misericordia divina.»

 

Finché sono uno che giudica e condanna, non sono amico di Dio.

Se giudico e condanno senza pietà chi abusa anche dei minori,

non sono nella verità di Dio.

Non ci vedo chiaro.

E Gesù dice esplicitamente:

«Come puoi dire al tuo fratello:

"Fratello, lascia che tolga la pagliuzza – o anche la trave - che è nel tuo occhio",

mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio?» (Lc 6,42)

 

È un discorso forte!

Finché non ho fatto esperienza della misericordia nella mia vita,

finché non ho conosciuto la misericordia di Dio,

ho una trave, come quella di questo soffitto, nell’occhio.

Penso di vederci chiaro,

ma non vedo nulla.

Si vede bene solo nella misericordia.

È la misericordia che ci permette di vederci chiaro.

Ricordatevi del servo al quale il padrone rimette un debito enorme

e che poi si getta sul compagno che gli deve pochi spiccioli. (cfr. Mt 18,21-35)

Era cieco!

Perché non aveva accolto nel cuore la misericordia del padrone.

La misericordia era rimasta per lui un’idea… non aveva pianto di gioia.

È il pianto di vergogna e di gioia dinanzi alla misericordia di Dio

che ci purifica il cuore e quindi ci rischiara lo sguardo.

 

Sentite quel che segue nel brano odierno:

«L'uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene;

l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male.» (Lc 6,45)

Cosa significa il «buon tesoro del suo cuore»

Il buon tesoro del tuo cuore

è appunto l’esperienza del perdono.

 

Il nostro cuore è ferito,

ha perso la sua purezza originaria,

la sua bellezza originaria:

è il peccato originale.

Ma viene rivestito di una nuova bellezza,

arricchito di un nuovo tesoro

quando si trova dinanzi alla Croce di Gesù,

e scopre di essere perdonato, amato senza misura, purificato dal sangue di Gesù!

 

Il tesoro del tuo cuore è quello di cui Paolo ci parla oggi:

«La morte è stata inghiottita nella vittoria.

Dov'è, o morte, la tua vittoria?

Dov'è, o morte, il tuo pungiglione? » (1 Cor 15,54-55)

 

Il nostro tesoro è la Resurrezione di Gesù

che è l’esplosione di Misericordia che salva il mondo.

 

Allora, come dice Gesù oggi,

«La tua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.» (cfr Lc 6,45)

E dal cuore sovrabbonda l’Amore misericordioso.

 

Carissimi, che potenza in questo Vangelo!

Vi si capisce che l’unico sguardo di verità su di noi, sugli altri, sul mondo,

è la misericordia divina.

Essa non nega la giustizia, non finge di non vedere,

non relativizza né giustifica il male.

L’abuso su dei minori è una realtà gravissima.

Distrugge la vita,

ferisce in modo orrendo le anime.

Il male è male.

Lo diceva Papa Francesco domenica scorsa:

«Nessun abuso deve mai essere coperto (così come era abitudine nel passato) e sottovalutato,

in quanto la copertura degli abusi favorisce il dilagare del male

e aggiunge un ulteriore livello di scandalo.» 1

 

Ma la persona che commette il male

non la posso né giudicare né condannare.

Se condanno, devo sapere che sono cieco,

e che porterò gli altri nel fosso.

E il fosso si chiama l’inferno.

 

«Il santo timore di Dio ci porta ad accusare noi stessi – come persone e come istituzione –

diceva ancora Papa Francesco domenica scorsa,

e a riparare le nostre mancanze.

Accusare sé stessi: è un inizio sapienziale, legato al santo timore di Dio.

Imparare ad accusare sé stessi, come persone, come istituzioni, come società.

In realtà, non dobbiamo cadere nella trappola di accusare gli altri,

che è un passo verso l’alibi che ci separa dalla realtà.»2

 

Carissimi, siamo a tre giorni dall'inizio della Quaresima,

e già possiamo chiedere al Signore che in questo tempo

ci doni di conoscere la misericordia di Dio

come non l’abbiamo ancora mai conosciuta.

Gli chiediamo le lacrime del cuore che lavano lo sguardo.

E come sarà bello guardarci a vicenda con l'occhio purificato!

Ne saremo stupiti,

e il nostro sguardo, ormai luminoso, sarà una vera luce per il nostro mondo.


 

1 http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/february/documents/papa-francesco_20190224_incontro-protezioneminori-chiusura.html

2 Ibidem.

 

 

sabato 23 febbraio 2019 - VI settimana T.O. - Eb 11,1-7 – Mc 9,2-13 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel


 

«In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti,

che non morranno prima di aver visto giungere il regno di Dio nella sua potenza». (Mc 9,1)

Queste furono le parole di Gesù prima di condurre i tre apostoli sul monte Tabor.

 

«Veder giungere il regno di Dio nella sua potenza.»

Carissimi, questo può essere il dono che il Signore ci vuole fare:

farci vedere il Suo Regno.

Anche per un momento brevissimo.

 

Quando viene l’ora, quando Gesù prende l’iniziativa,

occorre lasciarci portare da Lui in disparte,

talvolta con altri discepoli da Lui scelti.

Lasciarci attirare da Lui.

Acconsentire ad una solitudine.

E dire di sì alla fatica della salita.

Costa lasciare il quotidiano, staccarci dalle nostre sicurezze, andare verso l’ignoto.

E salire l’alto monte con Gesù.

Sudare.

Il passo dell’amore è un passo esigente.

Ti chiede di perderti.

Sai cosa stai perdendo, e non sai dove l’amore di Gesù ti porterà.

Ma ti fidi.

Segui le sue orme, per giungere sul monte.

 

Sul Tabor,

così vicino a Nazareth, e così diverso;

così vicino al vivere quotidiano, e così diverso.

 

E viene il momento in cui, all’improvviso, la presenza di Gesù diviene luce.

Il Suo volto è tutto luce,

una luce che non è di questa terra.

«Nessun lavandaio sulla terra potrebbe rendere le sue vesti così bianche.» (Mc 9,3)

 

Non è un momento di tranquillità, di dolce far niente.

Non è neanche confusione o smarrimento.

Come i tre apostoli, sei – siete – spaventato.

Tutto è più grande delle dimensioni del tuo cuore e della tua mente.

Tutto è troppo grande, troppo luminoso.

Lo stesso Pietro, pur ispirato in cuor suo nel passato dal Padre celeste,

«non sapeva che cosa dire.» (Mc 9,6)

Eppure c’è la testimonianza di Mosè e di Elia,

i due testimoni necessari per essere certi della verità delle cose.

Vi è, cioè, la testimonianza della Scrittura, della Storia Santa,

della Rivelazione…

Ma tutto è ancora troppo grande, troppo luminoso…

 

Pietro vorrebbe fare delle capanne.

Fare per Gesù e i suoi testimoni una dimora…

 

Ma eccoti – eccoci – in una dimora inaspettata: nella nube. (cfr Mc 9,7)

La nube è chiarezza e tenebra.

Una chiarezza che non è di quaggiù, e che è ombra per la nostra mente.

Ti perdi,

eppure sai che non sei mai stato così vicino alla verità del tuo essere.

La tua anima è fatta per la luce dell’Amore,

ne ha sete,

ma l’Amore si fa abbagliante…

La nube ti spiazza, eppure ti copre, ti protegge…

La nube venne su Maria (cfr Lc 1,26-38)

E fu feconda.

La nube viene su di te, su di noi,

per renderci fecondi.

Vai oltre la tua fecondità naturale,

per giungere alla fecondità del Regno.

 

«E dalla nube uscì una voce.» (Mc 9,7)

La voce esce dalla nube.

La voce del Padre si fa sentire quando ti lasci invadere dalla nube.

 

« Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo (ibidem)

Colui che ti sta conducendo sulla via dello spogliamento è il Figlio mio;

colui che ti parla della Sua Passione e della tua Com-Passione è il Figlio mio;

colui che ti promette di risorgere in Lui è il Figlio mio.

 

Tutto l’Amore del Padre è in Lui.

Non c’è da cercare l’amore altrove.

In Lui sono tutte le ricchezze, tutti i colori, tutti le fragranze dell’Amore divino.

La croce Sua non è la sconfitta dell’Amore,

è la sua Suprema manifestazione…

è il divino vaso dell’Amore celeste che si infrange¸

per diffondersi sulla terra,

è l’unzione dell’Amore che viene su di te, su di voi,

e fa di voi altri Cristi, unti dall’Amore che mai si spegne. (cfr Mc 14,3-9)

 

E quando scendi e ritrovi il quotidiano,

ferito dalla visione dell’Amore,

l’anima tua è in silenzio.

Come in convalescenza dalla dolce ferita di una così grande tenerezza.

Ma ti resta nel cuore, come impresso:

«Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!» (Mc 9,7)

L’anima tua diviene ascolto.

Hai sete di ascoltare la voce del Figlio,

di stare all’erta per riconoscere l’eco della Sua voce

nella Scrittura,

nel tuo cuore,

nei fratelli e nelle sorelle,

nel creato.

Hai sete della Sua voce…

 

Come Maria, senti il Salmo parlare al tuo cuore:

«Ascolta, figlia, guarda, porgi l'orecchio:

dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre;

il re è invaghito della tua bellezza.

È lui il tuo signore: rendigli omaggio.» (Sal 45,11-12)

 

 

giovedì 21 febbraio 2019 - VI settimana T.O. - VI anniversario della morte di f. Pierre-Marie - Gn 9,1-13 – Mc 8,27-33 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel

 

«Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo.» (Mc 8,32)

 

Pietro rimprovera Gesù.

Perché, secondo Pietro, Gesù si è sbagliato.

Non avrebbe mai dovuto parlare così.

Non è possibile che il Messia

perché è chiaro per Pietro che Gesù È il Messia –

faccia una fine così brutta, vergognosa.

Il Messia deve trionfare.

Deve far vedere la vittoria assoluta di Dio nella storia.

Deve far vedere che Dio non abbandona mai Israele.

Soffrire molto, essere rifiutato e venire ucciso non può essere la sorte del Messia.

Sarebbe disonorare Dio, il Dio d’Israele, il Dio della Promessa.

«Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai» (Mt 16,22),

esclama Pietro!

«Non ti accadrà mai»

È impossibile!

 

Pietro dice questo a Gesù in disparte.

Non cerca di essere sentito dalla folla.

Vuole rimproverare Gesù, e Gesù solo.

 

Gesù invece si volta e guarda verso i discepoli.

Non parla a Pietro di nascosto.

Tutti devono sentire.

Tutti devono ormai capire.

«Va' dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo,

perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Mt 16,23)

 

Pietro deve imparare a pensare secondo Dio.

Deve acconsentire alla vergogna della croce,

alla via del dolore, dell’umiliazione, della sconfitta.

«Il Figlio dell'uomo deve soffrire molto ed essere rifiutato e venir ucciso». (cf Mc 8,31)

Lo deve!

Questa è la volontà del Padre.

La Redenzione dell’umanità non conosce altra via se non quella della Croce.

Che porta al trionfo – quello vero ed eterno - della Risurrezione!

 

Carissimi, noi tutti dobbiamo imparare a pensare secondo Dio.

È davvero quello che fr. Pierre-Marie ci ha insegnato.

E quello che, prima ancora di insegnarlo, imparò egli stesso.

Dove?

 

Lo imparò certamente nella sua infanzia in una famiglia cristiana

che viveva la propria fede con serietà, con fervore. Anche con gioia!

Vide la fedeltà dei nonni, dei genitori, nel lavoro, nell’educazione dei figli, nella fede.

 

Lo imparò nell’ora della guerra,

quando vide i genitori nascondere degli Ebrei.

 

Lo imparò scoprendo le vicende di Charles de Foucauld,

quest’innamorato di Gesù che desiderava imitare Gesù

fino all’abiezione.

 

Il pensare secondo Dio lo scoprì anche attraverso gli studi teologici

e gli echi del Concilio Vaticano II che risuonavano fortemente nel suo cuore.

 

Ma la grande lezione gli venne dal deserto.

Il deserto l’aveva sedotto quando vi aveva portato degli studenti della Sorbona.

E desiderò restarvi a lungo.

Perché?

Per verificare che Dio basta.

E lo verificò.

«Dio mi basta!»

Non fu mai tanto felice come nel deserto, non avendo nulla.

Nulla se non la presenza di Gesù nell’Eucarestia,

la Sua Parola nella Scrittura;

il Suo sorriso nell’amico Jean-Marie,

e il Suo riflesso nella Bellezza del creato.

 

Il deserto è la grande scuola del pensiero secondo Dio.

E se si vuole insegnare agli uomini a pensare secondo Dio,

bisogna condurli nel deserto,

anche nel cuore della città.

Soprattutto nel cuore della città.

 

«Noi esprimiamo così il primato dell'essere sull'apparire e sull'avere. (…)

Vogliamo essere poveri un pò di tutto per essere più ricchi di Dio

e condividerLo, gioiosamente, con tutti.

Perché la gioia perfetta si colloca sempre in fondo ad una certa privazione.»

(Monaci nella città, ottobre 1974)

 

Ma Pierre-Marie non aveva finito di imparare a pensare secondo Dio.

Ci fu la scuola di 38 anni di vita monastica.

Trentotto anni in cui ogni giorno o quasi cominciava con l’orazione silenziosa

e veniva scandito dal ritmo della liturgia.

Trentotto anni in cui continuò senza sosta a scrutare la Parola di Dio,

cercandovi sempre la Verità che è Cristo,

col desiderio ardente di annunziarlo,

di condividere l’acqua della Sorgente,

di persuadere,

di dimostrare la bellezza e la verità della fede cristiana.

 

Gli fecero da scuola pure le prove

che non potevano mancare nella vita di un innamorato di Gesù.

Come l’apostolo Pietro, suo grande amico e compagno di sempre,

Pierre-Marie conobbe la sofferenza, l’umiliazione, il rigetto.

 

Fu una tortura interiore per lui

vedere i propri fratelli rigettarlo nei primi anni,

vedere alcune sorelle prendere vie tortuose che non potevano portare a nulla,

vedere l’arcivescovo di Parigi metter fine all’esperienza delle sorelle.

Fu pure una tortura negli anni 2000 vedere di nuovo dei fratelli

opporsi al suo zelo missionario, alla sua audacia…

 

E ci fu l’ultima prova, quella della malattia.

A quell’epoca, dinanzi ad un’immagine del Cristo oltraggiato, scarno e dolente,

Pierre-Marie disse: «Mi assomiglia!

No! Assomiglio a Lui!»

 

Poco a poco Pierre-Marie aveva imparato a pensare secondo Dio.

Aveva lasciato l’amore fraterno crescere in lui,

allargare il proprio cuore,

per diventare di più, come frère Charles de Foucauld, «fratello universale».

 

A Magdala, non aveva più nessuna delle molteplici attività di prima.

Non poteva più viaggiare da una fondazione all’altra,

né rendersi disponibile alle tante richieste di colloquio, di interviste, di predicazione.

Divenne triste, nostalgico o arrabbiato?

No!

Era con Gesù.

 

La fede, di cui era stato maestro, lo portava ad un abbandono fiducioso.

 

Non era mai stato malato a lungo.

Era povero.

Povero e gioioso con il suo «caban» blu scuro.

Viveva il più bello della vita monastica:

un cuor solo con il Signore.

Un cuore solo con tanti fratelli, sorelle ed amici

che chiedevano di lui per essergli vicini.

 

Già, nel novembre 2012, annunciando alla comunità la sua malattia, scrisse:

«Se di qui a poco, devo trovarmi dinanzi alle porte del Regno dei cieli (quelle della morte sono già state abbattute dal Cristo risorto), non ne sarò triste, al contrario! Tutta la nostra vita qui sulla terra è orientata all'ingresso nell'eternità. Che grazia potersi dire che si entrerà, un giorno forse vicino, nella casa del Padre, come promesso (Gv 14,1-3), e si vedrà la gloria di Dio (Gv 17,24) !

Mi abbandono quindi, in tutta pace e sicurezza, alla scelta di Dio. La morte non è più mortale e la vita è già eterna. Chiunque vive e crede in me non morirà in eterno (Gv 11,26). E se debbo partire, da lassù, più che mai, veglierò su di voi!

Vi amo tutti e vi abbraccio ciascuna e ciascuno. »

Poi, nella sua ultima lettera alla comunità, scrisse:

«La gioia del Signore è il nostro baluardo (Ne 8,10). Siamo dunque delle gioiose sentinelle che risvegliano sulle mura del Signore e di Gerusalemme!

Vi abbraccio con grande affetto e vi benedico +.»

(Lettera del 30.01.2013)

E continua tuttora a benedirci col dolce affetto di chi conosce il cuore di Dio!

 

 

giovedì 14 febbraio 2019 - Santi Cirillo e Metodio C - At 13,46-49 – Lc 10,1-9 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel

 

Oggi siamo testimoni dell’invio in missione di 72 discepoli,

70 o 72… come le 70 o 72 nazioni pagane elencate nel capitolo 10 della Genesi.

È quindi un invio che già preannuncia la missione verso tutti i popoli della terra.

Il Vangelo non è mai un dono che si può tenere per sé:

è per sua natura da condividere con gli altri,

con chi è diverso.

 

Quest’invio ci indica pure che la missione non è riservata ai Dodici.

Ogni discepolo è un missionario.

Come dice Papa Francesco, sulla scia di Hans Urs von Balthasar: «Siamo una missione».

 

Guardiamo in che consiste la missione.

La prima cosa è la preghiera!

«Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!» (Lc 10,2):

devi subito capire che tu, da solo, non basterai mai per la missione,

che la tua comunità non basterà mai.

«La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai!» … fa parte della natura della missione.

Avrai sempre bisogno del fratello, della sorella, dell’altra comunità,

come si vede pure nel racconto della pesca miracolosa. (Lc 5,1-11)

La missione non può mai essere un’avventura solitaria,

un eroismo individuale.

Occorrono quindi preghiera e apertura del cuore alla collaborazione…

 

Poi c'è lo svolgersi della missione.

Con che cosa comincia Gesù?

Con il contenuto della predicazione,

con l’elenco di tutte le cose da sapere, da portare, da organizzare? No!

Comincia con: «Spogliati!»

«Non portare borsa, né sacca, né sandali…»(Lc 10,4)

E non perder tempo a salutare gli amici… bisogna partire! Andarsene!

«Non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada!» (ibidem)

Abbi il coraggio di partire povero e disarmato,

e di lasciare gli orizzonti conosciuti,

di partire veramente verso l’altro,

verso chi non è della tua famiglia, della tua tribù, della tua lingua, della tua cultura…

Come «Cirillo e Metodio, fratelli, greci, nativi di Tessalonica,

che prima si recarono ad evangelizzare i Cazari della Crimea.

E poi intrapresero la missione nella Grande Moravia

tra i popoli che abitavano allora la penisola balcanica e le terre percorse dal Danubio.

E, per corrispondere alle necessità del loro servizio apostolico in mezzo ai popoli slavi,

tradussero nella loro lingua i libri sacri a scopo liturgico e catechetico,

gettando con questo le basi di tutta la letteratura nelle lingue dei medesimi popoli.

Al punto che sono considerati non solo gli apostoli degli slavi

ma anche i padri della cultura tra tutti questi popoli.» (Giovanni Paolo II, Egregiae Virtus)

 

Quindi occorrono povertà di mezzi e vera partenza verso l’altro, il diverso.

 

Segue poi il concreto della missione, quando arrivi presso l’altro.

Da che cosa comincia Gesù?

Dai tuoi pasti!

«Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno.» (Lc 10,7)

Gesù non dice di tenersi a distanza dalla gente

perché non è ancora evangelizzata,

né che potrebbe recare danno alla tua purezza!

È tutto il contrario: dice di lasciarsi invitare dalla gente,

di mangiare e bere a casa loro.

L’evangelizzazione passa attraverso un contatto umano,

un mangiare e bere insieme.

Non entri nella casa preoccupato della tua purezza,

ma entri offrendo il dono della pace,

la pace di Gesù, il vero «shalom» che è la riconciliazione con Dio

che viene dalla Pasqua di Gesù.

 

E Gesù chiede di «non passare da una casa all'altra» (ibidem):

si tratta, cioè, di stabilire vere relazioni,

non di fare i professionisti della missione.

 

Allora si potranno guarire i malati e

si potrà dire alla gente del paese: «Si è avvicinato a voi il regno di Dio». (cfr Lc 10,9)

Ma per poter guarire i malati,

bisogna ascoltare le persone, capire la loro storia, aver compassione,

empatia per loro, per i drammi della loro vita.

E per dire loro che «il Regno di Dio si è fatto vicino a loro» (cfr Lc 10,11),

bisogna conoscere la loro lingua,

bisogna essere compresi.

 

In breve, non puoi annunciare il Vangelo se non ti avvicini alle persone,

se non stabilisci legami di solidarietà con loro,

se non parli la loro lingua.


Basta pensare a cosa fecero Cirillo e Metodio

per poter comunicare con i popoli slavi.

La medesima cosa avrebbero fatto poi i Gesuiti in America del Nord,

imparando le lingue dei popoli amerindi,

o lo stesso Charles de Foucauld che scrisse un dizionario, raccolse poesie, …

per avvicinarsi ai Tuaregh.

 

E noi, fratelli e sorelle…?

Siamo pronti a partire verso l’altro poveri e disarmati?

Siamo pronti a superare le frontiere della nostra cultura?

Siamo pronti ad imparare le lingue del mondo di oggi?

 

Signore, Tu conosci i nostri cuori.

Aiutaci ad andare oltre le abitudini, i blocchi culturali, le paure

che ci impediscono di vivere la missione che ci affidi.

Aiutaci ad imparare le lingue nuove dei giovani,

a capire, a discernere, a meravigliarci di quello che semini nella Tua divina libertà.

Portaci sulla via dell’incontro vero con chi è diverso,

perché Tu stesso, Tu aspetti quell’incontro

per rivelarti agli altri e a noi in una maniera nuova.

Dacci il coraggio di essere poveri e disarmati

dinanzi all’altro, perché avvenga il vero incontro

in cui scopriremo il Tuo volto, in un modo che non avremmo mai potuto immaginare.

 

Maria, Stella della nuova evangelizzazione e Madre del Bell'Amore,

prega per noi!

 

 

Domenica 10 febbraio 2019 - V Domenica T.O. - Is 6,1..8 – 1 Co 15,1-11 – Lc 5,1-11 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel

 

Quel giorno ricevettero una formidabile lezione privata di teologia pastorale!

Fu un giorno in cui gli apprendisti apostoli dovettero imparare molto

sull’arte della missione.

 

Allora … quale sarà il contesto, quello vero, quello realistico, della missione?

Sarà come una mattina dopo una notte intera di pesca infruttuosa e penosissima.

Comincerà con il lasciarsi disturbare.

Volevano lavare le reti e andarsene, tornare a casa.

Ed ecco, Gesù, di sua iniziativa, sale sulla barca vuota di Pietro

e chiede di esser portato a breve distanza dalla sponda per poter predicare.

 

La missione comincia subito dopo con un lungo ascolto della Parola.

Si devono lasciare le cose urgenti da fare

e si deve ascoltare il Signore, la Sua Parola, la Sua rivelazione del Regno di Dio.

Si scopre un altro mondo in mezzo al mondo;

un altro modo di stare al mondo,

tutto centrato sull’amore per Dio e sull’amore reciproco,

che sono un’unica cosa.

 

Poi la missione assume concretezza, richiede un impegno, una partenza.

E lì, avviene quello che ci spiazza totalmente.

«Prendi il largo», cioè: «va avanti verso le acque profonde»

«e gettate le vostre reti per la pesca». (Lc 5,4)

Ma che senso ha questo?

Non è l’ora della pesca.

Il lago di Gennesaret è un lago molto profondo,

50 o 60 metri, si dice,

e a quell’ora i pesci sono in fondo al mare.

 

C’è, nella missione, il momento in cui sembra insensato quello che Gesù ci chiede!

I pesci sono troppo in profondità,

non li raggiungeremo mai.

Gli uomini di oggi sono troppo immersi in una cultura senza Dio,

non li raggiungeremo mai.

Perché sprecare energie per una missione impossibile?

Rimaniamo tra noi, in ciò che sappiamo fare e con chi conosciamo già!

 

Ecco quello che ha detto di recente il nostro Arcivescovo,

facendo una rilettura del cammino sinodale diocesano:


«Dobbiamo fare una grande operazione culturale:

attrezzarci per capire il nostro tempo,

per andare al di là della percezione del fenomeno

di fronte al quale ci troviamo spauriti

per andare a decifrarlo,

a coglierne le potenzialità sia in positivo che in negativo.

Questa fatica a leggere il cambiamento fa sì che ancora serpeggi tra di noi,

almeno in alcuni, l’illusione che si possa fare ancora manutenzione dell’esistente,

che basti qualche aggiustamento di quel che è stato così nei nostri tempi.

Ci si rifugia dicendo che ancora possiamo reggere, magari con qualche ritocco.

Ma questo significa non accettare che siamo in un cambiamento d’epoca.

Se si pensa che si tratti di piccoli cambiamenti,

si pensa anche che basti fare piccoli adeguamenti per risolvere i singoli problemi,

ma che l’impianto è ancora buono:

c’è solo da turare qualche falla.

Una percezione tanto falsa quanto illusoria.

Il compito del discernimento dei tempi che viviamo è invece tutto di fronte a noi.»

(Intervento al Consiglio Pastorale diocesano del 23.11.2018)

 

Se Pietro e i suoi compagni fossero rimasti vicino alla sponda del lago,

non avrebbero mai fatto l’esperienza della vera fecondità missionaria.

Hanno obbedito!

Si sono fidati!

Meglio: Pietro si è fidato, e gli altri si sono imbarcati con Pietro.

Cosa dice Pietro?

«Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla;

ma sulla tua parola getterò le reti» (Lc 5,5)

«Sulla tua Parola»…

Ecco il segreto della missione:

quello che dirige i nostri passi, che ispira le nostre scelte,

è la Parola di Gesù!

Gesù, cosa ci chiedi oggi?

La nostra bussola non sarà più: «Si è sempre fatto così alla Badia!»,

ma «La tua Parola, Signore» …

 

Qual è il frutto di questa obbedienza luminosa?

«Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano.» (Lc 5,6)

Sapete quale verbo usa Luca per dire «e presero…» ?

Il verbo è «sunekleisan», letteralmente «chiamarono insieme»

cioè essere Chiesa insieme, essere chiamati insieme

Quando si ubbidisce alla Parola, capita che i pesci irraggiungibili nelle “profondità” del mondo

si ritrovano con noi a fare Chiesa!

 

E fu «una quantità enorme di pesci»

Una quantità tale che hai bisogno dell’altra barca, (cfr Lc 5,7)

cioè del fratello, dell’altra comunità, …

Anzi è indispensabile che tu rompa con il campanilismo,

altrimenti perderai tutta la pesca!


Bene… questa è la lezione di teologia pastorale!

Ma segue un’altra lezione,

una lezione più intima, che viene ad investirci!

Cosa avvenne quando Pietro si rese conto dell’accaduto?

«Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo:

"Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore."» (Lc 5,8)

Non è che Pietro fosse un grandissimo peccatore …

Ma Pietro si trova spiazzato,

prova un immenso disagio interiore davanti alla santità di Gesù…

«Ma come puoi stare così vicino a me?

È impossibile che tale santità mi sia così intima!

È impossibile che un tale amore mi sia così vicino!

Ma impossibile!!

Allora, vattene Gesù, te ne prego…

Per favore»…

 

Carissimi, la missione, la sequela di Gesù, richiede questo momento,

questo passaggio vitale.

Ci vuole quel momento che conobbe pure il profeta Isaia:

«Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono

e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito;

eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti» (Is 6,5)

 

«Non posso essere così intimo a Dio!

Aiuto!»

 

Ma è in quel momento che si diviene discepoli!

Quando l’Angelo del Signore ti purifica le labbra, (cfr Is 6,6-7)

quando Gesù ti dice:

«Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini» (Lc 5,10)

Non temere; d’ora in poi, prenderai degli uomini vivi!

Non temere l’intimità con me perché sono io a purificarti!

Non temere la fecondità che io darò al tuo, al vostro operare, in obbedienza alla mia Parola.

 

Un esempio stupendo di questa obbedienza,

di questo SI all’intimità bruciante di Dio, è Paolo.

Avete sentito la sua confessione nella seconda lettura di oggi?

«Ultimo fra tutti, Gesù apparve anche a me, come a un aborto.

Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli

e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio.

Per grazia di Dio, però, sono quello che sono,

e la sua grazia in me non è stata vana.

Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me.» (1Cor 15,8-10)

 

È splendido!

Paolo non dice: «Sono un aborto, sono un ex-persecutore

quindi sto zitto, non faccio nulla, e mi nascondo dall’ira di Dio!»

No!

Si apre alla Grazia!

Si apre alla Misericordia!

Non trascorre la sua vita a ripensare ai propri peccati!

Guarda a Gesù e non al proprio ombelico,

e si lascia invadere dalla Grazia!

 

Carissimi, la meta è questa:

che, arrivando nel “mondo nuovo”, possiamo dire al Signore:

«Ecco, Gesù, la tua grazia in me non è stata vana!

La tua grazia in me ha fatto cose splendide!»

«"Signore, mi hai consegnato cinque talenti;

ecco, ne ho guadagnati altri cinque".

"Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -,

sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto;

prendi parte alla gioia del tuo padrone".» (Mt 25,20-21)

 

venerdì 8 febbraio 2019 - IV settimana TO - Eb 13,1-8 – Mc 6,14-29 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel


 

Beato Giovanni!

Beato, perché è andato fino in fondo nella propria vocazione.

 

Aveva intuito che Gesù «doveva crescere; lui, invece, diminuire» (cfr. Gv 3,22-30)

Aveva capito che l’amore l'avrebbe portato ad una diminuzione di sé,

ad una forma di annullamento.

Ed è andato fino in fondo:

è stato decapitato nella prigione di Erode,

in seguito ad una promessa insensata in un banchetto più che mondano,

ad una danza senz’altro di inebriante sensualità,

ed all'aspro rancore di Erodiade.

Lo stesso Erode ne fu «molto triste». (Mc 6,26)

 

Giovanni è andato fino in fondo nell’amore,

nella testimonianza a Gesù, che era il senso della sua vita.

Voleva dare tutto, perché Gesù potesse essere riconosciuto.

E tutto ha dato.

 

Chiara Lubich scrive così:

«La differenza che passa fra Cielo e terra

è che in Cielo, la Vita Nuova nasce dalla Vita,

mentre in terra nasce dalla morte, dal dolore.

Per questo, amato il dolore,

sulla terra tutto è fatto,

tutto è trasformato in Paradiso.»

E ancora:

«Ove si spegne l’anima

(con ogni lume d’intelletto,

ogni atto di volontà,

ogni ricchezza di ricordo),

ivi è Dio con la Sapienza.»

 

Quel che appare ai nostri occhi come una morte orribile

è il grande, il supremo dono di sé del Battista, del«Più grande tra i figli nati da donna.»(cfr. Lc 7,28)

«Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.»(Gv 15,13)

«Dare la sua vita per i propri amici»,

letteralmente, «deporre la propria anima per chi si ama».

 

Giovanni lo fece nella prigione di Macheronte,

ma l’aveva già fatto fin dalla sua partenza per il deserto.

Gli anni nel deserto educarono la sua anima

al “semi-buio” dell’anima che si disfa delle proprie certezze,

dei propri sentimenti,

della propria fede,

per entrare nel «nada» dell’amore.

 

E oggi, Giovanni ci chiama su quella stessa strada.

Dal cielo rinnova la sua testimonianza:

«Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29)

e, quindi, tu puoi morire d’amore;

la morte non è più mortale;

il peccato ha perso il suo potere;

Il «nada» si apre sull’eternità divina…

Non temere…

 

Non temere quello che la Lettera agli Ebrei chiama filadelfia e filoxenia.

Infatti il capitolo tredicesimo comincia in questa maniera:

«Fratelli, l'amore fraterno resti saldo. Non dimenticate l'ospitalità» (Eb 13,1)

letteralmente «La filadelfia rimanga, la filoxenia non dimenticate!»

L'amore fraterno, l’amore per i fratelli, sia vivo in te,

sia ardente.

Ma non ti basti mai:

non dimenticare la filoxenia, cioè “l’amore per lo straniero”.

 

Il «nada» interiore, che si traduce in generosità ed ospitalità,

non si spenga né per il fratello né per lo straniero.

 

Qualche versetto dopo, torna il verbo filein:

afilarguros sia il tuo comportamento,

cioè sia “non amoroso del denaro”,

non sia avido, non sia bramoso… (cfr. Eb 13,5)

 

Non farti un tesoro terreno quaggiù.

Il tuo tesoro sia l’apertura del cuore,

che fa spazio al fratello, quello vicino, come quello straniero.

 

Tesoro è il «nada» che ti apre a Cristo.

Tesoro è il “vuoto d’amore” che ti rende ospitale all’altro.

Unico tesoro della tua vita è Cristo:

è essere con Cristo annientato, abbandonato,

per essere con Cristo nella gloria,

cioè nella comunione, quella che non ha misura umana,

e che corrisponde alle vere dimensioni del tuo cuore.

 

 

martedì 5 febbraio 2019 - IV settimana TO - Eb 12,1-4 – Mc 5,21-43 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
 

«Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.» (Eb 12,4)

È vero, c’è da lottare contro il peccato…

Ma, in questa lotta, non siamo soli.

L’autore della Lettera agli Ebrei ci ha offerto un lungo elenco

di testimoni della fede da cui siamo circondati,

da Abele ai martiri ebrei degli ultimi secoli prima di Cristo.

 

E noi possiamo aggiungere i tanti testimoni della fede da venti secoli,

tra cui Agata di cui facciamo memoria oggi.

Gli Atti del suo martirio sono impressionanti.

Si racconta che Quinziano, pretore della Sicilia, dopo aver tentato invano

di indurre la nobile vergine Agata alla lussuria,

la chiamò in tribunale e con tono benigno le chiese:

«Come mai tu che sei nobile ti abbassi alla vita umile e servile dei Cristiani?»

«Perché,» ella rispose, «sebbene io sia nobile, tuttavia sono schiava di Gesù Cristo.»

«Ed allora», continuò il giudice,« in che consiste la vera nobiltà?»

«Nel servire Dio» fu la bellissima risposta di Agata.

E nell’ora della morte da martire, Agata pregò cosi:

«Signore mio Dio, che mi avete protetto fin dall'infanzia

ed avete estirpato dal mio cuore ogni affetto mondano e mi avete dato forza nei patimenti,

ricevete ora in pace il mio spirito.»1

 

Tanti, tanti testimoni ci circondano e ci incoraggiano.

Sono i nostri tifosi nel cielo!

 

Ma ancora più prezioso per noi, ci dice la Lettera agli Ebrei,

è «tenere fisso lo sguardo su Gesù».

Guardare a Gesù.

Non perderLo di vista.

Tenere l’occhio del cuore fisso su di Lui!

Egli, dice la stessa Lettera, è Colui «che dà origine alla fede e la porta a compimento». (Eb 12,2)

La tua fede ha un’origine: Gesù.

Ed un compimento: Gesù!

La fede ci viene da Gesù e ci porta a Gesù!

 

Guardiamo a Gesù, che, «di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi,

si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio.» (ibidem)

Non volle la gioia di una gloria umana.

Non fuggì la vergogna estrema della croce.

Per te, per me, per noi, per tutti.

«Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé

una così grande ostilità dei peccatori,

perché non vi stanchiate perdendovi d'animo». (Eb 12,3)

 

Guarda a Gesù. Pensa a Lui.

E, guardandoLo, potremo fare come la donna malata di perdite di sangue del Vangelo odierno.

Quando Gesù si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?»,(Mc 5,30)

questa donna non fuggì.

Non si nascose, benché avesse desiderio di non esser vista…

«impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto,

venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità.» (Mc 5,33)

 

Dire a Gesù tutta la verità…

Magnifico, questo!

Cosa avrà detto?

Avrà raccontato la sua storia.

Quei dodici anni di umiliazioni:

l’umiliazione fisica,

l’umiliazione sessuale,

l’impurità legale.

L’essere stata una persona non più persona.

L’essere la rigettata, l’impura, …

E l’aver speso invano tutti i suoi averi senza alcun giovamento.

Nessuno aveva potuto guarirla.

 

E, ora, il suo gesto.

Il coraggio di rischiare di rendere impuro Gesù,

ma toccò solamente il lembo della sua veste.

 

E la fede, sì la fede… Quel Gesù mi può guarire.

Non mi rigetterà.

Non mi maledirà.

Mi guarirà!

 

Ed è quello che avvenne, e che ora ella confessa.

Dinanzi a tutta la folla, incluso il capo della Sinagoga Giairo,

ella confessa la meraviglia che Gesù ha fatto per lei.

Gli dice «tutta la verità.»

 

Carissimi fratelli e sorelle,

anche noi diciamo a Gesù tutta la verità!

DiciamoGli, raccontiamo a Gesù tutto ciò che ha fatto per noi.

Tutto!

Tutta la verità.

E la verità della tua vita è bella.

Bella per tutta l’opera di Gesù in te.

 

Non dimenticare i particolari, i dettagli,

perché per Gesù, non sono dettagli….

È stato sempre attento alla tua vita.

RaccontaGli…

Diamo a Gesù la gioia di riconoscere

le mille attenzioni del Suo Amore per noi.

Specialmente come Egli ha trasformato le nostre prove in incontro con Lui;

le nostre ferite in apertura all’Amore;

i nostri peccati nel luogo in cui Egli ci ha rivelato l’Amore vero…

 

Tutta la verità del Suo Amore per te…

Ed Egli ti dirà: «Figlia, figlio, la tua fede ti ha salvata/o.

Va' in pace e sii guarita/o dal tuo male».(Mc 5,34)

 

1 Cfr. https://www.santodelgiorno.it/sant-agata/

 


venerdì 1 febbraio 2019 - III settimana del T.O. -
Eb 10,32-39 – Mc 4, 26-34 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel


Entrambe le letture oggi ci parlano di vita!

Della vita che cresce in noi… la vita del Regno.

 

L’autore della Lettera agli Ebrei ci invita ad aprire gli occhi

e a vedere come la vita già ha operato ed opera in noi:

«Richiamate alla memoria quei primi giorni:

dopo aver ricevuto la luce di Cristo,

avete dovuto sopportare una lotta grande e penosa…» (Eb 10,32)

È vero che noi tutti abbiamo attraversato lotte, combattimenti, prove.

Non sono state le stesse della comunità alla quale è rivolta questa lettera,

però ci sono state, vero?

 

Cosa ci ha permesso di attraversare prove e lotte?

«Avete accettato con gioia di essere derubati delle vostre sostanze,»

Come?

«sapendo di possedere beni migliori e duraturi». (Eb10, 34)

Non è vero che la speranza ci abita?

La certezza che Dio prepara qualcosa di più bello per tutti noi...

anzi, che Dio è appassionatamente desideroso

di accoglierci tutti insieme nella Sua divina felicità!

 

Allora, dice l’autore della Lettera agli Ebrei,

«Non abbandonate dunque la vostra franchezza,

alla quale è riservata una grande ricompensa.

Avete solo bisogno di perseveranza,

perché, fatta la volontà di Dio, otteniate ciò che vi è stato promesso.» (Eb 10, 35-36)

 

Facciamo nostra quindi la decisione proposta in questa lettera:


«Noi però non siamo di quelli che cedono, per la propria rovina,

ma uomini – e donne - di fede per la salvezza della nostra anima.» (Eb 10, 39)

 

Ecco: la chiave è la perseveranza, la «upomonè»,

la capacità di dimorare nella via della vita

anche quando ci sono avversità, ostilità o persecuzione.

 

Ma la perseveranza non è uno stringere i denti e dover riuscire con le sole proprie forze!

E qui ci viene in aiuto il Vangelo!

Come sono preziose queste due parabole!

 

In entrambe si tratta della realtà del Regno,

cioè della vita nuova

che comincia a scorrere dentro le nostre vene il giorno del nostro Battesimo.

La vita di Gesù!

«L’Amore di Dio riversato nei nostri cuori». (Rm 5,5),

una sovrabbondanza di amore, di pazienza, di misericordia

che scopriamo in noi.

 

È in noi… ma non viene da noi!

Ne siamo sorpresi, spiazzati, quando la vediamo sia in noi, sia negli altri.

È come una vita nella nostra vita!

 

La prima parabola ci dice una cosa essenziale.

Questa vita nuova bisogna che sia seminata in noi.

E qui è necessario il sì del nostro cuore.

Bisogna aprire il profondo del cuore perché il seme penetri in noi.

Ci vuole un cuore ferito.

Un cuore che non sia una pietra fredda, un blocco di marmo, ma un cuore di carne.

Un cuore che accetti la propria umanità¸

con tutte le sue complessità ed ambiguità…

che non rimanga attaccato ad un'immagine ideale e orgogliosa di sé stesso.

Un cuore anzi, lavorato, rovesciato come si rovescia la terra per gettarvi il seme.

 

Ma quando il seme è stato accolto, cresce!

E tu non capisci come!

Esattamente come nell’antichità un contadino non sapeva spiegare

in che modo dal chicco di grano potesse nascere lo stelo...

Cresce in te… in un modo misterioso.

 

È L’amore di Dio che cresce in noi,

che man mano dà forma, trasforma, converte, abbellisce

le nostre facoltà umane…

E non capisci come…

È troppo bello questo, no?

 

L’altra parabola ci dice la discrepanza

tra la dimensione del seme, del granello di senape, e l’albero che ne nasce!

Sembra impossibile…

E la parabola infatti va oltre la realtà della natura stessa.

Perché è così!

La sproporzione tra il seme che è l’umiltà della Parola,

dell’Eucarestia, dei sacramenti o del sussurrare di Dio nel nostro cuore,

e il frutto che produce,

è immensa!

 

Non cerchiamo Dio negli effetti speciali o nelle grazie più appariscenti!

Non ce n'è bisogno!

Il seme più piccolo, se è di Dio, è capace di trasformare

la tua esistenza in una grande pianta,

ove tanti uccelli, cioè tante anime,

verranno a trovare ombra, cioè amore e verità!

 

Che splendida parabola, anche questa!

Che speranza per tutti noi!

Non c’è bisogno di essere bravi, eroici, perfetti…

C’è solo bisogno di accogliere nel profondo del cuore

il seme che trasforma la nostra vita, perché è un seme divino!

 

Carissimi,

lasciamo che la vita cresca in noi,

perseverando, sì, nell’amore e nella verità;

fidandoci del misterioso lavorio di Dio dentro di noi;

e anelando ad essere quella grande pianta che dà gioia agli altri!

 

L’inventività divina non è spenta!

Dio vuole fare cose nuove nella nostra vita…

Occorre dire di SI a questo sovrappiù di vita

che ci viene di nuovo offerto nella Eucarestia!

 

Divina Ostia,

Presenza viva del Signore della Vita,

Tu sei il seme che l’anima nostra desidera.

Vieni, e penetra fin nel profondo del nostro cuore

affinché tante anime, come uccelli, ti possano trovare in noi!

Amen.

 

 


giovedì 31 gennaio 2019 -
III settimana del Tempo Ordinario - Eb 10,19-25 – Mc 4, 21-25 - San Paolo, Pistoia - f. Antoine-Emmanuel

 

Oggi Gesù ci parla di una lampada,

una lampada che «viene». (Mc 4,21)

Una lampada che arriva,

che ti viene consegnata.

E dice che, ovviamente, quando ricevi una lampada fatta per illuminare la stanza,

non la metti sotto un armadio o sotto un letto.

La metti su un supporto, un candelabro, così che possa illuminare la casa.

Cosa vuol dirci il Signore?

 

Guardiamo: questa immagine ci viene data

subito dopo la Parabola del seminatore (Mc 4,1-9)

in cui si tratta del modo col quale accogliamo la Parola,

ora che il Seminatore, Gesù stesso, è «uscito» dal Padre per seminare. (Gv 16,28)

 

Cos’è questa lampada accesa che viene a te?

È il dono che ricevi quando accogli la Parola!

Ogni volta che accogliamo seriamente, veramente, la Parola,

è come se ci venisse consegnata una lampada

capace di rischiarare la nostra vita e la vita di chi incontriamo.

 

Riservi un tempo per la lectio divina;

ascolti la Parola, la mediti, cerchi di capirne il senso;

poi tu lasci che la Parola possa donarti il Suo frutto di grazia.

Il tuo cuore ne è riscaldato.

Avviene un vero e proprio incontro con il Verbo di Dio.

E la tua lectio diviene preghiera, adorazione, unione col Signore.

Ebbene, in quel momento, una lampada ti è stata consegnata,

una lampada fatta per illuminare i tuoi passi

e per dare luce anche agli altri.

 

Ora la posta in gioco è questa:

di questa lampada che ne fai?

Finita la lectio oppure finito l’ascolto comunitario della Parola

nella liturgia o in una condivisione con altri,

che ne fai?

Sei stato colpito, il cuore si è riscaldato…

Bene!

Ma, quella Parola è fatta per illuminare, non per esser messa sotto l’armadio!

 

E a che condizione illumina?

A condizione che tu scelga di metterla in pratica!

«Non vi è infatti nulla di segreto che non debba essere manifestato», ci dice Gesù,

« e nulla di nascosto che non debba essere messo in luce.» (Mc 4,22)

Quello che il Signore ti sussurra nel cuore,

offrilo agli altri, vivendolo nella tua vita,

e, se necessario, anche con le parole.

 

Cristiano, la tua vita è fatta per parlare!

Per dire la Parola.

La tua vita è uno scrigno vivente, per far udire la Parola di Dio al mondo.

Tu sei una Parola di Dio.

Ed ogni ascolto della Parola ri-accende questa missione in te!

 

A patto che tu ascolti veramente,

cioè che scelga di obbedire alla Parola.

«Se uno ha orecchi per ascoltare, ascolti!» ci dice Gesù!

Ed aggiunge: «Fate attenzione a quello che ascoltate.» (Mc 4,23-24)

Se ascolti, ma non metti in pratica,

la Parola diverrà vuota per te, non ti parlerà più,

e la tua anima diverrà terra arida,

perché «a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha.» (Mc 4,25)

 

«Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più.

Perché a chi ha - cioè a chi ascolta -, sarà dato.» (Mc 4,24)

Il Signore ci dona «grazia su grazia», (Gv 1, 16)

cioè a chi apre il cuore, dà sempre di più.

Dio attira sempre di più in Lui chi si lascia istruire da Lui.

 

Facciamo un esempio.

Oggi, attraverso la Lettera agli Ebrei, il Signore ci dice tre cose essenziali:

la prima è che «abbiamo piena libertà di entrare nel cuore di Dio per mezzo del sangue di Gesù»:

vi è ormai una «via nuova e vivente»

che Gesù «ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne». (Eb 10,19-20)

Possiamo quindi accostarci a Dio,

andare verso il Padre.

La via non è più chiusa, murata, … è aperta.

 

Poi il Signore ci rivolge una doppia chiamata:

«Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone.» (Eb 10,24)

Basta con la competizione, basta con il chiacchiericcio, basta con lo sguardo di giudizio sugli altri…

Si tratta al contrario di prestare attenzione gli uni agli altri nella compassione,

nell’amore,

avendo come desiderio la felicità, la santità degli altri.

È così che si entra in Paradiso.

Non vi si entra distruggendo la reputazione degli altri e primeggiando,

bensì avendo a cuore la gioia e la salvezza degli altri più della nostra!

 

La seconda chiamata è pure chiara.

«Non disertiamo le nostre riunioni, come alcuni hanno l'abitudine di fare,

ma esortiamoci a vicenda, tanto più che vedete avvicinarsi il giorno del Signore.»(Eb 10,25)

È chiaro che vediamo avvicinarsi il giorno del Signore,

a tal punto il nostro mondo è malato.

E quindi non è l’ora di disertare la liturgia e gli incontri di preghiera.

Al contrario: «Non disertiamo le nostre riunioni, (…) ma esortiamoci a vicenda.»

Che bello!

Ci ritroviamo in chiesa per «esortarci a vicenda»,

per incoraggiarci, per sostenerci nel cammino….

 

Carissimi, che faremo di questa lampada accesa che ci viene offerta questa sera?

La piena libertà di entrare nel cuore di Dio;

Il prestare attenzione gli uni agli altri nella compassione;

l’incoraggiarci a vicenda.

 

Non sono soltanto delle indicazioni, dei precetti che poi dobbiamo realizzare con le nostre forze!

Non è una lampada spenta!

No! È una lampada accesa!

La Parola di Dio, quando ci comanda qualcosa

ci dà pure la grazia di cui abbiamo bisogno per compierla.

Ma va messa in pratica.

 

Che farai di questa luce?

 

Vai a dare luce a chi si trova senza luce ed aspetta proprio te!

Ricordati di Anania… c’era un Saulo che aspettava la luce!

Ci sono non pochi Anania attorno a te ... Aspettano!

 

 

Domenica 27 gennaio 2019 - Ufficio dei Vespri - Parrocchia di S.Piero in Palco a Firenze - 1 Cor 12,12-30 f. Antoine-Emmanuel

Fraternità Monastiche di Gerusalemme

 

Innanzitutto, grazie per la vostra accoglienza!

Siamo venuti per amicizia, per uno scambio di doni.

 

Voi avete ricevuto il dono della comunità parrocchiale, della missione,

della vicinanza alla gente del territorio a voi affidato.

Avete questa bella chiamata all'universalità:

non si viene in parrocchia per una scelta “sentimentale”.

E non vi si accoglie solo chi risponde ai propri gusti...

 

Noi abbiamo ricevuto il dono della vita monastica,

il dono di consacrare la nostra vita

a cercare e gustare Dio nel cuore del mondo.

Con la chiamata ad offrire un’oasi di preghiera monastica a tutti gli assetati che vengono.

 

Non è difficile per noi riconoscerci nel membro più piccolo del corpo ecclesiale,

di cui Paolo ci ha parlato nella lettura appena ascoltata.

Siamo una piccola comunità, con una storia di solo pochi anni,

...e chiamati ad amare l’umiltà...

 

Ed è questa piccola comunità che vi fa visita

per vivere insieme ciò che S. Paolo ci ha appena detto:

prendersi cura gli uni degli altri.

 

Questa sera, vorremmo offrirvi quello che abbiamo di più prezioso: la preghiera.

Un grande dono della vita monastica è di vivere una vita strutturata

in modo tale da poter dedicare molto tempo alla preghiera.

 

Non tanto a dire delle preghiere, ma a pregare,

a vivere l'incontro con Dio che, certo, può passare attraverso le parole,

ma va oltre.

 

“La preghiera è un cuore a cuore con Dio

e non ha bisogno di grandi idee e di tante parole.

Deve condurti a poco a poco al puro ascolto

di Colui che ha le parole della vita eterna “(Libro di Vita di Gerusalemme, n.18)

 

La preghiera come ascolto

La preghiera come visitazione, che fa esultare di gioia il nostro cuore.

Non una preghiera disincarnata.

Non una preghiera per evadere dal mondo.

Anzi siamo servi dell'incontro tra Dio e il mondo:

da una parte per presentare il mondo a Dio,

dall'altra per destare nel mondo il desiderio di Dio.

 

La preghiera è un affare di cuore...oppure non è preghiera!

La vita monastica stessa è un'avventura amorosa.

A Gesù Sposo si vuole dare tutto,

lasciando a Lui, però, la libertà di darci il centuplo, come vuole Lui.

 

Per noi la vita monastica non è una realtà formale,

si vive innanzitutto nel cuore.

O sei monaco, monaca nel cuore o non lo sei affatto!

 

Ora vi faccio una confidenza: credo che noi non siamo in questa chiesa i soli monaci.

Non è che anche voi portate nel cuore un desiderio “monastico”?

Non è che avete sete di una vita unificata dalla passione per Dio?

Non vi attira talvolta l'essere solo a solo, cuore a cuore con Dio?

Nel fondo dell'anima, non siete anche voi un po' monaci?

Innamorati di Dio?

Innamorati dell'Amore?

 

Com'è bello, com'è luminoso, il santuario del profondo delle nostre anime.

Il nostro fondatore, P. Pierre-Marie era solito dire che

“nel cuore di tutti, anche di chi ha commesso i più gravi peccati,

c'è una parte verginale... un diamante...”

 

Ecco, lì, tutti siamo monaci.

Cioè siamo “uno” con Dio. E siamo “uno” gli uni con gli altri.

 

La vita monastica cerca, sì, la solitudine, ma in vista della comunione.

Essere monaco, monaca è essere uno:

uno con Dio,

uno gli uni con gli altri,

perché divieni una cosa solo con Gesù.

 

Che bella vocazione condividiamo tutti nel fondo del cuore!

 

 

Domenica 27 gennaio 2019 - III Domenica T.O. - Ne 8,2..10 – 1 Cor 12,12-30 – Lc 1,1-4 ; 4,14-21 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel



 

Quella narrata nel vangelo di oggi

fu la prima visita di Gesù a Nazaret… e finì male.

Molto male!

Eppure Gesù aveva fatto quel giorno un grande dono ai suoi concittadini.

Lo si capisce quando si contempla Gesù che srotola attentamente il rotolo del Libro d’Isaia

che gli è stato consegnato da chi guidava la liturgia:

«Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia;

aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:

Lo Spirito del Signore è sopra di me.» (Lc 4,17)

Gesù cercava quel passo che conosceva, l'inizio del capitolo 61 di Isaia.

Cercava quel passo che svelava, spiegava al meglio

il suo ministero, la sua missione.

Voleva fare agli abitanti di Nazaret il dono di sé stesso.

 

Il testo, letteralmente, dice che lo Spirito Santo è su Gesù,

perché il Dio d’Israele ha fatto due cose:

ha unto, ha consacrato, l’umanità di Gesù, per evangelizzare i poveri,

e l’ha inviato a prendersi cura dei prigionieri, dei ciechi e degli oppressi.

Gesù è stato consacrato ed inviato

È «colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo» come scriverà Giovanni. (Gv 10,36).

 

Per che cosa l’ha mandato?

Fin da quella predica a Nazaret, Gesù chiaramente rivela che il Padre

«non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo,

ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.» (Gv 3,17)

In Gesù si manifesta, come mai prima, la benevolenza del Padre, la Sua Misericordia,

cioè la potenza, la larghezza, l’immensità del Suo Amore.

 

Già Neemia nel suo discorso al Popolo d’Israele, diceva

Che «l’allegrezza di Dio è la nostra roccaforte», il nostro rifugio…(Ne 8,10)

E ormai l’allegrezza di Dio ha un volto: il volto di Gesù.

L’Amore di Dio, la tenerezza di Dio si è resa visibile,

ridando la speranza ai prigionieri , ai ciechi e agli oppressi.

 

Questo annuncia il Profeta Isaia e Gesù lo riprende chiaramente,

con un'espressione splendida:

è venuto, è stato inviato, per «proclamare l'anno di grazia del Signore» (Lc 4,19),

letteralmente: «un anno accogliente».

C’è dietro questa espressione la realtà dell’anno giubilare,

in cui tutti i debiti erano rimessi.

Era un anno tanto atteso dai poveri, dagli schiavi, dagli oppressi.

Luca definisce quest’anno col termine «accogliente».

Con la venuta di Gesù, si apre un tempo nuovo in cui Dio ci accoglie.

In Gesù si rivela l’apertura del cuore del Padre,

la sua attesa, il suo desiderio di accoglierci, di farci festa,

come Gesù racconterà nella Parabola del figlio minore accolto dal Padre.

 

Ma a questo punto è necessaria una precisazione.

La Buona Novella non è l’accoglienza di te, di me come individuo, solo, separato dagli altri,

una sorta di «happy end» egoista tra me e il mio Dio.

Tutto, nel Vangelo odierno, è al plurale:

i poveri, i prigionieri, i ciechi, gli oppressi...

Gesù non ci offre una strada privata verso il cuore del Padre,

né una camera singola nel Suo cielo!

Basta ascoltare l'insegnamento di Paolo nella seconda lettura odierna.

Quando ci lasciamo evangelizzare,

quando diciamo di sì alla tenerezza di Dio,

siamo come proiettati in una realtà comunitaria, fraterna, che spezza l’individualismo.

 

Il peccato è esaltazione dell’individuo, re di sé stesso.

La grazia è immersione nella comunione.

Paolo dice questo con forza…

Non dice che diventiamo come l’equipaggio di una nave.

Non dice che siamo come una famiglia.

Dice che diventiamo un corpo.

E non siamo «come» un corpo, ma siamo un corpo!

E non un corpo anonimo, non un corpo come metafora un po’ vaga…

Siamo il corpo di Cristo!

«Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo,

Giudei o Greci, schiavi o liberi.» (1 Cor 12,13)

Le opposizioni sociali le più forti, le più radicate nella mentalità, sono totalmente superate

dall’essere questo corpo, dall’essere il Corpo di Cristo.

 

Noi, qui, siamo un corpo.

Ognuno di noi è un membro prezioso,

un membro che certamente ha dei doni, delle competenze, dei carismi preziosi per il corpo intero,

ma è più di questo:

sei membro a causa di ciò che sei.

Il tuo essere stesso, la tua persona, la tua personalità è il dono prezioso che arricchisce il corpo.

A patto che tu faccia dono di te stesso, e non ti rinchiuda in uno sguardo negativo su di te.

È così che fa il diavolo per paralizzare il corpo…

 

Fermiamoci un po’ su questo.

Non è vero che nei secoli passati, il pensiero cristiano si è purtroppo centrato

sull’individuo e sulla sua salvezza particolare?

Ci siamo appassionati a dispute intellettuali sulla salvezza individuale.

Aggiungete poi il moralismo, il giansenismo, e le prediche sull’inferno,

e vedete come abbiamo aperto la strada al disprezzo della fede cristiana,

e all’esaltazione dell’individuo propria del pensiero contemporaneo.

 

Il dramma dell’Occidente oggi è anzitutto la solitudine…

Si lotta per ottenere delle leggi che esaltano il libero arbitrio e negano la legge naturale,

e ci si ritrova in una solitudine disperata, in un abisso di solitudine e di ansia.

 

Vi suggerisco di andare su internet e di cercare «gilet gialli» e «fraternità».

Vedrete apparire questo:

Une fraternité retrouvée.

Quand la fraternité se réinvente.

La fraternité malgré tout.

Retrouver la fraternité perdue.

Des gilets jaunes trouvent une famille sur des ronds-points.

 

Ecco il grido del nostro tempo… l’ansia di ritrovare la fraternità.

E l’impossibilità di ritrovarla perché ci siamo creati delle leggi, delle strutture, anzi una cultura

che ha messo l’individuo al centro di tutto, al posto di Dio.

Già i giovani «vanno in pensione con la pena della rassegnazione e del conformismo»

come ha detto Papa Francesco nella Via Crucis a Panama.

 

In questo contesto, come sono forti le parole di Gesù!

Egli è presente in mezzo a noi per proclamare ai prigionieri la liberazione

e rimettere in libertà gli oppressi.

 

Siamo prigionieri della cultura della sovranità dell’io,

ma Gesù è la nostra libertà.

 

E questa libertà si legge, si vede già, nell'impegno di tanti cristiani e non cristiani

che aprono dei solchi di solidarietà, di compassione, di rinnovata vita famigliare.

Lo Spirito Santo agisce con incontenibile libertà!

«Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va:

così è chiunque è nato dallo Spirito". (Gv 3,8)

Basta pensare a Erika e Rogelio, che hanno accettato di diventare genitori della piccola Ines

e di amarla con tutto il cuore, nonostante sia nata con handicap.

È la bambina che Papa Francesco ha accarezzato teneramente ieri a Panama,

dicendo ai genitori: “Voi avete creduto che il mondo non è soltanto per i forti”.

 

Carissimi, che tesoro e che responsabilità ci sono stati affidati!

Come ha detto Papa Francesco, siamo chiamati ad essere

«maestri e testimoni della cultura dell’incontro».

«Molte sono le membra, ma uno solo è il corpo.

Non può l'occhio dire alla mano: "Non ho bisogno di te";

oppure la testa ai piedi: "Non ho bisogno di voi".

Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie (…)

Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha,

perché nel corpo non vi sia divisione,

ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre.»

(1 Cor 12, 20-25)

 

Questa è la logica del Vangelo.

Questa è l’unica via per ritrovare la fraternità,

Anzi, è la via del Cielo!

 

 

venerdì 25 gennaio 2019 - Conversione di San Paolo Apostolo - Atti 22,3-16– Mc 16,15-18 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel

 

La conversione di Paolo… ma che conversione?

Paolo non era un ladro né un mafioso dell’epoca né un corrotto…

Niente dei suoi scritti, potremmo dire, delle sue confessioni,

ci parla di lussuria o di amore per i soldi,

mentre non pochi farisei erano «attaccati al denaro» .(Lc 16,14)

 

Paolo, anzi, era un giovane formato nella prestigiosa scuola di Gamaliele,

un uomo di grandi convinzioni religiose,

profondamente attaccato alla Legge.

Non ignorava la fede cristiana, la cosiddetta «via» che seguivano i discepoli di Gesù.

Ne aveva capito l’importanza, al punto di accanirsi contro di essa per eliminarla.

Considerava la fede cristiana come un tumore

contro il quale si doveva lottare con ogni mezzo,

anche con la violenza fisica, anche con la tortura, anche con l’uccisione dei cristiani.

 

Ma Paolo non sapeva che il tumore l’aveva nel proprio cuore.

Stava lottando contro Dio.

Lottava contro l’Amore di Dio,

non accettando che Dio potesse prendere l’iniziativa di un compimento della Legge

che andasse oltre quello che lui, Paolo, poteva immaginare.

Lottava contro la gratuità dell’Amore di Dio,

non sopportando che la Salvezza non fosse il frutto dei meriti dell’uomo.

Lottava, se si può dire, contro la carne di Dio,

rifiutando assolutamente che il Dio d’Israele potesse farsi carne.

 

Lottava e questo rendeva il suo cuore sempre più duro.

Il tumore diventava sclerocardia… un’eccessiva durezza di cuore.

 

Nel terzo racconto della sua conversione negli Atti degli Apostoli,

Paolo si esprime cosi:

« Tutti cademmo a terra e io udii una voce che mi diceva in lingua ebraica:

"Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?

È duro per te rivoltarti contro il pungolo", in greco,

σκληρόν σοι πρὸς κέντρα λακτίζειν.”» (Atti 26,14)

 

Un pungolo è un bastone munito di puntale che può essere di ferro,

per stimolare le bestie da lavoro.

Gesù sta dicendo a Paolo che è duro,

è motivo di sofferenza il suo ribellarsi contro il pungolo.

 

Questo vuol dire che Gesù stava già “pungolando” il cuore di Paolo.

Lo chiamava, lo invitava alla conversione, lo invitava ad abbandonare la violenza…

Ma Paolo rifiutava.

Non voleva un pensiero diverso dal suo.

Non voleva il «pensiero di Cristo» che poi avrebbe accettato.

Non voleva lasciare la «sua» religione …

 

E, finalmente, ci fu il SI sul cammino di Damasco.

La conversione di Paolo non fu una semplice conversione morale.

Neanche una conversione solo intellettuale.

Fu una conversione di tutto l’essere.

Tutto il suo essere, fino ad allora rivolto contro Gesù, si volse verso Gesù.

La sua conversione fu la trasformazione del suo rapporto con Gesù,

e questo giunse ad influenzare, a cambiare tutti, tutti, gli aspetti della sua vita.

 

Accogliere Gesù nella propria vita non può mai essere

solo una questione di convinzioni o di condotta morale.

Ti prende tutto.

Ti cambia tutto.

È un terremoto interiore ed esteriore!

Perché Gesù è il Signore,

perché Gesù è l’Alfa e l’Omega della nostra vita,

perché Gesù è la Risurrezione e la Vita.

Il che avrebbe fatto scrivere a Paolo un giorno:

«Sono stato crocifisso con Cristo,

e non vivo più io, ma Cristo vive in me.

E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio,

che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me.» (Gal 2,19-20)

 

Carissimi, non è vero che anche noi siamo “pungolati” nel cuore da Gesù?

Non c’è una chiamata ad una conversione precisa che risuona nella nostra anima?

Un richiamo…

Un ritornello…

Una voce che si fa sentire in diversi modi?

 

Anche a te, a me, Gesù dice:

«È duro per te rivoltarti contro il pungolo!»

È ora di cedere.

È ora di lasciare cadere le nostre resistenze,

di dire il SI che il Signore aspetta da noi, senza rimandare a un domani…

«Sii dunque zelante e convertiti.

Ecco: sto alla porta e busso.

Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta,

io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.

Il vincitore lo farò sedere con me, sul mio trono,

come anche io ho vinto e siedo con il Padre mio sul suo trono.

Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.» (Ap 3,19-22)

 

 

martedì 8 gennaio 2019 - Ferie dopo l’Epifania - 1 Gv 4,7-10– Mc 6,34-44 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel


 

A partire dal Natale del Signore, la Chiesa ci fa leggere la Prima Lettera di Giovanni,

che è come un inno all’amore reciproco!

E' come se, con la nascita del Bambino,

fosse sgorgato un fiume di Amore che va accolto!

La sorgente del puro Amore è ormai offerta alla nostra umanità.

Attraverso la Lettera di Giovanni,

la Parola di Dio, come spada affilata, vuole raggiungere il profondo del nostro cuore

per farci credere all’Amore.

Si… credere all’Amore!

Credere che l’Amore è possibile,

che l’Amore non è illusione,

che l’Amore non è peccato,

che l’Amore non è vietato,

che l’Amore ci viene donato!

 

Non è facile, perché siamo talmente abituati ad un'acqua inquinata,

che abbiamo paura dell’acqua pura!

 

Eppure è acqua pura che zampilla dal mistero dell’Incarnazione,

e Giovanni, che non cessa nella sua Lettera di insistere sulla verità dell’Incarnazione,

ribadisce ancora oggi:

«Carissimi, amiamoci gli uni gli altri».

Perché?

«Perché l'amore è da Dio.»

L’amore non è fuori legge, l’amore non disturba Dio.

L’amore è «da Dio».

Perdersi per l’altro, dare la propria vita, non è essere infedeli a Dio.

È ciò che Dio si aspetta da noi.

Anzi, «chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio.»(1Gv 4,7)

Se accogliamo il divino Bambino,

se ci mettiamo alla Sua scuola,

diventiamo capaci di un amore che ci sorprenderà!

 

Ma che cos’è l’Amore?

L’amore non è un'invenzione degli uomini,

non è «produzione propria» di nessuno di noi!

«Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi.» (1Gv 4,10)

L’Amore è un fiume che ha in Dio la sua sorgente.

È l’Essere stesso di Dio… nientemeno!

E quando ci attraversa, fa dei danni!

Dei danni all’uomo vecchio, alle nostre paure, al nostro amor proprio!

L’Amore è Dio che «ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito,

perché noi avessimo la vita per mezzo di lui.» (1Gv 4,9)

È dare quel che hai di più prezioso, affinché l’altro abbia la vita.

E ancora?

L’Amore è Dio che «ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.»(1Gv 4,10)

È dare quel che hai di più prezioso, perché l’altro sia reso libero da ogni male.

 

Ma l’Amore che il divino Bambino è venuto a gettare come Fuoco sulla terra

è anche amore reciproco!

L’Amore è accettare che l’altro dia quel che ha di più prezioso, affinché io abbia la vita.

L’Amore è accettare che l’altro dia quel che ha di più prezioso, affinché io sia reso libero da ogni male.

 

Mette tutto sottosopra!

Esattamente come avvenne per gli apostoli sull’altra sponda del lago

che essi speravano fosse tranquilla.

Quel giorno dovettero rinunciare al riposo meritato...

Anche Gesù lo considerava meritato!

Poi dovettero rinunciare a congedare la folla

e farsi servitori di un immenso picnic sull’erba.

Dovettero dare tutto ciò che avevano:

i loro cinque panni ed i loro due pesci… tutto! (cfr. Mc 6. 30-44)

Ecco l’Amore!

Ed il frutto dell’Amore è una folla che fa festa,

non solo che ha pane da mangiare,

ma che scopre la meraviglia della presenza di Gesù in mezzo a loro.

 

Carissimi, dal Presepe è nato un fiume.

Dall’Eucaristia zampilla lo stesso fiume in piena.

Un fiume che vuole riempire il nostro cuore e cambiare le nostre abitudini.

Un fiume più potente di tutti i nostri egoismi.

Il fiume del divino Amore!

Non temere l’acqua pura…

Viene dal Cielo…

 
 

Domenica 21 luglio 2019

  

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 A maggior Gloria del Signore